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Autore: Ella Rogers    26/08/2014    6 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Fiducia
 
Il jet si fermò sopra le loro teste, investendoli con un turbine d’aria che fece oscillare le folte chiome delle conifere circostanti.
Il fastidioso rumore dei propulsori le riempì le orecchie, perforandole il timpano con prepotenza.
Anthea osservò l’uomo con l’armatura caricarsi il corpo privo di sensi di Steve su una spalla, per poi dirigersi a passo spedito verso di lei.
La ragazza rimase immobile, non sapendo cosa aspettarsi da quello sconosciuto piovuto dal cielo qualche ora prima.
Non fece nemmeno in tempo a replicare quando la mano di metallo si serrò attorno al suo braccio, che sentì il suolo venirle a mancare sotto i piedi nudi e una sensazione di vuoto allo stomaco.
Il ventre del velivolo li inghiottì e il portellone si richiuse con un sibilo metallico.
Stark lasciò andare il braccio di Anthea ed appoggiò delicatamente il Capitano contro la parete di metallo alla sua destra.
L’interno del jet era quasi completamente immerso nel buio, rischiarato appena dalle luci gialle, verdi e rosse provenienti dal posto di comando, dove sedeva un uomo dai capelli biondo cenere, affiancato da una donna dalla chioma rossa.

“Ehi Nat, non mi avevi detto che Legolas era tornato dal Marocco.”

L’armatura di Iron Man parve accartocciarsi su sé stessa, mentre tornava ad assumere la forma di un’innocua valigetta, lasciando il miliardario vestito da un paio di jeans scuri e una canotta nera.

“Non me lo hai chiesto” rispose semplicemente la rossa, lasciando la sua postazione e dirigendosi verso Stark, con uno sguardo corrucciato che parlava da sé.
La Vedova voleva spiegazioni e non intendeva attendere un minuto di più.
 
Anthea osservò quella donna dalle forme sensuali, messe ancor più in risalto dall’attillata divisa in pelle nera, e rimase affascinata dai suoi occhi verdi e penetranti, che adesso la stavano studiando attentamente e con una certa diffidenza. Le labbra piene erano arricciate in una smorfia di disappunto e le braccia intrecciate sotto i seni con stizza facevano intendere che la rossa non apprezzava la sua presenza.
“Chi è lei?” chiese infatti, non cercando affatto di nascondere la nota di fredda
impressa nella voce.

Tony si voltò a guardare la ragazzina per un istante, pressando le labbra come se non volesse che le parole gli uscissero dalla bocca.
Poi gli occhi ambrati andarono a riflettersi in quelli verdi di Natasha, in una muta richiesta di estrema cautela.
“Steve ha detto che sentiva la sua voce nella testa” spiegò il miliardario, tamburellando con un indice sulla propria tempia.
“E mi ha detto che si chiama Anthea” aggiunse poi, voltandosi nuovamente verso l’intrusa e sospirando grevemente.

La Romanoff sciolse le braccia e lasciò che le ricadessero lungo i fianchi, sbuffando stancamente.
“Che cosa avete combinato questa volta, Stark?”
Tony alzò le mani davanti a sé, con i palmi rivolti verso la donna, in segno di difesa contro accuse che, per una volta tanto, non meritava.
“Ha fatto tutto il soldato complessato. Io non c’entro. Gli ho solo salvato il culo, evitando che una pallottola gli si conficcasse in quella testa bacata e probabilmente vuota. Non posso essere accusato di cose che non ho fatto e se fossi in te smetterei di lanciare sguardi fulminanti a quella ragazzina là, perché sembra tanto indifesa ma non lo è e io non ho voglia di passare altri guai che poi sarebbero sempre da attribuire a Capsicle, che continua a fare cazzate …”
“Stark.”
“Andava tutto alla stragrande e adesso invece ci ritroveremo nuovamente in un dannato casino del cazzo, me lo sento …”
“Stark!” gridò Natasha, spazientita dallo sproloquio del compagno, che aveva accompagnato le parole gesticolando come uno squilibrato.

“Brutto segno questo” asserì Barton, che non si era lascito sfuggire una sillaba del discorso tra il miliardario e la rossa.
“Non sei stato interpellato tu” ribatté a tono Stark, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Natasha, che era tornata ad intrecciare le braccia sotto i seni - brutto segno anche questo.
“Clint ha ragione. Diventi logorroico quando qualcosa ti preoccupa davvero e io vorrei tanto sapere che cosa è successo da renderti così insopportabile.”

Tony gonfiò le guance, come una bambino indispettito, poi d’istinto si voltò per l’ennesima volta verso quella che era la sorgente delle sue preoccupazioni.
Soldati traditori o congegni in grado di mettere fuori uso la sua armatura non erano nulla in confronto a ciò a cui aveva assistito.
Li aveva uccisi senza muovere un dito.
Forse aveva solo immaginato tutto. No, era accaduto realmente.
Sapeva ciò che aveva visto e ne era certo, anche se voleva cocciutamente convincersi del contrario.
Si sentiva minacciato dalla presenza di quella ragazzina, che assolutamente non era normale.
 
Natasha aveva notato una scintilla di ansia illuminare le iridi ambrate di Stark, ogni qual volta che quelle si posavano sulla figura esile della giovane, rimasta immobile dal momento in cui aveva messo piede sul jet. Le ritornò allora alla mente una frase tra il fiume di parole uscite, senza controllo, dalla bocca del compagno.
 
“… se fossi in te smetterei di lanciare sguardi fulminanti a quella ragazzina là, perché sembra tanto indifesa ma non lo è …”
 
“Che cosa ha fatto?”

A quella domanda gli occhi di Anthea si spalancarono talmente tanto da apparire vitrei e il volto le divenne pallido, mentre gocce di sudore freddo le imperlavano la fronte.

Tony guardò quella ragazza che sembrava - sì, sembrava, perché non lo era affatto - così fragile e indifesa.
Era come una rosa bellissima e apparentemente innocua, ma che ti lacerava la pelle delle mani con le sue spine, non appena cercavi di reciderle il gambo in cui passava la linfa vitale.
Stark indugiò ancora, sotto lo sguardo penetrante della rossa.
 
“Dillo” sussurrò pianissimo Anthea, attirando su di sé l’attenzione dei due Vendicatori, fermi a pochi passi da lei.

Clint si voltò appena, specchiandosi nei grandi occhi della ragazzina e rimanendone affascinato. Poi tornò a concentrarsi sulla guida del velivolo, attendendo risposte.

“Dillo” ripeté convinta Anthea, affondando con lo sguardo negli occhi ambrati di Stark, che la guardava alquanto scioccato.
Il miliardario deglutì e lasciò che un sospiro abbandonasse le sue labbra.
“Lei non è … non è normale.”
“E questo cosa significa?” chiese Natasha, al limite della pazienza.
“Non lo so! So solo che ha ucciso più di venti uomini senza muovere un solo maledetto dito!”
Tony percepì un peso abbandonargli il petto.
La Romanoff, istintivamente, si voltò verso Steve, percorrendone il corpo con lo sguardo. Era ferito, pallido, sporco di sangue e ancora incosciente.
 
“Ci ha salvati, Nat” ammise Tony.
“Se non fosse stato per lei, io e Rogers saremmo all’altro mondo adesso.”

Anthea percepì il cuore battere più velocemente e una sensazione di benessere la invase, sciogliendo un poco l’ansia che aveva preso possesso del suo corpo, irrigidendolo tutto.
La sua mente era un turbinio continuo di pensieri e soprattutto di emozioni, che faticava a gestire.
Il sollievo di essere uscita dal luogo di tortura dove l’avevano tenuta segregata per troppo tempo.
La paura dell’ignoto che si prospettava da ora in avanti.
La rabbia e la voglia di vendetta verso i suoi aguzzini.
Il senso di colpa per aver coinvolto altre persone in qualcosa di troppo grande e pericoloso.
L’eccitazione di sentirsi finalmente se stessa.
Il terrore di sentirsi, dopo anni, veramente se stessa.
Temeva di essere rinchiusa di nuovo in qualche luogo angusto, isolata dal mondo esterno, a causa del suo essere.
Capiva la diffidenza di quelle persone. C’erano tante, troppe ragioni per starle lontano.
Ma a lei non dispiaceva stare sola, poiché ormai ci aveva fatto l’abitudine. La solitudine era diventata la sua più grande amica e confidente già da parecchi anni.
Quel “Grazie” non detto, ma sottinteso, da parte di Stark aveva avuto su di lei lo stesso effetto di una dolce carezza mai ricevuta.
 
Un silenzio teso, intriso di mute domande, invase l’interno del velivolo.
Gli occhi di ogni presente, eccetto quelli addormentati del Capitano, vagavano nel vuoto, evitando di incrociarsi tra loro.
 
“Che cosa facciamo?”
Barton mise a nudo l’interrogativo che richiedeva una certa urgenza.
Stark fece suo il fardello di rispondere.
“Andiamo alla Tower. Una volta arrivati ci occuperemo prima di tutto di Rogers. Dopo che Cap si sarà ripreso cercheremo di srotolare almeno in parte i fili di questo ingarbugliato casino.”
“Cosa facciamo con Fury e lo SHIELD?” chiese Natasha, sollevando un sopracciglio, perplessa.
“Sarà meglio che Fury non venga a sapere nulla di questa storia, almeno per ora. Finché non abbiamo chiare le cose evitiamo di mettere in mezzo lo SHIELD, che ci ronzerebbe attorno come una mosca fastidiosa. E in più c’è lei.”
Clint si voltò di nuovo e con un cenno del capo indicò Anthea.
“So per certo che non la lascerebbero a piede libero se sapessero.”
Non serviva specificare.
Alcune volte le parole erano solo di troppo e si poteva evitare di farne uso, se le persone a cui ti rivolgevi capivano perfettamente il sottinteso. E tutti loro avevano compreso.

“Lo SHIELD è fissato col paranormale, che poi gira nelle sue basi indisturbato” borbottò Tony.
Natasha scosse il capo, sopprimendo un sorrisetto ironico.
“Non dirmi che ce l’hai ancora con Phil per-”
“Per aver finto di essere morto? Sì, ovviamente. Odio essere preso per i fondelli” asserì deciso il miliardario.
“Ammettilo, per una buona volta, che sei felice che Phil sia vivo” replicò la rossa, questa volta sorridendo.
Stark fece però finta di non aver sentito, troppo orgoglioso per ammettere che , era stato felice di sapere che Phil non fosse morto davvero.


Anthea ancora non accennava a muoversi.
Dritta come un palo, con le braccia che le ricadevano mollemente lungo i fianchi e coperta da quella felpa enorme che le lasciava nude le lunghe gambe, continuava ad osservare, una ad una, quelle persone che emanavano un’aura calda, piacevole.
In quel momento fu indotta a credere che tutto sarebbe andato bene.
Si sentiva in debito con quegli sconosciuti, soprattutto con la persona che l’aveva tirata fuori da un mondo composto solo da torture e dolore.
D’un tratto si mosse e percorse i pochi passi che la separavano da Steve, percependo sulla sua schiena il peso di tre paia di occhi.
Non si fidavano. E come dargli torto?
“Non farò del male a nessuno di voi, se è questo che vi preoccupa.”
Anthea si piegò sulle ginocchia e il suo viso arrivò alla stessa altezza di quello di Steve.
“A dirla tutta non controllo veramente il mio potere - è lui che controlla me - viene fuori solo quando sono in pericolo o quando le emozioni sono troppo travolgenti.”
Pose delicatamente le mani dalle dita affusolate sulle guance del soldato e poi le lasciò scivolare lungo quel corpo forte e caldo. Dal viso al collo. Dal collo alle spalle larghe.
Si fermò solo quando percepì il battito del cuore di Steve sotto i palmi.

Nessuno osava interrompere la ragazza. E non c’entrava la fiducia o il fatto di credere che lei non avrebbe torto un capello a nessuno di loro.
C’era qualcosa di invisibile ma tangibile, che quella giovane sopravvissuta emanava. Qualcosa di estremamente affascinante e allo stesso tempo dirompente.
Erano soggiogati da lei e non potevano evitare di esserlo.
 
Anthea chiuse gli occhi, sprofondando nell’oscurità.
Tum  Tum 
Una luce pallida lampeggiò tra le tenebre.
Tum … Tum …
Lampeggiava a ritmo del cuore del biondo.
La ragazza si concentrò affondo, isolandosi da tutto ciò che la circondava.
Percepì un forte calore confluire nei palmi delle sue mani, che premettero sul petto del Capitano con più forza.
Tum Tum …
Il battito acquistò vigore e la luce divenne più luminosa.
Le mani cominciarono a bruciare e Anthea strinse i denti.
Tum Tum … Tum Tum … Tum Tum …
La luce si trasformò in un bagliore talmente accecante da costringere la ragazza ad aprire gli occhi, che si specchiarono nel cielo racchiuso nelle iridi del Capitano.

Steve rimase di nuovo incantato ad osservare gli occhi grandi di Anthea.
Il blu oltremare era svanito, ricoperto dal colore della luce. Le ametiste brillanti erano state sostituite da oro fuso.
Un battito di ciglia e la notte si riappropriò delle iridi della ragazza, che si scostò da lui, ritirando indietro le mani come se fosse stata scottata.
Anthea fece qualche passo indietro, permettendo a Steve di notare la presenza dei suoi compagni, che lo guardavano con occhi spalancati. Lo stesso Clint si era distratto alla guida.

Rogers si mise in piedi senza alcuna difficoltà. Si sentiva davvero bene.
“Ho qualcosa in faccia?” chiese, sarcastico.
Tony parve riscuotersi e un ghigno prese forma sul suo volto.
“Ehi Cap, devi avere qualche trauma cranico. Sbaglio, o quello che è uscito dalla tua bocca era umorismo?”
“È sempre un piacere rivederti, Stark.”
Natasha scosse il capo e si portò le mani ai fianchi, fulminando Capitan America e Iron Man con lo sguardo - soprattutto quest’ultimo.
“Continuate a battibeccare e giuro che vi butto entrambi giù da questo jet. Chiaro?”
“Sì, signora” risposero i due interpellati, all’unisono.
Barton non riuscì a trattenere una risata ed Anthea rimase stupita dal modo in cui la rossa era riuscita a intimidire quelle che parevano a tutti gli effetti due teste calde.
 
“Cambio di programma” annunciò Stark.
“Dal momento che Cap sembra stare meglio di tutti noi messi insieme, appena arriveremo alla Tower organizzeremo una riunione super segretissima degli Avengers per occuparci del casino che ha combinato il qui presente biondino. Non cambia la decisione di tenere fuori da tutto questo lo SHIELD.”

“Che casino avrei combinato, scusa?” domandò Steve, perplesso.
Stark si avvicinò al Capitano e gli diede una pacca sulla spalla destra.
“Oh nulla di che, Capsicle. Hai solo fatto incazzare un esercito di soldati traditori, sottraendogli un’arma micidiale, che sicuramente hanno intenzione di riprendersi. E se non hai compreso, per arma micidiale intendo la ragazzina paranormale per cui hai rischiato la vita.”
Rogers sbuffò, affranto.
“Ho combinato un disastro, vero?”
“Già” fece Stark, ghignando.
“Meglio non dire nulla a Fury, allora” confessò il Capitano, con un certo rammarico.
“Giusto” replicarono gli altri tre Vendicatori.
 
 

                                                        ***
 
 

Le alte fiaccole lungo i margini del corridoio presero fuoco al suo passaggio, rischiarando le tenebre che avvolgevano incontrastate la sua dimora.
La creatura dagli occhi scarlatti avanzava a grandi passi, seguita da alcuni uomini sulle cui divise nere spiccava la spilla rossa raffigurante un diavolo.
L’eco dei loro passi si infrangeva lungo le alti pareti. Sopra le loro teste non si riusciva a scorgere il soffitto.
La creatura si bloccò dinanzi ad una porta dalle dimensioni colossali. La possente struttura era costituita da un materiale sconosciuto sulla Terra: una lega indistruttibile, viva, che emanava una forza oscura e pericolosa, e di un nero lucido, che rifletteva le fiamme danzanti sulle sommità delle fiaccole. Quella lega - la stessa del bracciale di Anthea - era capace di incatenare poteri enormi, quando entrava in contatto con il portatore di tali forze.
La porta celava qualcosa di terribilmente potente e bestiale.
Il Padrone vi appoggiò sopra una mano e da essa defluirono in tutte le direzioni venature rosse come il sangue.
La porta emise inquietanti sibili e lentamente le ante si mossero vero l’interno, formando tra di esse uno spazio scuro.
Un verso mostruoso venne fuori dalla fessura che diveniva sempre più ampia e il Padrone sorrise soddisfatto.
I soldati, ignari del loro imminente destino, si scambiarono sguardi terrorizzati e d’istinto fecero alcuni passi indietro.

“Non abbiate paura. Sarà tutto veloce e indolore.”

“Che cosa significa?” chiese un uomo, che inconsapevolmente aveva fatto da portavoce a quel gruppo di sciagurati.

Thanatos è rinchiuso da troppo tempo. Ha fame.
 
La consapevolezza si insinuò dolorosamente nelle menti dei soldati, che il panico fece suoi schiavi.
Le ante della porta si aprirono completamente e un ruggito mostruoso lacerò loro i timpani.
Nell’oscurità scintillarono due sfere scarlatte. Gli occhi del mostro.

I soldati presero a correre lungo il corridoio, dando le spalle al varco oscuro da cui continuavano a provenire versi bestiali.

“Sono tutti tuoi” sussurrò il Padrone.

Le povere vittime sacrificali vennero fatte brutalmente a pezzi.
Il loro sangue schizzò sulle pareti del lungo corridoio e si raccolse in dense pozze sul pavimento di dura e fredda pietra.
 
Thanatos era stato risvegliato.
 
 

                                                          ***
 
 

“Allora ricapitoliamo.”
Tony accavallò le gambe e sprofondò ancora di più nella poltrona color crema.
“Più o meno dieci giorni fa, Rogers inizia a fare incubi orrendi e una voce prende a parlargli nella testa. Cap diventa sempre più irritabile, peggio di Natasha quando ha le sue cose, perché non riesce a dormire. Ci esclude tutti dalla sua vita e passa le giornate a lavorare per il buon vecchio Fury.”
Stark fece una pausa per riprendere fiato.
“Poi un bel giorno la voce gli dice di andare in una base SHIELD in Canada perché ha bisogno di aiuto. Cap parte senza dire niente a nessuno e raggiunge il luogo indicato, dove scopre che ci sono agenti traditori guidati da un certo dottor Adam Lewis, il quale esegue esperimenti su soggetti vivi perché vuole rendere l’uomo invincibile, cosa a mio parere impossibile, ma andiamo avanti.”
Altra breve pausa.
“Rogers riesce a scappare dopo aver trovato la ragazzina paranormale, invia una richiesta d’aiuto al sottoscritto e poi viene assaltato dai soldati al limitare della foresta. Io gli salvo il culo e la ragazzina lo salva a entrambi, sfoderando la sua forza segreta. I traditori si ritirano, con la muta minaccia di farsi vivi di nuovo, e dopo qualche ora veniamo recuperati da Natasha e Clint, che ci riportano alla Tower. E adesso eccoci qui.”
 
Il jet aveva raggiunto la Tower al tramonto.
Stark aveva riunito tutti i Vendicatori nella Sala Comune - per fortuna Thor era tornato da Asgard quel giorno stesso - e aveva riferito a coloro ancora ignari di tutto il trambusto provocato da Steve che c’era un problema abbastanza urgente da risolvere.
Rogers aveva raccontato a sommi capi ciò che era accaduto dal momento in cui era partito da New York, spinto dalla voce nella sua testa, fino a quando era arrivato Iron Man, che gli aveva evitato di prendere una pallottola alla testa.
Poi Stark aveva parlato del resto, ovvero della decisioni prese durante il viaggio di ritorno e di quello che era il vero problema, ovvero la ragazzina totalmente fuori dal comune a cui apparteneva la voce che aveva indotto Steve a credere di stare impazzendo.
 
Thor e Steve occupavano il grande divano color crema.
Bruce e Tony erano di fronte a loro, sprofondati nelle comode poltrone del medesimo colore.
Tra divano e poltrone c’era un piccolo tavolino in vetro, con sopra appoggiati svariati bicchieri riempiti per lo più di acqua, mentre un paio contenevano alcolici.
Natasha era a cavallo di una sedia, con il petto schiacciato contro lo schienale, sulla cui sommità erano intrecciate le braccia, che facevano da appoggio al mento leggermente a punta.
Clint se ne stava in piedi, pensieroso, appoggiato al davanzale della grande finestra che dava su una New York illuminata da una miriade di luci.

“Perché non hai detto nulla?”
Barton rimase con lo sguardo fisso nel vuoto e non pronunciò il nome dell’interpellato, ma tutti sapevano perfettamente a chi fosse rivolta quella domanda spinosa.
Ed infatti Steve abbassò lo sguardo, percependo crescere il senso di colpa, che gli attanagliò lo stomaco.
“Io non lo so. Non capisco cosa mi sia preso. Ero sconvolto, credevo stessi impazzendo e non riuscivo a fidarmi di nessuno.”

Thor regalò al Capitano un’accondiscendente pacca sulla spalla e il giovane gli rivolse un sorriso tirato, ma grato.
Se l’asgardiano era passato sopra al comportamento da stronzo - a detta di Stark - di Steve, per gli altri non sarebbe stato altrettanto facile concedere il proprio perdono e ricominciare a fidarsi completamente del ragazzo.
 
C’erano due diversi tipi di fiducia.
C’era la fiducia anziana, indistruttibile, temprata da anni e anni di prove superate, coperta di cicatrici che ricordavano che si poteva affidare anche la propria vita alla persona con la quale si condivideva questo forte e radicato sentimento.
Poi c’era la fiducia neonata, quella concessa ma non ancora donata, quella morbida e liscia come la pelle di un bambino e totalmente indifesa. E nel momento in cui vi erano le prime ferite, questa fiducia sanguinava e provocava un forte dolore, difficile da sopprimere e da sopportare.
Se alla fine la lacerazione si cicatrizzava, allora la fiducia neonata cominciava a crescere e maturare, rafforzandosi e diventando sempre più solida.
Un solido appiglio a cui appoggiarsi per non cadere.
Era la fiducia neonata che univa i Vendicatori, persone straordinarie nel loro essere, forzate a convivere sotto lo stesso tetto e condividenti il greve fardello di salvaguardia dell’umanità.
Non era facile fidarsi completamente di persone che conoscevi da troppo poco tempo e che non si sforzavano di creare legami con chi gli era accanto, perché cercavano sempre di rimanere confinate nel proprio universo.
Steve rimaneva ancorato al suo passato.
Tony era un universo a sé stante.
Bruce cercava istintivamente l’isolamento.
Clint e Natasha avevano precedenti che li avevano marchiati e che provavano invano a lasciarsi alle spalle.
Paradossalmente, l’unico che cercava di legare era Thor, non appartenente nemmeno a quel mondo che però aveva scelto di proteggere.
Era difficile. Troppo complicato.
Erano un gruppo di sconclusionati e alle prime difficoltà non riguardanti un nemico esterno, ma interno, gli equilibri già precari divenivano instabili e la molle fiducia che c’era tra di loro barcollava pericolosamente, minacciando di cadere e non rialzarsi.
 
“Mi dispiace davvero tanto” sussurrò Steve, affranto.

Nessuno osava parlare e la stanza si riempì di tensione.
Rogers guardò ad uno ad uno i suoi compagni.
Erano combattuti da sentimenti contrastanti e lo stesso Stark, ora, emanava serietà da tutti i pori.
Non c’era spazio per scherzare.
Era come assistere ad un processo in tribunale, nel quale l’imputato era solo davanti a cinque giudici.
Colpevole o Innocente?
Escluso o Riaccolto?
Condannato o Perdonato?
 
“È colpa mia.”
Anthea era sulla soglia dell’ingresso alla Sala Comune.
Indossava un paio di pantaloncini di felpa blu e una t-shirt di morbido cotone giallo pallido.
I capelli lunghissimi le ricadevano in morbide onde sulla schiena ed erano di un luminoso color miele, mischiato al caramello.
 
 
 
Dopo essere arrivati alla Tower, Tony l’aveva affidata a Pepper, che non aveva fatto domande, ma aveva lanciato al compagno un sguardo che diceva chiaramente “Mi devi delle spiegazioni”.
Anthea era rimasta affascinata da quella donna bella e soprattutto dolce. Gli occhi chiari, contornati da piccole lentiggini, l’avevano osservata con premura.
Pepper l’aveva accompagnata nella stanza da bagno, dove Anthea aveva potuto fare un doccia calda e rigenerante, usufruendo di prodotti delicati e profumati per il corpo e per i capelli.
La ragazzina aveva osservato con disgusto l’acqua nera che si raccoglieva ai suoi piedi, sul piano bianco della doccia. Aveva strofinato la pelle con una piccola spugna, fino a farla arrossare.
Era uscita dalla spaziosa cabina solo quando si era sentita davvero pulita - fuori almeno, perché dentro non lo era affatto.
Quando era uscita dal bagno, seguita da una nuvola di vapore e coperta da un morbido asciugamano bianco stretto sopra i seni, aveva trovato ad accoglierla il dolce sorriso di Pepper, che l’aveva accompagnata in una stanza da letto enorme e le aveva dato dei vestiti puliti ed emananti un fresco odore di lavanda.
Virginia non l’aveva mai nemmeno sfiorata, come se le avesse letto dentro che non apprezzava - non voleva - contatti con persona alcuna.
Anthea aveva apprezzato quel riguardo nei suoi confronti. Pochi trattavano una sconosciuta con quella dolcezza e premura.
Prima di lasciare Pepper, la ragazza le aveva rivolto un sorriso fievole ma sincero. Un sorriso che da troppo tempo non le piegava le labbra e che era fiorito con una naturalezza ed una facilità incredibili, per lei.
 
 
 
“Da quanto tempo sei lì?” chiese Stark, sorpreso.
Anthea si fece avanti, camminando sul liscio parquet a piedi nudi, e raggiunse il gruppo di Vendicatori, fermandosi accanto al divano.
Accanto a Steve.
“Più o meno da ‘Allora ricapitoliamo’ e intendevo rimanere da parte, se non fosse stato per il fatto che ci sono delle cose nella ricapitolazione da chiarire.”
Steve non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
“Prima di tutto quelli che ha fatto Steve non erano incubi, ma lui vedeva semplicemente ciò che accadeva a me. Non so come io sia riuscita a instaurare un legame tra le nostre menti, ma sono stata spinta dal fatto che lui è speciale, perciò avrebbe retto la connessione spirituale, senza soccombere.”
 
“Soccombere?” fece Clint.

“La connessione può portare alla morte se non si è abbastanza forti. Una persona normale non ce la farebbe, ma da quello che ho captato Steve non è propriamente una persona normale, giusto?”
Era più una constatazione che una domanda, ma i Vendicatori annuirono lo stesso.
“La connessione permetteva a Steve di vedere e sentire ciò che accadeva a me. In più potevo parlargli, attraverso il legame tra le nostre menti.”
 
“ … e posso ancora farlo.”
 
“Davvero?”
Gli occhi di tutti si spostarono su Steve, perplessi da quella reazione.
“Mi ha parlato qui dentro” si giustificò il Capitano, toccandosi con un dito la fronte fasciata da una benda candida.

“Davvero?” ripeté Bruce, che con la spiegazione della ragazza aveva potuto finalmente capire ciò che non avrebbe mai potuto ricavare da quei dati anormali che aveva studiato per giorni e giorni.

Anthea annuì.
“Una volta instaurata, la connessione non può essere distrutta, a meno che …”
La ragazza si morse il labbro inferiore, con fare nervoso.
“A meno che?” la spronò Tony.
“Uno di noi due muoia.”

Silenzio e sguardi sfuggenti dominarono la stanza per qualche istante.
“Perché prima hai detto che era colpa tua?” chiese Clint, guardandola negli occhi.
“Perché con la connessione i miei sentimenti hanno influenzato Steve talmente tanto, da fargli provare la forte repulsione che sento verso gli altri essere umani e la completa sfiducia in loro.”
Misantropia” sussurrò Natasha, rivolgendo uno sguardo di compassione a quella ragazza senza più fiducia nel genere umano.
Chissà cosa aveva passato 
“Chi sono quegli uomini? Cosa vogliono davvero da te? Cosa sei? Un loro esperimento ben riuscito? Cosa ti hanno fatto? Perché-”
“Stark.”
Steve lanciò un’occhiataccia a Tony, invitandolo a tacere.
Anthea si torceva le mani in grembo e il labbro inferiore veniva torturato dai denti, quasi con ferocia.

“Bisogna sapere, Rogers, se vogliamo risolvere la situazione.”
“Non è questo il momento.”
“Quale sarebbe il momento, allora?”
“Diamole un po’ di tempo.”
“Potremmo non averne.”
“Stark, non fare il melodrammatico adesso” fece Natasha.
“Forse però ha ragione” si intromise Clint.
“Ho sempre ragione” affermò Stark, gonfiando il petto.
“Non fare il cretino.”
“E tu non fare l’idiota, Rogers.”
“Sto solo dicendo che è troppo sconvolta per parlare ora.”
“Potremmo parlare delle cose delicate domani” suggerì Bruce.
“Perché la date sempre vinta a Rogers?”
“Sei ubriaco, Stark?”
“No incazzato.”
“Smettetela.”
“Tu non rompere, Legolas.”
“Stark, non provocarmi.”
“Clint, non ti ci mettere anche tu.”
“Oh sì che mi ci metto, Nat.”
“Ragazzi, basta. Non ho ancora preso la mia camomilla.”
“Forse Hulk ci potrebbe parlare con la paranormale.”
“Stai delirando, Stark.”

Thor saettava con gli occhi da un compagno all’altro, indeciso se intervenire o restarsene in disparte.
Nessuno si accorse che Anthea stava tremando.
La luce del lampadario iniziò a lampeggiare.
Dai bicchieri sul tavolino in vetro, i liquidi vennero fuori, salendo verso i soffitto e rimanendo sospesi nel vuoto. Il vetro dei bicchieri si incrinò e allo stesso modo quello del tavolino.
E Anthea continuava a tremare, con le mani pressate sulle orecchie e lo sguardo perso nel vuoto.
 
“Cristo” sussurrò Tony, scioccato.
“Puoi dirlo forte” lo appoggiò Clint, guardando quello spettacolo a bocca aperta.
Steve si alzò con uno scatto e si avvicinò alla ragazza. Tese un braccio per toccarla, ma poi ritrasse la mano, conscio di averle giurato di non sfiorarla nemmeno.
“Ehi” la chiamò, dolcemente.
Anthea non lo sentì.
Steve si concentrò, guardandola negli occhi bui.
“Va tutto bene.”
Questa volta, le labbra del Capitano non si mossero, ma la ragazza si riscosse.
La voce di Steve era risuonata forte e chiara nella sua testa.
“Scusatemi.”
Anthea abbassò lo sguardo.
La luce smise di lampeggiare, i liquidi tornarono nei bicchieri, ma il vetro rimase incrinato.

“Direi che sarebbe meglio continuare a parlare domani, che ne dite?”
Steve si voltò a guardare i compagni, che annuirono solamente, ancora troppo sconvolti per dire qualsiasi cosa.
 
 

                                                          ***
 
 

Ognuno aveva raggiunto il piano della Tower, dove vi era il proprio appartamento.
Steve aveva deciso di portare Anthea con sé e nessuno aveva obbiettato.

Il super soldato la guidò nella stanza da letto.
“Tu dormirai qui. Per qualunque cosa, io sono in salotto. Il divano non è poi così scomodo.”
Anthea osservò quegli occhi ceruli, bellissimi.
Steve emanava un’aura rassicurante, un’aura che la faceva sentire bene.
“Grazie” gli sussurrò.
“E scusami.”
Il biondo rimase perplesso.
“Per cosa?”
“Per averti fatto provare un dolore che non ti apparteneva. Per averti costretto a rischiare la vita per me. Per aver fatto sì che i tuoi amici perdessero la fiducia in te. Per averti complicato la vita.”
Steve le sorrise. Un sorriso bellissimo e caldo.
“Scuse accettate.”
Anthea non poteva credere che l’avesse detto.
Era davvero così facile perdonare?
“Ma-”
Il biondo la interruppe.
“Ti hanno fatto davvero quello che ho visto?”
La ragazza si morse il labbro, timorosa.
“Sì.”
Non aggiunse altro e Steve non chiese oltre.

“La pagheranno” disse solo il Capitano, rivolgendole uno sguardo intenso prima di lasciarla sola.
 
Anthea si infilò sotto le coperte fresche di bucato e affondò il viso nel morbido cuscino, aspirando l’odore di Steve.
“Sì, la pagheranno. La pagheranno cara” sussurrò, prima di chiudere gli occhi e sprofondare in un sonno fatto di incubi e paure.
Non si accorse della figura incappucciata che la osservava da fuori la grande finestra, sospesa nel vuoto, a metri e metri di altezza da terra.
 
“Molto presto tornerai ad essere mia e coloro che ti hanno portata via da me verranno uccisi, senza alcuna pietà.”
Due occhi rosso sangue brillarono nell’oscurità, prima di sparire.

Thanatos era pronto a fare a pezzi i nemici del suo Padrone.
 
 
 
 
 
 
Note
Ecco il settimo capitolo ;)
Spero vi piaccia e che continuerete a seguirmi :D
Alla prossima <3
Ella
   
 
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