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Autore: Ella Rogers    03/09/2014    5 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Lato Oscuro
 
Intorno a lei regnava l’oscurità assoluta e un silenzio surreale.
Lo sguardo le cadde verso il basso, su una striscia rossa, che dai suoi piedi si allungava in avanti, verso il nulla.
Si piegò sulle ginocchia e toccò la sostanza vermiglia, sentendola densa e calda contro le dita.
L’orrore si tinse sul suo viso pallido e scattò indietro, rizzandosi in piedi. Tremante, portò la mano intrisa di sangue davanti agli occhi sbarrati, sentendo la nausea attanagliarle lo stomaco. Strofinò forte il palmo sulla maglia gialla, imbrattandola, ma il sangue continuava a impregnarle le dita, fresco e gocciolante.
Un verso bestiale alle sue spalle mandò in frantumi il silenzio e risuonò nell‘oscurità come un’eco lontana. Ne seguirono altri, sempre più forti e spaventosi, sempre più vicini.
Cominciò a correre al margine della striscia di sangue, seguendola e stando attenta a non affondarci i piedi.
Corse a perdifiato, fino a quando i ruggiti smisero di arrivarle alle orecchie e il silenzio tornò a regnare sovrano.
Ansimante e madida di sudore, si voltò indietro, ma vi erano solo le tenebre alle sue spalle.
Tornò a guardare avanti e sussultò quando scorse una figura a pochi metri da lei, laddove la linea di sangue terminava in una pozza scura.
Prima non c’era nulla.
Si avvicinò, mentre il battito del cuore le rimbombava violentemente nelle orecchie. Trattenne il respiro e passo dopo passo si avvicinò alla sagoma scura, che prendeva una forma sempre più definita.
Riconobbe un uomo, ma il terrore la invase quando riconobbe lui.
Steve.
Il ragazzo giaceva nella pozza di sangue, con il viso immerso nel liquido denso, il corpo in una posizione innaturale ed i vestiti lacerati.
“Steve” sussurrò, con voce tremante.
Lui non rispose.
Gli andò accanto, immergendo i piedi nudi nella pozza vermiglia e rabbrividendo al contatto con la sostanza viscida e appiccicosa.
Allungò una mano ed affondò le dita in quei capelli incrostati di sangue, non più soffici e di un biondo luminoso.
“Steve” chiamò ancora, alzando un poco la voce.
Lo afferrò per una spalla e lo rivoltò.
Un grido di puro terrore le scappò dalle labbra e fu costretta a reprimere un conato di vomito, che le assaltò la gola con forza.
Un enorme squarcio si apriva nell’addome del ragazzo, rendendo visibili le interiora maciullate. Il modo in cui adesso giaceva il capo, troppo piegato su una spalla, era l’evidente segno che l’osso del collo era spezzato.
Gli occhi erano sbarrati e totalmente bianchi. Non vi era più il bellissimo cielo, che si illuminava ogni volta che sorrideva.

“No” balbettò, azzardando qualche precario passo indietro sulle gambe tremanti.
“No!” gridò, portandosi le mani ai capelli.
Le gambe cedettero e cadde sulle ginocchia.
“No! Ti prego!”
Scosse la testa violentemente, gridando di dolore.
“È colpa mia. È solo colpa mia. Sono un’assassina.”
In preda alla rabbia si graffiò il viso con le unghie, segnandolo con strisce rosse e sanguinanti.
 
Poi qualcosa la bloccò.
Un respiro pesante e caldo, accompagnato da un ringhiare rabbioso e sommesso, le pizzicò la base del collo, facendole ondeggiare i lunghi capelli.
Si voltò, in preda al panico, ritrovandosi di fronte il suo stesso viso pallido e terrorizzato, riflesso in due sfere rosse e luminose.
Da seduta, si spinse indietro con i palmi ed i talloni, strusciando il fondoschiena a terra. Si scontrò con il corpo morto di Steve e cadde nella pozza di sangue, inzuppandosi completamente.
Il mostro davanti a lei scoprì le zanne affilate, gocciolanti di sangue e incrostate di pezzi di carne umana e stracci di stoffa.

“Sei stato tu” sibilò, sentendo un misto di paura ed ira inondarle il cuore.

La bestia ruggì e con una violenta ferocia si abbatté su di lei.
 
 

                                                         ***
 
 

Steve se ne stava steso sul divano troppo corto per lui, ma comunque più comodo del pavimento.
Il sofà era ricoperto da una fresca fodera di cotone blu ed era talmente morbido, che ci si affondava quasi fosse gommapiuma.
Aveva la testa appoggiata ad uno dei braccioli imbottiti, mentre l’altro era occupato dai polpacci, e le braccia erano incrociate sul petto.
Gli occhi cerulei erano rivolti ad un punto indefinito del soffitto bianco, visibile appena nel buio della notte.
Sapeva che non sarebbe riuscito a prendere sonno, anche se questa volta la causa non erano gli incubi, ma solo il cervello pieno zeppo di pensieri preoccupanti, che gli increspavano la fronte.
Anthea.
Quello era il pensiero che continuava a rimbalzargli tra i neuroni e che lo rendeva …
Nervoso? Arrabbiato? Sorpreso? Preoccupato?
Non lo sapeva e non riusciva a venirne a capo.

Quando si concentrava riusciva a percepire nella sua testa una presenza estranea, che fino a dieci giorni fa aveva ignorato.
Era come se una parte della sua mente, prima vuota, fosse stata riempita con qualcosa di vivo, che sentiva muoversi, mutare, respirare dentro di sé e che invadeva a poco a poco il suo essere.
Prima, nella Sala Comune, aveva sentito forte e chiara la paura della ragazza di fronte alle domande di Tony e per un momento si era sentito spaventato e perso anche lui.
Allora era vero che veniva fortemente influenzato da lei, dalle sue emozioni più travolgenti.
 
Misantropia.
Quella parola risuonava ancora come un’eco lontana nelle sue orecchie.
Sapeva bene cosa significasse, perché quando era ancora un ragazzetto rachitico e asmatico, quando tutti lo deridevano e ne facevano oggetto di scherzi pesanti, lui aveva cominciato ad ammalarsi di una lieve ma tangibile misantropia.
Avversione verso la società, che si manifesta nella ricerca della solitudine e nel rifiuto di ogni forma di socialità: è un atteggiamento dovuto sia a disprezzo e odio verso l’umanità nel suo complesso, sia a incapacità di prendere parte attiva alla vita, e in taluni casi può essere espressione di certe affezioni psichiche.
Poi per fortuna era arrivato Bucky e Steve era guarito.
Ma lui non aveva comunque mai provato una repulsione tale, da evitare anche i più normali e semplici contatti umani.
Anthea non voleva che la sfiorassero.
Si era rinchiusa in una teca di vetro invisibile, costruendo così una barriera tra sé e tutto quello che c’era fuori.
Ma il vetro, prima o poi, si sarebbe infranto, lasciandola senza difese.
Se la ragazza aveva davvero ricevuto le torture che aveva subito lui stesso durante gli incubi, allora non c’era da stupirsi che provasse repulsione per gli essere umani e che ai suoi occhi apparissero come creature portatrici di male e dolore.
Forse lui poteva aiutarla.
Poteva rimuovere quel vetro con estrema cautela, senza ridurlo in mille schegge che l’avrebbero sicuramente ferita.
Poteva fare breccia nelle sue difese usando calma e delicatezza.
Poteva donarle qualche spiraglio di luce.
Ma era davvero possibile tirarla fuori dall’oscurità in cui giaceva? Non poteva dirlo, se non ci provava.
E Steve si ripromise che ci avrebbe provato.
 
Un grido acuto raggiunse le sue orecchie, ridestandolo dall’intrico complesso dei suoi pensieri.
Per la sorpresa, cadde dal divano, atterrando su un fianco ed imprecando a denti stretti.
Un nuovo grido, più forte, lo spronò a darsi una mossa. Saltò in piedi e scattò verso la propria stanza, dove aveva lasciato Anthea solo qualche ora prima.
Spalancò la porta e, alla luce della luna, osservò allarmato la ragazza contorcersi tra le lenzuola, come in preda a un forte dolore.
 
Eppure lui non percepiva niente.
Perché non sentiva la sua sofferenza adesso?

 
Gridava, Anthea.
Gridava in maniera spaventosa.
Steve rimase immobile per attimi che parvero lunghissimi, non sapendo minimamente cosa diavolo fare.
Improvvisamente la porta di legno massello si richiuse con forza alle sue spalle, spingendolo all’interno della stanza.
D’istinto si precipitò sulla maniglia d’ottone e provò a forzarla, ma era bloccata e nemmeno con la sua forza riuscì a smuoverla.
Ci rinunciò e cercò di mantenere la calma, regolando la respirazione.
Le urla agghiaccianti della ragazza gli penetravano la testa come lamine affilate, straziandolo e costringendolo a premere le mani sulle orecchie.
La ragazza continuava a contorcersi in preda a convulsioni e Steve si aspettò di vedere quel corpo gracile spezzarsi come un ramoscello.
Si fece forza e, barcollando appena, raggiunse lo spazioso letto.
“Anthea!” la chiamò, cercando di sovrastare le grida atroci.
Lei non lo udì.
“Anthea! Va tutto bene! Sono Steve!”
Lei non reagì.
Steve provò a chiamarla sfruttando il legame tra le loro menti, proprio come aveva fatto nella Sala Comune.
Se ne pentì immediatamente, quando un fischio acuto gli trafisse i timpani e lo fece rannicchiare su se stesso, accovacciato sulle ginocchia piegate.
Serrò con forza gli occhi e digrignò i denti, premendo con esagerata foga le mani sulle orecchie.
Quando credé che la testa gli sarebbe scoppiata come un palloncino troppo gonfio d’aria, il fischio venne sostituito da un ronzio sommesso.
Si raddrizzò lentamente, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi. Venne pervaso dalla nausea, accompagnata da un senso di vertigine. Era pallido come un cencio e madido di sudore freddo.
Non si accorse subito che le grida erano cessate, sostituite da gemiti di sofferenza, che lasciavano le labbra della ragazza in rantoli rochi.
Anthea aveva anche smesso di contorcersi ed ora era distesa supina, con i capelli sparsi sul cuscino e le lenzuola avvolte disordinatamente attorno al corpo provato.
Steve rimase ad osservare il petto della ragazza sollevarsi e abbassarsi velocemente, allo stesso modo del suo.
Un rumore attirò la sua attenzione.
All’inizio non capì esattamente da dove provenisse e da cosa fosse scaturito, ma poi quel suono familiare tornò a ripetersi.
 
Vetro.
Vetro che si incrina.

 
Gli occhi cerulei saettarono verso l’ampia finestra, dalla quale penetravano fasci di luce lunare.
Sulle ante trasparenti brillavano le incrinature del vetro, che continuavano a espandersi, formando quella che dava l’idea di un’intricata ragnatela.
Quello che ne conseguì fu il fragore del vetro che andava in pezzi, ma le schegge non raggiunsero il pavimento.
Rimasero sospese, scintillando alla luce pallida della luna.
Steve trattenne il respiro, quando i frammenti di vetro rivolsero le punte taglienti verso di lui, minacciando di trafiggerlo come lame di coltelli.
“Anthea. Fermati” sussurrò, non distogliendo lo sguardo dalle schegge letali, che parevano attendere solo il permesso di scagliarsi su di lui.
La ragazza non lo udì nemmeno questa volta e Steve, guidato dalla parte irrazionale del suo cervello, tese un braccio e le sfiorò con le dita il braccio nudo, sentendone irrigidirsi i muscoli.
 
Non seppe come, ma si ritrovò scaraventato contro la parete alle sue spalle, a pochi centimetri dalla porta bloccata.
Le schegge di vetro schizzarono verso di lui e Steve si lanciò di lato, cercando di evitarle, ma ci riuscì solo in parte, poiché percepì chiaramente un dolore lancinante diffondersi lungo il braccio e la gamba destra.
“Dannazione” imprecò, mentre cercava di estrarre alcuni frammenti dalla coscia, inginocchiato vicino la scrivania d’ebano, su cui giaceva il suo prezioso e indistruttibile scudo in vibranio.
Teneva lo sguardo fisso sul pavimento, quando la sua visuale fu invasa da due piedi nudi.
Alzò appena gli occhi, osservando le lunghe gambe della ragazza piegarsi, affinché i loro visi potessero essere alla stessa altezza.
Anthea gli sorrise dolcemente, accovacciata sulle ginocchia.
Steve rimase imbambolato a fissarla, dimentico che proprio lei aveva rischiato di ucciderlo qualche istante prima.
 
Non sembrava nemmeno lei.
 
“Sei vivo” decretò lei dopo qualche … Secondo? Minuto? Ora?
Annuì soltanto, Rogers.
“Eri morto.”
Il sorriso era sparito da quelle labbra piene e gli occhi della ragazza apparivano talmente bui, che la pupilla si confondeva con l’iride, formando due abissi, sul cui fondo giacevano i segreti più oscuri.
“Eri morto” ripeté ancora lei, fissando il biondo come in attesa di una spiegazione che non esisteva.
“No, non lo sono.”
“Ti ho visto. Non mentire.”
“Non sto mentendo. Non sono morto.”
“Sì, lui ti ha ucciso.”
Steve le rivolse uno sguardo perplesso.
“Lui chi?”
“La Bestia” rispose lei, con un alzata di spalle.
“Era solo un incubo.”
Quella constatazione fece tornare il sorriso alla ragazza, che infilò le dita affusolate tra i capelli del soldato, emettendo un debole sospiro.
“Sono belli” affermò.
Rogers arrossì appena.
 
Il tempo in quel momento pareva essersi dilatato all’infinito.
 
“Non posso fermarlo” confessò Anthea, abbassando lo sguardo.
“Che cosa?” chiese Steve, in un flebile sussurro.
La ragazza scosse il capo, continuando ad accarezzargli i capelli.
“Ormai è già qui.”
“Che cosa?” riprovò lui.
Non ottenne una risposta nemmeno questa volta, ma solo una leggera alzata di spalle, come se la sua fosse una domanda ovvia.
Steve stava per parlare di nuovo, ma le parole gli rimasero bloccate in gola, quando un’espressione furiosa si dipinse sul volto di lei.
Anthea strinse la mano sui capelli del soldato, che non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
“Tu volevi farmi del male, vero?”
Rogers non afferrò la domanda.
“Sei come loro. Anche tu vuoi farmi male” soffiò con rabbia.
“Non è così” si difese lui.
Un sorriso distorto, agghiacciante, piegò le labbra della ragazza.
“Meriteresti di morire” gli sussurrò in un orecchio e Steve rabbrividì percependo il suo fiato caldo sul collo.
 
Era in suo potere e lei avrebbe potuto fare di lui quel che voleva.

“Ma morirai tu, se non ti allontani immediatamente da lui.”
Una voce dal tono profondo infranse l’incantesimo, facendo sussultare entrambi.
 
Clint Barton, sull’uscio della porta ora spalancata, impugnava il suo fedele arco con una freccia rivolta in direzione di Anthea.
Lo sguardo dell’arciere era truce, mentre tendeva con forza la corda.
“Sapevo che non potevamo fidarci. Allora vuoi dirci chi diavolo sei davvero o preferisci che ti ammazzi all’istante?”
La ragazza allentò la presa sui capelli di Steve e ritrasse la mano lentamente. Poi, con tutta calma, come se non avesse puntata in testa una freccia che avrebbe potuto trapassarle il cranio come niente fosse, si rimise dritta e si voltò verso il nuovo arrivato, ghignando.
“Vuoi sapere cosa sono? Io non lo vorrei.”
“Evita i giochetti con me. Limitati a rispondere.”
Anthea dondolò avanti e indietro sui piedi.
“Altrimenti?”
“Muori” fu la risposta secca di Barton.
 
Steve intanto si era rialzato ed era fermo alle spalle di Anthea.
Lanciò a Clint sguardi che intimavano chiaramente di fare attenzione, ma l’arciere pareva non badare a lui, troppo occupato a tenere sotto tiro quella che riteneva una potenziale minaccia per i suoi compagni in primis e per il mondo dopo.
 
“Allora hai deciso?” la incalzò Occhio di Falco.
“Sei troppo impaziente” sbuffò lei, seccata.
“E anche di parola. Addio.”

Barton lasciò andare la corda e scagliò la freccia.
 
 

                                                        ***
 
 

“Signore, mi scuso per averla disturbata, ma devo informarla che è stata rilevata la presenza di un intruso nel parcheggio sotterraneo della Tower e che gli agenti di sicurezza stanno andando a controllare.”
 
Tony, svegliato dalla voce di JARVIS, si mise a sedere sul grande letto matrimoniale, imitato da una Pepper abbastanza stravolta sia per le cose che il compagno le aveva raccontato a proposito di Anthea qualche ora prima, sia per essere stata strappata bruscamente dal meritato riposo.
Stark batté più volte le palpebre per scacciare l’alone che gli impediva di mettere a fuoco l’ambiente circostante.
“Come è entrato?” chiese, strascicando le parole.

La voce dell’A.I. risuonò di nuovo nella stanza.
“Non lo so, signore. È rimasto invisibile al mio sistema fino a qualche minuto fa.”

“Che cosa? Impossibile!”
“Tony non urlare, per favore.”
“Ma tesoro, sei diventata sorda? Hai sentito quello che ha detto?”
“Non sono sorda e proprio per questo preferirei abbassassi la voce.”
“Ma il mio sistema di sicurezza non può essere illuso!”
“Forse c’è una falla nel sistema.”
Virginia si passò una mano tra i capelli scompigliati, riassestandoli un poco.
“Non può essere” ribatté il miliardario.
“Oh Tony, sei davvero impossibile!”
“Ora sei tu che gridi.”
Pepper lo colpì con una gomitata sullo sterno, seccata.
“Ahi! Che aggressività!”
“Vada a controllare, signor Stark” gli disse la donna, con tono perentorio.
Tony sbuffò, ghignando.
“Come desidera, signorina Potts.”
 
Stark lasciò controvoglia il rassicurante tepore del letto, filando a indossare una delle armature, conscio che chiunque avesse trovato là sotto, nei sotterranei, non sarebbe stato affatto amichevole e neppure da sottovalutare.

Nessuno la faceva a Tony Stark.
 
 

                                                           ***
 
 

“Mai uno normale ce ne capita, dannazione!”
Clint sbuffò di rabbia mista a esasperazione, mentre continuava a fissare la freccia sospesa ed immobile, a pochi centimetri dalla fronte della ragazza paranormale.

Steve boccheggiava, guardando la stessa identica e preoccupante scena. Sapeva cosa sarebbe successo adesso, perché aveva già assistito una volta allo spettacolo raccapricciante messo in scena dai poteri oscuri della giovane sopravvissuta.
Come da copione, la freccia ruotò e la punta acuminata prese a indicare la fronte corrugata di Barton, che sbarrò gli occhi incredulo.
 
Le iridi di Anthea erano state completamente inghiottite dall’oscurità ed ora i suoi occhi erano neri, se si escludeva la sclera bianca, che dava vita a un contrasto forte e netto, come quello tra luce e ombra. Sorrideva sadicamente all’arciere, sapendo di avere stretta tra le mani la sua preziosa vita. Le sarebbe bastato stringere un poco le dita per strangolarla e decretarne così la fine.
Tutti gli uomini meritavano di morire, nessuno escluso.
Erano tutti dei mostri assassini.
E lei non si stava comportando come loro adesso?
No, avevano cominciato loro. Se l’erano voluta.

La freccia vibrò, ma non si mosse ancora.
La ragazza osservò compiaciuta il corpo della sua vittima tendersi e ne percepì chiaramente il battito veloce del cuore.
Clint strinse forte la mano destra attorno al sua arco, trattenendo il fiato e preparandosi all’inevitabile.
 
L’inevitabile fu evitato.

Steve si lanciò sulla ragazza e la bloccò con la schiena pressata sul liscio parquet. Le si mise a cavalcioni e le bloccò le mani sopra la testa, esercitando sui suoi polsi esili una stretta ferrea.
La freccia cadde a terra, come se qualcuno avesse appena tranciato il filo invisibile che la teneva sospesa.
“Smettila!” gridò Rogers, con il volto rosso di rabbia.
“Ti abbiamo salvata dalle torture che ti venivano inferte in quella maledetta base. Ti abbiamo portata in casa nostra per tenerti al sicuro.”
Il biondo prese un respiro profondo.
“Ti ho concesso il mio perdono, perché mi fido, o meglio, mi fidavo di te” ringhiò tra i denti, rammaricato.
“Cosa ti abbiamo fatto per meritare di essere uccisi?”
Anthea fuggì dallo sguardo accusatore di Steve, sentendo crescere nel cuore un peso sempre più doloroso.
Senso di colpa.
Le iridi tornarono ad essere blu cobalto e del sorriso agghiacciante non rimase traccia alcuna.
“Niente.”
Trattenne le lacrime ed i singhiozzi, perché lei non avrebbe mai pianto. Mai.
“Niente” ripeté, più a sé stessa che al ragazzo sopra di lei.
“E allora perché hai agito così?” insisté Rogers.
Lei non disse nulla per un tempo che parve lunghissimo, poi si decise a parlare, soppesando ogni singola parola.

“A volte è la Parte Oscura a prendere il controllo e Lei vuole vendetta, contro l’intera razza umana.”
 
“Sono stufo di sentire queste assurdità” sbottò Clint.
“Questa ragazzina è instabile e forse addirittura più pericolosa di quel megalomane di Loki. Dovremo neutralizzarla, Steve. Thor potrebbe rinchiuderla nelle prigioni di Asgard, così la terremo lontana dalla Terra.”
Il Capitano annuì, distrattamente.
 
“Forse il tuo amico ha ragione, Steve. Sono pericolosa e instabile.”
Ma non è tutta colpa tua. Ti hanno reso così.”
“E non posso cambiare. Devo essere neutralizzata
.”
“Potresti imparare a controllare il tuo potere.”
“Chi me lo insegnerebbe?”
“Non lo so.”
“Non capisco perché ti preoccupi per me. Ho cercato di ucciderti e poi ho quasi ammazzato il tuo amico.”
“Ma mi hai anche salvato quando stavo per annegare, quando mi hanno sparato addosso e quando stavo perdendo parecchio sangue sul jet. Sono in debito con te e so per certo che tu puoi riuscire a controllarti.”

“Non merito una seconda possibilità.”
“Tutti la meritiamo.”

 
Nel silenzio, Steve e Anthea comunicarono tramite le loro menti, guardandosi costantemente negli occhi.
Il Capitano lasciò andare la ragazza e si rimise in piedi, voltandosi verso Barton, che gli scoccò un’occhiata di rimprovero, come se avesse sentito anche lui il discorso celato.
Ma Clint era solo maledettamente intuitivo e sapeva bene che il cuore troppo - davvero troppo - grande di Steve si sarebbe opposto alla richiesta di neutralizzare la probabile nuova minaccia.
 
“Clint, senti-”
 
Lo squillo spacca timpani dell’allarme installato nel sistema di sicurezza della Tower si diffuse in ogni piano e in ogni stanza del grattacielo.
La voce di JARVIS, paradossalmente atona, comunicò che tutti i Vendicatori dovevano recarsi con urgenza nei parcheggi sotterranei, dove già si trovava Iron Man.
Steve e Clint si guardarono negli occhi per alcuni secondi, prima di muoversi velocemente.
Rogers indossò la divisa nera dello SHIELD e afferrò lo scudo sulla scrivania, ma prima di raggiungere Occhio di Falco nell’ascensore in salotto, si voltò a guardare Anthea un’ultima volta.
“Rimani qui. Non uscire per alcun motivo.”

“Ma Steve”
Capitan America era già andato via, prima che lei riuscisse ad aggiungere altro.

“No” sussurrò debolmente, mentre la paura si faceva spazio nel suo petto.
 
 

                                                        ***
 
 

Natasha era già sveglia, quando l’allarme aveva preso a suonare, simile a una donna dalla voce stridula che urla per lo spavento.
La Romanoff non era riuscita a prendere sonno, troppo scossa da ciò che era accaduto nella Sala Comune.
Doveva ammettere che dalle parole di Stark non aveva compreso fino in fondo di cosa fosse realmente capace la ragazzina.
Telecinesi?
No, non poteva liquidare ciò che aveva visto in quel modo, perché sapeva bene che non era semplice telecinesi quella esercitata dalla giovane paranormale.
Il pensiero di poter essere uccisa con un semplice gesto e senza che se ne accorgesse, le attanagliava lo stomaco, impedendole di cedere al sonno.
Svelta, si sfilò la maglia di cotone bianca, divenuta il suo pigiama, ed infilò la comoda ed elastica divisa in pelle nera. Prese da sotto il cuscino le sue pistole - nasconderle lì era un’abitudine che mai avrebbe perso - e si assicurò un paio di coltelli nelle fondine sulle cosce.
Con passi veloci e silenziosi raggiunse l’ascensore, ma invece di scendere verso il basso, salì di un singolo piano.
 
La Sala Comune, divenuta ormai il Quartier Generale dei Vendicatori, si trovava al piano più elevato della Tower.
Appena sotto c’era l’enorme appartamento di Stark e che, da un po’ di tempo a questa parte, era divenuto anche di Pepper.
Scendendo verso il basso, in appartamenti più modesti - ma parliamo sempre di Tony Stark, quindi la parola modesto non doveva essere presa letteralmente - c’erano:
Steve.
Bruce.
Natasha.
Clint.
E Thor per ultimo.
Il miliardario aveva assicurato che l’ordinamento era puramente casuale e la Vedova Nera non aveva voluto approfondire la faccenda.
 
Salendo di un piano, si sarebbe ritrovata nell’appartamento del dottor Banner, che sicuramente avrebbe trovato con i nervi a fior di pelle - ti prego, non verde.
Non capiva bene il perché, ma a Bruce ci teneva, ci teneva davvero e l’affetto che provava per lui era diverso da quello che sentiva nei confronti degli altri Vendicatori, Clint soprattutto.
Banner era sempre così dolce quando le parlava e Natasha aveva iniziato ad amare quella sua voce calda e rassicurante, dal tono basso, già da … da quando non riusciva a ricordarlo. Era successo e basta.
Doveva assicurasi che stesse bene e soprattutto che rimanesse calmo.
Hulk entrava in azione solo se la situazione era disperata e questa decisione era stata presa unanimemente da tutti i Vendicatori, che ben sapevano quanto a Bruce costasse lasciare il posto al mostro verde.
Trovò il dottore seduto su una delle sedie attorno al tavolo della piccola ma pratica cucina. Stringeva tra le mani una tazza azzurrina, da cui fuoriuscivano nuvolette di vapore ed aveva tutti i capelli scompigliati, segno che era stato destato dal sonno bruscamente.
Quando Bruce la notò, sul suo viso nacque un’espressione di pura sorpresa seguita da un timido sorriso, che Natasha ricambiò all’istante.
“Carino il pigiama” scherzò la Romanoff, lanciando un’occhiata fugace al camicione e ai pantaloni verde pisello, spiegazzati e abbondanti.
“Oh” fece Bruce, infilandosi una mano tra i capelli e passandosi la lingua sul labbro inferiore - lo faceva sempre quando era teso o imbarazzato.
La rossa si lasciò scappare un sorrisetto, di fronte a quell’espressione da cucciolo bastonato e soppresse la voglia di abbracciarlo.
 
Ma a cosa stai pensando? Abbracciarlo. Andiamo, fai la seria.
 
La Vedova sospirò e piantò le iridi verdi in quelle color cioccolato di Bruce. Rimasero alcuni istanti immobili e in silenzio, ognuno intento a leggere negli occhi dell’altro anche la più fievole emozione.
“Hai messo in funzione la ricetrasmittente?”
Banner cadde dalle nuvole.
“Ehm, sì è qui” rispose, indicando il piccolo oggetto al centro del tavolo.
“Bene. Tieniti pronto a qualsiasi evenienza.”

Natasha gli diede le spalle e si mosse sinuosa verso l’ascensore, che pareva al momento occupato a scendere verso il basso.
Le toccava attendere qualche minuto.
 
“Grazie.”

La Romanoff sussultò e voltandosi vide che Bruce era a pochi passi da lei, con quell’aria scarmigliata che lo rendeva davvero tenero e buffo ai suoi occhi.

“Per cosa?” chiese la rossa, perplessa.
“Per esserti preoccupata per me.”
Natasha boccheggiò, incerta su cosa dire.
L’arrivo dell’ascensore la salvò dalla situazione imbarazzante.
“A dopo” sussurrò.
 
Bruce si passò la lingua sul labbro inferiore, sospirando.
Natasha era appena sparita dietro le ante scorrevoli dell’ascensore, lasciandolo solo.
 
“Spero che non vi debba raggiungere.”

Ci voleva proprio un’altra camomilla e questa volta ci avrebbe aggiunto anche qualche cucchiaino di miele, giusto per rendere la situazione meno amara.
 
 

                                                       ***
 
 

L’ascensore scese di quattro piani prima di fermarsi.
Le porte si aprirono e rivelarono la figura possente del dio norreno, con tanto di mantello svolazzante e martello stretto in pugno.
Thor entrò nel vano illuminato da una suffusa luce arancione e con un cenno del capo salutò gli altri due Vendicatori.

“Ma ci dormi con quella addosso? Come diavolo fai a metterla in così poco tempo?”
Clint, con sguardo accigliato, indicò l’armatura scintillante del biondone, che si limitò a sorridere orgoglioso.
“Amici miei, chi è che disturba la quiete della notte?”
Steve strinse le cinghie di cuoio marrone, che tenevano saldamente lo scudo sulle sue spalle, e sbuffò.
“Spero niente di troppo terribile.”
“Già. Ne ho viste già abbastanza di cose terribili.”
Barton lanciò un’occhiata torva al Capitano, che abbassò il capo per evitare quello sguardo troppo pesante da sostenere.

“La giovane midgardiana dai poteri magici è al sicuro?”
Thor era certo che la sua fosse stata un domanda innocente, ma la reazione dei compagni lo fece ricredere.
Clint si strozzò con la sua stessa saliva e cominciò a tossire in modo convulso, mentre Rogers arrossiva e balbettava cose che il dio norreno non riuscì a comprendere.

L’ascensore arrivò finalmente a destinazione e i tre Vendicatori, dopo esserne usciti, lo guardarono risalire in fretta ai piani alti.
Se Iron Man era già lì, escludendo loro tre e Bruce, doveva essere stata Natasha a richiamare indietro la cabina d’acciaio.

Steve si mise in testa al gruppo, avanzando nell’oscurità dei sotterranei, che parevano un intricato labirinto scavato nella pietra. Adesso teneva lo scudo davanti a sé, stretto nel pugno sinistro.
Un fetore nauseante gli penetrò le narici.
 
Cadaveri. Sangue. Morte. Putrefazione.
 
“Cristo Santo! Sto per vomitare!”
Clint si coprì il naso con una mano, ricacciando indietro un conato.
Steve continuò ad avanzare, mentre il fetore diveniva sempre più pungente.
La puzza della morte.
Incespicò su qualcosa e per poco non cadde a faccia avanti.
Fece ancora qualche passo per recuperare l’equilibrio e gli stivali neri produssero un sonoro splash.
Steve rimase immobile, con il cuore in gola.
 
“Che diavolo è stato?” domandò Barton, alle spalle del Capitano.

Di colpo, le lunghe lampade al neon ancorate al soffitto si accesero, illuminando l’enorme parcheggio sotterraneo in cemento grigio e quasi completamente vuoto - durante il giorno era occupato per intero dalle auto dei dipendenti che lavoravano alla Tower.

Rogers batté più volte le palpebre per abituarsi alla luce forte ed improvvisa, poi lo sguardo gli cadde verso il basso, verso la pozza scura in cui aveva affondato i piedi.
“Oh mio Dio” sussurrò, percependo il sudore freddo imperlargli la fronte.
Thor lo affiancò e digrignò i denti con rabbia.
“Quale Bestia può compiere uno scempio del genere?”
Steve scosse il capo, sconvolto.
Qualsiasi cosa fosse, doveva essere affamata.
“Dannazione! Mai nulla di normale!” sbottò l’arciere, distogliendo lo sguardo dalla scena raccapricciante.
 
Cadaveri. Sangue. Morte. Putrefazione. Bestia.
 
Un rumore acuto si diffuse nell’enorme parcheggio sotterraneo, rimbombando tra le grigie mura.
Acciaio che veniva dilaniato.

“Stark”
Steve scattò in avanti, seguito a ruota da Thor e Clint. Svoltarono a destra, immergendosi nell’ala ovest completamente deserta dei parcheggi. Le loro ombre si allungavano sul pavimento cementificato e i loro passi risuonavano nel vuoto, producendo deboli eco.
Trovarono Iron Man che con fatica cercava di rimettersi in piedi, mentre muoveva con scatti il capo a destra e sinistra, come in cerca di qualcosa.
“Uomo di metallo!” chiamò Thor, attirando così l’attenzione del miliardario, che si voltò completamente verso di loro, facendo scattare verso l’alto la parte dell’elmetto che gli copriva il viso.
Tony era pallido e respirava con un certo affanno, ma Steve non ne rimase sorpreso visto lo squarcio che si apriva sul torace dell’armatura.
Un millimetro in più e la carne sarebbe stata dilaniata.
“Che cos’è?” chiese Barton, appena raggiunto il miliardario.
Tony scosse il capo, sbuffando fuori la paura di vedersi la morte in faccia.
“Non ne ho idea. Si muoveva nel buio quando sono arrivato e si è volatilizzato appena JARVIS ha attivato l’impianto di illuminazione. Anche gli agenti della sicurezza sembrano essere spariti.”
“Li abbiamo trovati noi.”
Rogers abbassò il capo e con esso lo sguardo, serrando con forza le labbra, e Stark capì, perché in fondo già lo sapeva, anche se aveva evitato di pensare al peggio.
Erano morti altri innocenti.
“La pagherà cara, lo giuro.”
L’elmetto si abbassò, nascondendo il volto incupito di Tony.
 
“Ti ha preso proprio in pieno, Stark. Sicuro di stare bene?”
Clint lanciò un’occhiata perplessa allo squarcio aperto nell’armatura, dal quali si intravedeva la canotta nera del miliardario.
La voce metallica di Iron Man suonò beffarda e un poco isterica.
“Sto benone, solo un po’ ammaccato. Ma in realtà mi ha preso di striscio, perché se mi avesse preso in pieno mi avrebbe spezzato a metà, credo.”

Nella mente di Steve scorrevano veloci le immagini della scena raccapricciante di poco prima e non mise in dubbio nemmeno per un millesimo di secondo le parole di Tony.
Avevano a che fare con qualcosa di assai pericoloso e sicuramente aliena.
Molto probabilmente Hulk sarebbe stato indispensabile, questa volta.
 
Un ringhiare sommesso attirò l’attenzione dei quattro Vendicatori.

“Merda! Siamo nella merda!” urlò Clint.
“Preferivo le Balene Volanti, erano meno disgustose” affermò Stark, che diede di gomito al Capitano.
“Come lo affrontiamo, Cap?”
Rogers sollevò lo scudo davanti a sé, tendendo ogni fibra muscolare, pronto ad attaccare.
“Stiamogli il più lontano possibile. Attacchiamo da lontano, così eviteremo di finire in brandelli.”

“Perfetto, è la mia specialità.”
Barton incoccò una freccia esplosiva e la scagliò.

Il Mjolnir partì velocissimo subito dopo.
 
 

                                                        ***
 
 

Natasha era immobilizzata e senza fiato.
Davanti ai suoi piedi c’era un lago di sangue, nel quale galleggiavano brandelli di quello che rimaneva degli uomini della sicurezza.
La Vedova Nera aveva intravisto un braccio, qualche gamba e pezzi di interiora maciullate. Ma la cosa più raccapricciante era la testa, tranciata di netto alla base del collo, che la guardava con occhi simili a due biglie bianche, facendola rabbrividire appena.
Che massacro.
Il fetore nauseabondo le faceva girare la testa.
“Bruce mi dispiace, ma la situazione mi pare proprio disperata.”
Parlò tra sé e sé, ancora con lo sguardo rivolto alla pozza scura e densa.
Un boato fece tremare le pareti.
Un latrato bestiale rimbombò con forza tra le mura di cemento.
Natasha si precipitò in direzione dei compagni, senza pensarci due volte.
 
 

                                                         ***
 
 

“Dannazione! È solo colpa mia!”

Anthea fece schiantare le nocche sulla parete, su cui si disegnarono piccole crepe.
Era davanti il vano dell’ascensore, da cui proveniva la fioca luce arancione che le illuminava il viso pallido e provato.
 
Agire o rimanere in disparte?
 
La ragazza non voleva che morissero le uniche persone che si erano dimostrate generose con lei.
Non poteva sopportare il pensiero di perdere Steve, perché lui le aveva concesso una seconda possibilità per riscattarsi.
Lei l’aveva sempre bramata una seconda possibilità.
Voleva cambiare e imparare a vivere come una persona normale.
Voleva l’affetto che le era sempre stato negato.
Voleva potersi fidare di chi le era accanto, senza doversi guardare le spalle ogni istante, con la paura di soffrire.
 
Cambiare o rimanere ciò che era?
 
Sono in debito con te e so per certo che tu puoi riuscire a controllarti.”

Oh Steve.

E tutto, improvvisamente, le sembrò estremamente chiaro e semplice.
 
Agire. Cambiare. Combattere.
 
 
 
 
 

Note
Ciao a tutti!
Eccoci con il nuovo capitolo, che spero con tutto il cuore vi soddisfi :D
Grazie alle persone che seguono questa storia, o meglio, questa roba contorta uscita dalla mia mente malata xD
Grazie a DalamarF16 e a Siria_Ilias per aver recensito <3
Alla prossima (incomincia l’azione) ;)

Ella
   
 
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