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Autore: stereohearts    03/09/2014    5 recensioni
Carter Harvey è un concentrato di rabbia, acidità e dolore. Dopo un passato – che non sembra essere poi così ‘passato’ - particolarmente tormentato, un incendio misterioso alle spalle ed un fratello in carcere sta cercando di spostare la sua vita su una strada più rettilinea e con meno dossi possibili, concentrando l’attenzione su scuola, amici ed un secondo fratello, Elia, spesso assente per lavoro.
Justin Bieber - che ha il suo bel da fare con una famiglia, residente a Stratford, decisamente assente ed una zia, vedova, caduta nel baratro di alcool e fumo - è un ventenne dalla bellezza disarmante, incline al perdere molto facilmente il controllo della situazione ed un caratterino pungente, corroso dai segreti che porta con sé ed una, poco salutare, dipendenza dalle sigarette.
 
San Diego.
Un incendio misterioso.
Due vite che si scontrano irreversibilmente.
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera di questa persona, né offenderla in alcun modo'
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In revisione.
Genere: Mistero, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera  di questa persona né offenderla in alcun modo' 




 
 
2.
 
 
 
 
Carter
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

La CNN interruppe il servizio mattutino sui leoni che stavano trasmettendo tre minuti prima che esso terminasse definitivamente, per delle importanti notizie dell’ultima ora.
Levai la cuffia dal mio orecchio destro, interrompendo momentaneamente la musica, per passare il cavo sottile attorno al collo lasciandolo penzolare sul petto.
Si preannunciava una classica giornata di gravi notizie: un terremoto da qualche parte in Sud America, un rapimento politico in Medio Oriente e il ritrovamento di un probabile sirial killer a Portland.
Il servizio terminò con una foto poco nitida dell’individuo in questione, ai tempi dello scatto con una lunga e folta barba scura, dalla quale distolsi poco dopo l’attenzione.
“La cronaca in città sarà più leggera” commentò un uomo sulla cinquanta in compagnia della sua compagna, lanciando una veloce e nostalgica occhiata al giornale sotto la borsa ingombrante della donna.
Un urletto isterico mi costrinse a riportare l’attenzione sulla ragazza di fronte a me; era talmente verde di rabbia che temevo davvero avrebbe potuto trasformarsi nella versione in gonnella di Hulk.
“Oh, basta, dannazione. Me ne vado” ringhiò contro il ragazzino dietro al bancone, girando i tacchi per imboccare la porta - continuando a imprecare a bassa voce tra sé e sè.
“Dalli a me quei caffè che stavi facendo” mi affrettai a dire, notando il biondino pronto ad abbandonare la macchinetta per servire una ragazza seduta già da una quindicina di minuti vicino al bancone.
Sembrava quasi impaurito di fare qualunque tipo di movimento; si muoveva con estrema lentezza e accuratezza mentre riaccendeva la macchinetta del caffè - che iniziò a fare un rumore abbastanza fastidioso. Quasi temesse di fare qualcosa di irrimediabilmente sbagliato.
Spostando lo sguardo per tutta l’area, alla ricerca di qualche possibile adulto che potesse correre in suo soccorso, notai con dispiacere che nessuno oltre a lui occupava quella postazione.
Purtroppo per il biondino, io non ero esattamente un tipo molto paziente. Soprattutto a quelle ore del mattino quando non avevo ancora nemmeno ingerito la mia dose giornaliera di caffeina, visto che quel mentecatto di mio fratello nel fare la spesa aveva comprato tutte le schifezze possibili e immaginabili e si era dimenticato proprio il pacco di caffè. E glielo avevo scritto a caratteri cubitali, sulla lista, con addirittura un pennarello rosso brillantinato.
Ed io, senza caffeina, diventavo insopportabilmente acida; anche più di quanto non lo fossi solitamente – ed era tutto dire, cavolo.
Levai il cappello degli San Diego Padres, - comprato Da Elia quando era andato, grazie alla sottoscritta, a vedere una delle loro ultime partite del campionato - osservando distrattamente le punte delle mie scarpe mentre cercavo di attaccarmi i capelli.
Il campanello attaccato sopra lo stipite della porta tintinnò, segnando l’arrivo di un altro cliente, ed una folata gelida di vento mi investì in pieno facendomi rabbrividire.
Mi strinsi nel mio maglione, notando solo allora che il biondino aveva poggiato un bicchiere di caffè sul bancone; la macchinetta sembrava avere qualche problema tecnico vista la nuvoletta di fumo che fuoriusciva dal retro dell’aggeggio. Il ragazzino si era rannicchiato in un angolo con il cellulare all’orecchio, forse in cerca di aiuto da parte di qualcuno più esperto di lui. O poteva aver già provveduto a chiamare i pompieri per prevenire un’eventuale peggioramento della situazione.
Scossi divertita la testa, allungando la mano verso il caffè, con l’altra infilata nella borsa alla disperata ricerca del portafoglio.
In realtà, avendoci buttato dentro unicamente il libro di storia, il pacchetto di sigarette e gli occhiali pensavo sarebbe stato più facile individuarlo. Ma ovviamente avevo sbagliato i miei calcoli – non per niente facevo schifo in matematica.
Abbandonai il bicchiere per un secondo e frugai con entrambe le mani nella borsa, fino a trovare ciò che mi serviva; ma quando alzai lo sguardo, trionfante e pronta ad andarmene da quell’inferno di posto, notai con disappunto che il mio bicchiere di caffè era sparito.
Il.
Mio.
Caffè!
Strabuzzai gli occhi, girando velocemente la testa alla ricerca del possibile cretino che avesse potuto confondere la mia ordinazione con la sua, nonostante fossi quasi certa di non aver sentito parlare nessun altro dopo di me.
E solo allora notai un ragazzo che mi affiancava, con il mio bicchiere alla bocca e una mano che frugava insistentemente nelle tasche dei pantaloni, dai quali fuoriuscivano due pacchetti di Marlboro.
Tossicchiai infastidita, picchiettando l’unghia laccata di bianco sulla sua spalla, cercando di attirare la sua attenzione. “Scusami, amico …”
Lui si voltò, visibilmente irritato, spostando poi interessato lo sguardo sul mio corpo, con un sopracciglio che era schizzato in alto increspandogli la pelle della fronte. E prima che potesse fare chissà quale commentino - notando lo sguardo alquanto eloquente che aveva lasciato al mio abbigliamento -, gli lanciai un’occhiataccia ammonitrice.
In effetti, nonostante avessi impiegato tutte le mie forze e la buona volontà possibile per cercare di raggiungere almeno un minimo di decenza, il cipollotto blu che mi spuntava sulla nuca ed il maglione, che dopo tutte le tirate inflittegli era aumentato di quasi una taglia, mi facevano somigliare più ad una spacciatrice dei ghetti che ad una studentessa liceale. O, anche più generalmente, ad un essere umano di sesso femminile.
Non che lui fosse conciato meglio di me: con un pantalone largo che gli arrivava fin sotto al ginocchio che metteva in bella mostra un tatuaggio; una felpa rossa dalla quale si potevano intravedere i suoi boxer bianchi, Nike del medesimo colore e un cappello nero che gli copriva tutti i capelli.
“C’è qualche problema, tesoro?” mi domandò sorridente, costringendomi ad abbandonare il flusso dei miei pensieri. Inclinò la testa di lato, fissandomi senza alcuna vergogna.
“Si” affermai decisa, iniziando a battere la punta del piede a terra; osservai insistentemente il bicchiere di caffè tra le sue dita - gesto che attirò ulteriormente la sua attenzione. “Quello era mio.
Spostò divertito la testa verso l’oggetto in questione e poi tornò su di me, ridacchiando. “Tecnicamente era della ragazza che se n’è appena andata, ma siccome l’ho preso prima io, adesso è mio” precisò.
Sobbalzai leggermente alla sua affermazione, chiedendogli esplicitamente con lo sguardo se fosse serio o gli occhialoni scuri che portava gli creassero qualche impedimento alla vista.
“Senti, stronzo, o mi dai quel caffè o mi dai quel dannato caffè” sbuffai inviperita, allungando la mano sotto il suo naso, in attesa.
“Io mi chiamo...”
Sbuffai di nuovo, questa volta più rumorosamente, interrompendolo. “Non mi interessa come diavolo ti chiami. Io rivoglio indietro il mio caffè” sentenziai, marcando ulteriormente l’aggettivo possessivo che avevo usato. Afferrai brutalmente il bicchiere dalla sua mano tornando a concentrarmi sul ragazzino dietro al bancone, che ora fissava me e il mio interlocutore contenderci quella benedetta bevanda.
Sentivo ancora lo sguardo scioccato dell’energumeno di fianco a me sulla mia faccia; dopo un istante di esitazione sbatté energicamente la mano sul bancone lasciandovi sopra dei soldi.
Inarcai le sopracciglia, osservandolo. Che avesse capito di aver sbagliato e volesse offrirmi il caffè per farsi perdonare?
Si avvicinò ulteriormente a me, e non potevo nemmeno vedere l’espressione che aveva assunto visti gli enormi occhiali che gli coprivano quasi metà della faccia. Un attimo dopo sentì l’aria che si infrangeva contro la mia mano, ancora modellata sulla forma rotonda del bicchiere; prontamente lo sollevò in aria con un ghigno sulla faccia, visto il suo probabile metro e ottanta a confronto del mio scarso metro e sessanta.
Poggiò una mano sull’incavo tra il mio collo e la spalla, muovendo lentamente l’indice sulla mia pelle, per tenermi ferma. “Scusa tigre, oggi vinco io.”
“Stronzo” ringhiai a bassa voce, incrociando nuovamente le braccia accompagnata da alcune risatine - che dovevano venire dalla coppietta di cinquantenni che prima avevano commentato le notizie del telegiornale.
“Ci si vede tesoro” ammiccò soddisfatto lo stronzo, infilando il resto nei jeans prima di uscire tranquillamente dal negozio, sotto lo sguardo divertito di chi aveva assistito al nostro breve ed intenso scambio di battutine.
Rimasi ferma a fissare il punto in cui era sparito, a bocca aperta, mentre la ragazza che aveva il turno dopo il mio faceva la sua ordinazione.
Io ero uscita di casa alle sette di mattina per prendere due dannati caffè, per me e Leanne,- che mi aspettava fuori in macchina, dove quasi probabilmente si era addormentata - e cosa ci avevo guadagnato?
Un litigo, come quelli che fanno i bambini dell’asilo per l’ultima caramella rimasta, in un bar nel centro di San Diego, di prima mattina, per un caffè che mi spettava di diritto, con uno sconosciuto irritante, ladro di caffè oltretutto,  vestito come Lil Wayne?
Perché non ero andata al Supermercato vicino casa?












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Author's corner:

Sono esattamente le 15:38.
Olè. Ho aggiornato ad un orario decente.
Ma vabbè, dettagli.
Tornando a noi, ecco il secondo capitolo e questa volta dal punto di vista della nostra Carter OuO
Non so esattamente da dove mi sia uscito questo capitolo che non saprei nemmeno come definire lol
In realtà tempo fa avevo scritto il prologo di una storia, che aveva a che fare con il caffè, e quando mi è capitato sotto naso, l'ho riletto e ho pensato di poter riportare l'idea anche qui, anche perchè a me una volta è capitata una cosa simile lol, sperando che non sia uscita una cosa così merdosa. E' un capitolo di passaggio, più che altro, anche per far capire un pò com'è il carattere della protagonista, in parte. 
Giuro che il capitolo successivo sarà molto più interessante di questa cacatella qui :')
Inoltre volevo ringraziare tanto voi che avete inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate e anche le recensioni del capitolo precedente, che sono state troppo carine jkhfdk :3
E vabbè, niente. A voi che ve ne pare? Si può considerare almeno passabile? lol E so che starete pensando che il tizio che le ha fregato il caffè sia Justin, ma, ne siete davvero sicure? Potrebbe anche essere qualcun'altro OuO
Alour, la lasciate un piccolapiccola recensione anche qui(?) 


Bacioni, C 

 
   
 
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