Salve
a tutti! Sono tornata dopo 8 lunghi anni a postare qualcosa su questo
sito, che ai tempi frequentavo assiduamente nella categoria "Harry
Potter". Mi ci sono nuovamente imbattuta per caso qualche giorno fa,
l'avevo quasi dimenticato, e dopo aver letto le mie orripilanti vecchie
fan
fiction (scritte dalla mano di una mocciosa 14enne, chiedo venia a chi
venisse
la triste idea di andarsele a leggere), e compensando rileggendo le
belle
Tonks/Lupin di altri validi autori che avevo impostato tra i preferiti,
mi è
venuta la voglia di provare di nuovo a scrivere. Il risultato
è la seguente
Tonks/Lupin (che se non si era capito sono i miei personaggi
preferiti),
ovviamente nulla di che, anzi sono sicura che quando la
rileggerò tra qualche
anno avrò la stessa sensazione di vomito che ho avuto
rileggendo quelle di cui
vi parlavo prima. Ma ci ho provato. Fatemi sapere se vi piace, in modo
da
sentirmi incoraggiata nell'eventuale proseguimento della storia (si non
vi
garantisco che la finirò, sono -ahimè- incapace a
portare a termine qualsiasi
tipo di progetto). Buona lettura!
Baci,
Luna.
NB. Ho cambiato il titolo della storia, invertendolo col nome del primo capitolo. Ragionando sul seguito, ho pensato che fosse più adatto.
Dietro
gli occhi
***
1
Indecifrabile
La
voce rauca e bruta di Malocchio che col suo solito
garbo mi annuncia che “Voldemort è
tornato”, così di punto in bianco, neanche
mi stesse comunicando l’entrata di un nuovo giocatore nei
Tornados, non
fa che martellarmi la testa. “l’Ordine della fenice
torna in azione, e tu ne
farai parte”. Ma ceeerto. Sono un Auror addestrata,
addestrata da lui, il
miglior cacciatore di maghi oscuri in circolazione. Perché
allora mi sto
cacando sotto?
Era
la
prima volta di Tonks a Grimmauld Place. Pensava, seduta su una poltrona
di
fronte al camino spento della cucina, dopo la riunione dei soci
dell’Ordine. E scriveva. Proprio lei: così
chiassosa e burlona, talvolta
sentiva il bisogno di ordinare i suoi pensieri, chiassosi e martellanti
come
lei. E quello era davvero un caso urgente. Prese a fissare ancora una
volta il
vuoto della carta da parati verde tetro, che incorniciava il camino
spento di
fronte al quale era seduta, sollevando lo sguardo dal suo taccuino
ingiallito e
appiccicoso, probabilmente della marmellata delle sue solite
scorpacciate
notturne. Non le sembrava vero trovarsi nella casa dei Black, suoi avi.
La
ripugnava stare seduta lì, sentiva un’innaturale
tensione negativa nell’aria,
come se quel posto emanasse malvagità dalle pareti. Come se
i suoi pensieri
avessero attirato forse l’unica persona con cui li aveva in
comune, essa entrò
dalla porta cigolante proprio in quel momento. Sussultò,
tesa. Sirius Black, il
cugino pluriricercato, lì per la prima
volta faccia a faccia davanti
a lei. Lo aveva visto a distanza durante la riunione, durante la quale
aveva
cercato di studiarlo un po’ dai duri lineamenti del viso. La
incuriosiva l’idea
di conoscerlo. Scosse la testa, come per riprendersi da uno stato non
tipicamente suo, quello riflessivo.
«
Ah!
» esclamò allegra «
Tu devi essere Sirius ».
«
E tu
devi essere Ninfadora » rispose Sirius, lasciandosi cadere
sulla poltrona
frontale « Adoravo Andromeda ».
«
Il
cui post-partum fu deleterio ai fini della scelta di un nome decente
per la sua
unica figlia » proseguì ghignando; «
Ergo, ti consiglio di chiamarmi Tonks »
«
Anche
se a quanto dicono avrei la facoltà di incenerirti in un
secondo lasciando
intero solo un dito, tenterò di seguire ugualmente il tuo
consiglio ».
Rise,
sollevata: sentì subito un’istintiva e inaspettata
sintonia. Come se tutti gli
anni passati a credere erroneamente che fosse nient’altro che
l’ultimo degli
stronzi maledetti dei Black non fossero mai esistiti.
«Quindi..
a quanto pare non sei una merda trucida famiglie» disse
dandogli una pacca sul
braccio, un po’ più forte di quanto ne avesse
intenzione « Scusami » proseguì
distrattamente, come se picchiare la gente fosse per lei ordinaria
amministrazione « Sai, mi fa piacere che esista un altro
consanguineo controsangue ».
« Controsangue »
ripetè Sirius in una risata rauca, massaggiandosi la parte
colpita « Ebbene si…
era ora che lo capiste brutti figli di puttana » disse
ridendo mestamente,
quasi sottovoce.
«
Questo perché solo tu sei in grado di farti fregare da un
topo ». Remus Lupin
fece capolino da un angolo nascosto dell’enorme stanza. Tonks
lo aveva
distrattamente notato durante la riunione del pomeriggio. Lo
osservò mentre si
avvicinava a passi lenti: non si aspettava che un uomo
dall’aspetto pallido e
trasandato potesse uscir fuori quella voce, pacata e profonda: se
l’era
figurata debole e balbettante. Era fissata con le corrispondenze tra
aspetto,
modi di fare e carattere.
«
Dov’eri nascosto, maledetto? » rispose
l’amico, con una punta di ironico astio.
«
Lì
dietro, in attesa di un agguato. Ho fame » disse serissimo.
«Sai, sono un lupo
mannaro» aggiunse rivolto a Tonks, con un tono enfatico che
le sembrò volesse
sott’intendere “sono brutto e cattivo, levati dalle
palle”
«E
tu
saresti…?» chiese curiosa.
«
Remus
Lupin » proferì gentilmente. « Molto
lieto. Ninfadora, giusto? »
«
Tonks. Piacere mio »
«
Cos’ha Ninfadora che non va? »
«
Fa
schifo »
«
Non
sono d’accordo »
Tonks
socchiuse gli occhi e lo scrutò, cercando di individuare in
lui un qualcosa che
- ne era certa - le stava sfuggendo. Aveva gli occhi grigi, eppure
tutt’altro
che vuoti. Sembrava che in essi galleggiasse una viva scintilla, di
quelle che
solitamente notava nelle rare persone brillanti che esistevano
nella sua
cerchia di conoscenti. E anche quella, la scintilla, era
così
incomprensibilmente incompatibile con il suo viso sciatto e pallido.
Non
riusciva a capacitarsene.
«
La
tua voce non corrisponde al tuo aspetto »
«
Dici?
» rispose accigliato.
«
E
neanche i tuoi occhi. Hai gli occhi e la voce di qualcuno che dovrebbe
essere
tutt’altro che malaticcio e trasandato »
«
Sono
malaticcio e trasandato? » chiese senza ottenere risposta:
solo l’espressione
ancora dubbiosa di Tonks che continuava irritantemente a studiarlo
« Lo sono
Sirius? »
«
Cosa?
» rispose Sirius, che nel frattempo era entrato in una specie
di trance. « Si
fai pena» disse in uno sbadiglio, riordinando mentalmente
quel poco che aveva
colto dal battibecco. «Amici »
annunciò solennemente, balzando dalla
poltrona « temo sia giunta l’ora di ricongiungermi
all’agognato materasso. Or
dunque vi saluto. » e si diresse alla porta.
Lo
seguirono entrambi con lo sguardo, mormorando un distratto «
Ciao » in
sincrono. Remus, sedutosi al posto di Sirius, uscì dalla
tasca un vecchio libro
e prese a leggere. Tonks, di fronte, riprese il suo studio: la
infastidiva
profondamente non capire al volo le persone che aveva di fronte. Si era
sempre
vantata di possedere questa dote, difficilmente riusciva a sentirsi
presa in
giro, eppure quell’espressione da
“quellochenoncicolpa” (come diceva nonna
Tonks) le dava questa vaga sensazione.
«
Sei
davvero un lupo mannaro? »
«
Così
pare » rispose senza alzare lo sguardo dal libro.
«
Come
funziona? » insistè, con un tono sempre
più da terzo grado.
«
Dunque » disse Remus accigliandosi « Hai presente
cosa succede a voi donne una
volta al mese? »
«
Beh?
»
«
Stessa cosa »
«
Cioè
perdi sangue dal dindino e rompi i maroni alla gente? »
«
Non
proprio. Ma il concetto di mostro è quello » disse
tirando un mezzo sorriso,
ripetendo mentalmente la parola “dindino”,
chiedendosi se l’avesse sentita
seriamente. « La differenza è che la mia
condizione dura solo una notte, la
vostra per una settimana intera. Durante la quale nulla vi trattiene
dall’andare in giro a frantumare i cosiddetti. »
Lei
lo
fissò serissima per un secondo. Strinse gli occhi
così tanto che sembrava
volesse farli inghiottire dal cranio. Dopo di ché
afferrò con nonchalance un
cuscino e glielo lanciò in testa, rilassando lo sguardo,
come se avesse trovato
una soluzione definitiva alla sua frustrazione. Lui rimase immobile.
«
Perché? »
«
Perché
si »
«
Ok »
e riprese a leggere.
«
A
quanto pare hai avuto parecchio a che fare con donne rompi
maroni» chiese
ancora Tonks, mangiucchiandosi l’unghia del pollice e
continuando a fissarlo,
stavolta con occhi più rilassati, spumeggianti.
Lui
aggrottò lo sguardo, spostando leggermente la direzione
degli occhi.
«
Presumo di si »
«
L’ultima? »
«
E’
seduta di fronte a me »
Tonks
alzò le sopracciglia quasi all’attaccatura dei
capelli.
«
Non
ci sono più cuscini »
«
E’
una specie di gioco in cui per ogni volta che dico qualcosa che non ti
piace
vengo punito con una cuscinata? »
«
Hai
colto »
«
E se
per ogni domanda sconveniente che mi fai ti lanciassi un libro?
»
«
Non
vale. Il libro fa male »
«
Perfetto. Fine del gioco allora. Punto d’incontro trovato
»
«
Sei palloso
»
«
Affatto »
«
Allora rispondi alla mia domanda »
«
Quale
domanda? »
«
Quella sulle donne »
«
Sono
un lupo, le donne mi stanno alla larga »
«
Io
non ti sto stando alla larga »
«
Pensa
un po’, che fortuna
»
Fecero
silenzio per un paio di minuti. Lui con la medesima
espressione
impassibile, lei con un enorme punto interrogativo gallegiante sopra la
sua
testa.
«
Ho
paura » disse all'improvviso Tonks, usando un tono
curiosamente tranquillo,
come se volesse annunciare un semplice dato di fatto, e non un reale
stato
d’animo.
«
Di
me? » rispose perplesso l’altro, ancora una volta
abbozzando quello sguardo
ambiguo.
«
No.
Di questo »
Remus
alzò la testa, e per la prima volta la fissò
dritto negli occhi, come se avesse
scoperto qualcosa di nuovo. E fu come se quel velo impenetrabile che
impediva a
Tonks di decifrare ciò che si nascondeva dietro le pupille,
si fosse spostato
un attimo. Era uno sguardo serio, fermo. Lei lo ricambiava con la
stessa
serietà e fermezza, unita alla bizzarra
tranquillità bambina che era solita
utilizzare nei contesti più assurdi.
«
Anche
io » e riposò gli occhi sul vecchio libro.
Da
lì
condivisero lo stesso silenzio per ore, un silenzio non imbarazzato, ma
rilassato, rassegnato alla nuova vita nella quale si erano trovati
entrambi
catapultati così velocemente, che sapevano bene avrebbero
condiviso da lì a
chissà quale tempo.