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Autore: Monkey_D_Alyce    28/08/2014    4 recensioni
Un bullo idiota.
Fa il gradasso e si crede solamente il Re del Mondo perchè è temuto e rispettato.
Alla fine è solamente un ragazzo tutto muscoli e niente cervello.
Perchè dico questo?
Per non avere paura.
Peccato che non funzioni...
Dal testo:
L'abito non fa il monaco, dice il proverbio.
Questa è un’eccezione: il tipico bullo metal della classe, ecco cos’è.
“Come cazzo hai osato toccarmi, eh? E poi, mi spieghi che cazzo vuol dire quel “Mi scusi!”? Ti sembro un vecchio rimbambito, per caso?” mi domanda con tono furioso e sarcastico l’energumeno, facendomi irritare un pochino.
Non credo che riuscirò a controllare la mia lingua…
“Ti ho già chiesto scusa. Mi dispiace, ok? Non l’ho fatto apposta!” sbotto stringendo le mani, in pugni, talmente forte da farmi sbiancare le nocche e conficcarmi le unghie nei palmi.
“Certo che non l’hai fatto apposta! Era occupata a ridere, sfigata!” ribatte in risposta, facendomi innervosire ancor di più.
“Tsk! Allora la prossima volta provvederò a chiederti il permesso, bullo idiota!"
(SOSPESA MOMENTANEAMENTE!)
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Eustass Kidd, Marco, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una vita "normale"'
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2° capitolo: Una nuova avventura

 
 
Esco dal bagno, ritrovandomi mio fratello davanti allo stipite della porta.
 
“Ho paura…” dico tutto d’un fiato guardandolo a fondo nei suoi occhi neri.
 
Sono sempre stata una ragazza sincera e non sono capace di dire le bugie.
Questo è uno dei miei pregi e difetti ed è anche il motivo principale per cui ho passato gran parte della mia vita a correre.
Non sono una smidollata.
D’accordo, anch’io ho le mie paure, ma le situazioni le affronto.
Io non corro perché sono fifona.
Corro per salvarmi la vita, in un certo senso.
Avete presente quelle persone schiette e senza peli a lingua? Io sono una di quelle…
 
“Come mai?” mi domanda Marco con fare disinteressato, “ordinandomi” con un gesto del capo di proseguire “la strada” verso i nostri zaini.
“Non voglio conoscere nessun nuovo amico né professore!” ammetto mettendomi le mani tra i capelli sciolti, scompigliandoli leggermente.
“Non dire così, Emi. Andrà tutto bene. Ci sono io con te, no?” domanda tentando di rassicurarmi con uno dei suoi sorrisi rari, ma sempre carichi d’affetto e calore.
“Non è vero…non del tutto…stai solamente con me durante i dieci minuti di ricreazione e la pausa pranzo… o forse neanche quella! Di sicuro vorrai stare con i tuoi compagni di classe. Non voglio essere un peso” dico triste, ma sono sincera.
Non voglio essere un peso per Marco.
Lui ha diritto ai suoi spazi!
Non può farmi da baby-sitter! Nemmeno lo voglio!
 
Mio fratello ghigna sommessamente, però lo noto e lo guardo con perplessità, non capendo che cosa ci sia di così divertente.
“Tranquilla, piccola. Tu non sarai mai un peso. Ti devo confessare una cosa: i miei amici ti vogliono conoscere…soprattutto una persona un po’speciale per me…” spiega stando sul vago, avvolgendo un suo braccio attorno alle mie spalle.
Sento il mio cuore fare una specie di capriola, sentendomi felice.
Adesso arriva la parte migliore!
“Qual è il suo nome???” domando realmente incuriosita, mentre un sorrisino malizioso fa capolinea sulle mia labbra.
“Emi! Dobbiamo andare a scuola!” mi rimprovera ridendo il mio fratellone, spingendomi avanti.
Rido a mia volta e mi preparo per la mia “Guerra”.
 
Giunti a destinazione, comincio a guardarmi in giro con fare frenetico, sentendo il mio respiro farsi leggermente irregolare a causa dell’ansia.
Marco mi stringe delicatamente a sé, inebriandomi con il suo dolce profumo di muschio bianco.
“Tutto bene?” chiede posando un vaporoso bacio tra i miei capelli, facendomi rilassare un poco.
“Ora che ci sei tu a coccolarmi, sì…” gli rispondo guardandolo felice, per poi alzarmi in punta di piedi e schioccargli a mia volta un bacio sulla guancia, sentendo leggermente solletico a causa della sua barbetta appena accennata.
“Tsk! Hai capito la mia ladra di coccole!” esclama fintamente indignato, dandomi un buffetto sulla punta del naso.
 
Forse starete pensando che queste siano cose da diabete, tanto sono dolci, ma state tranquilli.
Non è sempre così.
Come avevo detto mio fratello è sempre stato con me nei momenti di difficoltà, ma non sono mai mancati i litigi e gli sbuffi irritati.
Mi spiego meglio: quando io e Marco litighiamo, io sono quella grida come un’isterica, lui…sbuffa e se ne va da un’altra parte.
È raro vedere mio fratello veramente arrabbiato e sentirlo urlare.
Nemmeno raro.
Unico.
 
All’improvviso scorgo uno strano gruppo di ragazzi chiacchierare e ridere animatamente.
Continuano a darsi pacche sulle spalle e pugni sui bracci quando uno di loro dice una cavolata assurda.
Come accortosi del mio sguardo su di loro, un moretto (molto carino) ci guarda con un sorriso stampato in faccia e si avvicina, seguito a ruota dai suoi amici.
 
Mi stringo di più contro il corpo caldo di mio fratello, sentendolo sbuffare divertito dal mio comportamento.
 
“Olà, Marco! È questa la famosissima Emi?” domanda il moretto avvicinandosi velocemente a noi, facendomi sussultare dalla sorpresa.
Famosissima?
 
Guardo gli arrivati con occhi diffidenti, nemmeno fossero i miei peggior nemici.
So che il mio è un comportamento assurdo, ma diciamo che sono le mie difese.
 
“Sì. Ragazzi, vi presento Emi, mia sorella minore!” esclama mio fratello spingendomi delicatamente verso i ragazzi, abbandonandomi alle loro grinfie.
Gli rivolgo un’occhiata truce, come a dirgli: “Mi hai tradito!”, mentre lui ghigna vittorioso.
 
“Ciao, Emi! Felici di fare la tua conoscenza! Ora ci presentiamo come si deve! Io sono Ace!” esclama il moretto di poco fa prendendo l’iniziativa, porgendomi la mano.
Lo fisso a lungo nei suoi occhi color onice, come per assicurarmi che non sia un soggetto pericoloso, per poi stringergli la mano con insicurezza.
Siamo totalmente differente: lui ha una mano calda e rassicurante, la mia è piccola e gelida.
 
“Tsk! Ace, spostati un po’! Non abbiamo molto tempo per presentarci! E no, non dire che c’è anche la ricreazione e la pausa pranzo, perché io voglio già trattarla come una di famiglia!” sbotta uno strano ragazzo con una acconciatura molto elaborata.
E’ truccato come una geisha!
“Wow!” esclamo colpita dalla sua presenza, richiamando la sua attenzione.
Sapevo che le persone si potevano truccare e vestire come geishe, ma vederle fa tutto un altro effetto, soprattutto se è un maschio.
“Piacere Emi! Io sono Izo!” si presenta stringendomi calorosamente la mano, facendomi sorridere lievemente.
“Molto piacere…” mormoro imbarazzata, cominciando a rilassarmi un poco.
“Ok, ora tocca a me! Io sono Halta! Onorata di fare la tua conoscenza!” entra in scena una ragazza, scostando malamente Izo.
Se non fosse per la sua altezza, direi che è lei il capo di tutti.
Anche se la conosco da nemmeno due secondi, ho potuto notare che si fa rispettare.
L’allegra combriccola finisce di presentarsi in tempo per il suono della campanella che annuncia che la scuola è aperta e che tutti dovremmo dirigerci verso l’atrio o nei corridoi.
 
Marco mi si riavvicina, scompigliandomi i capelli dolcemente:
“Hai ancora paura?” domanda incuriosito, mente i suoi amici ci seguono e origliano.
Faccio un vago gesto con la mano come a dire “così così” e mi volto verso gli altri, regalando loro un sorriso radioso:
“Sono molto contenta di avervi conosciuto! Siete davvero simpatici!”
“E tu che eri preoccupato come un bambino, Marco! Emi, ascoltami bene: ti promettiamo che ti sentirai come a casa e che ti divertirai un mondo con noi!” dice Ace, prendendomi il viso tra le mani.
“Aspetta, tigre. Prima…” tenta di dire mio fratello, ma viene fermato prontamente dal moretto
“Sì, bla, bla, bla, bla! Prima il dovere, poi il piacere! Lo sappiamo…non ascoltarlo, ok?” esclama fintamente scocciato, sussurrandomi le ultime tre parole all’orecchio con fare birichino, per poi “intrappolarmi” il braccio e trascinarmi dentro scuola, mentre gli altri ci guardano lievemente perplessi…
 
“Aspetta, Ace!”- esclamo interrompendo la nostra corsa- “Posso farti una domanda?”
“Tutto quello che vuoi!”
“Sei tu? Il fidanzato di mio fratello, intendo…” dico guardandolo a fondo negli occhi, per poi passare ad osservare tutti i suoi tratti del viso: da alcuni ciuffi di capelli che gli ricadono in modo sbarazzino ai lati delle tempie alle sue lentiggini che rendono il suo viso leggermente infantile, messo in forte contrasto dalle sue labbra carnose e rosee.
“Sì…come hai fatto a…”
“Niente di che! Nessuno, a parte me e i miei genitori, interrompe i suoi discorsi. Benvenuto in famiglia!” lo accolgo sorridente, facendolo ridere di gusto.
Sembra quasi che si sia rilassato…
“Dio! E io che pensavo che tu fossi una specie di “Marco, la vendetta”! Ahahahah! Mi hai sorpreso!”
“Sì, in effetti, io e mio fratello siamo molto diversi… So di essere la sorella minore e so che Marco è capace benissimo di badare a se stesso, però…” cerco di finire la frase, ma lui mi zittisce con un buffetto sulla testa.
“Ti prometto che non lo farò soffrire, ma, e solo “ma”, se questa cosa dovesse accadere, sai dove trovarmi!”
“In effetti no. Non so dove abiti, però ricorrerò alla frase: ti aspetto fuori da scuola!” dico fingendomi minacciosa, risultando solamente un po’buffa.
Ridiamo di gusto entrambi e indietreggio un poco, andando a sbattere inevitabilmente contro qualcuno.
 
“Mi scusi!” esclamo mortificata, girandomi verso lo sconosciuto.
 
V’immaginate la mia reazione difronte ad un ragazzo alto quasi due metri e largo come un armadio?
Ok, forse la parola “armadio” è decisamente offensiva, ma è per spiegare il concetto.
Inoltre, tengo a precisare che per me non contano molto le dimensioni.
Io sono di media statura e gracilina, però sono velocissima a correre.
L’abito non fa il monaco, dice il proverbio.
Questa è un’eccezione: il tipico bullo metal della classe, ecco cos’è.
Capelli rosso fiammeggianti “sparati” in aria e pelle pallida, occhi gialli come quelli di un falco, labbra piene color viola scuro, muscoli pompati, occhiali da aviatore vicino all’attaccatura dei capelli, pantaloni attillati con motivo a giraffa, stivali e cappotto lungo di pelliccia aperto sul davanti, mostrando parte del petto nudo.
Forse è anche uno di quei ragazzi tutto muscoli e niente cervello…
Come posso non poter rimanere a bocca aperta dalla sorpresa?
Ne ho visti, di tipi strani, in giro, ma lui li supera tutti!
 
“Come cazzo hai osato toccarmi, eh?!? E poi, mi spieghi che cazzo vuol dire quel “Mi scusi!”?!? Ti sembro un vecchio rimbambito, per caso?!?” mi domanda con tono furioso e sarcastico l’energumeno, facendomi irritare un pochino.
Non credo che riuscirò a controllare la mia lingua…
“Ti ho già chiesto scusa. Mi dispiace, ok? Non l’ho fatto apposta!” sbotto stringendo le mani, in pugni, talmente forte da farmi sbiancare le nocche e conficcarmi le unghie nei palmi.
“Certo che non l’hai fatto apposta! Eri occupata a ridere, sfigata!” ribatte in risposta, facendomi innervosire ancor di più.
“Tsk! Allora la prossima volta provvederò a chiederti il permesso, bullo idiota!”.
 
Tutti i ragazzi presenti nell’atrio della scuola, occupati a ridacchiare ed a guardarci divertiti per quella situazione, ammutoliscono in un solo istante, abbassando i loro sguardi verso il pavimento.
Ace e gli amici di mio fratello sono dietro di me, mentre Marco mi tira leggermente indietro, per poi farsi spazio tra la gente al fine di evitare qualsiasi altro tipo di litigio…
 
“Ehi, tu, mocciosa dai capelli rossi!”- mi richiama il bullo di poco fa, facendomi fermare di scatto, ma non mi giro per guardarlo- “Potrai pure avere amici che in questo momento ti stanno parando il culo, ma non sarà così per sempre! Non la passerai liscia, soprattutto per il fatto di esserti messa contro di me, Eustass Kidd!”.
 
Una strana sensazione mi avvolge lo stomaco e il petto, come un formicolio fastidioso.
Ho paura, perché so che quel Kidd non ha torto.
Non avrò Marco e i suoi compagni a farmi da guardia del corpo per sempre.
E io non voglio mostrami così debole da necessitarne.
Da quel che ho potuto capire, Kidd è molto rispettato e temuto.
Credo che questo sia uno di quei momenti in cui ti accorgi di una cosa…
Essere nella merda fino al collo.
 
Dopo quel breve diverbio, mio fratello e company mi accompagnano davanti alla soglia di quella che presumo sia la mia classe.
Marco mi prende le spalle e mi guarda in faccia con occhi leggermente irritati e preoccupati.
“Sai di essere nei casini, vero?” domanda con tono neutrale, facendomi annuire in risposta.
“Emi. Kidd non ti tocca perché sei con noi e ci rispetta, in un certo senso. Ma, anche se noi siamo più grandi di lui, non ha problemi a dare cazzotti a chiunque gli dia fastidio…”- aggiunge Ace passandosi una mano sul viso con fare stanco, per poi continuare- “E la cosa brutta è che lui è in classe con te…”
 
Dopo quelle parole, divento apatica.
Non nel senso che non provo più sentimenti di mia spontanea volontà.
Il fatto è che sono talmente terrorizzata e sconvolta da non riuscire a provare nulla che non sia un vuoto dentro al mio animo.
Gelo.
Non so nemmeno cosa sto facendo.
Ho lo sguardo incollato al pavimento, guardando con superficialità le mattonelle grigie a rettangoli posti in modo disordinato da far venire la nausea al solo pensiero.
La mia mente si ostina a voler contare quelle mattonelle e quando perdo il conto, riparto da zero.
Uno, due, tre, quattro, cinque mattonelle schifosamente grigie…
 
“Emi, smettila di contare mentalmente. Non servirà a nulla” commenta mio fratello, risvegliandomi dal mio stato catatonico da malato mentale.
“Lo so! Ma il discorso è un altro: quel bullo idiota è…è…Oddio! Credo che tornerò a casa…” rispondo a tono con fare sconsolato.
“Hai molta paura?” chiede Izo avvicinandosi a me, accarezzandomi dolcemente i capelli.
“No…non molto. Il fatto che mi da fastidio è che sarò in classe con uno stupido tutto muscoli…meglio che si tengano porte e finestre aperte…” dico iniziando a ridere istericamente.
“Perché?” chiede incuriosita Halta, affiancandosi a Izo.
“Perché non devo avere intralci lungo la strada, quando correrò…” rispondo sorridendole energicamente.
Run, baby, run!  E’ per questo che dici questa frase quando qualcuno è nei guai, vero Marco? E’ riferito a tua sorella, giusto?” domanda Ace sprizzando gioia da tutti i pori, mentre i suoi occhi si fanno come più luminosi.
“Almeno non dovrò più sentirti lagnare per questa faccenda!”- esclama mio fratello sollevato- “Comunque sia, sì. E’ riferito ad Emi…”
“Me lo diceva quando gli facevo qualche dispetto di troppo. M’incitava a correre per non farmi prendere da lui…” dico con noncuranza, facendo alzare un sopracciglio a Marco dalla perplessità.
Dicevo? Vorrai dire dico, sorella. Il tuo comportamento non è cambiato di una virgola da quando eri una bambina: silenziosa e combina guai a non finire. Vedi il bisticcio che hai avuto con Kidd” osserva mio fratello con fare ironico, facendomi sbuffare contrita.
“Marco, a me non sembra silenziosa…” commenta Ace con sguardo interessato, come se si stesse concentrando a fondo su un problema di cui non riesce a venirne a capo.
“Fidati: questa sorella pestifera parla poche volte di sua spontanea volontà e se lo fa è per dire quello che pensa al fine di mettersi nei guai. Le altre volte lo fa perché è costretta”
“Non è vero, Marco…”- borbotto infastidita, ricevendo un’occhiata lunga da parte sua- “Ok, è vero…”
 
Il suono della seconda campanella mette fine alla nostra conversazione, facendomi sussultare lievemente.
Un uomo alto con gli occhiali e di corporatura muscolosa con capelli neri leggermente ad afro e dei baffi accompagnati da una barba legata in una treccia, con passo spedito, si avvicina a noi, facendoci girare verso di lui.
 
“Buongiorno ragazzi. Potete andare nella vostra classe. Sei tu, Emi Phoenix?” dice con voce profonda e imperiosa, congedando mio fratello e gli altri per poi rivolgersi a me.
“Sì…” dico con tono di voce un po’ tremante.
“Benvenuta. Io sono il Preside Sengoku. Ora aspettiamo il professore e gli altri, così posso presentarti alla classe” ordina con tono freddo e distaccato, per poi rimanere in completo silenzio.
Di certo, non sarò io a spezzarlo!
Ho tutto il tempo per cercare di calmarmi e prepararmi.
 
Dopo circa due minuti, arriva un uomo avanti con gli anni, anche se i capelli grigi scompigliati e gli occhi vispi e attenti lo rendono più giovanile.
Porta un completo tutto bianco e sotto al braccio un bel po’di libri.
Dietro di lui ci sono tutti gli altri alunni, compreso lui.
 
“Guarda chi si vede! Sengoku! Qual buon vento ti porta qui?” domanda l’uomo sorridendo a trentadue denti.
Il Preside sbuffa irritato per poi rispondere:
“Nuova alunna. Phoenix, questo è Monkey D. Garp, il professore di Italiano”.
Guardo il professore con occhi indagatori, mentre lui mi porge la mano cordiale.
Gliela stringo un po’titubante, per poi essere tirata verso di lui.
Mi arruffa i capelli come se non ci fosse un domani, facendomi salire due lacrimoni agli angoli degli occhi per il dolore.
“Dimmi un po’: tu sei la sorella minore di Marco, giusto? Allora perché non hai i capelli biondi come lui? Non è che per caso sei parente con Kidd, vero?” mi domanda in un sussurro all’orecchio, facendomi scattare sull’attenti appena pronuncia Kidd.
“No! Non sono e non voglio essere in alcun modo parente con quel Kidd!” sbotto in risposta, calcando bene l’ultima parole, facendo incuriosire tutti quanti per il mio tono di voce troppo alto che ho assunto.
La persona che è stata presa in causa mi guarda con sguardo truce, per poi ghignare malignamente, facendo il segno con il pollice e il resto della mano chiusa a pugno che mi taglierà la gola.
Lo fa con una tale lentezza da farmi rabbrividire.
Abbasso lievemente lo sguardo verso il pavimento e quelle maledette mattonelle grigie rettangolari, facendo ridere sommessamente alcuni ragazzi di quella che sarà la mia classe.
“E meno male! Ahahahahah! Almeno non avrò un altro piantagrane!” grida entusiasta Garp, facendo sospirare pesantemente il Preside.
 
“Vabbè, io vado. Buon lavoro, Phoenix. Buona giornata, ragazzi!” si congeda poi e noi, come bravi “soldatini”, rispondiamo al saluto.
 
Il professore fa cenno a tutti d’entrare ed accomodarsi nei propri posti, per poi ordinare a me di stare in piedi di fianco alla cattedra.
Il mio cuore ricomincia la sua corsa come un cavallo imbizzarrito, mentre posso sentire le gambe tremare leggermente dall’emozione e anche da un leggero velo di paura che mi fa respirare affannosamente…
 
“Forza, Phoenix! Presentati come si deve!” esclama Garp affiancandosi a me, mettendomi le mani sulle spalle, cominciando a fare dei massaggi.
No, non sono massaggi.
Questo uomo mi sta rompendo le clavicole e le scapole, facendo un male cane.
“M-Mi chiamo Emi Phoenix ed ho sedici anni” rispondo tentando di trattenere i gemiti di dolore.
“Uhm…a te sembra una presentazione…dettagliata?” chiede guardandomi per un attimo negli occhi.
“Penso che siano le informazioni più importanti e basilari…forse nemmeno l’età può considerarsi basilare, dato che è solo un numero” gli rispondo sicura per poi mordermi l’interno della guancia.
Parlo sempre troppo, cavolo!
“In che senso?”
“Uhm…no, niente. Pensavo ad alta voce…” ribatto torturandomi l’orlo della felpa rossa in continuazione.
“Mhm. Interessante. Abbiamo scoperto qualcosina in più su di te, nevvero, ragazzi?” domanda rivolgendosi verso agli altri alunni, ricevendo in cambio un gran “Sì!” detto con convinzione.
“Killer! Cos’hai “scoperto” su Emi?”
 
Il ragazzo interpellato alza svogliatamente lo sguardo, coperto in parte dalla sua frangia lunga bionda.
“Sincera e…che dice quello che pensa…” risponde con tono di voce profondo e leggermente annoiato.
 
“Tsk! Io aggiungerei anche sfrontata ma anche pappamolle, dato che ha bisogno delle guardie del corpo!” commenta Kidd con tono ironico, facendo ridere tutti quanti.
 
Ho una domanda da pormi: ridono perché trovano veramente divertente questa battuta su di me o lo fanno solamente per assecondarlo?
Credo di non averlo capito molto bene…
Comunque sia, meglio non rispondere.
Non voglio dare inizio ad altri litigi solamente perché lui è un tipo suscettibile e che crede che tutto gli è dovuto come se avesse compiuto chissà quali miracoli.
 
Mi guarda con occhi sprezzanti e pieni di odio, per poi continuare la sua presa in giro:
“Perché non rispondi? Hai paura, per caso?” chiede ghignando, provocando ancora una volta la risata generale.
“Affatto. Non voglio offenderti” rispondo del tutto tranquilla, facendo ammutolire tutti, mentre Kidd tortura la sua matita, sfregandola contro la superficie color panna del banco, come se si stesse arrabbiando.
“Oh…quindi sei anche capace di offendere?” domanda sorridendo sarcasticamente.
“Beh…credo che tutti ne siano capaci…”
“Ti ascolto: offendimi!” mi provoca alzando lo sguardo dal suo operato contro la povera matita, fermandosi per un momento.
“No”
“Allora hai paura…pappamolle”
“Non ho affatto paura.”
Bene! Allora sei non hai paura vieni a dire ciò che pensi di me, guardandomi dritto negli occhi!” esclama irritandosi ancor di più.
Perché Garp non interviene?
Perché se ne sta lì, a guardarci con interesse, come se stesse guardando un nuovo film in uscita nei cinema?
 
“Ho detto no” continuo imperterrita, stringendo le mani attorno alla stoffa della felpa, stropicciandone l’orlo con fare nervoso.
 
Pappamolle…” ribatte cantilenando guardandomi a fondo negli occhi.
 
A quel punto, non riesco più a resistere e mi difendo:
“Spiegami una cosa: sei nato così o sei diventato stupido perché sei caduto dalla sedia mentre mangiavi quando eri piccolo? Forse hai preso una bella brutta botta in testa e adesso parli solamente per far entrare l’aria nella bocca e per non andare dal logopedista più avanti” osservo con tono serio e calmo, interrompendolo.
 
Ancora con la matita in mano, in un unico gesto la spezza in due, mentre piccole schegge volano poco lontane, accompagnate da alcuni pezzi di mina sbriciolati in polvere piuttosto fine.
Tutti, tranne me, Garp e Killer abbassano lo sguardo sul proprio banco, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
 
“Ritira ciò che hai detto, stupida mocciosa dai capelli rossi” sibila digrignando i denti, guardandomi con occhi carichi di astio.
“Hai chiesto tu di offenderti” dico con tono noncurante, facendolo infuriare ancor di più.
 
Si alza di scatto dalla sedia e sta per avvicinarsi a noi, ma il professore lo ferma:
“Basta così. Vi siete conosciuti abbastanza. Emi, puoi andarti a sedere” decreta Garp sedendosi a sua volta, facendomi cenno con una mano di accomodarmi.
 
Guardo tutta la classe, cercando un posto vuoto, ma l’unico presente è quello vicino a Kidd e a Killer.
Mi dirigo silenziosamente verso il mio posto, senza fiatare per poi giungere alla meta.
Mentre mi siedo getto un’occhiata discreta alla sedia per assicurarmi che non abbiano messo qualche giochetto stupido come quei palloncini che appena li schiacci emettono peti a non finire o la colla.
 
“Ok. Possiamo iniziare la lezione: prendete il vostro libro e andate a pagina 103. Spero abbiate fatto i compiti, perché questa volta non chiuderò più un occhio!” commenta Garp ringhiando sommessamente, passando i suoi occhi sugli alunni con fare calcolato.
 
Avete mai provato a sentire un brivido lungo la schiena quando una vecchia porta si apre cigolando in modo sinistro?
Quello era l’effetto che faceva Garp: metteva i brividi.
E li aveva messi pure a me, anche se ero giustificata…
 
Dopo aver preso il quaderno dal mio zaino, lo apro su una pagina bianca e comincio a scribacchiare le cose dette dal professore che ritengo fondamentali.
Sento lo sguardo furibondo di Kidd poggiato su di me e in questo momento non riesco a non ringraziare Dio del fatto che tra noi due ci sia Killer in mezzo, facendo da “separatore” umano.
 
“Lo sai di essere nei guai?” mi sento domandare in un sussurro, facendomi girare verso il mio interlocutore.
Anche il resto dei suoi capelli biondi sono lunghi: gli raggiungono la vita.
Devo ammettere che assomiglia un po’ ad un hippy con quella camicia a pois blu e nera aperta leggermente sul davanti e i suoi jeans sgualciti accompagnati da stivaletti alti fin sopra la caviglia.
 
“Vedo che tutti la pensate allo stesso modo. Sono contenta” gli rispondo con sarcasmo, facendolo sospirare.
“Emi, ti consiglio di non peggiorare le cose: Kidd è un violento e non sto scherzando” mi mormora vicino all’orecchio.
 
Guardo l’oggetto delle nostre attenzioni con la coda dell’occhio e noto che di tanto in tanto lancia lievi ringhi in mia direzione, provandomi ad uccidere con la sola forza di uno sguardo o del pensiero, chissà.
 
“Ti ringrazio del consiglio, Killer, ma oramai il dado è stato tratto. Non credo che il tuo amico plachi il suo odio nei miei confronti se non gli rivolgo più la parola o gli chieda scusa…” osservo guardando il foglio “macchiato” di parole d’inchiostro.
 
Ho sempre pensato che tutte le persone fossero dei fogli bianchi, puri, oppure le pagine di un quaderno.
Man mano che i giorni passano, questi fogli si riempiono di scritte che in un qual modo rimarranno impressi nel nostro animo e nella nostra mente, anche se alcune “frasi” o “paragrafi” verranno dimenticati in un angolo nascosto e oscuro, per poi ritornare allo scoperto quando meno te l’aspetti.
Queste parole possono avere natura diversa: buona o cattiva.
Scatenano una reazione a catena e per quanto possano sembrare insignificanti, possono provocare eventi futuri che ci sconvolgeranno.
Non lo dico per annoiarvi, ma alla fine, questo discorso che forse può sembrare lungo e infinito, descrive alla perfezione questa situazione.
Io e Kidd, ci odiamo.
O meglio.
Lui odia me.
Sinceramente io non provo nulla nei suoi confronti e in tutti questi miei sedici anni di vita, ho odiato molto poco, e in questo momento odio qualcuno, lo ammetto.
Odiare mi fa schifo.
Preferisco mille volte ascoltare e incassare insulti di vario genere che provare odio.
Nelle poche volte che ho provato una cosa simile, mi è sempre venuto lo strano desiderio di picchiare a sangue qualcuno e continuare ad urlare fino a che non mi si fossero “rotte” le corde vocali.
Di certo, non posso dire: Kidd, mi stai simpatico.
Lui non lo è per niente, dato l’effetto che fa sulle persone.
Diciamo che provo rabbia nei suoi confronti, ma non odio.
Voglio solamente essere lasciata in pace e provare odio verso la mamma per avermi abbandonata in questo modo: ho  sempre cercato di non essere un peso per lei e quando lei non era presente (da quando lei e mio padre hanno divorziato non è mai stata presente) ho imparato a cavarmela da sola.
Quindi…non ho molto da dire.
Alla fine non mi ha scaricata adesso, facendomi trasferire in modo quasi permanente, credo, da papà e Marco.
Lei mi ha voltato le spalle già da tempo…
 
All’improvviso, sento una pressione molto forte sul braccio, facendomi “rinvenire” dal mio corso di pensieri.
Pongo il mio sguardo sulla persona che ha reclamato con così tanta violenza la mia attenzione, facendomi dischiudere leggermente le labbra dalla sorpresa.
“Oh…” dico con tono flebile, tanto da sembrare quasi una specie di gemito scappato involontariamente.
I suoi occhi gialli come quelli di un falco “incatenano” i miei, incuriosendomi un poco.
“Come hai detto tu, mocciosa, le tue stupide scuse non serviranno a un bel niente. Ti posso assicurare che ti farò vivere le Pene dell’Inferno”.




Angolo di Alyce: Buonaseraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!
Non vogliatemi male se il prologo era cortissimo e questo secondo capitolo è un papiro infinito.
Vi risparmio la frase. tu
non sei normale!
Passiamo ad altro!
La nostra carissima
Emi conosce in nostro caro Kidd!
Pace e amore!
Sì, qui è tutto il contrario: guerra e odio ^_^''
Trovavo Kidd estremamente adorabile, soprattutto quando ha detto: "Ti sembro un vecchio rimbambito, per caso?!?"
Sono morta dal ridere da sola xD
Povera Emi: ne passerà di tutti i colori!!!
In questa FF ci sarà anche la coppia Ace/Marco!
Dio, quanto sono pucci!!!!!! *^*
Voi, che ne pensate?????
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione a tutti!
Alyce :))))))))))))))
  
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