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Autore: Yutsu Tsuki    07/09/2014    2 recensioni
Dal primo capitolo:
“Osservando il suo volto, si accorse di una cosa. Tutti quegli anni passati dietro a due spesse lenti rotonde gli avevano fatto dimenticare di quanto belli fossero i suoi occhi. Erano di un verdeacqua chiaro, ma intenso, quasi luminoso. Si avvicinò ancora allo specchio e allungò la mano, come per poter afferrare quel colore che era un misto fra il cielo azzurro senza una nuvola ed un prato fresco d'estate.
Voleva toccarli, sfiorare quella luce e immergersi in essa, ma venne bruscamente interrotto dalle urla di sua sorella: — Keeeen! Vieni a cena, è prontooo!
Si allontanò in fretta dalla sua immagine riflessa. Per un attimo restò senza parole. Era rimasto affascinato dal suo stesso volto. Poi scoppiò a ridere, rendendosi conto dell'assurdità della cosa.
Aprì la porta della stanza gridando: — Mi chiamo Kentin!! — e corse in cucina.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7


Derisione







— Dove sono quei maledetti occhiali!?
La camera di Kentin era completamente sottosopra. Tutti i cassetti erano stati svuotati del loro contenuto e sul pavimento c'era uno strato di almeno cinque centimetri di vestiti, cartacce e calzini. Quella che un tempo era una stanza ordinata e perfetta, ora era più simile ad un campo minato.
Non ottenendo risposta, Kentin aprì violentemente la porta ed andò in salotto. Sua madre era seduta sul divano a leggere un libro.
— Mamma, dove sono gli occhiali?
— Quali occhiali?
— Quelli che avevo prima!
— Perché li vuoi?
— Mi servono e basta!
— Ma non lo so, ce li aveva tua sorella.
— Anneeeette!!! — e corse verso la camera della sorellina.
Abbassò la maniglia, ma la porta era chiusa. — Annette, apri!
— Che c’è?
— Ho bisogno di una cosa.
Si udì un suono meccanico, poi la porta si aprì.
— Di che cosa hai bi… — ma non fece in tempo a finire la frase, che Kentin era già dentro la camera ad esaminare ogni cosa presente in essa.
— Dove sono i miei occhiali? — chiese lui.
— Tu non porti occhiali — rispose Annette.
— Massì, quelli che avevo prima.
— …Aah! Sono qui. — Si diresse verso il suo armadio, e cominciò a rovistare dentro.
In un lampo Kentin ricordò perché si trovassero nella camera della sorella.
Era il primo giorno delle vacanze di Natale. Era appena tornato dalla scuola militare del padre: la madre a la sorella erano rimaste a bocca aperta per la sua trasformazione. In un primo momento Annette non ci voleva credere: le piaceva moltissimo l'aspetto del suo vecchio fratellone, esuberante e un po' sbadato, ma alla fine si abituò al nuovo Kentin, più serio e responsabile.
Insieme a cinque centimetri d'altezza, aveva portato a casa anche uno zainetto logoro, che conteneva gli ultimi ricordi della sua vita precedente - i vestiti e gli occhiali - che aveva l'impellente intenzione di gettare via o di dare alle fiamme. Ma sua sorella aveva così insistito per tenerli, sostenendo che in futuro sarebbero tornati di moda, che glieli aveva lasciati.
— Per fortuna li hai tenuti te — le disse, vedendola tornare con lo stesso zainetto.
— Hai visto che ho fatto bene? Ma non mi hai detto a cosa ti servono.
— Niente, devo fare una cosa — restò sul vago. Salutò la sorella e tornò in camera sua.
L'idea di dover riordinare quel caos era insopportabile, ma si sentiva sollevato per aver ritrovato i suoi vecchi occhiali.
Con una certa riluttanza se li infilò e, facendosi largo nel mare di indumenti, andò a guardarsi allo specchio.
— … — Un mezzo sorriso gli si formò i faccia. Sì! È perfetto!! Però manca ancora qualcosa.
Afferrò il vecchio zainetto ed estrasse i vestiti: una maglietta grigia, un maglione verde ed un paio di jeans. Scartò la maglietta e posò i jeans sul letto. Sollevò in aria il maglione per vederlo meglio. Sembrava quello di suo nonno.
Se lo infilò, sofferente, e tornò a controllarsi allo specchio. Questa volta non sapeva se piangere per la ridicolezza del suo aspetto, o se gioire per quanto bravo fosse stato a riuscirci.
Fece dietrofront e in un unico balzo evitò gli ostacoli a terra, andando a raggiungere il letto. Guardò dubbioso i jeans. Mmm, tanto vale provarci. Si slacciò la cintura e si tolse i pantaloni mimetici. Prese i jeans e li indossò. Gli arrivavano alle caviglie.
— Okey no, forse così è troppo! — disse ridendo.
Quella giornata non era andata esattamente come aveva previsto. Per uno stupido errore si era fatto beccare a contemplarsi da due studenti del liceo, i quali avevano pensato bene di spifferare tutto ad Ambra, che, non potendo desiderare di meglio, si era adoperata per far trapelare la notizia. Bastò solo l’intervallo, perché già tutta la scuola ne fosse al corrente.
Il ritorno in classe era stato terribile. Dopo lo spiacevole incontro con Castiel, chiunque si accorgesse di lui, cominciava a ridacchiare e ad additarlo, guardandolo male. Ormai tutti lo avevano inquadrato come il ragazzo vanitoso e narcisista, quello a cui piace solo se stesso e che, se gli si dice qualcosa, diventa aggressivo.
Probabilmente anche Candy lo aveva saputo, infatti non aveva più degnato Kentin di uno sguardo per tutto l’arco della giornata. Ma poco gli importava. Prima di pensare di farsi piacere da lei, doveva impedire che si avvicinasse a Castiel. Per far ciò, però, era necessario che gli altri smettessero di crederlo un egocentrico. L’idea che fosse stata tutta un’invenzione di Ambra per gettarlo in cattiva luce poteva funzionare, ma solo se si fosse mostrato meno “appariscente”. Aveva quindi pensato che un buon metodo fosse quello di reintrodurre il suo vecchio abbigliamento, compresi gli occhiali, elemento fondamentale, indispensabili per celare i due prati freschi d’estate che avrebbero fatto invidia a chiunque.
Prese la canottiera nera, la camicia bianca e i pantaloni che aveva messo i primi due giorni di scuola, e li mise via in armadio. Trovò un paio di semplici jeans blu e li sostituì a quelli troppo corti che aveva provato.
Ora era tornato quello di prima. Solo un po’ più alto e con capelli meno inguardabili. Non si piaceva, certo, ma la cosa importante era che da quel momento in poi non venisse più beffeggiato dagli altri.
Guardò con un sospiro la camera a soqquadro.
— Diamoci da fare — e cominciò a riordinarla.


Erano le 7:45 e Kentin si stava preparando per andare a scuola. Non si trovava a proprio agio nei suoi vecchi vestiti, inoltre la gente che passava per strada sembrava guardarlo male. Erano sicuramente quegli occhiali grossi e rotondi che attiravano l’attenzione, e questo proprio non lo poteva sopportare. Ma da quanto è che dava così peso ai giudizi altrui?
Sforzandosi di ignorare i passanti, accelerò il passo, e in dieci minuti arrivò a scuola.
Senza guardare nessuno attraversò il corridoio, fiondandosi in classe. C’erano già alcune persone, sedute sui banchi in fondo a chiacchierare. Non cercò di capire chi fossero, scorse solo una lunga chioma bianca e svolazzante.
Si sedette e cominciò a fissare la lavagna ancora pulita.
— Ah, guardate chi è arrivato, ragazze! — una voce femminile da dietro lo scosse di colpo.
— Dai Rosa, lascia stare — intervenne un’altra. Lui non aveva intenzione di voltarsi.
— Volevo solo dare un saluto a Narcisentin! — disse con aria beffarda, avvicinandosi a Kentin, che cercava in tutti i modi di ignorarla. “Narcisentin”!? Quegli infami gli avevano pure appioppato un soprannome. A questo punto era meglio Ken, pensò tra sé e sé. Appena la ragazza lo raggiunse, si girò per guardarlo in faccia, ed ebbe un sobbalzo improvviso alla vista degli enormi occhiali che gli nascondevano metà volto. — Oddio, ma che hai fatto!? — esclamò. Nessuno disse niente. Passarono parecchi secondi, prima che lei scoppiasse a ridere senza preavviso, appoggiandosi al banco di Kentin per evitare di cadere a terra a rotolarsi dalle risa.
— No, Candy, questa la devi vedere! Avanti, vieni! — gridò in direzione degli ultimi banchi. Kentin impallidì. C’era Candy dietro di lui. Come poteva affrontarla? Cosa le avrebbe detto? L’avrebbe messa in guardia dalle intenzioni di Castiel? Le avrebbe spiegato che ciò che si diceva di lui a scuola erano solo scemenze? Non fece neanche in tempo a pensare, che la voce di Candy si udì forte e chiara dal fondo della classe: — Sinceramente non mi importa niente di lui.
Argh. Una fitta al cuore.
— Avanti, fa morire dal ridere, vieni a guardare! — Ma Candy si alzò, avanzò verso i primi banchi, passò davanti a Kentin ed uscì dall’aula senza proferire parola.
Questo non doveva succedere. Tutto, di quello che stava accadendo, era sbagliato.
— Candy, aspetta — Kentin si alzò di colpo dalla sedia spostando in avanti il banco e facendo così finire stesa a terra la ragazza che era appoggiata, quella con i capelli lunghi e bianchi.
Le girò attorno e, senza pensarci due volte, corse fuori dalla classe, in direzione della sua amica.
— Fermati, Candy! — le urlò. Fortunatamente il corridoio era vuoto.
Lei però non aveva intenzione di arrestarsi. Kentin accelerò la corsa fino a raggiungerla, dopodiché la afferrò da dietro per un braccio.
— Lasciami! — Gridò lei.
— Candy, devi ascoltarmi. Non devi credere a quello che si dice in giro di me!
— Di te! Sempre di te bisogna parlare! Non esistono gli altri, ci sei solo tu! Hanno proprio ragione, a dire che sei un vanitoso egocentrico. E adesso mollami il braccio!
— Sono solo bugie! Credimi, per favore! — disse Kentin senza mollare la presa.
— Perché mai dovr… — Candy si interruppe di colpo — ma perché sei conciato così? — Chiese confusa. Si era accorta solo allora del diverso abbigliamento di Kentin. A quel punto Kentin le lasciò il braccio e la fissò con aria triste. Se non potevano le parole, forse il suo aspetto sarebbe servito a convincerla della sua innocenza.
Dopo averlo osservato un attimo, Candy prese la parola. — Credi che così la gente la smetta di prenderti in giro? — Il tono era stranamente severo.
— N…no, ma almeno capiranno… che non sono quello che credono. — Rispose ancora più sommessamente. Certo, che fosse egocentrico, se ne rendeva conto pure lui, ma questo non voleva dire che fosse anche un egoista.
Alzò lo sguardo su di lei, sperando che il fascino di quegli occhi verdi tanto contemplati si rendesse finalmente utile a placare la rabbia che ora la tormentava. L’espressione di Candy era però seria.
Fu solo dopo qualche secondo di silenzio, che Kentin si ricordò di avere ancora indosso gli occhiali. Pensò che fosse meglio toglierli, ma venne preceduto dalle sottili mani di Candy, che con delicatezza li sfilarono dal suo viso.
Il cuore di Kentin prese a battere a mille. — Aspetta, dammi qua… — borbottò soffocando a forza l’imbarazzo e prendendo lentamente gli occhiali dalle mani della ragazza. — Non mi sono mai piaciuti, sai? — disse lei, sorridendo.
Kentin si stupì di quell’affermazione, ma poi rispose: — Neanche a me.
— Non è tanto per lo spessore delle lenti, sai? Sono quelle spirali che non mi convincono — esclamò Candy, divertita.
La tensione si stava allentando. Kentin decise di stare al gioco: — Ma no, non ci sono realmente, sono solo dei riflessi, vedi? — ruotò gli occhiali per farglieli guardare meglio.
— Oddio, è vero. Quand’eravamo piccoli io mi immaginavo sempre che le avessi disegnate tu! Ahah! — Le parole di Candy fecero meravigliare Kentin. Anche se per un motivo stupido, volevano dire che lei pensava a lui in passato. Certo, non ne era particolarmente interessata, ma almeno lo considerava. Una punta di gioia si fece largo nell’animo di Kentin.
Dopo un altro momento di silenzio, Candy tornò a guardare per terra, seria. Kentin decise di intervenire. — Candy, che c’è che non va?
Lei sollevò lo sguardo e disse decisa: — Beh, ad esempio ieri ti abbiamo chiesto di stare con noi all’intervallo, e tu te ne sei andato come se fossimo spazzatura. — Kentin si era totalmente dimenticato di quell’episodio.
— No… Ah, scusa, davvero… Non era mia intenzione… — cercò di dire, dispiaciuto. Ricostruendo la scena nella sua mente, si ricordò anche di quello che era successo dopo, del dialogo con Castiel e della sua sgradevole richiesta. Forse era meglio avvisare Candy.
Stava per aprir bocca, quando dalle sue spalle qualcuno lo toccò di colpo, facendolo sobbalzare. — Ma chi è!? — proruppe.
— Dormito bene, Candy? — Questa voce…
— Sì, tutto bene, Alexy. — rispose Candy.
— E tu, mon amour? — chiese Alexy, rivolgendosi a Kentin e lasciandolo alquanto spiazzato.
— Ns… Sì… — mormorò, cercando lo sguardo di Candy, che sorrideva, divertita.
— Ma… hey! Che cos’hai addosso? — urlò il gemello. Kentin si guardò, confuso.
— Mmm… No no no. Questo maglione non va affatto bene. Ma lo sai che il verde non è più di moda quest’anno?
— Ma io…
— Niente “ma”. Tu non ci sai proprio fare con i vestiti, tesoro. — Esclamò incrociando le braccia. Come mai usava quei termini!?
— In genere non mi vesto così! — fece Kentin, offeso.
— Può darsi. Ma comunque anche gli stracci che avevi prima non è che fossero il massimo.
— Ma come osi!
— Haha! Te l’hanno mai detto che sei adorabile quando ti arrabbi?
Kentin era rimasto a bocca aperta. Cos’era tutta quella confidenza? La richiuse subito, perché non aveva idea di come ribattere. Sopraffatto dalla sfacciataggine di Alexy, si girò verso Candy per cercare un po’ di appoggio. Alla sua sinistra, però, non c’era più nessuno.


   
 
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