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Autore: Amy Tennant    09/09/2014    4 recensioni
L'ultimo Signore del Tempo ha perso la sua sposa e il dolore lo sta facendo impazzire. Un uomo che non è un uomo, sta diventando un terribile dio vendicativo. Desidera salvare l'unica cosa che per lui abbia senso a costo della sua anima e dei mondi. Ma va fermato. E ucciso.
Un universo parallelo a quello conosciuto mentre il tempo e lo spazio si stanno sgretolando.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Mi dispiace…
Rose piangeva. Con la testa tra le mani restava china su di sé, gettata letteralmente sulla sedia della sala d’aspetto dell’ospedale. Una sala dove ormai non aspettava più nessuno.
Non vi era riuscita subito e le era stato detto che era per lo shock. Ma il gelo che aveva congelato le sue emozioni, come ogni suo gesto, si era poi umanamente intiepidito e così aveva finalmente pianto. Non aveva senso farlo ma glielo doveva e lo doveva a sé stessa; perché lei era sua madre e l’amava. L’amava ed era tutto finito. Non restavano che quelle due inutili parole.
“Mi dispiace…”
 
… mi dispiace, veramente…
 
Rose singhiozzò mentre nella sua mente ascoltava quell’eco su tutto.
Sul pianto persino, su ogni cosa e quel momento. Più forte di tutto come tutto fosse… niente. Come sempre.
Anche mentre piangeva le sue dita continuavano a muoversi su ogni lembo scoperto della sua pelle, in quel continuo gesto sempre più veloce. Lo faceva graffiandosi persino, a fondo, fino al sangue. Strette le mani alle braccia, artigliava quel silenzio nascondendovi quel qualcosa.
E il suo tacere, i suoi singhiozzi, diventavano cerchi su cerchi e con dentro altri cerchi.
Una preghiera, una parola, una richiesta.
Il senso le restava distante, come sapesse e non sapesse insieme. Qualcosa. Che non doveva neanche pensare troppo forte. Che doveva cadere nel silenzio ma al cui pensiero le venivano i brividi.
Rivolse lo sguardo umido alle vetrate. Pioveva.
Ogni volta che pioveva, la cicatrice le faceva male. Ogni volta che ascoltava battere la pioggia ripensava a Lui. L’avrebbe riconosciuto. Non aveva dimenticato quel tocco, i suoi grandi occhi e neanche quel dolore che si trascinava. Perché…?
Perché doveva soffrire tanto, Lui?
Rose emise un sospiro su un singhiozzo. Lo pensava, c’era. Era lì con lei anche in quel momento ed era assurdo. Odiò profondamente che fosse così.
Ma non poteva smettere di desiderare che avvenisse l’impossibile.
“… dove sei?... dove sei…?”
La sua voce come da altrove. Era irreale e realissima insieme.
- Sei pazza, Rose Tyler – pensò rabbiosamente mentre continuava a piangere e le lacrime rigavano il suo viso come la pioggia i muri e i vetri – sei pazza davvero. Sono passati anni. Lui l’hai forse sognato e se pure è stato come lo ricordi oramai è passato tanto tempo e avrebbe l’aspetto di tuo padre…!
…Sono così vecchio, Rose Tyler…!
Tranne che quando sono con te.
Cosa voleva dire? Quando lo sognava glielo aveva detto. Per anni lo aveva sognato. Fin quando non aveva rinunciato a Lui per non avere niente e poi capire che non lo aveva fatto davvero. Ma come poter accettare quel tempo impossibile che vivano insieme? Che cos’era? Era una fantasia davvero troppo complicata per essere quella di una bambina . Troppo per essere “sua”. Era semplice, Rose. Lui no. Le parlava e a volte non capiva. Perché era difficile comprendere ogni cosa ma era così bella anche solo la sua voce. La sua voce così vicina…
- Anche adesso tu ascolti quella voce…  - soffocò un debole singhiozzo.
Ripensava e ricordava quel viso come l’avesse sempre davanti agli occhi.
Una fantasia deformata fino a diventare perversa. Questo le avevano detto. Qualcosa da curare ma che dentro sentiva senza possibilità di cambiamento perché non voleva rimediare. Amava la sua malattia, se Lui era quello.
Ma lei era malata. In quel momento, per la prima volta, pensò che fosse vero.
Vero come il fatto che sua madre non c’era più.
Era stata una cosa improvvisa, precipitata in pochi mesi. Non aveva poi sofferto quanto temevano i medici sebbene la sua vita molto più breve delle previsioni. Stava peggio da giorni, questo lo sapeva.
Ma non avrebbe certo pensato di trovarla in quello stato, riversa nel bagno, l’acqua aperta nel lavandino da chissà quanto tempo. L’aveva capito subito che era morta e da un pezzo.
- I morti hanno un colore diverso da quello che mostrano nei film – aveva pensato, china su di lei, impietrita.
Non avevano il pallore dei manichini di plastica.
La pelle diventava giallo grigiastra. La pelle si distendeva dopo tanta sofferenza.
… Sembri così giovane, mamma…
eri così giovane…!
Era rimasta assorta in quella fine neanche consapevole del tutto di quanto tempo avesse trascorso in quello stato e solo dopo, più rigida di com’era Jackie, era riuscita a chiamare l’ambulanza. Era finita ore prima e così era rimasta sola in quella sala dove non aveva mai davvero aspettato se non di riuscire ad alzarsi.
Era una sala sospesa nel tempo.
Cosa avrebbe potuto fare tornando indietro?  Niente. Andando avanti rispetto a quel momento? Neanche.
Perché vi pensava allora? A quello più che a sua madre.
Già le mancava.
Aveva sempre vissuto con lei e lei le era stata amica, sebbene non si capissero spesso e troppo diverse caratterialmente. Erano però simili in un senso che forse anni prima non avrebbe accettato, voluto. Ma una rosa era sempre una rosa. Sebbene avesse un altro nome. Non ricordava affatto chi l’avesse detto ma si intonava al suo pensiero.
Lei e sua madre erano proprio a quel modo. E rimaste sempre insieme nonostante tutto.
Rose asciugò malamente le lacrime guardando le dita sporche di mascara e lo smalto scheggiato che non aveva ancora tolto. Scoppiò a ridere in un singhiozzo pensando al fatto che si truccasse troppo, glielo diceva anche Mickey ma… Faceva come sua madre.
Le somigliava. Le somigliava tanto, in fondo.
Dal fondo del corridoio rumori, passi. Gente che si muoveva come niente fosse accaduto. In fondo chi era Jackie Tyler? Solo una cameriera.
Come lo era sua figlia.
Sua madre era una delle tante donne che vivevano in un triste appartamento in un palazzone di periferia, un luogo dove certo non sarebbe mai giunto nessuno a cercare qualcosa di speciale. E infatti Jackie non era speciale se non per chi l’amava, per le sue amiche, per sua figlia. Rose pensò che se fosse toccato a lei, di morire al suo posto, non avrebbero potuto dire o pensare qualcosa di diverso. Non era poi così male…
… ed era tragico insieme.
- Chi potrebbe mai rimpiangere tanto la mia morte? – pensò. Forse solo Mickey.
Ma non vi era nulla di insostituibile, raro, unico in Rose Tyler.
Era solo una ragazza come molte altre. Scomparsa lei… semplicemente ogni cosa sarebbe rimasta com’era. Non aveva combinato niente, cambiato nulla e nessuno. Sua madre, lo stesso.
Non aveva lasciato molte tracce di sé, Jackie Tyler. Solo Rose. E lei non avrebbe certo aperto le acque, lasciato crepe in cielo, spaccato la luna, conquistato mondi…
Strani pensieri. Come le potevano venire in mente?
Troppi brutti film e telefilm, quelli che aveva visto. Pochi libri e troppo altro. Si sentiva del tutto inadatta alla vita che faceva.
In fondo non aveva imparato a vivere davvero sull’unica terra che avrebbe mai toccato.
E quella terribile paura che combatteva anche con la furia fisica… la faceva sentire spesso alienata. Aliena.
Jackie le ripeteva sempre che si comportava come non fosse interessata a nulla. Non lo era davvero.
Solo una cosa restava sospesa dentro di lei.
Quegli occhi così belli. Così grandi. Quell’uomo così triste.
Un sogno di bambina. Un segno, quello sul suo ginocchio.
Un incubo, quello in cui si trovava. Sola.
Rose fu meccanicamente travolta da pensieri pratici che la sommersero spezzandole il fiato in parti ancora più piccole. L’affitto da pagare, le riparazioni per la perdita della cucina, i conti lasciati aperti in giro. Il funerale.
Non sapeva neanche da dove cominciare. Si scosse e con le mani tremanti mise la mano nel giubbotto, stringendosi la lunga sciarpa a righe attorno al collo come provasse freddo, sebbene fosse in un interno e il riscaldamento anche molto forte. Compose con il pollice il numero di telefono e rimase in attesa.
Mickey. Non restava che lui e non sapeva ancora niente.
Mickey. Rose aggrottò la fronte. Il telefono squillava ma non lo prendeva. Pensò che magari se n’era andato in un pub con il suo amico Charlie e vi era della confusione. Guardò l’orologio e pensò che era davvero troppo tardi e l’indomani sarebbe dovuto essere in officina presto, ogni volta che uscivano glielo diceva come facendole fretta. Mickey era molto preciso.
Uno strano rumore le fece alzare il capo e si guardò attorno. Sembrava ad un tratto che tutto quello che era attorno si fosse fermato, sospeso nel nulla. Non vi era più nessuno. Rose ebbe un fremito d’ansia. Il suo istinto le diceva che era troppo strano e persino quell’attimo…  aveva una curiosa…
La parola “qualità temporale” le tornò in mente di colpo. Cosa voleva dire? Qualunque cosa fosse, si trattava di qualcosa che le generava una pessima sensazione e di quelle Rose aveva imparato a fidarsi.
Era sempre in allerta, sempre pronta a…
… Correre…
La ragione cercò di frenare l'impulso che stava provando, quello di scappare. Si disse di ricordare dove fosse. Ma guardò la pelle graffiata del polso e vide che aveva la pelle d'oca. Brividi brevi come scosse sembravano volerla scuotere dall'indecisione. Doveva allontanarsi da lì. Se lo diceva mentre si dava della stupida da sola, ma quel qualcosa era più forte del pensiero razionale e scattò in piedi di riflesso. L’ansia diventò qualcosa di più forte.
Rose rivolse lo sguardo alla sua destra il corridoio, completamente deserto. Si girò a sinistra. Dei passi. Dei passi molto leggeri ma era evidente che qualcuno sarebbe sbucato dall’angolo in fondo. Rose ebbe un altro brivido e tirò il fiato. Guardò il telefono e premette ancora il pulsante di richiamata sul numero di Mickey.
- Rispondi… ! – sussurrò con angoscia e poi qualcosa la colpì quasi fisicamente facendole sgranare gli occhi per l’incredulità: sentiva vibrare qualcosa. Un telefono.
Meccanicamente premette il tasto rosso e il rumore cessò. Non poteva essere ma sentì che lo era.
Il telefono di Mickey.
Non ebbe esitazioni neanche a collegare le cose. Il telefono di Mickey era lì. Ma nell’ombra, la figura che ora vedeva davanti a sé… non era quella del suo amico.
Rosa sapeva benissimo che non sarebbe potuto essere lui. Non sapeva nulla di Jackie e che lei fosse lì. Ma non pensò ad una coincidenza.
Non fu la prima cosa che le venne in mente.
… ucciso…
Quella parole nella sua mente.
Si guardò attorno, il senso di panico cresceva e la figura avanzava. L’impressione che ogni cosa si fosse fermata davvero diventò assurda ma tangibile per i suoi sensi. Tutto si immobile ma non chi stava venendo verso di lei. E non era solo.
…Corri…!
La voce, la voce che aveva sempre nella testa parve gridare quell’ordine con una forza mai avuta prima, forse. Lei allora gli ubbidì. Perché le diceva da una vita di stare attenta e difendersi. Di scappare, di salvarsi, di avere una fiducia che troppo somigliava alla fede. Ma aveva ragione e lo percepì limpidamente in quel momento, mentre già correva verso l’uscita, verso la grande porta che la separava dalla rampa di scale che avrebbe dovuto percorre per trovarsi all’ingresso.  Non c’era nessuno. Tutto era vuoto e silenzioso come non se lei e chi la seguiva fossero rimasti gli ultimi sulla faccia della Terra.
Ad un tratto, proprio vicinissima a alla porta a vetri, vide delle ombre e si fermò quasi scivolando sul pavimento di linoleum verde. Si sostenne alla parete mentre la porta si apriva e le luci si affievolivano. Rose ebbe un tremito fortissimo e la certezza di essere in trappola. I suoi inseguitori l’avevano già raggiunta ed altri erano venuti a prenderla.
- Chi siete? Cosa volete? – gridò con voce stridula, gli occhi gonfi che saettavano da una parte all’altra del corridoio. Si spinse quasi contro la parete su cui prima aveva poggiato la mano.
Non ebbe risposta, non ne avrebbe avuta. Il respiro diventò quasi un gemito mentre li vedeva avvicinarsi ancora, con una lentezza che non capiva e le pareva solo un modo di godersi la sua paura, come l'aver preso il telefono di Mickey. Ebbe quasi voglia di chiudere gli occhi e pensò a sua madre. Pensò al fatto che non le era sopravvissuta che ore.
Poi pensò a Lui. Lo pensò ancora più intensamente e sorrise di riflesso prendendo atto che alla fine, dopo anni, sentiva di nuovo quello strano suono che l’aveva fatta correre verso di esso, che le aveva fatto incontrare quell’uomo che poi aveva sempre sognato. Sorrise incredibilmente ma la sua espressione mutò di colpo quando dal nulla vide materializzarsi…
… una cabina blu della polizia…?
Le si piegarono le gambe, tremavano troppo. Tutto accade in pochissimi istanti. Vide la porta della cabina aprirsi ed uscire dall’interno un uomo che Rose trovò nonostante il momento davvero fantastico; un tizio che assurdamente trovò il tempo di rivolgerle un sorriso abbagliante mentre si chinava su di lei, la avvolgeva in una stretta volgendo le spalle ai suoi inseguitori per poi letteralmente spingerla dentro la cabina sbucata dal nulla. Rose visse la scena a rallentatore. Sentì gli spari, sentì la stretta dell’uomo farsi più forte ma esitare e così il suo respiro; poi la forte spinta che l’aveva fatta cadere dentro.
Quando la porta si chiuse su altri colpi, lei era ancora in ginocchio per terra. Vi rimase qualche istante, immobile.
Alzò lentamente lo sguardo verso l’uomo che l’aveva presa di peso e portata dentro e si lasciò sfuggire un leggero gemito. Era impallidito di colpo e molto sofferente restava a guardarla, addossato alla porta. Rose fissò le sue mani, ancora stese davanti a sé per parare la caduta: erano insanguinate. Ebbe un fremito d’orrore.
- E’ sangue…  - sussurrò.
- Fortunatamente è tutto mio – disse scherzosamente l’uomo. Rose lo guardò incredula per il tono che aveva usato e lui le rispose quasi ridendo. Un istante prima di accasciarsi contro la porta appena chiusa.
- No…! – con un gesto veloce Rose gli fu subito vicino e si chinò sull’uomo con ansia. Incredibilmente lui le sorrise ancora. Poi i suoi occhi chiarissimi si chiusero lentamente e Rose lo sentì smettere di respirare. Lo strinse di riflesso, gli occhi lucidi fissi su di lui, disorientata e tremante.
Sentì cadere addosso a sé una terribile angoscia senza rimedio che le stava paralizzando le membra come fosse gelo nero. La disperazione che aveva fatto scattare i suoi muscoli si era sciolta in debolezza estrema. Caduta di tensione, pensò. Non solo. La morte l'aveva circondata in una stretta, quel giorno: sua madre, Mickey probabilmente, quell'uomo e Lei stessa. Destinata a morire. Non aveva neanche la forza di vedere dove fosse capitata. Era forse un incubo. L'uomo che giaceva nel suo sangue davanti a lei era però molto reale.
- Mi dispiace... - gli sussurrò con un velo di voce.
- Non temere, si riprenderà – Rose alzò appena il capo.
La voce. Rose non ebbe una reazione apparente. La bellissima voce di Lui aveva un tono tranquillo e un accento caldo che ben conosceva verso di lei. Il timbro forse un po’ più debole di quanto le era parso quando l'aveva sentita dentro ma, diversamente da prima, era come fosse presente. Come davvero vibrasse nell’aria e non solo nella sua mente.
- Ci si può riprendere dalla morte? - sussurrò come parlando a sé stessa.
- No. Ma lui può – Rose ebbe un cenno di un riso isterico mentre con una manica si asciugava dal viso delle lacrime che le erano sfuggite. Sentì persino un suo sospiro a quel gesto.
- Sto impazzendo. Ora sembri vero - sussurrò Rose con un singhiozzo, fissando ancora l’uomo che l’aveva salvata da non sapeva cosa ormai morto.
- Tu non sei pazza ed io sono vero – disse la voce con gentilezza.
- Sei solo un sogno invece. Sei con me, sempre con me. Ma sei solo un sogno...
- Non lo sono.
- Non puoi esistere. Non è mai stato reale, non è mai stato possibile.
- Per favore, guardami – Rose socchiuse gli occhi un istante quando la voce glielo chiese con una dolcezza disarmante che quasi le parve una carezza. La stretta sul corpo dell'uomo morto si allentò e Rose si alzò in piedi. Non poté far altro che girarsi senza sapere cosa avrebbe visto. Il fantasma di un uomo inesistente?
Un’ombra minacciosa? Un inganno e quindi il nulla?
I suoi occhi si sollevarono e lo vide.
Rose aveva sempre pensato che se mai fosse accaduto, avrebbe tremato tanto. Per l’emozione e anche per la paura comprensibile di fronte a qualcosa di impossibile. Non accadde. Smise invece di tremare e avere paura. Dimenticò ogni altra cosa in modo innaturale.
Rose lo guardò incredula. L’uomo che aveva visto da bambina era davanti a lei.
Non sembrava trascorso neanche un giorno da quel piovoso pomeriggio in cui si era sbucciata il ginocchio per correre curiosamente verso quel suono. Ed era proprio il suono che aveva sentito l’attimo prima che quella cabina blu apparisse nel corridoio. Lo stesso davvero, allora. Lo stesso davvero. LUI.
- TU…  - sussurrò avvicinandosi nella sua direzione quasi barcollando. La luce calda di quell’interno si rifletteva nei grandi occhi scurissimi che ricordava benissimo. Il suo viso così singolarmente bello, affilato e sofferente. Soffriva ancora, come ricordava, sebbene avesse la percezione istintiva che stesse meglio. Pensò che fosse bello come allora ma non lo guardò più come una bambina ma come la donna che era. Pensò che dentro sentiva come delle fiamme accendersi e le fiamme le aveva lui negli occhi, guardandola.
Ma il tempo era trascorso solo per lei?
Avrebbe voluto toccarlo ma le sue mani bagnate di sangue si chiusero come artigli e la sua immagine si confuse nella luce fioca che li circondava perché le lacrime erano troppe negli occhi. Parve sospirare sconfitta. Lui le rivolse uno sguardo comprensivo.
- Finalmente ti ho trovata…  - le disse con tristezza infinita.
E lei la sentì dentro, come fosse sua.
- Vorrei che fossi qui con me – singhiozzò Rose. Lui si staccò da quella strana colonna luminosa che brillava al centro della stanza e quindi andò lentamente verso di lei. Molto più sicuro di quanto ricordasse, altissimo, sottile come una lama.  Un breve momento e furono uno di fronte all’altro – non puoi essere qui ora, davvero… oggi…  - ripeté ancora Rose sentendo chiaramente la sua vicinanza e quel profumo strano che le aveva ricordato il mare. Il mare e una spiaggia lontanissima, quella dove passeggiavano spesso in sogno – mia… madre è morta…  - gli disse con una voce che sembrava sfuggirle appena dal pianto. Lui fece silenzio sulle sue parole.
Chinò lo sguardo da lei e mise la mano sinistra su quella destra di Rose, ancora stretta a pugno. Lei lo guardò, ascoltò il suo tocco delicato e quell’incertezza che tradiva ansia, emozione. Tremava e ciò le fece sentire un senso di tenerezza infinita verso di Lui. Di riflesso, la sua mano si aprì; e Lui la strinse nella sua lentamente, ma con un'improvvisa sicurezza.
Si guardarono negli occhi, sembravano respirare allo specchio, insieme.
- Rose Tyler…  - sussurrò dolcemente senza riuscire a dire quel che aveva incastrato in quei due cuori esitanti; non poteva neanche sorridere perché lei soffriva e soffriva anche lui.
E tutto era disastroso, distorto, terribile, perduto.
Lei lo percepiva senza comprenderne il senso ma era così forte ormai da doverle essere presente, sebbene umana. A lei come a chiunque altro nell’universo ma nel TARDIS la cosa era più evidente.
Il Dottore restò assorto in lei come potesse toccarla dentro ma ad un tratto si scosse e rivolse lo sguardo verso la porta e vide che Jack si era tirato su lentamente e restava a sedere guardandoli entrambi con occhi lucidi. Guardò Rose allora e le fece un leggero cenno di voltarsi.
Lei si girò e lo vide irrigidendosi per la sorpresa ma senza alcuna paura. Jack le rispose con un sorriso e uno scherzoso saluto militare in un gesto veloce, con due dita alla fronte.
- Sei vivo! – sorrise incredula Rose al suo salvatore.
- Inevitabile, a quanto pare. Capitano Jack Harkness, per servirti… Rose.
- Oh, Jack… ! Smettila… - sussurrò il Dottore a quelle parole. Rose lo guardò stranamente. Un dejà-vu. Fortissimo. Come il terribile giramento di testa che le rese impossibile continuare a stare in piedi come nulla fosse. Strinse più forte la mano del Dottore che rispose alla sua stretta e sentì un profondissimo senso di calore dentro sebbene la sua mano fosse freddissima. Un momento prima che ne avesse lei stessa percezione, Dottore lasciò la sua mano e la sostenne per le spalle evitando che cadesse.
Se lo aspettava. Una deformazione temporale di quel tipo era abbastanza straordinario che non l’avesse sconvolta prima. Jack si alzò rapidamente e corse da lei. Guardò il Dottore con scoperta apprensione.
- Cosa le succede?
- E’ in shock. Starà bene… - sussurrò mentre Rose chiudeva lentamente gli occhi come vinta dal sonno – purtroppo anche stavolta Jackie è stata uccisa e anche Mickey.
- Per fortuna siamo arrivati in tempo per lei.
- Non improvviso più sulla tempistica da molti anni, ormai… - disse con accento lugubre il Dottore. ANNI. Jack pensò che voleva dire “secoli” ma lo taceva. La malattia aveva rallentato l’invecchiamento di quel corpo eccezionale che l’aveva mantenuto in vita nonostante tutto ma quell’essere ormai… quanti anni aveva? – hanno creato una sospensione artificiale, una cosa che stanno usando sempre più spesso visto lo stato dell’universo. Tutto si sta disgregando…
- Dottore…
- A causa mia l’universo e il Tempo sono come maglie troppo tirate ed ogni cosa… si sta sfilacciando  - Jack percepì limpidamente la rabbia che gli conosceva come propria: quella verso sé stesso. Era ancora debole ma la sua coscienza sembrava stesse restituendogli la consapevolezza delle sue azioni.
Aveva fatto tutto per lei. Si era macchiato dei crimini peggiori anche davanti a sé stesso e solo per Rose.
Ma guardando i suoi occhi su di lei comprese che qualunque mostro fosse diventato l’angelo Nero, non esisteva più. Era stato incenerito dallo sguardo di quella ragazza. Al suo posto era tornato un uomo diverso. Lui era il Dottore. Di nuovo.
- Hai detto che il Silenzio era lì e sapeva dove io fossi  - disse ad un tratto e Jack annuì - e dopo averla uccisa in ogni mondo… stavolta la volevano viva, Jack. Cosa ti fa pensare? – Jack prese in braccio Rose.
Lui e il Dottore si scambiarono un lungo sguardo.   
  
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