Dedicata
agli amanti.
Splendeur
Non si
vede nulla all’esterno
di questo fuoco che mi brucia il cuore?
(Victor Hugo)
La-Roche-sur-Yon, Francia. Gennaio 1851
Erano anni rosei, epoca
di innovazioni e rivoluzioni. Era il 1851, un periodo che intercorreva tra Notre-Dame de Paris e Les Misérables,
opere destinate a durare nel tempo e ad essere studiate ripetutamente come una
eco chiara e suadente. Era l’era del café-concert, del rossetto “Terra di Parigi” per le nobili
d’alto rango e della sensualità controllata, repressa, ma ugualmente praticata
celatamente fuori e dentro le mura domestiche.
Era un mondo moralista,
con valori falsi fatti di parole lasciate al vento.
Si poteva odorare il
profumo dei fiori, però, che sembrava rendere tutto più pulito e dolce, oltre
che più colorato. Il grigiore di Parigi e delle altre città sembrava dissiparsi
quando giungeva la primavera, con i suoi sgargianti gialli e blu che decoravano
i giardini. Ma quando giungeva il periodo delle camelie rosse, una fiamma
sempre accesa e ardente nei cuori degli amanti e degli amati sembrava
scoppiettare con prepotenza. Chi camminava con disinvoltura lungo i viali
acciottolati – un uomo con un bastone da passeggio in mano, una donna con un
ventaglio – spesso percorreva la solita strada nel chiarore del meriggio. Ogni
due isolati c’era sempre un negozio di fiori che vendeva i migliori boccioli di
rosa e le genziane più graziose. I signori solevano soffermarsi ad annusare le
camelie che con il loro rossore acceso attiravano gli sguardi, poi sceglievano
la più profumata e la compravano per appuntarla alla giacca dal taglio
meticolosamente curato e liscio. Le signore, invece, osservavano soltanto quei
fiori meravigliosi di cui avevano letto storie e racconti, ma compravano delle
margherite per la propria tavola, sperando che il loro marito acquistasse un
mazzo di sole camelie per dichiarare il loro amore e la loro dedizione.
Ma per Olivier Dupont
era diverso. Lui guardava le camelie rosse, toccava i petali per sentirne la
morbidezza sui polpastrelli bianchi come la sua pelle e non le comprava mai;
come una dama innamorata dell’amore passionale, lui osservava quei fiori con un
sorriso sulle labbra piene, nella speranza che un giorno un uomo bello e
avvenente comprasse per lui un mazzo di quelle meraviglie per dichiararsi suo.
Olivier era un ragazzo
ventitreenne senza più una famiglia. Era scappato di casa quando aveva solo
quindici anni, figlio di un padre egoista e una madre cortigiana. Aveva trovato
la sua fortuna unendosi alla compagnia di un certo Dominic
Blanc. Da allora recitava in un teatro di seconda
mano in uno dei quartieri di La-Roche-sur-Yon. Era un luogo conosciuto, e anche lui – che vestiva i
ruoli del protagonista nella maggior parte degli spettacoli – era famoso in
alcune delle frazioni di quella città che non contava più di cinquantamila
abitanti.
Nonostante in quel
periodo l’omosessualità fosse disconosciuta, assolutamente proibita e nota come
sodomia o pederastia – ma non totalmente vietata se accuratamente celata agli
sguardi indiscreti – lui indossava una linea leggera di rossetto e annusava ad
occhi serrati le camelie quando passeggiava nel vialetto acciottolato a un
isolato dal teatro. Camminava, si fermava dal fioraio e si soffermava a
osservare con i suoi occhi celesti le camelie con il loro sgargiante colore, prima
di comprare le genziane, e magari anche qualche margherita.
Non appuntava mai una
camelia rossa al taschino, preferiva di gran lunga un fazzoletto bianco e una
malvarosa, un fiore ambizioso tanto quanto lo era lui, che viveva tra
spettacoli e case d’asta.
Quel giorno di gennaio
faceva freddo. Il sole soffiava impertinente nelle mura del teatro.
Olivier aveva appena
terminato il suo spettacolo, sorridendo al pubblico che lo applaudiva con il
sorriso stampato sulle labbra. Indossava i soliti abiti di scena, e quella sera
a fasciargli il busto c’era un gilè ocra e dei pantaloni di tela ruvidi, mentre
un cappello da corsaro copriva i suoi morbidi ricci castani. Quando il sipario
in velluto si chiuse e gli attori sciamarono giù dal palco con un brusio
fastidioso, Oliver se ne andò in silenzio e in solitudine, sentendosi solo in
quello spazio quasi totalmente suo per qualche ora o poco più la sera. Recitava
spesso e amava farlo solamente perché poteva fingersi qualcun altro; era un
motivo sbagliato per fare l’attore, ma allo stesso tempo sembrava il più giusto
e il più sensato. Era ambizioso e voleva essere il migliore, e lo era perché si
immedesimava e rendeva il personaggio più vero di quanto lo era lui stesso.
Quando il personaggio
gioiva, Oliver gioiva. Quando il personaggio soffriva, Oliver soffriva.
Aveva appena finito,
quando si diresse in camerino. Lo fece con la solita naturalezza, a testa alta,
il naso appuntito e importante rivolto verso gli angoli del soffitto; sembrava
un uomo altezzoso, vanitoso e per nulla in grado di amare. Sembrava un signore
altolocato malgradi l’età e i suoi sogni romantici. In realtà lui era solo un
ragazzo di ventitrè anni con un desiderio d’amore bruciante e un bisogno invadente
di sentire la passione scorrergli nelle vene.
Quella sera, quando
entrò nella sua stanza con l’enorme specchio e gli abiti di scena, notò subito
cosa c’era di diverso. Lo notò perché era l’unica cosa che colorava la
monotonia di quel posto, dandogli una luce nuova.
Un mazzo di camelie
rosso fuoco era riposto in un vaso di creta marrone. Olivier non aveva mai
visto nulla di più bello e spettacolare; i suoi occhi parvero vibrare nelle
orbite alla vista di quel fuoco sorretto da dieci gambi verdi come la macchia
mediterranea. Il suo cuore prese a battere forte, si avvicinò al suo tavolo per
il trucco e si sedette sulla sedia, prendendo il vaso con entrambe le mani e
avvicinandolo a sé. Toccò i petali di quei fiori e notò con estremo piacere
erano morbidi. Si avvicinò ad annusarli e li trovò profumati, buoni, dolci. Vide
un foglietto bianco tra i steli verdi e le foglie meravigliose. Lo prese in
mano e lo annusò, sentendo una fragranza artificiosa, ma buona e pungente,
certamente appartenuta ad un uomo.
Aprì la busta e vide il
bigliettino rettangolare. La calligrafia era leggibile, nera scritta con penna
fina in un corsivo grazioso, ma tutt’altro che femminile e tondeggiante; era
una calligrafia stretta, accurata, e ogni “d”, “b” e “t” sembravano fili d’erba
nera inclinati dal vento.
“A te questi fiori rossi nati dalle
fiamme, per tue labbra piene di baci mai dati. Sorridi al tuo pubblico e
sorriderai a me e ti amerò più di quanto ti ho amato oggi”
Il
tuo ammiratore segreto
Il suo cuore cacciò un
urlo.
Ripose il bigliettino
trai steli dei fiori e ne accarezzò un’ultima volta i petali, prima di alzarsi.
Li guardava in quel vaso mentre si svestiva e rivestiva dei suoi veri panni. Erano
le camelie più rosse che avesse mai visto, e sembravano un fuoco scoppiettante,
proprio come le fiamme da cui l’autore del biglietto – e del regalo – aveva
scritto che erano nate. Erano morbidi petali, aggraziati e delicati. Olivier
non aveva mai annusato camelie più inebrianti, e sentiva di essersi innamorato
di un volto che non conosceva.
Oliver sentiva di
essersi innamorato dell’ignoto.
Lo spettacolo
successivo, fu teatro di una scena medesima a quella. Stesso camerino, un vaso
diverso – di porcellana, con qualche disegno irregolare nero –, ma le solite
camelie. Una frase nuova, sempre più pretenziosa.
“Petali delicati come la pelle dei
tuoi fianchi, dolci e suadenti incantatori per i miei occhi scuri. Ti amerò
ancor più domani, e pregusto il momento in cui vedrò di nuovo il cielo del tuo
viso.”
Il
tuo ammiratore segreto
Nuovamente Oliver si
cambiò fissando quei fiori caldi che parevano infiammarlo. La camelia era il
fiore dell’ammirazione e della passione ardente, e lui si sentiva acceso per le
attenzioni, si sentiva lusingato, eccitato all’idea che una persona lo amasse in
segreto con quella forza d’animo e quell’intensità che non aveva mai provato.
Quelle parole erano
poesia dentro al suo corpo; facevano vibrare le corde dentro di lui, come
un’arpa nelle mani di uno sconosciuto senza volto, ma che nelle sue fantasie
era un meraviglioso uomo alto e mascherato che apprezzava il rossore delle sue
guance e la goccia di rossetto “Terra di Parigi” sulla sua bocca piena.
Al terzo spettacolo,
Oliver entrò nel camerino con la certezza di trovarvi un mazzo di camelie in un
vaso diverso. Fu felice di non rimanere deluso quando varcata la soglia vide il
solito mazzo di dieci camelie rosse, di un colore ancor più vivace che pareva
splendere e illuminare la stanza.
Un altro bigliettino,
un’altra frase d’amore.
“Silenziosamente, piedi e gambe si
muovono sul legno duro del pavimento di un teatro. Quale corpo può essere così
aggraziato, amor mio, se non il tuo? Ti sogno di notte e di giorno, con le
caviglie nude e i polsi scoperti per me.”
Il
tuo ammiratore segreto
Oliver sorrise, il
cuore stretto in una morsa poderosa e gli occhi umidi d’emozione. Si era
lasciato conquistare con pochi fiori e frasi di una bellezza estasiante e
l’unica cosa che in quel momento desiderava era sentirsi stringere al petto di
qualcuno.
Accarezzò i suoi ricci
castani, dopodichè tornò alla routine. Lasciò che il pastrano cadesse atterra
insieme al suo berretto, mentre con gli occhi chiari fissava come al solito i
steli lunghi e affusolati delle camelie infilate accuratamente in un vaso di
terra cotta.
La sera della
rappresentazione teatrale de “Il re si
diverte”, Oliver corse in camerino prima del solito. Lo fece volutamente,
nella speranza di poter vedere il volto dell’uomo che gli portava sempre i
fiori in quei favolosi vasi che collezionava gelosamente e che riponeva con
ordine nei ripiani di casa sua. Superò il gruppo di attori che come al solito
si mossero in gruppo chiacchierando del più e del meno, un sorriso falso nel
viso – più che altro per cortesia che per reale interesse.
Olivier pensò per un
momento che forse, per la prima volta, la sua felicità e il suo sguardo sereno
fosse il più sincero in quel luogo, dove tutti recitavano anche nella vita
reale.
Quando aprì la porta
della sua stanza, vide un signore di sessant’anni riporre accuratamente i fiori
vicino allo specchio, nello stesso identico posto – tra la lastra incolore e la
cipria. Per un momento Olivier rimase sconcertato. Fissò l’uomo che si
rimetteva con la schiena dritta e chinava il capo coperto di capelli candidi,
qualche macchiolina violacea sul cuoio capelluto a mostrare il suo avanzamento
d’età.
Con voce tremante e
insicura, il castano chiese «È lei il mio ammiratore?» sistemandosi
nervosamente la giacca che indossava.
«No, signor Dupont. Io
sono soltanto Sébatien Morel,
il messo dell’uomo che le regala le camelie ad ogni spettacolo.» disse
semplicemente, un sorriso gentile a rendere vivace quel viso segnato dal tempo,
reticolato da rughe che sembravano crepare quella pelle bianca.
Dentro di sé, Oliver
scoppiava di gioia. «Signor Morel, la prego. Potrò
mai incontrarlo?»
Sébastien
parve pensarci, prima di annuire, avvicinandosi passo dopo passo alla porta.
«Informerò il signor Galliard e domani, quando
porterò le camelie, mi preoccuperò di farle avere un’ora e un luogo in cui
potrete incontrarvi.»
Il pomeriggio seguente,
Olivier fece esattamente tutto come ogni giorno.
Prima di uscire di
casa, si sistemò la giacca sopra a una camicia di flanella e lisciò
accuratamente la passamaneria vicino ai bottoni. Si passò una mano tra i
capelli ricci davanti allo specchio e guardò il suo riflesso imitare i
movimenti del suo corpo mentre prendeva il rossetto e con la punta del dito si
sporcava di “Terra di Parigi”, prima di passare il polpastrello sulle labbra.
Quando varcò la soglia,
fece esattamente la stessa strada con il suo solito passo cadenzato e lento, i
dorsi dietro la schiena e la punta del naso rivolta verso il cielo. Erano le
tre del pomeriggio e passò davanti al fioraio per annusare le camelie,
sorridendo a se stesso per gli avvenimenti di quella settimana. La
consapevolezza che avrebbe visto l’uomo che lo stava silenziosamente amando tra
le file di poltrone del pubblico gli faceva sentire le farfalle nello stomaco.
Era pronto a sentire la pelle di un altro uomo tra le dita, si sentiva le
braccia pronte a stringere un corpo che non fosse il suo.
Era pronto ad amare
come non lo era mai stato prima di allora.
Perciò, annusò un’ultima
volta il profumo dei fiori per poi lasciare le camelie nel loro vaso e prendere
una margherita e un crisantemo rosso da appuntare sulla giacca. Scelse un
crisantemo - invece della malvarosa – perché
lui quel giorno era pronto a donare il suo amore. Era pronto a farlo per
davvero.
Riprese il suo cammino
guardandosi i piedi di tanto in tanto prima di tornare a fissare il cielo,
ignorando i passanti che lo fissavano e parlavano a bassa voce di lui, il
giovane ventitreenne con un passato triste sulle spalle e una doppia vita,
scapolo per un motivo ben preciso che nessuno si azzardava a dire ad alta voce.
Arrivato al teatro fece
esattamente ciò che faceva ogni volta: si sedette sullo sgabello e guardò
nuovamente il riflesso del suo volto scarno e asciutto. Aveva le guance rosee,
un colorito naturale e sano, gli zigomi in evidenza, un sorriso bianco e sereno
come non lo era mai stato fino a quel momento. Fu la brillantezza dei suoi
occhi, però, a lasciarlo senza fiato. Possibile che l’amore sortisse
quell’effetto? Possibile che le quella sensazione di stretta allo stomaco, di
ansia e impazienza, gli regalasse un viso così felice? Più Olivier si guardava,
più stentava a riconoscersi. Non si era mai sentito così bene e così se stesso
come in quel momento. Si fissava e nuovamente si sentì preparato a quel
momento.
Vestendosi con la
solita accuratezza, continuava a pensare che era giunto quel giorno voluto da
Dio, dove lui avrebbe amato e sarebbe stato amato. Mentre apriva la porta,
immaginava un uomo sconosciuto aprirla per lui. Quando salì sul palco, guardò
la folla di persone davanti a lui e sorrise con dolcezza.
Il suo ammiratore era
lì per vederlo, e lui rivolse al pubblico il suo sguardo migliore.
A fine spettacolo,
corse verso il suo camerino e come il giorno precedente incontrò Sébastien. Stava accuratamente mettendo il vaso tra la
cipria e lo specchio, con gli occhi chiusi per sentire bene il profumo delle
camelie che quel giorno non erano più dieci, ma venti. Il vaso era ancora più
grande e faticava quasi a contenerle tutte.
Olivier rivolse ai
fiori uno sguardo fugace prima di chiedere «Signor Morel,
la prego, mi dica che ha accettato.»
Sentiva l’agitazione
crescere sin dalle viscere. Era scosso dal cuore che batteva come un pazzo
nella sua cassa toracica, e i suoi occhi erano inumiditi dalle lacrime
d’emozione che quando si condensavano sulle sue ciglia inferiori lo
annebbiavano. Era in preda a un impeto di sentimenti che sembravano essersi
ammassati infondo alla sua gola. Era riuscito a parlare, ma la sua voce tremava
e lasciava che trasparissero le sue mille sensazioni incomprensibili e diverse.
Perché era
effettivamente incomprensibile e irrazionale innamorarsi di un uomo che non
conosceva. Ma era forse perché era un uomo che confessava il suo desiderio
apertamente a spingerlo a comportarsi e a sentire tutto quell’amore
irrazionale. Un amore che non pretendeva di essere compreso, perché nato dalla
spontaneità di quei gesti che giorno dopo giorno lo avevano fatto sentire
apprezzato e ammirato. Quelle camelie e quelle frasi non avevano fatto altro
che parlare da sole; non c’era stato bisogno di un volto, era bastata l’ombra
di esso – quella interiore – che traspariva da quei gesti fondamentalmente puri
e semplici.
Quando Morel non parlò, quasi si sentì affranto.
Poi vide il sorriso
sulle labbra dell’uomo e guardò le sue dita prendere il bigliettino che giaceva
come al solito tra gli steli delle camelie e glielo porse senza dire nulla,
andandosene proprio com’era venuto: silenziosamente.
Olivier aprì la busta
con il cuore a mille. Vi trovò un biglietto piegato a metà, un messaggio più
lungo dei precedenti.
“Nel bar qui di fronte ci
guarderemo negli occhi. A casa mia assaporerò le tue labbra. Ti aspetto da
troppo tempo, ma sono disposto ad attenderti ancora. Attenderò a finchè il tuo
cuore capisca che ciò che cerchi è il mio amore e nient’altro.
Olivier, amor mio, mia gioia, dolcezza per i miei occhi stanchi. Ho bisogno di
te e dei tuoi occhi; ho bisogno di vederti mentre mi guardi.
Indosso un cappello a cilindro nero, lo riporrò in un lato vuoto del tavolo in
tua attesa. Lo indosso in memoria delle tue più meravigliose interpretazioni.
Mi riconoscerai da quello. Giungi alle mie spalle e toccami la spalla, così
saprò che sei tu.
Non vedo l’ora di sentirti dire il
mio nome con un bicchiere divino in mano e la luce della luna a illuminare il
tuo bel viso."
Il
tuo ammiratore segreto, Edmond Galliard
Nuovamente, come aveva
fatto la prima volta, Olivier portò il bigliettino alle labbra e annusò il profumo
di uomo impregnato su quel rettangolo di carta bianca. Avrebbe potuto
riconoscere quel profumo ovunque e avrebbe potuto riconoscere il suo ammiratore
anche se fosse stato cieco; e nonostante la fragranza delle camelie sul
cartoncino, era perfettamente distinguibile l’odore di uomo e d’inchiostro.
Avrebbe potuto capire chi fosse il suo amato soltanto avvicinandosi al suo
corpo. Ma i suoi occhi lo avrebbero visto, e fu quella consapevolezza a
spingerlo a muovere i passi verso il guardaroba e a spogliarsi dei suoi abiti
da attore per indossare quelli di Olivier, che apparentemente sembravano non
andargli più stretti.
Uscì dal teatro in
pochi minuti. Non era mai stato tanto veloce a spogliarsi e prepararsi, ma era
pronto a vedere l’uomo senza volto, che però finalmente aveva un nome
meraviglioso che ispirava a lui poesia e passione.
Edmond
lo stava aspettando nel caffè di fronte.
Attraversò la strada
acciottolata e guardò la facciata color panna, con quelle finestre in legno
scuro, contornate d’oro. Sbirciò attraverso il vetro e vide un uomo vestito di
nero tra le altre coppie di uomini e donne che sedevano nei tavoli; era l’unico
solo, senza compagnia, ed era chino sul tavolo, probabilmente per leggere. Poi
lo notò: il cappello a cilindro alla sua sinistra. Perciò prese coraggio e si
avvicinò alla porta, sospirando un’ultima volta prima di aprirla.
Il caldo di quella
stanza intaccò la sua pelle. Era gennaio, fuori era freddo, ma lì dentro
sembrava esserci un clima estivo per il fuoco che scoppiettava nel camino.
Mosse qualche passo,
facendo scricchiolare il legno sotto ai suoi piedi. C’era un brusio forte per
le chiacchiere degli altri clienti, perciò Edmond non lo sentì quando Oliver
gli fu vicino e gli posò una mano sulla spalla coperta da un pastrano nero. Il
ragazzo notò un piccolo libriccino sul ripiano del tavolo.
Quando Edmond voltò il
capo verso il riccio, quest’ultimo parve sentire le ultime difese crollare. La
profondità delle iridi del suo ammiratore era qualcosa che Olivier non avrebbe
potuto descrivere con altra parola se non “meravigliose”; c’era qualcosa in
quello sguardo che riusciva a trasmettere una sensazione di elettricità quasi
disarmante, tanto da farlo sentire spogliato delle sue poche sicurezze, ma
riempito da un desiderio bruciante di poter vivere con quegli occhi a
osservarlo per l’eternità. Edmond non poteva avere più di trentasette anni, il
suo viso era morbido e paffuto, con solo qualche piccola ruga a segnargli le
guance e gli angoli degli occhi, mentre le labbra erano fine, ma pronunciate e
delineate come boccioli di rosa, a forma di cuore. Sotto al naso piccolo e alla
francese c’era un ciocca ispida di baffi biondo ramati, proprio come i capelli
lisci e pettinati accuratamente con una riga a destra sul suo capo.
Non appena vide
Olivier, Edmond si alzò in piedi come un cavaliere e gli prese una mano, senza
però che la gente potesse vederli in atteggiamenti così intimi. La strinse con
calore e tenerezza, facendo si che le loro pelli si sfiorassero teneramente. Fu
il loro primo contatto fisico e ne sentirono l’intensità. «Felice di poterla
vedere, signor Dupont.» disse, ma sentendosi estremamente a disagio. Perciò si
avvicinò un altro po’ al viso di quel ragazzo giovane e di appena ventitrè
anni, e sussurrò «Felice di vederti, Olivier.»
Il riccio non riusciva
a sorridere. Era incantato dall’espressione felice e serena dell’uomo che aveva
davanti, un sorriso che si rivelò essere un gioiello in quel viso, e che svelò
una fossetta nella guancia sinistra dell’uomo dove avrebbe voluto lasciarci un
bacio leggero. «Edmond.» gemette, e quando le loro mani sciolsero quella presa,
si mosse verso il posto vicino al maggiore senza mai distogliere lo sguardo
dalle sue splendide e suggestive iridi scure.
«Sei meraviglioso come
sempre, Olivier.» confessò Edmond, con la sua solita nonchalance. Dall’interno
del suo pastrano nero prese un fiore e glielo porse. «Una camelia rossa per la
tua giacca, al posto di quel crisantemo.»
Seduto al suo posto,
Olivier guardò il crisantemo appassito e si morse il labbro cremisi. Lo tolse e
lo sostituì con la camelia rossa e per la prima volta si sentiva bruciare il
petto con la consapevolezza di quel regalo e quel fiore che mai aveva messo lì,
in quel posticino in cui abitudinariamente appuntava malvarose o margherite.
Calò un silenzio
totale.
Olivier, si guardava le
dita, gli occhi bassi e il cuore a farsi sentire nel suo petto con insistenza.
Aveva visto il bicchiere davanti a lui, ma lo aveva ignorato, temendo che non
fosse per lui. Si dedicò alle pareti della stanza. C’erano quadri e riproduzioni
d’opere d’arte, statuette e foto in bianco e nero. Quando però Edmond parlò,
con il suo tono lento e armonico, suadente, elegante, Oliver smise di prestare
attenzione alle pareti e tornò su quel viso gentile. Era bellissimo. Era
terribilmente bello. «Mi sono permesso di ordinarti del vino bianco. Sono certo
che in questo momento tu sia stanco, quindi ho pensato che questo potesse essere
l’ideale.» disse, quasi per spiegargli perché avesse deciso di offrirgli un po’
di vino e non un normale caffè. Quando non ottenne nessuna risposta, aggiunse
prontamente «Immagino che in questo momento preferiresti essere a casa invece
di rimanere qui con me.»
«No, Edmond. Sono
felice di essere qui.» rispose prontamente, avvolgendo con le dita lunghe il
bicchiere di vetro e portandolo alle labbra, divenute secche dopo la pausa e il
silenzio. Malvasia, pensò
distrattamente, prima di abbozzare un sorriso flebile, ma sincero. «È solo
timidezza la mia, e stupore perché non mi aspettavo un uomo così bello.»
«Mi lusinghi, Olivier.»
Chiacchierarono con
disinvoltura, imparando qualcosa l’uno dell’altro. Edmond era un uomo senza
moglie e figli, viveva in periferia e adorava Parigi come un’amante dispettoso,
ma sincero. Lavorava per il giornale locale, ma era un bravo pubblicitario ed
era un ex socio di una rivista che aveva fatto scalpore dieci anni prima per
articoli contro l’antisemitismo e la sodomia. Si era dichiarato un poeta a
tempo perso e gli aveva raccontato il suo primo giorno a teatro, quando vide
per la prima volta Olivier recitare “Il
re si diverte”. «Avevi addosso un adorabile berretto. Eri perfetto. Eri delizioso.»
aveva detto, mentre il giovane sorrideva imbarazzato.
Olivier aveva narrato
di sé tutto quello che a Edmond sarebbe potuto interessare. Il suo passato, il
suo presente, il suo futuro, i suoi sogni, le speranze, le sfortune. Non aveva
intenzione di lasciar spazio ai segreti quella notte, e tantomeno all’esitazione.
Era amore puro il loro, sbocciato fuori dall’ipocrisia e dalla fisicità,
cresciuto in quel mistero e concretizzato in quel momento importante per
entrambi.
Più lo guardava, più
Olivier si rendeva conto quanto il corpo di Edmond fosse fluido e abitudinario.
Aveva notato che arricciava spesso il naso quando si annoiava, che
probabilmente era miope perché stringeva gli occhi quando guardava fuori dalla
finestra o verso il bancone del bar. In più aveva il vizio di toccarsi spesso
la nuca o i capelli quando temeva di dire qualcosa di sbagliato o si vergognava.
Ogni tanto, quando pensava invece, arricciava le labbra prima di distendere il
un sorriso bianco, e in fine abbassava lo sguardo scuotendo il capo. Più
Olivier beveva, più quegli aspetti di Edmond gli sembravano meravigliosamente
delicati e piacevoli da vedere; era tutto amplificato, compreso quell’amore
irrazionale era notevolmente amplificato.
In un momento di
silenzio – tutt’altro che imbarazzato – Edmond sussurrò, avvicinando la sedia
al tavolo, «Sei radioso stasera. Più che sul palco.»
«E tu sei più di quanto
io mi sarei mai aspettato.» rispose prontamente Olivier, senza più vergogna. Il
vino e l’atmosfera molto più confidenziale lo aveva fatto divenire
intraprendente, più sicuro di sé e finalmente consapevole di quanto fosse
fortunato ad essere lì, con un uomo maturo e deliziosamente romantico, pronto
ad aprirsi a lui.
Edmond sorrise,
sorpreso. Avrebbe voluto allungare la mano e accarezzare quella del più giovane
che giaceva poco lontana dalla sua, sopra alla tavola di legno. «Se non fossimo
qui, Olivier, probabilmente mi sarei già alzato da questa sedia per baciarti le
labbra.» ammise, facendo cadere lo sguardo scuro sulla bocca del castano. «Sono
così rosse, Olivier. Così rosse.
Come le camelie che ti ho regalato. Rosse con lo stesso ardore e la stessa
ostinata passione.»
«E io mi sarei lasciato
baciare.» disse con naturalezza Olivier. «Ti aspettato talmente a lungo
qualcuno come te che non voglio più attendere oltre.»
E allora, con fluidità,
Edmond si alzò dalla sedia e sistemò fugacemente il pastrano. Mosse un passo
verso Olivier, che ancora sedeva al suo posto con un’espressione confusa sul
viso. Lo guardò con intensità, prima di sussurrare «Sistemati il cappotto,
amore mio. Fuori si gela.» resistendo all’impulso di toccare nuovamente quella
pelle, di mettere una mano tra il collo e la spalla di Olivier.
Così fece. Il giovane
si alzò a sua volta e sistemò accuratamente giacca e lisciando la passamaneria
della camicia, prima di affiancare il suo uomo e giungere all’esterno di quel
caffè. L’aria si era fatta avvizzita e c’era una strana tensione ad aleggiare
attorno a loro.
E poi, Olivier capì
cos’era.
Il bisogno di toccarsi.
Il bisogno di sentirsi. Il bisogno di sfiorarsi. Il bisogno di baciarsi.
Era il bisogno, la necessità che con impudenza
si faceva largo nelle loro pance, facendosi sentire nella bocca dello stomaco
di entrambi. A Olivier prudevano le mani che affondavano nelle tasche della sua
giacca, chiuse in due pugni stretti. Non poteva toccare Edmond nel bel mezzo
della strada, la gente punisce coloro che si mostrano deboli e carnali nei
confronti di persone con cui avere un rapporto è illecito. Non poteva baciare
Edmond, o avrebbero giudicato entrambi sodomiti e sporchi.
Camminando in un viale
che non conosceva bene, Olivier pensò a dove stavano andando. Cercò di
memorizzare la strada, ricordando particolari come alberi dalle forme
inquietanti, case con terrazzini e ringhiere in legno, o metallo. Cercò di
ricordarsi qualche particolare del paesaggio. Poi giunse davanti a una casa e
non ebbe bisogno di non ricordare più: gli sarebbe bastata quell’immagine.
Era una villa graziosa
e accuratamente tinteggiata di bianco. Camminarono lungo una stradina, in un
giardino curato e la cosa che lo fece ancor più stupire fu la presenza di una serra, distante da loro,
dove era certo che Edmond coltivasse le sue genziane e le camelie.
Proseguirono, però,
perché il bisogno di toccarsi ardeva nei loro corpi.
Edmond aprì la porta e
lo fece accomodare. Il corridoio era ampio e di un colore caldo come il
bordeaux e il marrone scuro. Era bello e accogliente, i quadri ai muri erano
suggestivi, e c’era un enorme orologio, un pendolo di rame oscillava al centro
di esso, sotto alle lancette e al disco con segnate le ore.
Non ebbe il tempo di
vedere oltre, perché il maggiore si mise davanti a lui e lo guardò. Lo fece con
una passione inconfessabile che gli faceva brillare gli occhi e che gli
colorava gli zigomi di rosso. Era bello, ecco cosa pensava Olivier, mentre a
poco a poco avvicinava una mano alla guancia dell’uomo, poco più alto di lui.
Era bello, come non lo era nessun’altro. Ai suoi occhi, era bello come un sole
in estate.
Le sue dita sfiorarono
la guancia morbida di Edmond e la trovò vellutata nonostante le rughe. Era
morbida e fredda, nonostante i pomelli cremisi nei suoi zigomi. Poi, con il
pollice, decise di osare di più passando il polpastrello sulle labbra fine e
rosee. Il cuore del più giovane batteva con tale prepotenza da fargli lacrimare
gli occhi per l’emozione. Era così bello e surreale essere lì, vicino a lui, a
toccarlo. Non aveva immaginato un uomo così bello nemmeno nei suoi sogni, e nei
suoi sogni, soprattutto, non c’era mai quella densità di sensazioni che
sembrava volerlo schiacciare al suolo. Era tutto intenso il doppio di quanto
avrebbe mai potuto immaginare e quello lo rendeva piccolo e insignificante davanti
alla meravigliosa concessione di Dio: la possibilità di amare ed essere amati,
di provare quello e molto di più, con ingordigia e mai sazi di passione.
I palmi di Edmond si
posarono sui fianchi di Olivier, modellandosi su di essi. La pelle sotto gli
abiti divenne ruvida per la tensione e per i brividi che si diramarono su tutto
il suo busto.
Quando parlò, la voce
di Edmond era roca e calda. «Sto per baciarti, Olivier. E forse sarà la cosa
più sbagliata di questo mondo, ma forse anche la più giusta.»
Olivier non disse
nulla. Attendeva quel momento dall’attimo stesso in cui i suoi occhi chiari
avevano incrociato quelli scuri di Edmond. Lo guardò avvicinarsi, a poco a
poco, invadendo il suo campo visivo e poi serrò le palpebre, lasciò che le loro
labbra si scontrassero con delicatezza e senza alcuna pretesa.
Fu uno strusciarsi di
due piume, uno sfiorarsi leggero tra petali di camelia rossa. Fu qualcosa di
incredibilmente intenso, ma totalmente casto, un condividere lo stesso respiro.
Le loro labbra si incastrarono l’una sull’altra, prima di farlo ancora, e
un’altra volta, per poi cambiare angolazione e incrociarsi una quarta volta
prima di convincersi che era la cosa più bella e giusta che potessero fare. Le
braccia di Olivier si intrecciarono dietro al collo del maggiore e questo
convinse entrambi del passo successivo. Dischiusero le bocche nel medesimo
momento, lasciando che le loro lingue si accarezzassero lascive e toccassero
l’una i denti e i palato dell’altro, scoprendosi con curiosità e imparando cosa
era piacevole e cosa no. Quando si dividevano – con uno schiocco sordo
fastidioso per entrambi – subito dopo tornavano a baciarsi con la medesima
intensità, amandosi con veritiera passione e desiderio.
Fu un accumulo di
emozioni che fecero sentire il petto di Olivier più pesante, ma allo stesso
tempo leggero. Era come se dentro di lui avvenisse un’esplosione ogni due
secondi.
Fu quando il minore
sentì una mano di Edmond aggirare la giacca e iniziare a sfilare la camicia
dai pantaloni che il suo petto, però, decise di aumentare il ritmo. Il palmo
del maggiore si posò sul costato di Olivier, che gemette sulle labbra di
Edmond, stringendo una mano sui capelli della nuca. Un indice sfiorò le sue
costole, per poi risalire sul suo petto e accarezzargli lo sterno con dolcezza.
Fu una sensazione impagabile per Olivier, che non era mai stato toccato in quel
modo. Nuovamente, il giovane gemette sentendo tre dita percorrere la sua
pancia, fino all’ombelico e ai lacci dei suoi pantaloni.
Lì Edmond si fermò, per poi
abbassarsi a prendere Olivier per le cosce. Lo aveva tra le braccia e il minore si
stringeva a lui come se fosse l’unico a cui poteva affidare la sua vita.
E forse era vero. Forse
era davvero l’unico per lui, nonostante fosse tutto precoce e avventato. Chi
aveva, Oliver, in quel momento? Chi lo sosteneva ogni giorno? Chi lo amava e
gli porgeva un fiore per farlo sentire apprezzato? Chi aveva, se non
l’ammiratore delle camelie rosse, l’uomo che si era dichiarato innamorato di
lui, e che gli stava donando tutto?
Perciò, aggrappato a
quel corpo, si sentiva al sicuro. Sentiva come se darsi fosse l’unica cosa
giusta da fare in quel momento. Baciava quella bocca che pareva una susina, la
stessa che sapeva di fiori e di un piacere che avrebbe scoperto presto. Si
lasciò distendere su un letto e svestire di quei pochi abiti che soleva
indossare prima di uscire di casa. Come una nenia, Edmond gli sussurrava che lo
amava. Lo faceva con il labbro inferiore tremulo e una manciata di lacrime
incastrate nelle ciglia, indecise se scendere a rigargli le guance o rimanere
lì, in bilico Olivier si lasciò osservare con gli occhi dell’amore da
quell’uomo meraviglioso. Con lo sguardo parve chiedergli un permesso, mentre giaceva inginocchiato tra le sue gambe magre.
Olivier, come segno di
assenso, si alzò sui gomiti e gli bacio il collo. Lo fece con una dolcezza che
procurò a Edmond brividi prepotenti alla base della schiena. Quest’ultimo si
sentì libero di spogliarsi a sua volta, calando i calzoni e togliendo la
camicia, stendendosi sul corpo giovane dell’uomo di cui era innamorato.
Fecero l’amore con gli
ansiti a fare da dolce musica in quella stanza. «Ti amo.» sussurrava tra una
spinta e l’altra Edmond, mentre si faceva largo nel corpo caldo di Olivier, che
tra le lacrime e i gemiti rispondeva con un bacio. «Sei bellissimo. Ti amo.»
Nella pancia di Oliver
le emozioni non si potevano contare nemmeno sulle dita di venti mani. Era come sentirsi
trascinare in un burrone e cadere in una nuvola di piume. Ad un passo dall’edonè,
strinse le dita sulla schiena del maggiore, prima di serrare le palpebre e
lasciar cadere la testa sul materasso.
«Ti amo.» sussurrò
nuovamente a Olivier, mentre questo si sentì avvolgere dal freddo di quella stanza. Sentiva
dolore al basso ventre e alle gambe, ma il turbinio di sensazioni che ruotavano
ancora nella bocca del suo stomaco sembravano attenuare l’intorpidimento. Stava
bene e si sentiva felice, nonostante non muovesse un muscolo per spostarsi.
Edmond si era spostato dal suo petto per potersi ripulire, ma Olivier rimase
steso ed esposto per minuti interi, temendo di distruggere quella magia che si
era creata fuori e dentro di lui.
Pianse una lacrima di
gioia – ma forse anche un po’ amara – , che scese morbida lungo il suo zigomo.
Ora cosa sarebbe successo? Edmond lo amava davvero?
L’unica cosa di cui era
certo Olivier era che in quel momento era sicuro del suo, di amore. Era certo
che essersi donato a quell’uomo fosse stata una scelta una decisione impulsiva
e irragionevole, ma vera come non lo era mai stato nient’altro. Aveva sentito
il calore, aveva percepito l’amore sincero e aveva provato dolore e passione, a
un passo dal cadere e poi dal volare.
Fu quando il maggiore
gli si fece nuovamente vicino, che Olivier decise di mettersi a sedere. Si lasciò
guardare con quegli occhi scuri che parevano volerlo scrutare dentro, e poi Edmond
sorrise, portando una mano sul viso del minore per poterlo accarezzare. «Dormi
con me stanotte.» gli chiese, la voce suadente e delicata. «Voglio poterti
stringere gelosamente a me, nessuno potrà portarti via.»
E Oliver assentì, perché
lo voleva a sua volta.
Si infilò sotto alle
coperte in quel letto a baldacchino, guardando Edmond camminare nella sua
stanza e prendere una delle sue camelie riposte in un vaso vicino alla porta. Non
le aveva notate, Oliver, se non in quello stesso momento. Erano rigogliose e
fresche, di una bellezza sana, di un rosso sgargiante e scoppiettante come un
fuoco appena acceso.
«Conosci il significato
delle camelie, Olivier?» chiese, sedendosi sul bordo del materasso, osservando
il fiore che sembrava una fiammella in un gambe verde acceso. «Spesso alla
camelia è attribuito il significato di stima e ammirazione. Sarà per la sua
meravigliosa forma, così complessa e aperta agli occhi di chiunque. Si mostra
bellissima a tutti coloro che la guardano.» disse, guardando Olivier di
sfuggita e sorridendogli appena. Era così bello quando parlava che il castano
avrebbe potuto guardare quella susina muoversi per ore, senza mai perdere il
suo desiderio di morderla. «Doni una camelia a un amico per dimostrargli la tua
stima, la doni ad un amante per dichiarare la fiamma che ti brucia da dentro.
La doni a te stesso per dimostrarti disponibile ad amare. Ma la camelia è molto
di più, Olivier.» e quest’ultimo si sentì prendere una mano. Edmond vi mise la
camelia e gli chiuse le dita in un pugno, così che Olivier stringesse quello
stelo lungo e morbido. «La camelia rossa indica impegno, dedizione, una
promessa di fedeltà e sacrificio. Ti regalo camelie ogni giorno perché tu
capisca che io sono disposto a battermi per te e che ti amo come non ho mai
amato nessuno. Sono disposto a tutto pur di sentirti mio, Olivier.»
E nel batticuore delle
sue emozioni, nell’impeto di sensazioni che parvero assalirlo in quella
confessione sincera, l’unica cosa che Olivier riuscì a dire fu «Eccomi, sono
tuo.»
Note d’utore.
Ecco a voi quest’OS
ambientata in un periodo storico. Non sono particolarmente soddisfatta del mio
lavoro, ma non me ne vergogno neppure visto questo periodo in cui ho difficoltà
a scrivere più del solito.
Spero la apprezzerete e
che vi piacerà!
Gradirei avere qualche
opinione riguardo a questa storia.
Un bacio, e se vi va
seguitemi su twitter, sono @ila3b
A presto J
Buona fortuna ai partecipanti al concorso!