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Autore: Alkimia    30/08/2014    4 recensioni
[Post-TheWinterSoldier]
"La voce dell’uomo con lo scudo grida di nuovo quel nome. Dentro a un ricordo che sa di neve e paura, il Soldato sente lo sferragliare di un treno coprire le parole del suo amico, un addio che è la somma di tanti inverni.
Amico, il suo 'migliore amico', è questo che ha detto di essere. Se fosse vero, quello che al Soldato resta da provare è un sentimento che impiega qualche minuto a definire: vergogna.
Ma ciò che gli urla nella testa ora ha la voce della vendetta."

Steve ha promesso che ritroverà Bucky. Fury ha promesso che darà la caccia a ciò che è rimasto dell'Hydra. Entrambe le promesse richiedono l’aiuto dei pochi alleati di cui ci si può ancora fidare.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Nineteenth bullet: Bella Addormentata
 
 
When youre ridin sixteen hours
and theres nothin much to do
and you dont feel much like ridin,
you just wish the trip was through
 
 
Il mondo è oltre un velo di nebbia, una macchia di colori smorti dall’altro capo di una strada lunghissima.
Lo aveva già visto così, al suo risveglio tempo prima, quando aveva aperto gli occhi in quella stanza di ospedale costruita come un set cinematografico. Era scappato da quelle quattro mura di legno dipinto e la realtà lo aveva colpito in pieno viso con le tante troppe luci accese in Times Square, l’asfalto caldo sotto i piedi nudi e sulle spalle il peso di una città dall’aria inquietante, minacciosa, diversa. E se stesso, il suo tempo, il suo amore sfuggitogli dalle dita.
Steve Rogers sente di nuovo quel senso di vuoto allo stomaco, l’attimo di vertigine mentre la coscienza riemerge pian piano dal torpore e lo spinge troppo bruscamente fuori dal tunnel di nebbia, facendogli mettere a fuoco le pareti asettiche di una stanza dove tutto è bianco e azzurro con rifiniture di acciaio satinato.
Steve strizza le palpebre, il soffitto sembra ondeggiare per qualche istante fino a quando la vertigine non cessa.
L’ultima cosa che ricorda è il suono di uno sparo e l’odore del sangue, quello che i soldati imparano a fiutare anche senza bisogno di vederlo.
Di nuovo la realtà lo colpisce con troppa veemenza. Il pensiero di quello che è successo gli si pianta in testa come un palo mentre tutto attorno galleggia ancora in spire di fumo inconsistenti.
Brooklyn. Un cecchino. Bucky.
«Steve?». La voce sembra lontanissima e sconosciuta. «Ehi, Steve?».
La mano che gli si posa sulla spalla ha una presa delicata, incerta.
«Bruce…».
Il viso del dottor Banner galleggia un attimo sfocato davanti a lui, poi i contorni si definisco e Steve nota il suo sguardo sollevato.
«Il tuo amico sta bene. Hanno tamponato l’emorragia e nonostante abbia perso molto sangue il fisico ha retto bene, c’è solo da aspettare che si svegli».
Dio benedica Bruce Banner che tanto sa di nervosismo e preoccupazioni e di conseguenza è diventato bravo a non tenere gli altri sulle spine, mai.
Steve sorride, grato e sollevato. Il modo in cui il sorriso di Bruce si spegne gli fa capire che c’è un ma lasciato in sospeso dalle parole dello scienziato. Il Capitano lo vede alzare lo sguardo, puntarlo oltre il bordo del suo letto, verso un punto nella stanza, una porzione di spazio di cui lui non era consapevole.
La tenda di tessuto bianco che dovrebbe separare un letto dall’altro è spostata, ammassata contro il muro.
Sharon sembra così minuta tra le lenzuola bianche. E bella in un modo che Steve non aveva mai notato prima. Lui sente il cuore stringersi, lasciar scappare via tutto il sangue.
«Cosa le è successo?»
«Sta bene. Si sveglierà credo presto» dice Bruce.
Credo?!
«Naturalmente l’idea di lasciarvi nella stessa stanza è stata di Tony, io sapevo che se ti fossi svegliato e l’avessi vista così ti sarebbe venuto un colpo e…»
«Bruce! Ti prego»
«Sì. È successo che ho dovuto fare dei test per trovare il modo di anestetizzarti e lei si è offerta come cavia».
Bruce lo dice con la voce che si affievolisce man mano che prosegue nella spiegazione. È il senso di colpa di chi non sopporta che le cose gli sfuggano di mano, è quello che prova da sempre, almeno fin da quando l’Altro è diventato parte di lui e della sua vita e a Steve non va di rincarargli la dose.
Non ha bisogno di chiedere allo scienziato come gli sia venuto in mente di accettare che Sharon si offrisse come cavia. Conosce la risposta, è quel qualcosa di grande a cui non c’è bisogno di dare un nome. Quel qualcosa che fa sentire Captain America spaventato, inadatto, come se fosse ancora il ragazzo di Brooklyn che alle feste stava nell’angolo aspettando il coraggio mai pervenuto di parlare con una ragazza.
Se Bucky fosse lì, se potesse ascoltare quei pensieri, gli mollerebbe un pugno sul muso.
Il nuovo Bucky, almeno, lo farebbe.
«Sembra che in un modo o nell’altro, siamo caduti in piedi» dice Steve, continuando a guardare Sharon.
C’era un’innocenza che il giovane Steve Rogers portava con sé, stampata dentro di lui come un manifesto. L’ha perduta il giorno in cui ha visto Bucky venire inghiottito da quel precipizio, sprofondare in un cratere aperto in mezzo all’inverno dietro i suoi occhi velati di lacrime. È stato il momento in cui Captain America ha smesso di credere alle favole e ha capito che gli eroi falliscono, che i Paesi, le bandiere richiedono sangue e sudore. Eppure ora si chiede cosa succederebbe se si avvicinasse alla ragazza e le baciasse le labbra anche se non sa da quale parte del suo cuore provenga quella speranza in un lieto fine improbabile.
«Natasha…» dice poi. Ora la realtà è tornata viva e presente nella sua mente, gli ultimi scampoli di fumo stanno lentamente scivolando via. «Lei è arrivata subito dopo gli spari. Lo ha preso, il cecchino intendo?»
«Certo. Con una pallottola alla testa»
«Avremmo potuto interrogarlo»
«Oh, sì. La tesi generale è che l’algida Vedova Nera abbia avuto un attimo di panico o di incazzatura, a seconda di come la si voglia vedere».
Steve sorride.
Forse Natasha Romanoff ha sovrastimato la propria capacità di essere multitasking.
 
***
 
Processo incompleto.

La scritta rossa lampeggia come un’insegna al neon di Las Vegas.
Lo schermo virtuale proiettato al centro della stanza sputa in faccia ai presenti il loro insuccesso con stolida insistenza.
«Jarvis! Jarvis, cosa è questa roba?». Stark apre i palmi delle mani, le sopracciglia a forma di punto di domanda sono sollevate fin quasi all’attaccatura dei capelli.
Il prestigiatore ha fallito il trucco, la magia non è riuscita.
«Mi dispiace, signore. Credo che il chip abbia un sistema di sicurezza che oscura i dati quando si perde il battito cardiaco del soggetto che lo aveva impiantato» risponde l’intelligenza artificiale.
«Ma è una fottuta genialata, noi non ce lo avevamo» esclama Clint.
Il padrone di casa gli lancia un’occhiata truce. «Se Fury era un vecchio spilorcio io non so che farci» borbotta.
Non poteva essere tutto semplice. Salvare il culo a Rogers e Barnes, avere un chip che li avrebbe condotti a casa dei cattivi, uscirne tutti sani e salvi.
Non è mai stato semplice, la vittoria non è mai a buon mercato.
«E allora, Jarvis, vai e trova un modo per accedere ai dati nascosti di questo arnese». Tony sbuffa.
«Non mi aspetti alzato, signore»
«In quale update era compreso il pacchetto senso dellumorismo?».
Nessuna risposta. Clint non ride solo perché ha idea che Stark sarebbe capace di metterlo a dormire in un nido di paglia sulla A luminosa che campeggia sulla facciata dell’edificio.
«Non angustiarti tanto, un modo lo troveremo» non è quello che dice di solito, non è mai stato il tipo da pacche sulle spalle e luoghi comuni di incoraggiamento, pensa solo che non possono aver fatto tutta quella strada per poi trovarsi in un vicolo cieco.
In quale update era compreso il pacchetto ottimismo, agente Barton?
Lo schermo sparisce e le luci nella stanza si riaccendono automaticamente. Tony si butta seduto su una poltrona.
Hanno tutti buoni motivi per voler fare il culo a quelli del Dipartimento X e sono tutti motivi che hanno a che fare con la vendetta. Non è proprio una cosa da eroi, no?
«Cosa farai dopo questa ultima missione, ci hai pensato?». Stark si allunga verso il tavolino accanto al divano, stirandosi come un gatto, per poter raggiungere la bottiglia di liquore senza alzarsi dalla poltrona. Clint si avvicina, afferra la bottiglia e riempie due bicchieri con una dose piuttosto generosa di scotch.
Se l’è meritata, dopotutto.
«No che non ci ho pensato. Ma non è la prima volta che cambio mestiere»
«Uhm, bene. Un curriculum ricco e variegato è quello che ci vuole al giorno d’oggi. Quello e conoscere le lingue». Stark vuota mezzo bicchiere in una sorsata, poi si schiarisce la voce.
Dal modo in cui soffoca un leggero colpo di tosse, Clint capisce che il suo anfitrione non è più abituato a bevute così intense. Dopotutto sono passati due anni da New York, il trauma deve essergli passato, come è passato a lui… anche se il fottuto dio dei complessi di inferiorità gli ha lasciato in regalo mesi di incubi e nausee notturne. E vergogna, persino, per tutto quello che ha fatto quando non era lucido.
Lo capisce, l’orrore e il disgusto per se stessi quando si sono compiute azioni contro la propria volontà, per questo non può odiare Barnes. 
Non è qualcosa a cui vuole pensare adesso. E vorrebbe non doverlo fare mai, ma il caro sergente Barnes sembra tornato, ormai. Tornato per restare.
Più semplicemente, Clint Baron vorrebbe che quello fosse un viaggio già giunto a destinazione. C’è una stanchezza insidiosa che ti si appiccica addosso quando ti muovi tra le macerie, polvere negli occhi e cocci rotti su cui tagliarsi. Lui lo sa, non è nuovo al vuoto e agli abbandoni.
È sicuro che Stark non volesse girare il coltello nella piaga, ma il risultato è quello.
«Mi resta comunque un’opzione: sbaglio o hai aperto un’agenzia di collocamento per ex-agenti SHIELD?» dice con una smorfia. Il liquore brucia la gola: nemmeno lui è tanto abituato a bere. La sua ultima sbronza seria risale a una vita fa a Budapest, a quando Natasha gli aveva cacciato in gola una quantità spropositata di vodka scadente perché era l’unico antidolorifico a portata di mano dopo che lui era rimasto ferito e i soccorsi tardavano ad arrivare.
«Tu non verresti mai a lavorare per me» borbotta Stark. «E lasciatelo dire, sei troppo qualificato per questo»
«Se ti sentisse Maria, si sentirebbe offesa»
«Oh, lei. Ha tutto a che fare con il progetto di Pepper per le quote rosa. Delle quote piumate ancora non se n’è parlato».
Clint vuota il bicchiere e prende in seria considerazione la possibilità di riempirsene un altro. Si guarda attorno come ad accertarsi che non ci sia nessuno che possa vederlo.
Gli altri sono tutti di sotto, nel reparto medico a prendersi cura dei feriti o semplicemente a preoccuparsi per loro.
Stark gli versa altre due dita di scotch prima che Clint abbia il tempo di rifiutare.
 
***
 
È come un tunnel, le pareti gli si stringono addosso e la discesa verso la luce lì in fondo diventa difficoltosa. L’inverno ha dita con artigli di ghiaccio che lo spingono in quello spazio angusto, lo costringono ad andare, a proseguire la discesa.
La luce è solo un abbaglio di bianco e vuoto.
Sergente Barnes.
Chiamano il suo nome come se fosse l’ultima volta che lo sentirà mai pronunciare, la voce leziosa ha un accento straniero che lui ha imparato a riconoscere fin troppo bene.
Le pareti del tunnel si allargano, lo vomitano su un letto che è una lastra di acciaio, il tavolo di un becchino. 
Tu sarai la nuova mano dellHydra.
L’inverno gli stringe la gola, soffoca. Ora le dita di ghiaccio sono diventati tentacoli di un mostro e hanno punte di acciaio chirurgico e aghi che lasciano zampillare medicina bruciante nelle sue vene aride di vita. Gli regalano battiti prepotenti che gli esplodono nel petto e lui vorrebbe solo chiedere al suo cuore di fermarsi una volta per tutte.
Il bianco e il vuoto diventano dolore e poi ancora gelo.
Anche le mani sono bianche, fasciate da guanti di lattice, reggono una siringa e il pollice dà un leggero colpo allo stantuffo, facendo uscire qualche goccia di un liquido trasparente insieme ai rimasugli di aria.
L’unica cosa a cui riesce a pensare e che non succederà di nuovo.
Muove il braccio di metallo, la mano artificiale cala prepotente sulle mani con i guanti e la siringa cade a terra. Scatta seduto in mezzo al letto, la mano destra è già alla gola del medico.
Il dolore gli dà la sensazione che abbia gesso al posto del sangue, gesso che si sta lentamente solidificando e gli rende ogni movimento lento, una sofferenza di mille unghie che gli affondano dentro. Il male si propaga dalla spalla destra ad ogni fibra del corpo.
Eppure qualcosa non torna in quella camera sconosciuta, in quel letto troppo morbido, nello sguardo atterrito del medico…
«James!».
Natalia!
Lo sbuffo di capelli rossi si frappone tra i suoi occhi e quelli terrorizzati del dottore. Lei lo costringe ad allentare la presa e lo spinge di nuovo disteso senza alcuna delicatezza, come se si stesse sfogando per qualcosa che la turba. Poi però, quando gli posa la mano sul petto nudo, contro il cuore che gli batte fino a scoppiare, sembra toccarlo come si toccherebbe qualcosa di fragile.
Lo guarda un istante in un modo che lui non riesce a interpretare prima di rivolgersi al medico che ora si tiene a distanza di sicurezza, ancora sconvolto.
Il Soldato riacquista lentamente la calma. Ancora non ricorda cosa sia successo, ma se c’è Natasha allora va tutto bene.
«Le chiedo scusa, dottor Wills, non voleva farle del male» dice lei. È curioso il modo in cui la sua voce riesce a suonare così persuasiva e convincente. «Vada pure, penso io a lui. Lei sarebbe così gentile da andare a informare la signorina Potts che il paziente si è svegliato?».
Il medico non sembra ansioso di far valere il proprio orgoglio professionale, annuisce ben lieto di avere un compito che lo porti lontano da quella stanza.
Quando restano soli, il Soldato scava attraverso la cortina di dolore e stordimento per cercare di mettere insieme un sorriso. «Devo ammettere che queste doti di convincimento non me le hanno insegnate»
«Quando uno è bravo a menar le mani, le doti di convincimento non servono a molto»
«Beh, tu sei brava a menar le mani».
Natasha lo fissa interdetta, forse chiedendosi da dove lui trovi la presenza di spirito per scherzare. Vorrebbe dirle che Bucky Barnes sarebbe fiero di una cosa del genere.
«Cosa è successo?» le domanda.
«Ti hanno sparato»
«Sì, direi che c’ero arrivato. E per quale motivo sei interdetta?».
Lei sospira pesantemente e scuote il capo. «Perché ho fatto una cazzata. Ho ucciso il cecchino»
«Un mazzo di fiori sarebbe bastato».
Il discorso muore lì. Il Soldato capisce e non si vergogna del modo in cui si sente elettrizzato all’idea di aver spinto Natasha a commettere un gesto di puro istinto - e forse pura vendetta. Ci saranno altre occasioni per tornare a fare i soldatini perfetti.
Ora tutto quello che sente è il dolore e il velo di sudore che lo copre come una coperta bagnata per tutto il corpo.
«Non sono sicura che tu meriti la tua dose di morfina» mormora Natasha.
«Non sono sicuro di apprezzare l’idea di aghi piantati nel braccio… ma credo che dovrò farmene una ragione».
Lei gli asciuga il sudore dal viso con un fazzoletto poi si avvicina a un armadietto di medicinali e riempie una siringa nuova con il contenuto trasparente di una fiala.
Davvero l’idea di aghi e farmaci gli pare intollerabile ma se c’è Natasha va tutto bene.
Mentre la medicina attutisce il dolore, prima che una nuova ondata di stordimento gli faccia sbandare i pensieri, il ricordo dei suoi ultimi momenti da sveglio gli si proietta nella mente.
«Dov’è Steve?» domanda, la voce che si fa di colpo affannosa, gli occhi che ispezionano la stanza vuota alla ricerca del Capitano che non è lì.
«Sta bene» lo rassicura Natasha, sedendosi sul bordo del letto. Gli prende tra le dita la mano di metallo e se la porta alle labbra.
Se c’è Natasha va tutto bene.
«Hanno sparato anche a lui» aggiunge il Soldato. La sua mente trova l’idea quasi rivoltante, ed è una cosa che appartiene sia a lui che a Bucky Barnes.
Quando si trova d’accordo con l’altra parte di sé si sente meglio, anche se avrebbe preferito non dover contemplare un’opzione come quella a cui sta pensando ora.
«Sì, ma niente di grave. Solo che Banner ha avuto un po’ di problemi ad anestetizzarlo e Sharon si è offerta come cavia per testare una formula e credo che adesso Steve si sentirà in colpa fino a Natale. Tu non dovresti riposare?»
«Fa parte del pacchetto Supersoldato con marchio di fabbrica di divisione scientifica nazista, resisto meglio». Il Soldato impasta la bocca e aspetta che Natasha gli versi un po’ d’acqua. Non sopporta il silenzio che si viene a creare. «Dobbiamo fare qualcosa, per Steve e Sharon intendo».
Lei sorride, è un sorriso sincero e allegro e sembra risplendere come il sole sulla neve.
«C’è solo un problema. Neal Tapper» dice poi, tornando seria.
«Chi?»
«Era un agente, è morto in un’operazione anni fa. Lui e Sharon avevano una mezza storia, da quello che ne so».
Lo sguardo del Soldato si incupisce mentre si fissa sul soffitto. Il dolore che sta riaffiorando non ha niente a che fare con la ferita e tutto il sangue perso. La colpa è una lama rovente piantata nel suo fianco e nessuna redenzione sarà mai abbastanza forte da strappargliela via.
«Lasciami indovinare: l’ho ucciso io».
Natasha annuisce con un cenno. «Non credo che lei lo abbia detto a Steve. E se lui lo scoprisse…»
«Steve non deve venire a saperlo per forza».
Ora la donna ha di nuovo un’espressione interdetta. «Credevo lo conoscessi abbastanza bene da sapere quanta poca tolleranza lui ha per i segreti e le bugie. Se scoprisse il vero motivo per cui Sharon si è unita a lui mentre era sulle tue tracce…»
«Come ho detto,:non c’è bisogno che lo venga a sapere. E tra me e Sharon è tutto a posto, ormai» insiste lui. Sharon che ha guardato oltre, Sharon che ha trovato la forza di smettere di odiarlo… ragazze con un tale cuore sono rare e Steve non può, non deve, perderla.
«Ad ogni modo» dice Natasha, cambiando espressione e enfatizzando un tono severo, «Almeno un commento sui capelli potevi farlo».
Lui solleva un sopracciglio, prova a sorridere ma sente il viso intorpidito.
«Almeno un bacio potevi darmelo» mormora.
«Quando dovrò svegliarti, magari, come la Bella Addormentata. Ora riposa».
Riposare non è quello che serve. Ci sono nemici da scovare, c’è una vendetta che aspetta e mai come in quel momento gli sembra che abbia aspettato troppo a lungo.
Dentro ai suoi pensieri annebbiati ci sono fantasmi e ridono di lui, che si è fatto sorprendere da un cecchino nelle strade dove era cresciuto, insieme a Steve.
Ma se c’è Natasha va tutto bene.
 
 
***
 
Sharon apre gli occhi, con un singulto.
Bruce e Steve, seduto in mezzo al letto, sussultano per la sorpresa.
La ragazza si passa le mani sul viso e sbatte più volte le palpebre, scostandosi ciocche di capelli dalla fronte.
Steve cerca di intercettare il suo sguardo, ma il dottor Banner si frappone tra di loro con uno stetoscopio che gli penzola dal collo, e quando lui cerca di dire qualcosa lo scienziato lo zittisce con un cenno e posa lo stetoscopio sul petto della ragazza. Quando finisce di contare i battiti, solleva il capo con un sorriso soddisfatto e sollevato.
«Sembra che tu stia bene. Hai dolori o mal di testa?»
Sharon fa un cenno negativo. «Sono solo un po’ spossata».
«Pare che oggi non abbia ucciso nessuno. E neppure l’Altro» commenta Bruce come se fosse un pensiero ad alta voce.
Il Capitano calcia via le coperte. La ferita tira e brucia e per un attimo spera che Bucky abbia miglior fortuna con l’assimilazione degli antidolorifici.
Bruce è ancora in piedi, nello spazio tra i due letti, con lo sguardo piantato sul muro come se stesse leggendo righe di calcoli e formule da una lavagna immaginaria. Si riscuote solo quando vede Steve in piedi.
«Cosa stai facendo?» esclama, interdetto.
«Lo sai che dopo essermi svegliato quando mi hanno ritrovato ho sfasciato una parete di cartongesso e sono corso in mezzo alla strada?»
«È la vicinanza di Tony? Ti rende sbruffone?»
«La vicinanza di Tony dovrebbe essere inserita nell’enciclopedia medica, tra i fattori di rischio. Ad ogni modo, ehm, Bruce…»
«Cosa?». Banner sposta lo sguardo nella stessa direzione di quello del suo interlocutore, vede Sharon fissarli con un mezzo sorriso stanco ma divertito. «Oh, sì… però facciamo che tu te ne stai almeno seduto. Ordini del dottore».
Steve annuisce e tira accanto a sé la sedia appoggiata vicino alla cassettiera con le medicazioni.
Bruce lascia la stanza senza dire altro. 
«Ho avuto paura» dice il Capitano, avvicinando la sedia al bordo del letto di Sharon, e subito si pente del fatto che quelle siano le uniche parole che sia riuscito a mettere insieme. 
«Non dirlo a me!»
«No, intendevo quando ti ho vista in quel letto… grazie per quello che hai fatto»
«Oh. Mi serviva solo una scusa per farmi una dormita come si deve. Sai, con tutto lo stress accumulato nelle ultime settimane».
Steve vorrebbe ripeterle ringraziamenti fino a farli comparire come grandi scritte contro il soffitto, vorrebbe riuscire a rendere la misura della gratitudine che prova per quella ragazza, per il suo coraggio, per il suo esserle rimasta accanto, per avergli restituito una fiducia e una speranza che credeva di aver perso, la promessa di una pace ad attenderlo dopo il fumo delle battaglie.
Ma tutto quello che riesce a fare è prenderle la mano nelle sue, riscaldarle le dita infreddolite dalle ore di immobilità.
«Come sta Bucky?» chiede lei.
«Ci dovrebbe essere Natasha con lui, quindi sono certo che stia bene»
«Loro due…»
«Sì, è una lunga lunga storia». Ai sopravvissuti capita di averne.
Sharon chiude gli occhi, abbandona il capo sul cuscino e Steve vede una nota di tristezza aleggiare sul suo viso.
«Steve» mormora lei, il tono della voce è quello che rende le parole pesanti. «Ascolta, c’è una cosa che devo dirti».
Tutto quello che il Capitano sa è che le cose da dire possono aspettare. Si sporge verso di lei e la bacia.
E fuori da quel bacio tutto si fa muto, anche la guerra, quella che è stata e quella che verrà.






 
 
 
 
 
Note

Citazione iniziale dal brano “Turn the page” dei Metallica. 
L’episodio di Neal Tapper, agente SHIELD morto durante uno degli attentati del Soldato d’Inverno e ex di Sharon, viene dai fumetti. 
 
Chiedo scusa per il tremendo ritardo (presto arriveranno anche le risposte alle recensioni, promesso), ma visto che non manca tantissimo alla fine della storia, da oggi aggiornerò una volta ogni due settimane perché fino a novembre sono messa molto male con l’università e il lavoro. Preferisco scrivere i capitoli con più calma e tirare fuori cose decenti (si spera) piuttosto che fare tutto di fretta… anche perché sennò non sarebbe divertente per il mio cervelletto da scribacchina. 

Intanto, citofonare Alki: Facebook | Twitter | Ask

Alla prossima.
   
 
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