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Autore: Severia85    28/08/2014    2 recensioni
Cathy Holmes è una ragazzina babbana che vive una vita normalissima, tra casa, scuola e amiche. Un giorno, tutto questo viene stravolto da un incontro inaspettato che le permetterà di conoscere un mondo nuovo di cui non immaginava l'esistenza. Nascerà una nuova amicizia e un nuovo amore, mentre la guerra imperversa con la sua crudeltà.
La storia segue gli eventi a partire dal quinto libro, rispettando quasi sempre quanto è descritto nei libri.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fred Weasley, Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Drin, drin, drin…
All’improvviso, la sveglia riportò Cathy Holmes nel mondo reale: ogni mattina, alla stessa ora, senza pietà, le ricordava che doveva andare a scuola. Cathy spense la sveglia con una manata e si girò dall’altra parte: doveva assolutamente riprendere il sogno che stava facendo.
“Cathy, alzati o farai tardi a scuola!” La voce di sua madre arrivò come un fischio fastidioso nelle orecchie e, per non risentirla, Cathy decise di alzarsi.
In bagno, si guardò allo specchio: una normale ragazza di quattordici anni alta, magra, decisamente piatta, con i capelli castano chiaro e gli occhi azzurri. Cathy avvicinò il volto allo specchio e, con terrore, constatò che durante la notte le era spuntato un brufolo sul mento: una buona dose di fondotinta sistemò il problema. Poi si legò i capelli in una coda e andò in cucina a fare colazione. Margaret, sua madre, seduta al tavolo, teneva in mano la tazza del caffè, mentre leggeva alcuni fogli scritti fitti.
“Ciao mamma.”
“’Giorno.” Sua madre non alzò gli occhi dai fogli. Cathy osservò la madre: gli stessi capelli e la stessa corporatura e, se la donna avesse alzato il viso, avrebbe visto anche gli stessi occhi solo un po’ più spenti e segnati da qualche piccola ruga.
Mentre versava il latte nei cereali, Cathy tentò una conversazione con la madre: “Sai, stavo sognando papà quando è suonata la sveglia.”
“Ah si? Bene. Farai tardi a scuola se non ti sbrighi.”
Cathy sapeva che l’argomento “papà” era da evitare, soprattutto di prima mattina: suo padre era morto l’anno prima, portato via da una brutta malattia che, giorno dopo giorno, lo aveva spento. Da allora sua madre si era gettata a capofitto nel lavoro, sperando così di superare il dolore, o per meglio dire, tentando di ignorarlo.
La donna bevve l’ultimo sorso di caffè e si alzò per uscire. Quando era già sulla porta si girò: “Ciao Cathy, ti voglio bene.”
“Anch’io ti voglio bene. Ciao mamma.”
Cathy finì di prepararsi, poi prese lo zaino, inforcò la bicicletta e iniziò a pedalare veloce verso la scuola.
 
Il clima era piuttosto rigido, anche se erano soltanto i primi giorni di ottobre. Il cielo prometteva pioggia. Cathy si sistemò meglio la sciarpa per non prendere freddo e si mise a pedalare con più impegno.
Cathy abitava a Rochester, una cittadina del Kent non troppo distante da Londra, che sorgeva sul fiume Medway. I turisti che si avventuravano a Rochester si fermavano a visitare il castello e la Cattedrale romanica, rimanendo colpiti dalla bellezza e dalla somiglianza con la ben più famosa Cattedrale di Canterbury.
La casa di Cathy era situata al numero 18 di Gundulph Road, a circa quindici minuti di bicicletta dalla scuola; imboccò New Road per poi voltare in Delce Road, sfuggendo così al traffico; infine arrivò in Rochester Avenue.
Quando fu davanti al cancello della scuola, scese dalla bicicletta e si avviò verso l’entrata, guardandosi intorno alla ricerca delle sue amiche: Christel, Mary ed Elisabeth parlottavano vicino alla porta. Christel era la più alta della compagnia, con i capelli biodo oro che le scendevano lisci ben oltre le spalle e gli occhi azzurri, messi in risalto da mascara e ombretto; era consapevole di essere una ragazza attraente e non perdeva occasione per mettersi in evidenza e attirare l’attenzione di chi le stava accanto; a volte, Cathy pensava che peccasse un po’ di superficialità, ma era comunque una ragazza intelligente e la sua compagnia era piacevole. Mary era l’intellettuale del gruppo: studiosa e giudiziosa, era sempre pronta ad ascoltare i problemi delle amiche e a tirare fuori qualche saggio consiglio; bassa e un po’ cicciottella, non si curava del giudizio degli altri, forte delle sue idee. Elisabeth era arrivata a Rochester la primavera scorsa ed era entrata a far parte del gruppo soltanto da qualche mese; era una ragazza normale: mora, con gli occhi scuri cerchiati dalla montatura degli occhiali e di media statura; era molto timida e spesso non metteva parola nelle discussioni del gruppo, ma quando si lasciava andare Cathy la trovava davvero simpatica.
Quando le tre ragazze la videro, la salutarono allegramente.
“Ciao Cathy.”
“Ciao ragazze.”
“Ci sei vero oggi pomeriggio?”
“Per fare cosa?”
“Per andare a vedere l’allenamento di baseball.”
“Sì, penso di sì.”
“Pensi di sì? Ma dai che muori dalla voglia di vedere Andrew Cooper.”
“Non è vero.”
“Sì che è vero.”
“Beh, tanto lui nemmeno mi vede.”
“Dovresti metterti addosso qualcosa di diverso se vuoi che Andrew Cooper ti guardi.”
Cathy guardò i suoi jeans chiari e il giubbotto nero imbottito, chiedendosi che cosa non andasse nel suo abbigliamento. Non aveva proprio intenzione di mettersi in minigonna per farsi notare dal ragazzo che le piaceva. Andrew era uno degli studenti più carini della scuola: alto, castano scuro, con gli occhi verdi e decisamente atletico. Tutte le ragazze gli andavano dietro, molte gli si erano già dichiarate, ma lui non aveva scelto ancora nessuna. Cathy, dal canto suo, era troppo timida e preferiva restare nell’ombra, accontentandosi di guardarlo durante gli allenamenti.
La campanella annunciò l’inizio delle lezioni e non ci fu più tempo per chiacchierare.
 
“Dai, muovetevi l’allenamento è già cominciato! Avranno già preso i posti migliori.”
Le ragazze erano arrivate al campo da baseball appena finite le lezioni, ma gruppetti di ragazze di ogni età erano già assiepate intorno al campo.
Cathy rimase un po’ indietro: non voleva attaccarsi alla rete con la bava alla bocca come facevano le sue amiche. Cercò Andrew con lo sguardo e si limitò a seguire il suo allenamento. Era piuttosto bravo a colpire la palla con la mazza ed era anche molto veloce a correre verso le basi. Cathy non capiva molto di baseball, ma le piaceva comunque guardare.
“Bravo, Andrew, continua così” gridò Christel, spudoratamente. “Sei forte Met!”
Cathy arrossì, vergognandosi per il comportamento dell’amica, tuttavia continuò a guardare verso il campo. Ad un tratto, vide Andrew che, tutto sudato, la raggiungeva e le diceva: “Tu sei Cathy, vero? Ti ho notata nei corridoi della scuola. Sei molto carina. Ti va se sabato pomeriggio andiamo a fare un giro insieme?” I suoi occhi blu erano fissi su di lei e le sorridevano…
“Cathy? Ehi, Cathy ci sei? Stai di nuovo sognando ad occhi aperti?”
“No, no ci sono.” Sbuffò Cathy, sentendosi un po’ stupida.
 
Mentre pedalava, Cathy era di malumore: non era possibile continuare a fare quegli stupidi sogni ad occhi aperti, non poteva continuare ad illudersi. C’erano mille ragazze che andavano dietro a Andrew: perché avrebbe dovuto notare proprio lei?
Arrivata davanti a casa, cercò le chiavi per aprire il garage e mettere via la bicicletta, però non le trovò: le tasche della giacca erano inesorabilmente vuote.
Cathy pensò che le fossero cadute al campo, quando aveva preso un fazzoletto dalla tasca. Avrebbe quasi voluto mettersi a piangere per la frustrazione, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla. Si rimise in sella e tornò al campo da baseball.
Il campo era deserto: erano già andati via tutti. Cathy cominciò a cercare le chiavi vicino al punto in cui era stata con le amiche. Mentre perlustrava il terreno, sentì uno starno rumore, come se un ramo di un albero si fosse spezzato. Si guardò intorno, ma non vide niente di strano. Si spostò di qualche passo e finalmente trovò le chiavi. Si alzò e si voltò per andarsene, ma si bloccò: la sua mente aveva registrato un particolare strano. Si girò di nuovo verso il campo e lo vide: un mucchio nero e informe stava proprio vicino al diamante. Cosa poteva essere? Cathy era sicura che quando era arrivata non ci fosse. La ragazza si incamminò verso l’entrata del campo, fece scorrere il cancello ed entrò. Non era ancora riuscita a capire che cosa fosse, così si avvicinò di più. Era quasi arrivata al diamante, quando il mucchio nero si mosse e si lamentò. Cathy, trascurando qualunque prudenza, corse incontro all’uomo, che nel frattempo era rotolato a pancia in su, mostrando il viso e  le mani sporche di sangue.
“Signore, è ferito? Ha bisogno di aiuto?”
L’uomo non rispose: teneva una mano premuta sul fianco sinistro, da cui stava perdendo molto sangue.
“Aspetti, non si muova. Vado a cercare aiuto.”
Con la mano libera, l’uomo cercò di trattenerla: “No. La fiala, nel mantello.”
Palare gli costava un grande sforzo e le parole erano solo un lieve sussurro.
“Come? Non ho capito. Vado a cercare aiuto.”
“No.” Questa volta la voce dell’uomo fu più chiara. Poi le indicò una tasca nel mantello che si intravvedeva sotto al corpo dell’uomo.
Cathy frugò nella tasca e trovò una provetta piena di un liquido verde: sembrava una di quelle che usava nel laboratorio di chimica, quando faceva gli esperimenti insieme ai suoi compagni.
“È questa che vuole?”
L’uomo gliela strappò di mano, tuttavia non riuscì a togliere il tappo di sughero.
Cathy lo aiutò e lo sconosciuto trangugiò in un lampo tutto il liquido. A quel punto sembrò tranquillizzarsi: appoggiò di nuovo la testa per terra e cercò di respirare più profondamente.
Solo allora Cathy si rese conto che, probabilmente, si trovava in compagnia di un drogato, ferito e in crisi d’astinenza. Il suo volto era pallido e i lunghi capelli neri erano incrostati, forse di sangue; il suo petto si muoveva un po’ troppo velocemente, sussultando.
Cathy decise che era meglio andarsene a cercare aiuto: l’uomo era troppo debole per farle del male, tuttavia la sua compagnia non era comunque raccomandabile.
“Aiutami.” sussurrò l’uomo allungando una mano: voleva rialzarsi.
Cathy tentennò: voleva scappare e chiedere aiuto, però lasciare l’uomo ferito lì da solo le sembrava un gesto crudele.
La ragazza si fece allora passare il braccio dell’uomo intorno alle spalle e cercò di alzarlo: era pesante e i primi tentativi furono vani, ma poi finalmente riuscì ad alzarlo.
“Signore, lei ha bisogno di andare in ospedale. Se vuole posso andare a cercare un telefono e poi chiamare un’ambulanza.”
“No, ho solo bisogno di un’altra fiala.” L’uomo si reggeva alla ragazza e fu costretto a mollare il fianco sanguinante per trovare, in un’altra tasca, una fialetta uguale alla precedente. Cathy, che faticava a tenerlo sollevato, lo aiutò a stapparla e lo guardo buttarla in gola in un sorso.
“Adesso dovrei farcela.”
Lo sconosciuto tolse il braccio dalle spalle di Cathy e, barcollando, si chinò a raccogliere da terra quello che sembrava un normalissimo rametto.
Cathy era sempre più stupita e desiderava solo andarsene. L’uomo vestito di nero la guardò: Cathy rimase per un attimo senza fiato, poi lo stesso rumore che aveva sentito in precedenza, come di un ramo che si spezza, la fece voltare. Altri rumori uguali si succedettero, mentre sotto lo sguardo terrorizzato di Cathy comparvero, all’altezza della terza base, tre uomini che indossavano lunghe vesti nere e una maschera argentata sul volto.
“Scappa.”
Era l’uomo che aveva appena soccorso ad aver gridato, ma Cathy fu incapace di muoversi. Vide i tre con le maschere puntare, su di lei e sull’uomo accanto, un legnetto e vide un raggio rosso venire verso di loro. Sentì allora la mano dell’uomo spingerla a terra, poi anche lui puntò il suo rametto e respinse il raggio rosso. Cathy, a terra, cerò di allontanarsi, arretrando mentre raggi verdi e rossi si scagliavano in tutte le direzioni e strane parole venivano gridate al vento. La ragazza capì che l’uomo ferito stava combattendo contro i tre con le maschere. Le sembrava di essere nel film di Guerre Stellari, ma non poteva sperare che quello che stava accadendo fosse solo finzione. Cathy vide che l’uomo che aveva soccorso si era piazzato davanti a lei e tentava di proteggerla. Animata da uno strano coraggio, Cathy prese a correre sul lato del campo, passò vicino alle panchine dove trovò una mazza abbandonata e, continuando a correre, raggiunse uno degli uomini mascherati che si era avvicinato. L’uomo non l’aveva notata e cadde a terra con un gemito quando lei lo colpì alla schiena con la mazza. Cathy, respirando affannosamente, vide allora un raggio verde, lanciato dall’uomo che lei aveva soccorso, colpire il tizio che aveva atterrato. Questi divenne rigido e non si mosse più.
Intanto, un altro tale mascherato le venne incontrò e le scagliò addosso un raggio rosso. D’istinto, Cathy lo parò con la mazza, come se fosse una palla da baseball. Il raggio colpì in pieno la mazza che divenne incandescente nelle mani di Cathy. La ragazza la lasciò andare con un urlo, mentre l’uomo mascherato rideva sguaiatamente. Cathy non perse tempo e raccolse da terra il rametto dell’uomo che aveva atterrato con la mazza e lo puntò contro all’uomo che rideva: non sapeva come funzionava quell’arma, però sperava di spaventare il suo aggressore.
“Tu non puoi usarla. Sei una babbana!” e riprese a ridere; un secondo più tardi anche lui fu colpito da un raggio verde, si irrigidì e cadde a terra lungo disteso.
Cathy si accorse che era rimasto un solo uomo mascherato a combattere contro la persona che lei aveva soccorso, la quale sembrava ormai sfinito. Quando lo vide accasciarsi al suolo e sentì il suo avversario ringhiargli contro le parole “Ora morirai, sporco traditore”, Cathy decise di intervenire: infilò il rametto nella tasca dei jeans e si lanciò addosso all’aggressore, facendolo cadere a terra. Cathy riuscì a strappargli di mano il ramoscello.
Si rialzarono entrambi con il fiato corto: Cathy minacciava l’uomo con il rametto, ma questi non sembrava molto preoccupato.
“Cosa credi di fare, lurida babbana?”
Cathy non rispose perché, con la coda dell’occhio, aveva visto partire un altro raggio verde, che colpì l’uomo: come gli altri, cadde a terra stecchito.
Cathy buttò a terra il rametto e corse dall’uomo ferito. Arrivò da lui senza fiato. L’uomo era in pessime condizioni: la macchia di sangue sul fianco era diventata più grande e a malapena si reggeva in piedi.
“Signore, adesso l’aiuto io. Chiamo un’ambulanza e la polizia.”
“No, ti prego. Devo solo riuscire a smaterializzarmi. Devo tornare a scuola.”
“La scuola è chiusa a quest’ora. Non c’è più nessuno. Lei deve andare in ospedale. È ferito.”
“No, niente ospedale. Non ho abbastanza forza per smaterializzarmi, ma forse riesco a mandare un Patrono a Silente.”
Cathy non aveva capito una sola parola e cercò di sostenere l’uomo che barcollava.
“Dove abiti, ragazza?”
Dare il suo indirizzo a un drogato o comunque ad uno sconosciuto non era proprio la cosa migliore da fare.
“Qui vicino.” si limitò a dire.
“Puoi portarmici? Ho bisogno di un posto sicuro da cui mandare il mio Patrono.”

 
  
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