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Autore: NightWatcher96    04/09/2014    2 recensioni
Bloccati nelle tenebre, i quattro ninja faranno di tutto per ritrovarsi, affrontando due nemici: il primo è uno naturale chiamato Terremoto e il secondo Shredder. Con una nuova casa anche, come cambierà la loro vita?
Genere: Avventura, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Un po' tutti
Note: AU, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'Autrice

Eccomi qui con un altro capitolo, più "ricco" di misteri. Ehehehe! Leggete e scoprirete. Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che mi seguono!




Le ore trascorrevano lentamente, fra i rintocchi dell’orologio nella Biblioteca, dove Donnie stava studiando in silenzio, seduto a una panchina, in una grossa cupola di vetro che ricordava una serra.
Miriade di libri correvano sugli scaffali di cristallo, trattando ogni argomento, anche il più insignificante.
“Cavolo... sono qui da ore e né Raph né Mikey si sono fatti vivi...” mormorò, chiudendo un libro di medicina. “Mi chiedo... dove siano finiti”.
Aveva letto una pila enorme e traballante di libri anche per affogare i pensieri riguardanti il terribile momento del terremoto a New York... e tutte le sue conseguenze disastrose. Al pensiero di perdere la sua famiglia, rabbrividiva costantemente.
“Beh, mi sa che sia utile cercarli” si disse.
“Donatello”.
Il giovane girò il capo verso la porta doppia, dove il maestro Splinter stava avanzando lentamente verso di lui.
“Figliolo, ho bisogno del tuo aiuto”.
“Certo, maestro”.
“Vieni con me. Dobbiamo andare in paese per comperare alcuni ingredienti per una torta. Farà piacere a tutti”.
Il genio si leccò le labbra: le torte del maestro Splinter erano una delizia per il palato, specialmente quelle al cioccolato con fragole.
I due uscirono dall’enorme cupola, percorrendo un vialetto di polvere bianca, immerso nel verde prato che rivestiva il suolo fino al Padiglione Medico.
C’era un bel cielo mattutino, anche se, a giudicare dalle nubi scure che stavano avanzando, un temporale non l’avrebbe impedito nessuno.
“Sensei, non è meglio avvisare tutti gli altri?” chiese Donnie.
“Perché, figlio mio? E’ una sorpresa”.
“Ah, giusto!”.
Donatello e Splinter mantennero, quindi, il silenzio per gran parte del viaggio, mentre scendevano sempre più a valle, imboccando più sentieri sempre più angusti che non portavano certamente al villaggio.
Un brivido di freddo corse lungo la spina dorsale di Donatello, fermatosi per guardarsi dietro: del bel panorama non c’era più traccia. Anzi, ora c’erano oscuri e tristi alberi intrecciati fra loro e cespugli spinosi da stare alla larga. Il cielo si era perfino tinto di grigio scuro, con striature cremisi e altre corvine e il vento timido si era rafforzato violentemente.
Questo non era il sentiero giusto, non se proseguiva in un sottobosco dove non si vedevano che oscurità e una miriade di occhietti rossi e demoniaci.
“Sensei, questa non è la strada giusta” disse il giovane, facendo un passo indietro.
Il sensei si voltò con un volto indecifrabile, dando le spalle all’oscuro antro dove un sibilo sinistro stava crescendo sempre più furente.
“Donatello, mi hai deluso. Credevo ti fidassi del tuo maestro!” rimproverò con voce più grave del solito. “Meriti di essere punito”.
Una folata di vento avvolse il corpo del povero mutante urlante, sollevandolo in alto, con l’impossibilità di muovere un solo muscolo da quei freddi aghi contro il suo corpo immobilizzato.
“NO!” gridò Don. “Sensei, aiutami!”.
Splinter rise per tutta risposta, mentre i suoi occhi si accendevano di rosso e alzava le braccia al cielo, come se avesse vinto.
“Presto seguirai i tuoi fratelli nella morte” sogghignò Splinter.
Il vento terribile sbucò dall’antro, turbinando come un mulinello per ricreare una sorte di specchio ovalizzato che brillava di verde marcio e nero profondo.
“Ecco! Osserva cosa tu hai fatto ai tuoi fratelli!” urlò Splinter, in una fredda risata.
Donnie fu fatto avvicinare allo specchio, mentre il vento lo teneva in una posizione da croce, con braccia e gambe divaricate dolorosamente, solo per osservare qualcosa di sconcertante.
Vide se stesso che conduceva Mikey e Raph in un bosco, facendoli avvicinare con l’inganno a un pozzo e costringerli a sporgersi sempre più oltre il parapetto. Poi li fece cadere giù, schioccando le dita per richiamare o stesso vento malvagio (che lo stava tenendo bloccato), per dar loro uno spintone.
“NO!” gridò Donatello. “I miei poveri fratelli! No!”.
“E’ solo colpa tua, stupido rettile” inveì Splinter, bucando lo specchio con un affondo della mano.
“C... colpa mia? Ma di che cosa stai parlando? E tu chi sei?!”.
Per tutta risposta, il corpo del maestro Splinter fu avvolto da un’altra folata di vento, mentre lo specchio si illuminava di un rosso sanguigno, avvolgendolo tranquillamente, con un sottofondo di risate maniacali.
“I... io...” biascicò Donnie, scosso dalla paura. “N... non è possibile...”.
Un mostro semplicemente spaventoso e troppo irreale; di Splinter non c’era più traccia, ormai dissolto per ricreare un mostro micidiale.
“T... tu sei... il quinto membro malvagio del Tribunale Ninja... Demon!Shredder! No, non è possibile!” esclamò Donnie, sconvolto.
Un’armatura di un violaceo, con forti strati di nero; un mantello sfilacciato cremisi, occhi orribilmente verdi, volto nascosto sotto un elmo e una cintura cremisi molto spessa.
Era proprio il demone che avevano sconfitto! Com’era possibile che fosse ancora vivo? Ma cosa peggiore... che cosa aveva intenzione di fare con i membri della sua famiglia?
“Uno per uno perirete tutti!” sogghignò il malvagio, avvicinandoglisi fluttuando dal suolo duro.
Gli strinse il viso nella mano bianca affilata, costringendolo a guardare negli occhi.
“Tu adesso mi appartieni, stupido ninja” mormorò a bassa voce.
I tentativi di liberarsi del genio iniziarono a essere sempre meno influenti: quello sguardo penetrante stava entrando nella sua mente, soggiogandola con estrema facilità.
“Mi porterai il ciondolo che indossa tuo padre. E con quello, potrò finalmente riunirmi al mio corpo... quello di Ch’rell!” continuò.
La testa di Donnie ciondolò mollemente, toccando la clavicola: i suoi occhi vuoti brillarono di rossa malvagità. Donnie era stato catturato.
“Vai. Distruggi. Inganna. Portami il ciondolo”.
Il vento liberò Donnie quando Shredder schioccò le dita e si avviò verso il Padiglione Medico, pronto per eseguire. Il demone oscuro, però, non si accorse di due lacrime che erano riuscite a rigare le sue guance...
 
....
 
“Raphie...” mormorò piano Michelangelo, mentre cullava la sua testa amorevolmente.
Aveva applicato la sua maschera per fermare l’emorragia e in parte ci era riuscito, anche se non avrebbe potuto dire lo stesso del forte tanfo ferroso di sangue ma anche della sporcizia e dell’umidità.
Il rosso si mosse un po’ dal suo grembo, aprendo gli occhi nella speranza di vedere ma, invece, il nero era rimasto tale.
“Raphie, mi dispiace così tanto...” soffocò l’arancione, singhiozzando.
“Va tutto bene. Non preoccuparti, piccolo”.
Mikey negò, mentre le sue lacrime cadevano dolcemente sulla testa e sul naso di Raph, raffreddandosi istantaneamente. Il dolore che provava era troppo grande per essere imbottigliato nel petto, come era suo solito fare.
Raphael, allora, si alzò debolmente solo per stringerlo in un abbraccio, premendogli la testa contro l’incavo del suo collo.
Mikey sembrava un bambino dall’impeto che metteva nel singhiozzare.
“Raph, perché Donnie ci avrà fatto questo? Io non capisco!”.
“Nemmeno io” ammise il rosso.
“Credevo che ci volesse bene... ma che diavolo gli sarà preso?”.
Il rosso inghiottì semplicemente una boccata d’aria per rilassarsi ma non fu di grande aiuto. E come se i guai non fossero già abbastanza, una sensazione fredda stava intorpidendo le sue gambe.
C’era un mormorio di sottofondo non troppo piacevole: come se fosse stata acqua.
“Mikey...”.
“Si?”.
“Non senti anche tu questo rumore?”.
Mikey si mordicchiò le labbra per evitare di sopraffare l’apparente silenzio con i suoi singhiozzi e si mise in ascolto, riscontrando effettivamente lo stesso brusio che stava crescendo sempre più.
“Oh, cavolo!” esclamò l’arancione, inorridito.
“Che c’è? Che succede?”.
Mikey deglutì, trascinando il fratello più vicino a sé, con fare protettivo. Dell’acqua misteriosa stava sbucando da una piccola apertura fra le pietre e a giudicare dalla pressione in continuo aumento, non avrebbe smesso.
“Raph, è come se stesse arrivando l’alta marea!”.
“Dobbiamo uscire da qui! Mikey, se il tuo guscio incanala acqua batterica, rischi di contrarre infezioni gravissime. Aiutami ad alzarmi e cerchiamo un’uscita!” esclamò Raph, con fare frenetico.
Il suo caro eroe... anche in momenti come questi o peggiori metteva sempre la famiglia al primo posto. Mikey era intenerito e ammaliato.
“Sì” rispose con meno paura.
Insieme cominciarono a palpare la gabbia circolare, alla ricerca di una qualche apertura da utilizzare, mentre il livello dell’acqua continuava a salire, inghiottendo le caviglie dei due.
“E’... fredda...” mormorò piano Mikey.
“Sì e non è un buon segno” esclamò l’altro. “Mikey, ascoltami: c’è un solo modo per uscire da qui. Dobbiamo risalire il pozzo”.
“Ma...”.
“Non preoccuparti. Possiamo farcela e quando usciremo da qui, un calcio in culo a Don non glielo toglie nessuno!” continuò Raph, guardandolo con occhi ciechi.
Mikey si lasciò convincere e guidò la mano di Raph a un appiglio sul muro che aveva individuato come protuberanza sotto le dita; successivamente lo issò con le sue spalle, in modo che scalare potesse essere un po’ più semplice.
Adesso l’acqua era giunta ai polpacci... e avevano troppo poco tempo!
“MIKEY!” chiamò Raph, spaventato dal suo silenzio.
“Sono dietro di te!” rispose subito. “Raph, il prossimo appiglio è ore dodici!”.
Immediatamente, il rosso si ritrovò la nuova sporgenza sotto le mani ed emise un grido di gioia trionfale. Si ricordò di quando venne accecato da una bomba dei MoB per salvare Tyler, un bambino alla ricerca della madre giornalista rapita per esser in possesso di una cassetta in grado di incastrare i pezzi grossi della mafia americana.
Anche lì, il bambino aveva aiutato Raph a combattere contro il capo dei MoB semplicemente basandosi sull’orologio e stava andando tutto bene, fino a quando uno dei seguaci non tappò la bocca al piccolo.
Ma comunque, alla fine, riuscirono a prevalere sul male!
“Ore sei! Ore dodici! Ore sette! Uno!” mitragliava Mikey, guardando il livello dell’acqua di tanto in tanto.
E Raph si sentiva molto più a suo agio.
“Raph!” chiamò, poi, Michelangelo, con impeto.
Il nero assoluto di quella gabbia mortale cominciava a trasformarsi in blu notte, con striature gialle e arancioni. Forse... stavano raggiungendo la fine, o in questo caso, l’inizio del pozzo!
“Che c’è Mikey?” formulò il rosso, non contento del silenzio apprensivo.
“Raph, ore otto, sette e quattro! Quando ti do il segnale, tu aggrappati al bordo, va bene?” esclamò Michelangelo, con un ghigno trionfale.
Anche se Raph non capì molto, annuì semplicemente, continuando a salire.
Il bordo era sempre più vicino ormai... ma le rocce stavano cominciando a diventare scivolose, piccole e poco profonde da usare come appigli.
“AHHHH!” gridò Raphael, improvvisamente.
Mikey immediatamente eseguì un piccolo salto per usare il suo corpo come rete per impedire al fratello di scivolare nell’acqua gelida, sporca e sempre più alta. L’impatto contro il suo guscio lo fece gemere fortemente ma non osò gridare per non incidere l’autostima del fratello sconcertato.
“Otouto...” articolò in un sussurro.
“Raph... o... ore otto! Dai, ancora un po’!” tagliò corto l’altro, soffocando il dolore della voce ma non le lacrime.
Il rosso comprese il motivo dell’irrigidimento del fratellino: era caduto sul guscio e percepiva una guaina molliccia che i Guaritori avevano applicato come protezione per la voragine del carapace.
“Grazie” disse, tornando ad arrampicarsi.
Tempo di pochi movimenti che Mikey gridò un “Aggrappati!” con grande impeto, a causa dell’acqua che stava avanzando più velocemente.
Il focoso avvolse tutto il braccio intorno al bordo del pozzo e vi si accovacciò come avrebbe fatto su un tetto... ma non potendo vedere nulla, si ritrovò semplicemente sull’erba, con un dolore al naso e un altro più forte sul corpo.
“S... scusa...” articolò Mikey, che era caduto sulla sua schiena.
“Nessun problema”.
Michelangelo lo aiutò ad alzarsi, tirandolo via dal pozzo che eruttò acqua praticamente nera come la pece, carica di foglie secche, animali in decomposizione e un odoraccio nauseante.
“S... siamo fuori...” articolò, tremante.
“Sì e tutto grazie a te, piccolo” si complimentò Raph, abbracciandolo.
“Adesso dobbiamo andare al Padiglione Medico per farti curare” propose Mikey, prendendolo per mano e dirigendosi a passo deciso verso nord-est...
 
....
 
Ciò che Leonardo odiava più di ogni altra cosa al mondo era il poltrire in un lettino soprattutto quando si sentiva benissimo e aveva energie da vendere.
Era bloccato lì, da solo, da ore, tanto che l’azzurro cristallino si era trasformato in un tramonto temporalesco.
Sospirò per l’ennesima volta, abbandonandosi ai cuscini rialzati dietro la sua testa. A volte i Guaritori erano più cocciuti dei muli! Gli avevano praticamente e categoricamente vietato di lasciare il letto fino a quando le quarantotto ore non sarebbero scadute!
Qualcuno bussò alla sua porta, per sua grande felicità. Leo si mise subito seduto, grato che la monotonia del silenzio si sarebbe presto rotta.
“Leonardo-san”.
“Usagi-san!” esclamò l’altro, sorpreso e contento di vedere il coniglio dal volto scuro.
“Leonardo-san, c’è qualcosa che non va”.
“Dimmi tutto” incitò l’azzurro, cupo.
“Ho parlato con il maestro Splinter prima e mi aveva raccontato di te. Quando abbiamo preso strade diverse, lui mi aveva raccomandato di informati che sarebbe andato a prendere Donatello ma... non è più tornato” spiegò Usagi.
“F... forse saranno andati in paese” rifletté Leonardo.
Ma il coniglio negò. “No. Poco dopo che ho visto Splinter scendere per le scale, dalla biblioteca ho visto Donatello seguire... il maestro. Non sono riusciti a seguirli, ma da quell’altro Splinter galleggiava una forte aura negativa”.
Leonardo aveva sentito abbastanza: balzò giù dal letto, allacciandosi le katana poggiate sul comodino sul guscio e si sistemò meglio la fascia da leader. Nei suoi occhi bruciava la determinazione.
“Portami alla Biblioteca”.
“Sì, va bene”.
Ma non fecero nemmeno in tempo ad avventurarsi alla scala, alla fine del corridoio ospedaliero, per scendere di piani che intravidero due volti familiari sbucare da una curva a gomito.
Rosso e arancione...
“MIKEY! RAPH!” gridò Leonardo, correndo loro incontro.
I due fratelli tesero le braccia, lasciandosi avvolgere dalle forti braccia del loro leader spaventato nel vederli tanto sporchi e bagnati. Avevano davvero bisogno di percepire vibrazioni potenti per calmare i nervi scossi.
“Leo...!” singhiozzò Mikey. “E’ stato Don! Ci ha buttati nel pozzo e... Raph ha perso la vista!”.
Il leader si irrigidì, studiando lo sguardo vuoto e sbiadito di un Raph mesto e infelice, anzi, anche arreso. Un senso di pesantezza crebbe sul suo petto, mentre allungava le mani tremanti per abbracciare il rosso che, al momento della calda spalla contro il suo viso, prese a piangere in silenzio, senza tremare troppo.
“Raphael...” pronunciò semplicemente il mutante più grande, rivolgendo uno sguardo perplesso ad Usagi che continuava a fissare le scale d’emergenza a poca distanza da loro.
“E’ LUI!” urlò Michelangelo, sull’orlo di una crisi di nervi. “Come hai potuto, traditore? Per causa tua Raph è cieco!”.
Donatello lanciò un grido, cadendo a peso morto con il guscio sul pavimento, sopraffatto da un pugno in piena regola da parte di un Mikey collerico.
Il suo naso sanguinava copiosamente e bruciava così tanto da fargli lacrimare gli occhi.
Leo si limitò a stringere Raph a sé, quando lo sentì irrigidire nella rabbia.
“Ma che ti prende, Mikey?” rimproverò Donatello, rialzandosi aiutato dalle pareti. “Di che cosa stai parlando?!”.
“Di che cosa sto parlando?!” ripeté l’arancione, sbattendolo contro la porta bianca di una stanza. “Neghi di averci buttato nel pozzo?”.
“Sì, perché io non so niente di niente! Insomma, ho passato tutto il pomeriggio nella Biblioteca!”.
“No. A un certo punto ti ho visto seguire il maestro Splinter verso il Bosco Mistero” intervenne guardingo Usagi, con una mano sull’impugnatura ornata della sua katana più lunga.
“Balle!” soffiò il viola, spintonando malamente Mikey, che barcollò contro Usagi. “Io non so nulla!”.
“Figli miei, si può sapere perché state gridando?”.
Ognuno si voltò verso sud, dove la calma figura di Splinter stava avanzando velocemente, con il suo bastone che batteva un ritmo sicuro sul pavimento di marmo opaco. Era molto perplesso.
“Sensei!” piagnucolò Mikey. “Non fidarti di Don! Oggi ci ha buttati nel pozzo e ha causato la perdita della vista a Raph!”.
Il sensei spalancò gli occhi, contraendo le orecchie e afferrò nelle mani il volto di Raphael, per contemplare le iridi sbiadite e la fasciatura intorno alla testa. Era opera di Mikey, considerando che quest’ultimo fosse senza maschera.
“E’ così, padre. Posso assicurartelo” confermò morbidamente il rosso.
Il topo si voltò furente verso Donnie che tentava di placare il sangue del naso con una mano.
“Come hai potuto, Donatello!” inveì con rabbia. “Come hai potuto far del male ai tuoi fratelli!”.
“Io non so niente, maestro!”.
In un movimento veloce, Splinter lo costrinse a inginocchiarsi, bloccandogli la mani dietro la schiena, mentre gli inclinava il capo in modo che i suoi artigli gli minacciavano la gola e potesse guardarlo negli occhi.
“Ahia!” si lamentò il viola.
Il sensei lo guardò attentamente nelle sfere nocciola per qualche secondo, prima che potesse indietreggiare con terrore, scioccato dalla quantità di malvagità che emanavano.
“Non è possibile!” borbottò il topo, sconcertato.
“Che cosa, sensei?” chiese subito l’azzurro.
Donatello ghignò oscuramente, alzandosi in piedi, mentre la sua risata scoppiò in un impeto crescente.
“Peccato che mi abbiate scoperto” fece tra le risate e uno sguardo cremisi che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque.
“Se tu non sei Donatello, allora chi sei?” scattò Leonardo.
Era così adirato che qualcuno avesse ferito la sua famiglia e ancor di più che si fosse spacciato per il genio.
“Io sono Donatello”.
“No, non è vero!” ringhiò Michelangelo.
La tartaruga oscura cancellò il ghigno, fissando truce il minore.
“Ah, già. Tu. Hai osato darmi un pugno” mormorò, sparendo sotto forma di nube verdognola.
Mikey si guardò in ogni direzioni, con la paura sempre più crescente.
“Permettimi di restituirti il favore” mormorò piano nel suo orecchio.
L’ultima cosa che l’arancione seppe fu un dolore tremendo al volto e il dolore per un volo doloroso giù per le scale. Rotolò senza pietà, mentre i gradini si divertivano a distruggergli il guscio inguardabile e rimase perfettamente immobile quando raggiunse il freddo pavimento, con il volto ferito e sanguinante.
“MIKEY!” urlò Leonardo, furioso.
“E anche tu, stupido ratto” continuò Donatello, afferrando per il collo il maestro distratto a contemplare il figlio dei nunchaku dal bordo delle scale.
“SENSEI!” gridarono Raph, Leo e Usagi.
Donnie lo teneva sollevato dal pavimento, stringendo le dita intorno al suo collo in modo che potesse sentire gli scricchiolii delle vertebre a rischio di rottura.
Leonardo non era disposto a starsene a guardare: lasciando Raph a Usagi, sguainò le sue katana e corse verso il nemico, saltando sulla ringhiera di una scalinata che conduceva al piano superiore per uno slancio più elevato: successivamente colpì Don con una sforbiciata al guscio.
Topo e tartaruga caddero in terra, ma Leonardo aiutò il maestro a togliersi da lì, puntando una katana verso il genio che, anziché rialzarsi, rimase immobile prono sul pavimento, con un taglio sulla fronte.
Leonardo gli si avvicinò lentamente... fino a quando una risata oscura non scoppiò sul piano.
“Forse ho sbagliato a riporre la mia fiducia in lui. Si è lasciato scoprire troppo in fretta e voi siete stati troppo intelligenti. Chi fa da sé fa per tre”.
Un vento nero avvolse Donnie per qualche secondo, solo per fargli recuperare le energie per balzare in piedi, con il Bo nelle mani.
Al suo fianco, ecco che fece il suo ingresso Demon!Shredder, in tutta la sua bruttezza.
“Ecco di chi era l’aura oscura che avevo percepito!” esclamò Usagi, stupito.
“Se vuoi combattere, dovrai scegliere un altro luogo!” inveì Leonardo.
“Più morti ci saranno, meglio sarà” replicò l’altro, divertito. “Ma se vuoi un posto per giocare, posso accontentarti”.
Il suo semplice schiocco di dita fece tingere di vecchio, bruciato e saturo di morte l’intero ospedale, spegnendo ogni forma di colore, brusio e attività per creare un ambiente vuoto, freddo, pericoloso e soprattutto abbandonato.
“Che cos’hai fatto?!” ringhiò Raphael.
“Benvenuti nel mio gioco”...

 
  
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