Capitolo
14
Il pranzo
venne consumato più tardi del previsto, ma fu delizioso. Non
che qualcuno
avesse osato disdegnare le sue pietanze, dato che fra i presenti era
l’unico a
saper usare un forno.
Rumiko
mangiò di gusto, sebbene talvolta si ritrovasse assorta in
altri pensieri…relativi
al biondo che le sedeva di fronte. Di tanto in tanto, infatti, quando
incrociava il suo sguardo, si sentiva fremere e le gote si velavano di
un lieve
rossore.
Subito si
riconcentrava sul suo piatto, sconcertata dall’effetto che
quel ragazzo aveva
su di lei. Certo, aveva avuto delle cotte in quegli anni, ma non le era
mai
capitato di perdere la testa in quel modo. Era forse questo
l’effetto del
decantato amore?
Yamato
sorrideva. Quella giornata si stava rivelando più piacevole
del previsto, anche
grazie ad un armistizio inaspettato. Certo, dalla sera della festa il
loro
rapporto era migliorato notevolmente, ma non avrebbe mai immaginato che
la
ragazza rinunciasse alle loro piccole scaramucce. Le aveva rivolto
battute
beffarde e provocatorie, eppure lei si limitava a lanciargli occhiate
indecifrabili, senza proferire parola.
Ora la
guardava, studiandone minuziosamente i bei lineamenti, le dolci onde
dei
capelli, l’impugnatura della mano sulla forchetta. Lei parve
accorgersene, ma
anziché avventarsi contro di lui, si limitò a
lanciargli una breve occhiata,
che il cantante non riuscì ad interpretare.
I due
genitori si scambiarono uno sguardo d’intesa. Nessuno dei
due, infatti, aveva
potuto fare a meno di percepire l’atmosfera insolitamente
rilassata che regnava
su quella tavola. Ed era ovvio che lo spirito natalizio centrasse ben
poco. O
no? In fondo il Natale era un giorno carico di magia e
chissà che su quei due
ragazzi non fosse stato operato un sortilegio.
Stava di
fatto, però, che la presenza dei padri non era contemplata.
Si stava
facendo tardi. Fuori dalle finestre le ombre degli edifici
s’allungavano
sull’asfalto e l’aria di faceva sempre
più fredda.
Terminato
il dolce, il signor Ishida si alzò, ringraziando per il
pasto squisito e
l’ospitalità. Poi, inaspettatamente, si rivolse a
Rumiko.
-
Posso
rubarti il tuo vecchio per un po’? – le chiese con
un sorriso.
Lei
sollevò
un sopracciglio.
-
Avevo
pensato di andare a festeggiare noi due “matusa” in
un locale qua vicino. Giusto
una birretta… -
Questa
volta le braccia si incrociarono al petto.
-
Dai,
Rumi, non faremo tardi… - tentò di venir incontro
all’amico l’altro.
-
Il
signor Ishida magari può permetterselo, ma tu
hai passato molte notti insonni e hai bisogno di riposare. –
lo rimproverò
seccamente lei – E poi lo so che non si tratta di
“una birretta”, bensì di una
generosa serie. – lanciò uno sguardo al vicino.
Entrambi i
genitori abbassarono gli occhi, remissivi di fronte a quella che pareva
una
madre severa e intransigente.
-
Ma
ovviamente – aggiunse – siete entrambi grandi e
vaccinati e non posso certo
impedirvi di andare in giro a sbronzarvi. Solo evitate di farvi venire
a
prendere nel cuore della notte dall’altra parte di Tokyo.
–
Senza
farselo ripetere, i signori sparecchiarono in fretta e furia i loro
piatti e
afferrarono cappotti e sciarpe. Stavano per uscire quando li raggiunse
la voce
della ragazza dall’altra sala.
-
Cellulare,
portafoglio e chiavi di casa potranno tornarvi utili. –
Subito
quelli tornarono in salotto e infilarono tutto nelle tasche delle
giacche. Dopo
un frettoloso “ buona serata”, la porta si richiuse
alle loro spalle con un
tonfo sordo. Nell’appartamento calò un pesante
silenzio.
Rumiko non
osava sollevare lo sguardo dal suo piatto, in cui anche
l’ultima briciola del
dolce era stata spazzata via. Continuava a giocherellare con la
forchetta,
passandola di tanto in tanto sulla liscia superficie. Tuttavia, mentre
la sua
mano era a caccia di un rimasuglio di crema, la sua mente cercava
disperatamente di escogitare un modo per levarsi da quel guaio. Non
poteva
infatti ignorare il fatto di trovarsi ancora di fronte al giovane
vicino di
casa. Sentiva il suo sguardo azzurro puntato addosso e quegli occhi
attenti
avrebbero notato il suo disagio. E allora come avrebbe potuto
giustificare quel
suo stato d’animo?
Era ancora
intenta a raschiare il piattino con la forchetta quando il rumore di
una sedia
che veniva spostata la riscosse e lei sollevò di scatto il
capo.
-
Che
fai? – chiese perplessa, guardando il biondo che si era
alzato.
-
Sparecchio.
–
Subito lei
si pentì delle proprie parole, dandosi mentalmente della
sciocca. Si aspettava
un commento sarcastico, ma stranamente il ragazzo si limitò
a fare il giro
della tavola impilando i piatti sulle braccia.
Quando fece
per afferrare il piatto di Rumiko, lei esibì
un’espressione tanto stupita che
lui si bloccò un attimo.
-
Che
c’è? –
-
No,
nulla…cioè…grazie… -
-
Figurati,
per così poco… -
-
Aspetta,
ti do una mano! – si offrì.
-
No,
lascia stare, qui finisco io. –
-
Allora
io scelgo un film da vedere, d’accordo? –
-
Un
film? –
-
Se
preferisci la tombola…ma non pensavo fossi un tipo da giochi
da tavola! –
scherzò lei.
Il suo
tono era ilare, ma non sarcastico, e nel parlare aveva esibito un
sorriso
divertito. Yamato si ritrovò a pensare a quanto fosse carina
quando non aveva
quell’aria di sfida. Non capiva bene cosa stava succedendo,
ma sentì gli angoli
della sua bocca alzarsi a loro volta in un sorriso.
-
Io
avrei un’idea migliore. –
-
Allora?
Quale sarebbe questa grande idea? –
-
Proprio
non indovini? Ti facevo più perspicace. – le
sorrise di rimando, aprendo la
porta d’ingresso del condominio.
Lei
restò
un attimo ferma al suo posto. Yamato si voltò a guardarla,
puntando i suoi
occhi azzurri in quelli viola di lei. Esitava, stretta nel suo
giubbotto in
pelle imbottito di morbido pelo, i jeans attillati infilati in un paio
di
stivali alti fino al polpaccio. Al collo aveva avvolto in
più giri una spessa
sciarpa e sulla testa aveva infilato un berretto di morbida lana. Ma
fuori
faceva freddo e lei sembrava molto riluttante all’idea di
avventurarsi
all’esterno.
Non
poté
fare a meno di pensare nuovamente a quanto fosse carina e per un attimo
si
chiese se era solo lui a vederla in quel modo o se facesse lo stesso
effetto su
tutti. Certo, nessuno poteva negare il suo fascino ed era risaputo che
avesse
molti corteggiatori in tutta la scuola…
Rumiko
sbuffò, mettendo il broncio.
Yamato
sorrise. L’unica cosa certa era che quella ragazza lo
attraeva terribilmente e
trovava impossibile anche solo l’idea di separarsene, quasi
sulla sua mente
fosse stato gettato un incantesimo.
-
Coraggio,
ti assicuro che non te ne pentirai. –
Detto
fatto. Bastarono quelle poche parole a farla scivolare oltre
l’uscio, le mani
guantate affondate nelle tasche della giacca. Fuori il freddo era
pungente e
subito si sentì pizzicare le guance. Affondò
ancor di più il mento nella
sciarpa e lasciò che i capelli le ricadessero davanti al
volto.
Ormai ne
era sicura: sarebbe morta di freddo. E tutto perché era
stata tanto sciocca da
dargli ascolto. Ma non aveva potuto resistere a quella voce tanto
vellutata e
sensuale, a quello sguardo tanto caldo e…
-
Beh?
Vuoi restare lì ancora per molto? –
Sorpresa,
lei sollevò il capo, ritrovandosi a pochi centimetri dal
volto di lui. Arrossì.
-
N-no!
– balbettò, sentendo il cuore balzarle in gola.
“
Calma,
Rumi, respira…”
Yamato
sollevò una mano a sfiorarle il volto.
-
Andiamo,
rischiamo di fare tardi. –
Lei lo
guardò allontanarsi. Si portò una mano alla
guancia: era calda. Rituffò il
volto nella sciarpa e s’affrettò a seguirlo.
-
Hai
intenzione di sequestrarmi? –
-
Può
darsi…- le rispose in tono vago.
Uno
sguardo alla fronte corrugata della ragazza gli fece capire che la
prospettiva
di una gita un moto non l’allettava.
-
Non
avrai mica paura… – ghignò.
-
Non
dire fesserie! – sbottò lei, afferrando il casco e
calandoselo sul capo con
decisione.
Yamato
sorrise: l’aveva convinta.
Correvano
per le strade di Tokyo, mentre la sera si faceva sempre più
scura e fredda.
Rumiko era
appena cosciente delle luci della città che sfrecciavano
veloci ai suoi lati.
Percepiva il vento schiaffeggiarle con forza il giubbotto,
irrigidendole le
mani guantate. Ma non aveva freddo, appoggiata alla schiena tiepida del
biondino, le braccia avvolte attorno al suo torace. Seguiva i suoi
movimenti quando
la moto si piegava in curva, flettendo il corpo all’unisono.
Non
pensava a nulla, cullata dal rumore del motore e dal battito del suo
cuore,
ipotizzando che pure esso fosse sincronizzato con Yamato.
Quando
s’arrestarono erano giunti sulla cima del promontorio che
sovrastava la città.
Rumiko scese dalla moto e si sfilò il casco, avvicinandosi
velocemente al bordo
del dirupo. Spalancò gli occhi al paesaggio che le si
presentò.
La
città
si stendeva sotto di loro, in un magnifico spettacolo di luci e colori,
i
rumori del traffico troppo lontani per esser uditi. Sulla destra i
bagliori si
riflettevano sulla superficie nera del mare, diventando liquide e
scivolando
sulla sua liscia superficie come acquarelli. E lungo la linea
dell’orizzonte
gli ultimi raggi del sole infiammavano l’acqua.
L’aria
fredda le sferzava il volto e lei lasciò che le
scompigliasse i capelli.
Sentiva il cuore leggero e la mente sgombra da ogni pensiero. Una
piacevole
sensazione di pace e serenità la pervase e lei
inspirò a pieni polmoni gli
odori della sera.
Yamato le
si affiancò, guardando anche lui il panorama. Le
sfiorò una mano, per poi
stringerla nella sua, sotto lo sguardo sinceramente stupito di Rumiko.
Quando il
biondo parlò non aveva ancora distolto lo sguardo dal
paesaggio.
-
Una
volta mi hai detto che la persona di cui mi ero innamorato non esisteva
più,
che era solo un’ombra… Probabilmente avevi
ragione. –
Abbassò
il
capo, sorridendo mestamente.
–
Eppure il mio
cuore… - portò la mano
di Rumiko a infilarsi dentro il suo giubbotto, posandola sul torace
– non ha
mai smesso di picchiare follemente nel mio petto. –
Rumiko
arrossì, avvertendo il battito del cuore di Yamato. Sembrava
un cavallo
scalpitante.
Ora lui la
guardava, cercando con insistenza i suoi occhi viola.
-
Ho
fatto un pasticcio l’ultima volta. Ho ferito tante persone
che mi erano care
perché
sono
stato egoista e ottuso. –
C’era
sincero dolore nella sua voce e lei alzò lo sguardo,
rimanendo incatenata dai
suoi occhi azzurri.
-
Ma
questa volta – le accarezzò una guancia
– vorrei fare le cose per bene… -
-
C-che
cosa? – balbettò Rumiko, maledicendo
l’emozione che le faceva tremare la voce.
Yamato
sorrise dolcemente.
Pride
can stand a thousand trials,
the strong will never fall
But watching stars without you,
my soul cried.
Senza
scostare la mano di Rumiko dal suo petto le afferrò
l’altra, stringendola
delicatamente nella sua. Cantava a bassa voce, guardandola negli occhi,
a pochi
centimetri dal suo volto. Il respiro caldo si condensava in nuvolette
candide
che andavano a lambire le labbra socchiuse di lei.
Heaving
heart is full of pain,
oh, oh, the aching.
La
distanza tra di loro si ridusse sempre più. Lei chiuse gli
occhi, lui si chinò
sul suo volto, sfiorandole le labbra con un bacio leggero.
'Cause
I'm kissing you, oh.
Le parole
della canzone erano intervallate da piccoli baci a fior di labbra.
I'm
kissing you, oh.
Touch me deep, pure and true,
gift to me forever
'Cause I'm kissing you, oh.
I'm kissing you, oh.
Sorridevano
entrambi, ebbri di felicità.
La voce di
Rumiko si levò come un sussurro insieme a quella di Yamato.
I'm kissing you, oh.
Touch me deep, pure and true,
gift to me forever
'Cause I'm kissing you, oh.
I'm kissing you, oh.
Lui avvolse
le braccia attorno al busto di lei, lei portò le mani dietro
al capo di lui,
affondando le dita nei suoi capelli biondi. Le loro bocche
s’incontrarono in un
bacio più profondo e intenso, le loro lingue
s’intrecciarono avide.
Quando si
staccarono Yamato la strinse forte a sé e lei
affondò il viso nel suo petto,
inspirando forte il suo odore.
Le
accarezzò dolcemente i lunghi capelli, volgendo lo sguardo
al paesaggio.
“ E
dire
che avevo detto a Sora di non essere fatto per questo genere di
romanticismo.”
Per la
prima volta da tanto tempo sentiva il suo cuore colmo di gioia e il suo
corpo
leggero come una piuma. Ma nei suoi occhi azzurri passò
un’ombra di amarezza e
nella sua mente risuonarono le ultime parole di quella canzone tanto
romantica
quanto triste.
Where
are you now?
Where
are you
now?
'Cause
I'm kissing you.
I'm kissing you, oh
Mentre il
sole calava oltre l’orizzonte e la notte scivolava sulle
acque del mare,
cancellando gli ultimi raggi luminosi di quella giornata, Yamato si
chiese se
sarebbe mai riuscito a svelare il mistero che quegli occhi viola, da
lui tanto
amati, custodivano. Poiché anche in quel momento, stretta
tra le sue braccia,
Rumiko gli appariva lontana.
Aveva
rinunciato a elaborare teorie sul suo passato. Avrebbe invece atteso
che fosse
lei a raccontargli la sua storia, quando si fosse sentita pronta. Ma
sperava
che questo momento arrivasse il più presto possibile. Non
tanto per soddisfare
la sua curiosità, quanto perché era sinceramente
preoccupato per lei.
Di solito
le persone cadono in depressione in seguito a una tragedia. Piangono,
soffrono,
si disperano per un periodo più o meno lungo e nulla
può esser detto o fatto
per risollevarli. Una volta che questi hanno dato sfogo ai loro
sentimenti,
comincia una lenta risalita e piano piano ricominciano a sorridere e
vivere le
loro vite.
Ma per
Rumiko era diverso. Giorno dopo giorno il suo volto si faceva
più spento, il
suo sorriso meno luminoso, i suoi occhi meno vividi. Nessuno se ne
accorgeva.
Forse solo suo padre, ma impacciato
e
smarrito dalla morte della moglie non sapeva come venirle incontro.
La ferita
inferta nel cuore della fanciulla non accennava a rimarginarsi. Al
contrario
continuava a sanguinare e con essa il suo animo, che soffriva in
silenzio
nell’oscurità.
Ma
ciò che
nessuno sapeva, nemmeno suo padre, nemmeno lei stessa, era che tale
oscurità in
cui il suo spirito languiva non era semplicemente una metafora,
bensì un’entità
viva e pulsante, che si nutriva del suo tormento e della sua angoscia
in attesa
del momento in cui avrebbe potuto nuovamente manifestarsi.
A pochi
chilometri di distanza un aereo proveniente da New York atterrava
all’aeroporto
di Tokyo.
Koushiro
attendeva in mezzo alla folla, le mani affondate nelle tasche del
cappotto
aperto. Gli occhi scuri fissavano il tabellone degli arrivi da
più di un quarto
d’ora, quasi vi cercassero una risposta, una soluzione al
quesito che lo
tormentava.
Ancora una
volta si chiese cosa fosse saltato in mente alla sua amica per mettersi
in
viaggio a Natale ma, ancora una volta, dovette scuotere il capo. La
ragione si
rivelava impotente di fronte all’avventatezza e
impulsività di quella ragazza.
“ Ma
pretendo delle spiegazioni, se non altro per avermi fatto correre qua
prima del
dolce.”
Pensò
alla
deliziosa cena cucinata da sua madre e alla torta ancora più
squisita che senza
dubbio l’attendeva. Sospirò sconsolato: ma che
Natale era mai quello, passato
ad attendere in piedi in mezzo alla ressa davanti all’uscita
passeggeri di un
volo in ritardo di quasi un’ora?
Una voce
metallica infranse i suoi pensieri, annunciando l’imminente
sbarco dei
passeggeri.
Poco dopo
sopraggiunsero i primi viaggiatori, evidentemente stanchi e spossati
dal lungo
viaggio, ognuno dei quali spingeva il suo carrello contenente i bagagli.
Koushiro
s’alzò in punta di piedi, tentando di scorgere una
figura conosciuta: inutile,
di lei nemmeno l’ombra. Quando la folla cominciò a
disperdersi, il ragazzo
avanzò fino alla prima fila. Ma i passeggeri erano sempre
più radi e di lei
nessun segno.
Si
passò
una mano nella zazzera rossa: stava cominciando a preoccuparsi. Che le
fosse
successo qualcosa?
-
Hi,
Koushiro! Merry Christmas! –
Quasi
cadde a terra dalla sorpresa quando la vide sopraggiungere, allegra e
pimpante
come non mai e soprattutto spingendo un carrello colmo di bagagli.
-
Ehm,
Mimi, ma quanta roba ti sei portata dietro per un paio di settimane?
– le
chiese, sconfortato all’idea di doverla ospitare a casa sua.
Lei
s’arrestò a un metro da lui, incrociando le
braccia ed esibendo un’espressione
offesa. Koushiro si sorprese a constatare quanto quella ragazza
diventasse ogni
giorno più bella. I lunghi capelli castani scendevano fino
alle spalle,
incorniciando un volto angelico dai dolci occhi nocciola. Vestiva abiti
firmati, come sempre attenta alla moda del momento, le unghie laccate e
curate,
il trucco leggero e impeccabile.
-
È
da una vita che non ci vediamo e tutto quello che sai fare è
lamentarti? –
-
Oh,
scusami Mimi, hai ragione, che cafone! –
Di fronte
al sincero rammarico dell’amico, lei non seppe resistere e lo
abbracciò di
slancio.
-
M-Mimi…
- balbettò lui, rosso d’imbarazzo.
-
Tu
sei troppo gentile, Koushiro. Un giorno qualcuno potrebbe
approfittarsene, sai?
– gli sussurrò ad un orecchio.
Fece per
allontanarsi dal rosso, ma con uno scatto gli stampò un
sonoro bacio sulla
guancia.
-
Mi
porteresti i bagagli, darling? – cinguettò lei,
incamminandosi verso l’uscita.
Lui era
rimasto al suo posto, imbambolato e rosso in volto. Era pronto a
scommettere
che se si fosse trovato in mezzo a una strada anziché ad un
aeroporto le
macchine si sarebbero arrestate di fronte a quel semaforo umano.
-
Allora?
– si voltò a guardarlo lei, in attesa davanti alle
porte scorrevoli – Non
vorrai passare il tuo Natale qui, no? –
A quelle
parole il rosso si riscosse.
“
Maledetta Mimi, riesce sempre a controllarmi!”
Borbottando,
prese a spingere il carrello coi bagagli verso di lei. Mimi era fatta
così:
bella e viziata, anche se notevolmente meno rispetto a quando era
bambina,
otteneva sempre quello che voleva facendo gli occhi dolci alla gente.
Tendeva a
dare subito fiducia alle persone e ad
affezionarsi facilmente. Odiava la violenza, ma era
disposta a farsi in
quattro per venire in contro a coloro che ne avevano bisogno.
Koushiro
fece arrestare il carrello a pochi metri da lei, improvvisamente serio.
Lei lo
guardò perplessa.
-
Che
succede, Koushiro? –
-
Dimmi,
Mimi… - la guardò dritta negli occhi –
Perché sei venuta qua in fretta e furia?
Non è da te lasciare la tua famiglia e i tuoi amici per
imbarcarti su un volo durante
un periodo di festeggiamenti. –
Lei
distolse lo sguardo.
-
Ma
che stai dicendo? Qui ci siete tu e gli altri, Tokyo è
comunque la mia città e
poi… -
-
Sono
serio. – la interruppe lui – E gradirei lo fossi
anche tu. –
Mimi
si voltò nuovamente a guardarlo, sgranando gli occhi di
fronte a quel ragazzo
che lei ricordava ancora come un bambino interessato unicamente
all’informatica.
Quando
s’erano conosciuti, diversi anni prima, Koushiro era un
ragazzino solitario e
schivo, quasi asociale nella sua incapacità di relazionarsi
con gli altri. Ma
tale handicap era andato via via riducendosi, fino a scomparire quasi
del
tutto. In lui restava solo una timidezza innocente, che lei non
riusciva a non
trovare adorabile.
Eppure non
avrebbe esitato a definire il ragazzo che aveva di fronte adulto
e…
“Affascinante…”
Si morse
le labbra a quel pensiero e si costrinse a tornare coi piedi per terra.
Le
aveva posto una domanda ben precisa, l’unica cui non aveva
voluto dare risposta
fino a quel momento, evitando accuratamente l’argomento nelle
mail che si erano
scambiati.
Koushiro
la vide scostare una ciocca di capelli dal volto pensieroso e portarla
dietro
l’orecchio destro. Un gesto meccanico, che lui aveva imparato
a interpretare
come un segno di nervosismo o di esitazione.
-
C’è
una questione che devo risolvere… una cosa successa diverso
tempo fa e di cui
non ho mai parlato con nessuno di voi, anche se probabilmente avrei
dovuto… -
La vide
mordicchiarsi ancora il labbro inferiore: sì, era turbata da
qualcosa.
-
Solo
che allora – riprese lei – non sapevo di cosa si
trattasse, avevo solo un
sospetto, ma la cosa mi sembrò di poca importanza e presto
me ne dimenticai… -
Abbassò
un
attimo lo sguardo, colpevole di qualcosa che l’altro non
riusciva ad
immaginare.
-
Non
so nemmeno io perché non ne ho parlato almeno con te e
soprattutto come ho
fatto a scordarmene! Spero solo non sia troppo tardi… -
Koushiro
le si avvicinò e le posò una mano su una spalla,
sollevandole il mento con
l’altra, dolcemente. Le sorrise rassicurante e lei si perse
per un attimo in
quelle iridi scure e calde.
-
Per
oggi non pensarci più: è Natale e tu sarai molto
stanca dopo questo lungo
viaggio. Ora andiamo a casa mia, ci attende uno dei strepitosi dolci di
mia
madre! –
Afferrò
nuovamente le maniglie del carrello e lo spinse verso
l’uscita, mentre lei gli
si affiancava, prendendolo sottobraccio.
-
Sai
– le disse ancora, senza guardarla – sono davvero
felice tu sia qui, qualunque
sia il motivo. –
Mimi non
era sicura che il lieve rossore sulle guance di Koushiro non fosse
dovuto al
freddo della notte d’inverno. Ma si strinse ancora di
più contro il suo
braccio, sorridendo allegra.
“
Anche io
sono contenta di essere qua, Koushiro…”
Qualcosa
prese a pulsare dentro il corpo di Mimi. Ma qualunque cosa fosse, lei
non se ne
accorse.
Continua…
N.d.a:
La canzone
è “Kissing you” di Des’ree,
romantica ma anche molto triste. Un po’ banale, se
paragonata a quelle che ho citato negli altri capitoli, però
è la prima che mi
è venuta in mente mentre scrivevo.
Monalisasmile