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Autore: Michan_Valentine    27/08/2014    4 recensioni
A due anni dalla battaglia per la salvaguardia del Pianeta, Vincent Valentine si ritira nel villaggio di Kalm senza dire niente ai suoi amici. Ma Yuffie Kisaragi e le questioni irrisolte non tarderanno a fargli visita.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Contesto generale/vago
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Controllò le cinghie del paracadute, tirandone l’estremità con decisione. Erano salde. Si spostò nuovamente sul sedile e tornò con lo sguardo al portellone posteriore della Shera, irrequieto. Mancava poco ma l’attesa, la tensione e il silenzio lo stavano letteralmente consumando da più di sei ore, ormai. Barret ne sarebbe rimasto sorpreso: aveva i nervi a pezzi. Un dato di fatto che stupiva lui in primis. Tuttavia c’era poco che potesse fare, se non continuare ad aspettare… nella speranza di arrivare in tempo. Per cosa non sapeva nemmeno dirlo. E, soprattutto, non voleva immaginarlo. Indurì l’espressione e scacciò gli orribili scenari che gli affollavano la mente e che comprendevano Yuffie. Morta per mano di Sephiroth. Scosse la testa: doveva restare lucido. Istintivamente poggiò le dita sul calcio della Cerberus, quasi la solida consistenza della pistola potesse offrirgli conforto.

Proprio allora l’aereonave vibrò e scricchiolò. S’irrigidì. Doveva trattarsi di una corrente d’aria. Dopotutto i cieli di Icicle erano famosi per le turbolenze; e il più delle volte le areonavi evitavano di spingersi oltre la zona turistica. Riportò l’attenzione al vano di carico dove stavano già da un po’ in attesa di lasciarsi e adocchiò i propri compagni, mentre il vuoto gli riempiva lo stomaco a ogni sobbalzo imprevisto. Accanto a lui, Tifa Lockheart si allacciò alacremente la cintura di sicurezza e piantò le unghie nel sedile, preoccupata dagli scossoni. Seduti lì di fronte, invece, Cloud e Barret si scambiarono una rapida, eloquente sbirciata e convennero con la barista, affrettandosi a recuperare le cinghie.

L’imitò. Tuttavia una raffica più impetuosa fece letteralmente sbandare la Shera e gli impedì di terminare l‘azione. Perse il contatto visivo, ondeggiò a sua volta e sbatté contro la parete metallica, prima a destra e poi a sinistra. Impattò con la spalla, frappose il braccio nel mezzo e attutì per quanto possibile il secondo colpo. Un sordo formicolio gli risalì l’arto a partire dalle dita; ma il suo corpo mostruoso registrò il dolore soltanto in una blanda parte di sé. Assurdo e insopportabile che dovesse ringraziare quel verme per la propria, innaturale resistenza. Non ebbe il tempo di recriminare; una frazione di secondo più tardi si sentì sbalzare nuovamente dall’altro lato. Fece pressione sui piedi, piantò l’artiglio sul pannello e, fra stridii e scintille, smorzò per quanto possibile la rovinosa caduta. Lunghi, irregolari graffi si disegnarono sulla parete. Ciononostante ci mancò poco che finì addosso alla barista. Si accertò che la ragazza stesse bene; poi grugniti, gemiti e tonfi richiamarono la sua attenzione lungo il vano di carico.

“Barret!” soggiunse Tifa; e nel tono della barista percepì la paura.

Sollevò il capo, allarmato. Vide l’omaccione perdere l’equilibrio e scivolare malamente lungo il vano e verso la parete alla stregua di un pupazzo sballottato dalla corrente. Contrasse i muscoli delle gambe e si preparò al balzo. Tuttavia Cloud agì per primo. Aggrappato saldamente a una delle maniglie di sicurezza, l’ex Soldier si protese da quella parte e afferrò il compagno al volo tramite un lembo della giacca; dopodiché lo trasse faticosamente a sé, nuovamente verso i sedili. Quasi poté scorgere il sudore scivolare lungo la fronte dell’altro o sentire lo scricchiolio dei suoi denti serrarsi in una morsa sempre più dura. Barret invece slittò una, due volte con i piedi sul pavimento nel tentativo di alzarsi e di raggiungere il posto a sedere; inutilmente. Ciononostante l’omaccione riuscì quantomeno ad aggrapparsi al sedile, alle cinghie e a scongiurare così la rovinosa caduta.

Tifa sospirò di sollievo. Di rimando rilassò le membra e si concesse a sua volta un piccolo sbuffo. Tanto più che la Shera era tornata in asse e le vibrazioni s’erano affievolite. Ne approfittò per sistemarsi meglio sul sedile e per allacciare la cintura di sicurezza, in previsione di altre turbolenze. L’altoparlante invece si attivò e riferì il messaggio del Capitano.

“Ci siamo, gente! Tenete il culo incollato al sedile perché la danza si fa movimentata. Il radar di bordo ha rilevato l’avvicinamento di una fottutissima tormenta. Perciò, anche se sono un provetto ballerino, non vi garantisco niente. E sappiate che non accetterò…”

Le urla di Barret coprirono il resto del messaggio.

“E perché cazzo non l’hai detto prima?!” urlò l’omaccione, agitando il pugno in direzione dell’altoparlante “Allacciate le fottute cinture! Non ci vuole la laurea in ingegneria per dire ‘ste quattro stronzate!”

“Non ti sente…” gli fece notare Cloud, atono.

“Porco mondo, Highwind! Per poco non mi spaccavo la testa! Ti rendi conto che a casa c’è Marlene che mi aspetta?! Sono quasi morto e nemmeno ho visto Sephiroth! Devo venire io a guidare ‘sto cazzo di trabiccolo infernale?!” perseverò l’altro, passandosi la mano sul capo e sul collo con evidente frustrazione “‘Fanculo! Quel pagliaccio di Strife mi ha pure salvato il culo!”

“…io sì, invece.” continuò di sottofondo l’ex Soldier; e scansò il capo per quanto possibile, forse contuso dalle urla dell’omaccione “E comunque sei pesante. Perciò allacciati la cintura e smettila di urlarmi nelle orecchie.”

“Benvenuto nel mio mondo.” soggiunse Tifa; e si concesse una calorosa risata.

“Ehi!” protestò Barret, adocchiando prima l’uno e poi l’altra “Ho appena rischiato di morire! Potreste mostrare un po’ di comprensione?! E chiudete le fottute bocche! Non si sente un cazzo di quello che Highwind sta blaterando!”

La barista replicò con un’occhiataccia. Cloud sospirò. Dal canto suo, invece, scosse appena il capo. Far notare a Barret che era stato il primo ad alzare il tono di voce e a coprire il messaggio del Capitano con le proprie urla sarebbe stato inutile, comunque. Anche se, a ben vedere, quel piccolo e imprevisto intermezzo aveva aiutato tutti ad allentare la tensione.

“…in avvicinamento. Comincio la discesa.” stava dicendo il Capitano nel frattempo “Al momento giusto aprirò il portellone. Lanciatevi al termine del count down. All’uno, semmai a qualche cervellone dovesse venire il dubbio. Capito, Wallace?” Cid rise; il diretto interessato invece imprecò e mandò a quel paese il pilota “Io e Red XIII vi raggiungeremo il prima possibile. Mi raccomando, non fatemi incazzare: prendeteli a calci nel culo e restate interi. E, perché no, lasciatemi qualche cazzone da strapazzare un po’!”

La comunicazione si chiuse con il commento di Barret: “Puoi scordartelo! Prendere a calci in culo quelli della Shinra è il mio mestiere!”

Subito dopo un’altra, poderosa raffica percorse l’aereonave da prua a poppa e li mise in allerta. Le lamiere vibrarono, sbandarono ed emisero sinistri scricchiolii. Lamenti. I neon tremarono, si spensero e per lunghi istanti le luci d’emergenza conferirono all’ambiente delle sfumature rossastre, che si riflettevano sulle pareti metalliche a intermittenza. Si sbilanciò appena, trattenuto dalle cinghie, e lo stomaco sembrò arrivargli direttamente in gola, mano a mano che la Shera perdeva quota e le correnti la investivano da tutte le direzioni.

Barret imprecò ancora, Tifa si portò la mano sulla bocca e trattenne un conato di vomito; e la discesa sembrò protrarsi all’infinito. Poi le vibrazioni s’attenuarono, il mezzo tornò in asse e i neon si riaccesero. La luce l’accecò. Strinse le palpebre, portò le dita alla fibbia della cintura e puntò il portellone. Contemporaneamente partì il conto alla rovescia preannunciato.

Lancio in tredue…” scandì la voce preregistrata; e l’ingresso si schiuse, rovesciando all’interno raffiche di vento gelido.

Al tre slacciò la cintura, raggiunse il varco e si lanciò oltre senza aspettare i compagni. Il vuoto s’aprì sotto di lui e l’accolse, inconsistente. Sfrecciò verso il basso, in caduta libera fra le nuvole e le correnti, il mantello che sbatteva e turbinava dietro di lui alla stregua di una banderuola. La rigida temperatura gli artigliò le carni; mentre l’aria gli tagliava le gote, gli sferzava la pelle, i capelli e lo sballottava qua e là. Soltanto la velocità di discesa l’aiutò a mantenere la traiettoria. Non vi badò. Scandagliò il paesaggio innevato alla ricerca di quanto bramava, invece, e poco dopo scorse l’abitazione di Abigail delinearsi sullo sfondo, fra le rocce e il ghiaccio. Sembrava intatta, constatò. Portò la mano alla cinghia del paracadute e attese, mentre i metri che lo separavano da terra s’accorciavano ad ogni secondo di più. Le vette delle montagne gli sfrecciarono accanto. 500 metri. 300. Strinse i denti e aspettò ancora per coprire più distanza nel minor tempo possibile. Dopotutto non era umano; e poteva prendersi il lusso di rischiare.

Aprì il paracadute che aveva raggiunto all’incirca i 100 metri d’altezza. L’attrito lo sballottò verso l’alto, poi le correnti lo trascinarono a destra e infine a sinistra. Qualcosa lampeggiò fra le creste rocciose. Spari. Automaticamente mise mano alla Cerberus e puntò da quella parte, pronto a captare qualsiasi movimento. Distinse uno dei cecchini e premette il grilletto. Quello s’accasciò fra la neve. Altri proiettili fischiarono nell’aria, stavolta più vicini. Strinse i denti e sparò su un altro soldato Shinra: da quanto sembrava, avevano circondato la zona. Evidentemente avevano incontrato strenua resistenza. Ciò gli diede speranza. Poi dei colpi ben mirati andarono a perforagli il paracadute in più punti e si ritrovò a precipitare. Nuovamente in caduta libera per gli ultimi 20 metri che lo separavano da terra.

Poco male. Sganciò le cinghie, si disfece dell’ingombro svolazzante e sfrecciò incurante verso il basso. Atterrò con un’agile capriola, sollevando spolverate di neve tutt’attorno, e accusò un sordo, doloroso formicolio alle gambe. Nient’altro; merito di Hojo anche quello, considerò con disprezzo. Si rimise in piedi e puntò il primo uomo sulle creste. Sparò, ma quello si riparò dietro la copertura e sfuggì di stretta misura ai proiettili della Cerberus. Svuotò il caricatore, mentre fruscii, grugniti e gemiti si levavano alle sue spalle. Non aveva bisogno di controllare, sapeva chi era appena arrivato. Ricaricò l’arma, mentre una scarica di mitragliatore lo sorpassava e s’abbatteva senza pietà sul nascondiglio dei soldati Shinra.

Si fece strada fra la neve che gli arrivava ai polpacci e avanzò in direzione della casa di Abigail. Qualcuno fece capolino dietro gli speroni di ghiaccio, pronto a far fuoco. L’anticipò e quello s’accasciò al suolo fra le urla, reggendosi il braccio sanguinante.
Con la coda dell’occhio individuò Cloud. L’ex Soldier atterrò, sfoderò lo spadone e si scagliò sugli uomini appostati. Quelli gli spararono addosso. Cloud si abbassò e schivò, parò con la lama e assestò un deciso sgualembro al primo bersaglio disponibile. Una scia di neve e ghiaccio si sollevò tutt’attorno, disegnando la traiettoria del poderoso colpo; mentre il malcapitato veniva scaraventato metri più avanti e addosso ai  compagni. Uno dei cecchini mirò alle spalle dell’ex Soldier, posizionato poco più sopra, sulla scarpata. Automaticamente distese il braccio e lo puntò. Un’altra scarica di mitragliatore s’abbatté sulle creste e scongiurò il pericolo prima ancora che potesse premere il grilletto. Cloud nemmeno se ne accorse, di già proiettato verso il bersaglio successivo. Si voltò da quella parte.

“Ci penso io a parargli il culo! Raggiungi la casa!” gli urlò Barret.

Annuì, tornò con lo sguardo alla meta e proseguì. Poco più avanti Tifa era appena atterrata e stava combattendo col paracadute, che le ricadeva sulle spalle e sulla testa, coprendole la visuale. Uno degli avversari sbucò da dietro una roccia innevata, sollevò il fucile e fece per colpirla col calcio dell’arma fra capo e collo. Strinse i denti e puntò la Cerberus con tutta l’intenzione di impedirglielo; inutilmente, perché la barista assestò una decisa gomitata sul grugno del tizio. Quello mugugnò di dolore, barcollò indietro e cercò per quanto possibile di puntare l’arma e contrattaccare. Troppo tardi. Tifa incalzò l’avversario e, incurante dell’impaccio costituito dalla neve, gli rifilò un calciò dritto sotto la mascella… per poi ritirare la gamba e calare con il tallone sul cranio dell’uomo, mandandolo direttamente al tappeto. La ragazza atterrò sul manto bianco, fra ampie spolverate di neve, e con un rapido, elegante movimento del capo scansò i capelli che le erano ricaduti sul viso.

“Bella, Lockheart! Insegnagli a tenere le mani a posto!” commentò Barret, chissà dove dietro di lui.

Conveniva. E Cloud avrebbe fatto bene a non farla arrabbiare. Mai. Sfrecciò accanto alla barista e se la lasciò alle spalle, certo che non avesse bisogno del suo aiuto. Ormai mancavano pochi metri. Sì fece strada sparando e schivando i proiettili, raggiunse l’uscio posteriore dell’abitazione e lo spalancò, ansioso di controllare l’interno. E per poco non si prese una padellata dritta in faccia.

Balzò indietro e schivò il colpo per un soffio, completamente preso alla sprovvista, mentre l’arma impropria andava a schiantarsi contro lo stipite della porta con grande violenza. E frastuono. Di rimando una manciata di neve cadde giù dal cornicione e gli finì addosso.

“Vincent!” strillò Abigail, ferma sulla porta, dita strette al manico dell’utensile ed espressione sconvolta dipinta in volto “S-scusami… Non credevo che…”

Aveva il viso sporco di polvere da sparo e i capelli rossi che le ricadevano liberamente sul collo e sulle spalle in una cascata di fuoco. Così come piacevano a Sephiroth, considerò. Doveva aver combattuto anche lei. Ma l’aria stravolta della ragazza la diceva lunga e le lacrime dovevano esserle scese giù dagli occhi in abbondanza, almeno a giudicare dalle strisce più chiare che le rigavano le gote ingrigite dalla sporcizia. Non poté chiedersene la ragione. Altri proiettili si schiantarono sull’uscio, sullo stipite della porta e lo costrinsero a ignorare perfino le buone maniere. Tant’è che spinse la ragazza all’interno senza nessuna delicatezza.

“Stai giù.” ordinò; e ricambiò gli assalitori con la stessa moneta.

Ne abbatté due. Poi entrò, si richiuse la porta alle spalle e andò con lo sguardo in un lungo e in largo per l’ambiente che ricordava caloroso e accogliente, ma che in quel momento appariva devastato dall’assalto armato dei soldati.
Il tavolo e le sedie erano stati divelti e giacevano abbandonati a terra. Le finestre erano rotte. Gli scaffali una volta pieni di spezie erano ora colmi di cocci e mostravano i chiari segni dei proiettili. Detriti di ogni genere spiccavano sul pavimento e in un angolo, accanto al camino, giaceva inerte il corpo meccanico di Cait Sith. Stesi sull’uscio, invece, stavano i cadaveri di tre soldati. Si accigliò e serrò la mandibola. Di Sephiroth non c’era traccia. E di lei…

“Vince!” il suono squillante di quella voce lo travolse, lasciandolo a boccheggiare per qualche istante “Vince, meno male che sei qui!” la cercò con lo sguardò e la ritrovò accucciata sotto una delle finestre, fra il muro e il divano; in mano teneva una granata e la agitava da una parte all’altra, gesticolando furiosamente per attirare la sua attenzione “E meno male che ti ho fregato tutte le Materia! Non puoi capire quanto mi sono tornate utili! Ma se sei qui per farmi una ramanzina… ecco, sappi che non è il momento. E che ho già speso parte dei tuoi Gil –o meglio, li ho persi giocando a carte con Abbie, alias la megera. Perciò tieniti pignoleria e tirchiaggine per dopo e dammi una mano. Anzi no. Dammi una mano e tieniti il resto. Per sempre.”

Per qualche istante restò col fiato sospeso, certo che avrebbe fatto cadere quella bomba e combinato un disastro. Poi una scarica di proiettili irruppe dalla finestra e costrinse la ninja a ripararsi sotto il davanzale. Scattò da quella parte per darle manforte. Raggiunse la finestra, si sporse e mirò. I suoi colpi costrinsero i soldati ad arretrare dietro gli speroni di roccia e ghiaccio.

“Aaaah! Le vostre mamme sono delle grandissime testa di chocobo col culo arruffato!” strillò invece la ninja; e lanciò la granata fuori dalla finestra.

Si acquattò accanto a lei.  La bomba deflagrò; e pezzi di vetro e legno si spansero dappertutto. Il boato si quietò subito dopo e un fastidioso, insistente ronzio gli invase le orecchie. Si sporse poco oltre il margine della finestra e controllò la situazione. I soldati stavano ancora asserragliati dietro le coperture, annerite dall’esplosione; ma a giudicare dalle urla e dai lamenti qualcuno non era riuscito a sfuggire completamente alla detonazione. Nonostante la sorte di Cait Sith, Yuffie era stata brava a mantenere la posizione.

“È tutta colpa mia.” commentò inaspettatamente la ninja, quasi gli avesse letto nella mente “Ho fatto un casino, altroché. Hanno bussato. La megera ha detto che ci andava lei. Ma io no! Mi annoiavo troppo, ero incazzata nera e ho aperto la porta. E quelli mi hanno riconosciuto. Non so come. Io non li avevo mai visti prima! Si sono insospettiti e sono voluti entrare. Abigail ha detto che invece dovevano andarsene… ma loro niente. E le hanno messo le mani addosso… e allora Sephiroth è venuto fuori. E si è incazzato. Un botto –e decisamente più di me. E poi Cait Sith si è rotto… E io…”

“Yuffie…”

“…che poi, porco di un Leviathan, ma perché Reeve è fissato con ‘sti robottini carini carini quando potrebbe procurarsene uno coi controcazzi?! Chessò… un modello corazzato con laciarazzi e motosega incorporati, ad esempio! Tornerebbe decisamente più utile e…

“Yuffie.”

“Cosa?!” sbottò infine l’altra, puntandolo con i suoi grandi occhi castani; e per la prima volta si accorse di quanto stanchezza e preoccupazione fossero evidenti sui lineamenti del suo viso.

“Sei stata in gamba.” le disse.

Aveva commesso un’imprudenza, sì; ma se c’era qualcuno da biasimare quello era lui. E mai avrebbe dovuto lasciarla da sola ad affrontare una situazione del genere.

“D-davvero?”

Sulle prime la ninja batté le palpebre e lo fissò stranita. Col viso sporco di polvere da sparo, gli occhi grandi e l’espressione contrita sembrava ancora più minuta. Poi l’altra sfoderò un sogghigno sghembo e si passò l’indice di traverso sotto il naso, impettendosi tutta.

“Certo. È ovvio. È proprio quello che stavo dicendo.” confermò “Chi meglio di me? La Rosa Bianca di Wutai non sbaglia mai. E fa quasi rima! Visto che brava? Dovrebbero farmi un altarino. Figo. Perché io sono figa. Fighissima. E portarmi Materia come omaggio nei festivi. Ma pure nei feriali andrebbe benissimo! Intanto potrei tenermi le tue come indennizzo –perché mi hai lasciato qui e perché ti sei accorto solo ora di quanto io sia figa. Sì, sì. Ti ho già detto che sono figa? Ma tanto!”

Rilasciò un piccolo sbuffo. Purtroppo non c’era tempo per ulteriori considerazioni.

“Dov’è Sephiroth?” chiese quindi, senza mai smettere di tenere d’occhio la situazione fuori dalla finestra.

A rispondergli fu Abigail, stavolta; e percepì chiaramente la voce tremarle: “Ne ha uccisi due… ed è scappato via. La maggior parte dei soldati gli è andata dietro…”

Saettò con lo sguardo sui corpi riversi a terra, accanto alla porta. Doveva averlo fatto di proposito, nella speranza che smettessero di attaccare l’abitazione e chi ci viveva. Si sarebbe comportato nella stessa maniera, considerò. Tuttavia in quella storia c’era qualcosa che non gli quadrava. Intanto non capiva né l’accanimento, né il consistente dispiegamento armato del nemico, specie per una semplice missione di ricerca. Tanto più che gli unici a sapere di Sephiroth erano loro. O forse no; e a ben vedere quelle indossate dai cadaveri non sembravano divise Shinra… Aggrottò le sopracciglia e assottigliò le labbra. Tuttavia non ebbe il tempo di indagare.

L’ingresso posteriore s’aprì d’improvviso. Abigail sussultò. Si girò da quella parte e vide Cloud e gli altri entrare di corsa, richiudendosi la porta alle spalle.

“Yuffie! Sei tutta intera, per fortuna!” esclamò la barista, squadrando l’amica da capo a piedi.

“Tifa!” strillò Yuffie di rimando; e si spalmò sulla spalliera del divano, allungando le braccia da quella parte come se volesse abbracciarla “E chocobo spettinato. E scimmione, ovviamente. Vi trovo bene. Un po’ sbattuti, forse. Com’è andato il viaggio? Una pacchia, sembra! Lei è la meger… cioè, Abigail. Per gli amici intimi Abbie.” soggiunse la ninja.

La diretta interessata mandò gli occhi al cielo e commentò semplicemente con: “Temo che non potrò offrirvi tè e pasticcini. Chiunque voi siate.”

L’ultima precisazione indusse Tifa a presentarsi prima e a scusarsi poi per l’irruzione improvvisa; Barret invece si soffermò su altri punti della questione.

“S-scimmione?! A me?!” sbottò l’omaccione “Cazzo, Kisaragi! E dire che dovresti essere una principessa beneducata! Ma almeno sei femmina? Ringrazia che non c’è tempo per insegnarti le buone maniere!” soggiunse “E dato che di là abbiamo finito, andiamo a rompere il culo agli altri qui fuori!”

“Vorrei far notare che in qualità di scimmione non sei credibile, quando parli di buone maniere. E per la cronaca –giusto in caso ci fosse qualche altro scettico- ho le tette e tutto il resto dell’armamentario. Quindi sì, sono in regola -e femmina.” rispose Yuffie “Per il resto sono d’accordo. Usciamo e sistemiamoli. È ora di fargli assaggiare un po’ di sana violenza alla Yuffie!”

“Mi piace!” convenne Tifa, sollevando il pugno per aria.

Cloud si concesse un piccolo sbuffo e si avviò alla porta senza perdere tempo. Barret imprecò, rise e lo seguì. Fece altrettanto. Abbandonò la copertura del davanzale, ricaricò la Cerberus e si diresse all’uscita. Istintivamente lanciò un’occhiata indietro, a Yuffie. Di rimando la ninja frugò nel portaoggetti e gli lanciò la Materia Fire. L’acchiappò al volo; poi l’altra gli rivolse un sogghigno a trentadue denti, recuperò il Conformer e lo sorpassò saltellando. La ninja raggiunse gli altri, ma sull’uscio si voltò e indugiò appena.

“Se vuoi indietro le altre devi guadagnartele. Non so. Sii creativo. Stupiscimi!” disse; poi ci pensò su e precisò “La proposta non è retroattiva, ovviamente. Perciò che tu abbia preso casa –non un grotta, una casa!- a Kalm e che non abbia nascosto la tua adorata bara sotto il letto non vale.” ciò detto, fece roteare il braccio, il Conformer e si lanciò fuori.

Scosse la testa: era sempre la solita. E non gli dispiaceva nemmeno un po’. Si rigirò la sfera rossa fra le dita e per un attimo si chiese cosa avesse fatto o detto per meritarsela; senza esito.
Proseguì verso l’uscita, mentre dall’esterno arrivavano i primi rumori di battaglia. Tuttavia Abgail gli tagliò la strada e lo costrinse ad arrestarsi, frapponendosi fra lui e l’ingresso con grande decisione. Batté le palpebre, stupito e un po’ confuso. La ragazza invece si morse il labbro inferiore e palesò il tormento che celava dentro.

“Vengo anch’io.” affermò poi, guardandolo dritto negli occhi con una determinazione che poco aveva a che vedere con le lacrime secche sulle guance.

“C’è poco che puoi fare con quella.” rispose, lapidario.

Abigail rafforzò la stretta delle dita sulla padella.  “Lo so. Io mi occupo di latte. Di formaggi. E questo… questo è semplicemente troppo per me. Non è così? È qualcosa che a stento riesco a concepire. Mi sento… schiacciata e impotente. Annichilita. E ho paura. Paura da impazzire, perché lui non è qui con me. Perché non capisco che sta succedendo e non c’è niente che io possa fare…” la ragazza scosse la testa, deglutì; e si accorse che aveva nuovamente gli occhi lucidi “Ma questa è pur sempre casa mia. Devo difenderla, non posso starmene con le mani in mano mentre lì fuori tu, Yuffie e i vostri amici combattete, rischiate la vita.”

Era retta, coraggiosa. E forte, nonostante tutto. Poteva immaginare come si sentiva: stiracchiata nell’incertezza; divisa fra speranza e angoscia; sopraffatta da una realtà sconosciuta e più grande, più forte di lei. Smarrita. Senza più punti di riferimento e con la sola forza di volontà a sostenerla. L’aveva provato, anni a dietro… ma tanta determinazione poteva rivelarsi fatale, specie in battaglia; perché di sicuro non avrebbe sopperito alla mancanza di addestramento militare.

“Ci saresti unicamente d’intralcio.” continuò, impassibile; e se la lasciò alle spalle “Devi restare al riparo. E sopravvivere. È per questo che lui è andato via. Lascia il resto a me.”

Sapeva che Abigail avrebbe fatto la cosa giusta. Uscì senza guardarsi indietro. Il vento e il rumore del mitragliatore di Barret l’accolsero. Adocchiò la situazione. Cloud e Tifa avevano già raggiunto le creste innevate e stavano contrastando i cecchini lì appostati. Barret e Yuffie, invece, li coprivano dalla distanza. Andò da quella parte; ma il vorticare in avvicinamento lo costrinse a sollevare la testa. Strinse le palpebre e con preoccupazione scorse l’elicottero nemico stagliarsi fra il livore e le nubi sempre più spesse, ondeggiando malamente a causa delle correnti. Abbozzò una smorfia, mentre i capelli e il mantello gli sbattevano addosso mano a mano che il mezzo militare si faceva più vicino, sollevando neve e polvere tutt’attorno; poi altri soldati calarono dall’alto. Atterrarono in breve, col solo ausilio di un cavo metallico, e li circondarono coi fucili spianati.

“Aaaaah! Rinforzi! Rinforzi! Non finiscono più! Ma dove cavolo li prendono? Per caso c’è un distributore automatico fra le montagne? Infili la monetina ed ecco che calano soldati come fossero fiocchi di neve!” strillò Yuffie “Nel caso io voglio un caffè caldo. E una barretta di cioccolato. Anche un paio di carrarmati non sarebbero male.”

“Chiudi la fottuta ciabatta e dacci dentro, Kisaragi!” rimbrottò Barret.

Convenne. Tant’è che distese il braccio, puntò la Cerberus e sparò. Una, due, tre volte. Il suono dello scoppio sfumò nel vento e due soldati andarono a terra. Gli altri aprirono il fuoco l’istante successivo. Vide Yuffie schivare, saltare indietro e lanciare il Conformer. L’arma descrisse un ampio arco, impattò contro altri due uomini e tornò indietro, dalla proprietaria. La ninja l’afferrò al volò e arretrò ancora.

“Al riparo!” urlò Barret, coprendo la ritirata a suon di mitragliatore “Dietro le rocce!”

Andò per ultimo, inseguito dai soldati. I proiettili gli fischiarono nelle orecchie, gli perforarono il mantello e lo mancarono di stretta misura. Vide Yuffie e Barret raggiungere Cloud e Tifa, dietro la copertura naturale offerta dal paesaggio. Afferrò la Materia Fire e ne attinse al potere. Distese il braccio e lo direzionò verso gli uomini armati. Le fiamme avvolsero i primi a disposizione e costrinsero gli altri a farsi da parte, dipanandosi tutt’attorno e annerendo quanto toccavano. Urla e odore di carne bruciata si dispersero nell’aria. Non aspettò oltre; scavalcò agilmente le rocce e si ricongiunse ai compagni.

“Attenzione! Lassù!” urlò Tifa.

Sollevò lo sguardo da quella parte, mentre i proiettili nemici fischiavano e rimbalzavano tutt’attorno, sulle rocce. Serrò la mascella e aggrottò le sopracciglia quando scorse l’elicottero scendere ulteriormente e azionare il meccanismo di propulsione dei missili. Dietro ne seguiva un altro, pronto a scaricare altri soldati. Schiuse le labbra. Ma che accidenti stava succedendo?

“Vincent!” a riscuoterlo ci pensò Cloud “L’elicottero. Dobbiamo abbatterlo!”

Annuì. Puntò e sparò, dritto sul rotore. I proiettili della Cerberus impattarono contro le parti metalliche in questione e le pale rallentarono l’intensità di movimento. Di rimando il mezzo s’inclinò e perse quota. Strinse i denti: non era sufficiente. Barret andò a dargli manforte, puntò il cannone e sparò. Il globo d’energia verde irruppe nel suo campo visivo e impattò laddove aveva colpito, ma con più forza. Tant’è che l’elicottero vorticò su se stesso e precipitò… troppo tardi, in ogni caso; e il missile si sganciò malamente. Ne seguì la traiettoria con lo sguardo, mentre impattava molto più in alto, sulle montagne, fra le rocce congelate e la neve. Seguì un boato, una slavina e un’enorme stalattite di ghiaccio si staccò dalle creste, precipitando vertiginosamente lì dove loro stavano asserragliati. Dritta su Yuffie, che se ne stava col naso per aria. Evidentemente paralizzata dalla paura.

Non pensò. Semplicemente diede l’impulso alle gambe e spiccò il balzo da quella parte. La spinse malamente sulle rocce. La ninja cadde, rilasciò un gemito strozzato e si rannicchiò a terra. La coprì col suo corpo. Poi la punta della stalattite gli trapassò il petto, si conficcò al suolo e lo inchiodò sul posto, mentre la neve gli pioveva addosso. Il dolore l’invase. Sordo. Pulsante. Ardente. Qualcosa di caldo gli inzuppò i vestiti, lì dove il ghiaccio s’innestava nella carne. Serrò gli occhi, la mandibola. Inutilmente. L’istante successivo tossì, gemette e sputò sangue; e tutto il suo corpo tremò, ondeggiò e perse di consistenza. Stava morendo… solo che lui non poteva morire. Sotto di lui Yuffie lo fissava impietrita, con la bocca aperta, le palpebre sbarrate e le sopracciglia corrucciate. Aveva gli occhi colmi di lacrime. E si era sbucciata i gomiti e le ginocchia. Di nuovo. Era proprio una mocciosa. Sputò altro sangue, mentre la vista, l’udito e gli altri sensi venivano meno. Percepì delle urla in lontananza. Forse Cloud e gli altri… ma c’era qualcosa che sarebbe sopraggiunto ancora prima di loro. Qualcosa che urlava, graffiava e sbatteva dentro di lui, in ogni cellula del suo corpo, in ogni recesso della sua mente. Poteva già percepirne la rabbia. Strinse i denti nell’inutile tentativo di resistergli.

“Sca… scappa…” farfugliò; poi sentì un lugubre, vibrante ruggito e si accorse di aver perso coscienza di sé. Infine arrivò il buio.
 
Ma salve a tutti. ^^ Dunque, questo capitolo è incentrato sull'azione, anche se alcuni dettagli di trama sono venuti fuori ugualmente. Inaspettati. Mi rendo conto che è scritto un po' coi piedi. E me ne scuso. Tra l'altro ho fatto un po' di fatica perché non sono né un'esperta di paracadutismo, né un'esperta di combattimento. Né, tanto meno, un'esperta di fenomeni sovrumani. oo Perciò, dato che in AC i personaggi zompano e volano rispettivamente come grilli e rondinelle, non mi sono preoccupata di essere troppo verosimile. Lol. Anche se, mi sa, alla fine mi sono anche contenuta. oo' Spero che il risultato sia comunque accettabile. E sì, sto mettendo le mani avanti. Anche perché in questo periodo mi sono demoralizzata moltissimo. Da sola. ^^' No comment. E mi sto praticamente costringendo a scrivere per non mollare le cose a metà. Cosa che mi farebbe stare pure peggio. =_=' Sì, sono idiota. ^^' A parte ciò ringrazio tutti quelli che commentano e che leggono. Grazie per essere giunti fin qui! Spero che questa storia non sia stupida, scontata o noiosa. >-<
CompaH
   
 
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