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Autore: M4RT1    05/09/2014    5 recensioni
[The Maze Runner]
Alby si erse in tutta la sua statura, fissando Newt dritto negli occhi: la sua pelle scura quasi si confondeva con il buio circostante, mentre quella del biondino risaltava come luce al neon. I loro sguardi, sempre sfuggevoli, si fermarono, cercandosi e trovandosi nelle espressioni ancora spaventate da tutta quella storia.
― Solo gli amici hanno un linguaggio segreto, caspio ― borbottò Alby.
Newt ghignò […].
― Stai dicendo che siamo amici?
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Storia partecipante al Contest "Promete" di Fra.EFP .
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'And I would have stayed up with you all night'
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Nickname su EFP e sul Forum: M4RT1
 
Titolo: Stand by you
 
Fandom: The maze runner
 
Genere: Angst, Fluff (velato), Introspettivo
 
Avvertimenti: Missing Moments
 
Pacchetto: Camomilla
 
Trama:   Alby si erse in tutta la sua statura, fissando Newt dritto negli occhi: la sua pelle scura quasi si confondeva con il buio circostante, mentre quella del biondino risaltava come luce al neon. I loro sguardi, sempre sfuggevoli, si fermarono, cercandosi e trovandosi nelle espressioni ancora spaventate da tutta quella storia.
― Solo gli amici hanno un linguaggio segreto, caspio ― borbottò Alby.
Newt ghignò […].
 
― Stai dicendo che siamo amici?
 
Eventuali note dell’autore: [*] Tratto da “Promete” di Luan Santana.
 


 
Stand by you.
 

Era una specie di cantina, un singolare incrocio tra un bunker e un archivio. Non che ricordasse di essere mai stato in uno dei due posti, ovviamente, ma sentiva che quella era la definizione giusta.

Quando Newt vi entrò, a testa china, la luce era fioca: ombre di tavoli e scatoloni affollavano il suo campo visivo, rendendogli impossibile scorgere la fine della camera. Il ragazzo seguì la sagoma scura dell’amico, le braccia piene di vestiti nuovi: faceva parte del patto, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Perché se Alby era il capo, lui doveva essere il vice. Ed era disposto a guadagnarselo, quel posto – come se ce ne fosse bisogno.

Una volta fermi al centro del grande spazio Newt tirò un sospiro, cercando di aggiustarsi i capelli con la mano libera. Un paio di pantaloncini da Velocista cadde sul pavimento polveroso, seguito da uno sbuffo di terreno e sabbia che inondò l’aria.

― Dove li metto, A’? ― domandò il ragazzo, tossendo.

― Non chiamarmi A, ho un nome ― rispose l’altro. ― E’ l’unica cosa che ricordi e me lo tengo stretto.

Sempre scostante, Alby. Sempre rude, musone, serio. Non era un ragazzo facile – non che i Radurai avessero idea di come fossero gli altri adolescenti, ma tra gli abitanti di quel posto, per Newt era il più difficile da capire.

― Sarebbe divertente se la smettessi di comportarti in quel modo ― mormorò, gettando l’ammasso di stoffa e lana su un tavolo vuoto.

― Sta’ attento a come parli, Newt, o potrei assegnare il tuo posto a qualcun altro.

Il tono di Alby era serio, ma sapevano entrambi che non sarebbe mai successo.

― E a chi vorresti darlo, dunque?

― Non so ― Alby soppesò la questione mentre riordinava la pila di magliette con sguardo assente. ― Magari a Minho.

Quello fu un colpo basso: Minho era attento, sveglio, simpatico, carismatico. Avrebbe potuto usurpare perfino il posto di Alby, se avesse voluto. Ma non voleva, gli piaceva semplicemente correre.

Newt si unì all’altro afferrando un paio di calzini bianchi, sbuffando. Era la terza volta che la Scatola arrivava colma di provviste e beni di ogni genere: scarpe da corsa, hamburger, pacchi di biscotti e lampadine. Dieci dei Radurai meno importanti (Spalatori e ragazzi che non avevano ancora un ruolo ben definito) erano corsi a tirare tutto fuori, impilando le provviste in file ordinate – cibo, sapone, abiti. A Newt ed Alby era toccato il solito compito di sistemare i vestiti, perché erano gli unici ad avere la chiave di quella stanza.

― Sai, sono stufo di piegare le mutande come fossi una lavandaia ― sbottò all’improvviso Alby, gettando all’aria due magliette blu scuro. ―
Sono il Capo, caspio!

Newt rise: ― Caspio? E che vorrebbe dire?

― Volevo dire caspita, ho sbagliato.

― No, va bene così: caspio suona bene, no? Sarà come un linguaggio segreto tra me e te.

Alby si erse in tutta la sua statura, fissando Newt dritto negli occhi: la sua pelle scura quasi si confondeva con il buio circostante, mentre quella del biondino risaltava come luce al neon. I loro sguardi, sempre sfuggevoli, si fermarono, cercandosi e trovandosi nelle espressioni ancora spaventate da tutta quella storia.

― Solo gli amici hanno un linguaggio segreto, caspio ― borbottò Alby.

Newt ghignò, le sopracciglia inarcate in quel modo particolare e gli occhi che brillavano di – no, non di gioia. Di sollievo, forse, di tranquillità nel costatare di non essere più solo.

― Stai dicendo che siamo amici? ― domandò alla fine. La sua voce, per quanto mascherata dall’eccitazione, era tesa – se per la preoccupazione o per la risposta, Alby non poteva saperlo. Quello che sapeva, invece, era che aveva disperatamente bisogno di un amico, anche se ammetterlo era decisamente umiliante.

― Potrei pensarci ― disse quindi, muovendo nervosamente un piede. Le scarpe di due settimane prima erano ancora nuove, fiammanti contro quelle lerce e già logore dell’altro. ― Perché sei diventato Velocista? ― domandò all’improvviso, rialzando lo sguardo.

Newt sogghignò ancora. Mosse qualche passo all’indietro fino a raggiungere un’alta scaffalatura traboccante di semi e articoli per il loro piccolo orto.

― Non saprei ― rispose, appoggiandosi al ferro gelido. La luce calava velocemente e, di lì a poco, sarebbe stato buio al punto da dover accendere le torce. ― Non mi vedevo a fare nient’altro.

Alby annuì. Non era un gran conversatore, ma ancor meno era bravo a fare le domande. Quel dialogo, per i suoi gusti, era durato fin troppo, così voltò le spalle al ragazzo e tornò a sistemare ordinatamente i vestiti sul tavolo di metallo al centro della stanza. Newt rimase per un momento fermo a respirare, inattivo per la prima volta da quando si era svegliato in quel fottuto giardino – quel caspio di giardino, come avrebbe detto Alby – insieme ai suoi compari. Si concesse tre minuti di ozio, poi costrinse le sue gambe ad avvicinarsi alla sagoma sempre meno distinta dell’altro.

― Non hai ancora risposto alla mia domanda ― disse. La sua voce, benché bassa, risuonò altissima tra le quattro mura inospitali. Quella stanza gli ricordava una versione più piccola e meno ariosa della Radura.

― Quale domanda? ― chiese Alby con finta noncuranza. Aveva terminato il suo inventario della biancheria ma continuava a passarsi una canottiera tra le mani, quasi fingendo di essere impegnato.

― Come “quale domanda”, puzzone? Se siamo amici ― gliela ripeté per non dargli via di scampo.

Alby grugnì, poi cominciò a trafficare con lo zaino che gli pendeva dalle spalle fino a trovare la sua torcia. La accese, riempiendo la stanza di lunghe ombre spettrali.

― Che caspio fai, Alby! Abbassa quel fanale! ― si lamentò Newt. Teneva un braccio a schermarsi gli occhi mentre con l’altro tentava invano di colpire l’amico. Quando finalmente ci riuscì Alby quasi lasciò cadere la luce, puntandola finalmente sul metallo del pavimento.

― Stai calmo, tu ― sbottò. ― Devo vedere la tua espressione, prima di decidere.

―  E questo include accecarmi?

Sospirarono entrambi, poi Newt si lasciò cadere sul pavimento, sedendosi con le ginocchia al petto: doveva essere una delle sue posizioni preferite, quando viveva la sua vera vita, perché si ritrovava spesso seduto in quel modo senza rendersene conto.

― Se necessario ― rispose l’altro. Lo imitò, inginocchiandosi accanto all’amico. Il suo sguardo era distante, eppure si sentiva terribilmente vicino a quel tizio biondo che si era imposto come suo vice, quattordici ore dopo il loro arrivo alla Radura. ― Perché vuoi essere mio amico?

― Perché hai bisogno di qualcuno che ti pari il tuo caspio di didietro, Capo ― rispose prontamente Newt, strizzandogli l’occhio. Il suo ciuffo biondo era davvero troppo lungo, pensò Alby, dovevano chiedere un paio di forbici a chiunque li avesse mandati in vacanza lì. ― Perché mi guardi ossessivamente la fronte?

― Non la tua fronte, ma quei caspio di peli che ti ci cadono sopra ― precisò.

― Oh, beh, almeno io non sono quasi calvo.

 
Da quel momento, Alby e Newt furono amici.

Non quel genere di compari che si raccontano tutti i segreti e giocano insieme a calcio. Erano quelli che correvano insieme fino alle porte, che gestivano quel posto e prendevano decisioni importanti – come quando usare la corrente elettrica e come organizzare i turni delle docce. Erano quelli che, se un Dolente li avesse attaccati, l’avrebbero sconfitto insieme.

La loro era una tacita promessa che, proprio come si erano risvegliati fianco a fianco accanto alla Scatola, così sarebbero usciti da quel posto, le magliette dannatamente vicine e i capelli di Alby a fare il solletico al collo di Newt.

 
Promete ler meus pensamentos

Decifrar o meu coração

Porque só assim vai saber

Que minha vida inteira está em suas mãos [*]
 

Quando Alby si lanciò verso il Dolente, in quell’ultima folle notte al Labirinto, Newt sentì qualcosa spezzarsi, dentro di sé.

Vide Alby sorridergli, quattro settimane dopo il loro arrivo, lo risentì borbottare sulla scarsità di tacos inviati dai Creatori, rivide la sua espressione all’arrivo di Thomas. Ricordò di quando era stato punto, delle urla strazianti, del suo corpo trascinato da Minho e della fronte insanguinata. Immagini confuse gli vorticarono in mente, i ricordi della sua nuova vita, e in tutti c’era Alby: quando Mike era morto, quando Chuck era arrivato e l’avevano preso a calci fino al luogo di lavoro degli Spalatori, quando si erano presi a botte tra le Testemorte. E quando era cambiato, perché la Mutazione di muta – appunto, e quando era uscito dal loro quartier generale, sfidando i Dolenti. Quando aveva salvato tutti da se stesso.

Ma, più di ogni altra cosa, ricordò quella caspio di notte e quella promessa mai fatta ma sempre mantenuta. Quella che lo avrebbe protetto, sempre, quella che sarebbero usciti insieme da quel Labirinto. E, di colpo, Newt capì che non sarebbe stato possibile. Che, forse, senza il sacrificio di Alby nessuno dei due sarebbe potuto tornare nel mondo reale. Ma che adesso, il mondo reale sarebbe stato terribilmente vuoto senza il Capo dei Radurai a borbottare e convocare Adunanze inutili.

C’erano promesse che dovevano essere mantenute – quella di portar fuori di lì quei ragazzi malconci – e promesse che non potevano essere tenute in considerazione. Ad Alby era toccata la parte facile, in un certo senso. A Newt toccava sempre quella più difficile.
 

 
True friendship is a promise you keep forever.
  
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