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Autore: _ayachan_    28/09/2008    30 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 08
Capitolo ottavo

L'equilibrio in bilico




Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro,
ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.

Lev Tolstoj, «Anna Karenina»




Nonostante fossero uno dei gruppi di punta di Konoha, i ragazzi del gruppo sette non erano stati convocati spesso nell’ufficio dell’Hokage. Fermi davanti a una scrivania decisamente sovraffollata, però, non sembravano particolarmente intimoriti dall’ufficialità della situazione, quanto piuttosto distratti.
L’unico che non fissava fuori dalla finestra era Kotaro, il quale tuttavia era impegnato ignorare il litigio che si svolgeva davanti ai suoi occhi e non sapeva bene dove guardare.
«No, credo che dovrei essere io a parlare» disse Naruto tra i denti, fissando con astio Shikamaru e Sakura. «In fondo sono io il sostituto ufficiale; voi mi assistete, se ben ricordo.»
«Ma tu non hai capito niente dei dettagli del piano!» replicò Sakura esasperata. «Naruto, porca miseria, lo sappiamo che ufficialmente sei l’Hokage, nessuno vuole usurparti il posto! Siamo qui per aiutarti!»
Chiharu sbadigliò, pensando che avrebbe potuto dormire dieci minuti in più. Hitoshi, al centro del trio, fissò vacuo la vetrata oltre i litiganti, cercando di ricordare a memoria la pagina trentadue del manuale segreto degli Uchiha sullo sharingan. Aveva voglia di una sigaretta.
«Non è vero che non ho capito niente del piano!» si indignò Naruto. «Se Kakashi mi ha scelto è perché era convinto che avessi le capacità! E comunque me la sono sempre cavata, senza bisogno che... Oh, al diavolo! Hitoshi, Chiharu, Kotaro! Dovete andare a Suna.»
Shikamaru e Sakura trasalirono. «Naruto! Quanti anni pensi di avere?»
Oltre la scrivania Chiharu si grattò distrattamente un orecchio. «Okay» rispose laconica. Hitoshi si riscosse dai suoi pensieri e tornò faticosamente alla realtà. Si limitò ad annuire. Kotaro, finalmente, si degnò di mostrare una parvenza di reazione dinamica. «E’ una collaborazione?» chiese serio.
«Non esattamente» rispose Naruto corrugando la fronte. «Cioè sì, in parte... Come dire, qualcuno lo sa e qualcuno no, ecco.»
«Naruto...» mormorò Shikamaru.
«Nel senso» insisté lui, sentendo il sangue che iniziava ad accumularsi sulle guance. «E’ una missione in collaborazione, ma l’obiettivo è all’interno di Suna... E quindi è anche non in collaborazione...»
«Naruto!» sbottò Sakura, sbattendo una mano sulla scrivania. «Piantala di arrampicarti sui vetri e lascia parlare Shikamaru!»
Naruto le scoccò un’occhiata mortalmente offesa, ma si rese conto che insistere avrebbe solo peggiorato la situazione. Si fece indietro, borbottando tra sé, e finalmente Shikamaru poté parlare, con un sospiro molto più che profondo, dando inizio alla spiegazione vera e propria.
«Vogliamo che andiate a Suna con Rock Lee, mia moglie e Gai Maito» annunciò, e questa volta nessuno dei tre shinobi che gli stavano davanti riuscì a contenere la sorpresa. «Ufficialmente sarete là per aiutare a riparare i danni dell’ultima tempesta di sabbia, come delegazione amichevole e volenterosa, ma in realtà avrete una missione segreta da portare a termine. Non abbiamo deciso di mandare voi perché siete giovani e sembrate innocui, ma perché, sostanzialmente, Chiharu è la nipote di Gaara e Temari sua sorella.»
Chiharu inarcò un sopracciglio e Kotaro e Hitoshi la fissarono con una punta di invidia. Anche loro volevano una parentela illustre.
«Riunione di famiglia?» ipotizzò lei.
«Magari» commentò Shikamaru. «Gaara sarà il vostro unico appiglio a Suna, è il solo a conoscere la situazione e a potervi dare una mano. Non siamo riusciti a trovare scusa migliore per stare soli con lui di ‘io e la mia adorabile famigliola prendiamo un tè insieme’. Anche perché la persona che dovrete assolutamente tenere lontana è la sua segretaria, Loria, e ci manca poco che lo segua anche in bagno.»
«Tradimento?» chiese Hitoshi, ansioso di rendersi utile e guadagnare punti.
«Non proprio» rispose Sakura. «Diciamo piuttosto che Loria non è Loria. Sei anni fa, quando la guerra tra noi e l’alleanza del nord-est era appena agli inizi, la Roccia ha inviato spie a Konoha e a Suna. Qui si è infiltrata dal basso, cercando di farsi notare il meno possibile, ma per trattare con la Sabbia ha preferito procurarsi un ostaggio e saltare direttamente alle alte sfere. Hanno scelto la segretaria del Kazekage, se la sono portata via e l’hanno sostituita con una kunoichi perfettamente addestrata a tenere a bada Gaara. Più di metà delle carestie e tempeste che negli anni hanno impedito alla Sabbia di darci manforte nelle schermaglie è pura invenzione; la finta Loria scriveva i messaggi per conto di Gaara e lui non poteva che chinare la testa e obbedire.»
«Perché?» la interruppe Chiharu, corrugando la fronte. «Senza offesa, ma la segretaria di un Kage è importante solo finché ha informazioni fresche. E la ragion di stato ha sempre insegnato che la vita di un uomo vale meno di quella di tutti gli altri.»
Shikamaru e Sakura si scambiarono uno sguardo.
«Perché Gaara la ama» rispose Naruto, prima che potessero farlo loro. Si sentiva in dovere di difendere le buone intenzioni del Kazekage. «Non sappiamo se l’hanno rapita per questa ragione o se l’hanno scoperto dopo, ma le cose stanno così. E Gaara non accetterà mai di sacrificarla, a costo di partire da solo e salvarla senza l’aiuto di nessuno. Cosa che, a quanto pare, non possiamo permetterci...»
«Leva quel ‘a quanto pare’, testa di rapa» sospirò Shikamaru. «Perdere il Kazekage sarebbe la cosa più terribile che può capitarci: ci troveremmo soli contro tutti, ci schiaccerebbero in meno di un istante.»
«Devono solo provarci...» borbottò Naruto.
«Comunque, lasciando da parte le faccende private di Gaara,» intervenne Sakura con un discreto colpo di tosse. «ciò che dovrete fare concretamente è liberare Loria. In questi sei anni non ce ne siamo rimasti con le mani in mano: Gaara è riuscito a eludere la sorveglianza della Roccia e a scoprire dove la tengono, ma non può spostarsi senza che la spia venga immediatamente a saperlo. Andrete a Suna, Chiharu e Temari troveranno il modo di ricevere le indicazioni di Gaara, e a quel punto voi ragazzi entrerete in azione per recuperare Loria. Nel frattempo Gai, Lee e Temari copriranno la vostra assenza con una copia a testa. Ci sono domande?»
Hitoshi si schiarì la voce. «Siamo proprio sicuri che dopo sei anni sia ancora viva?»
Sakura guardò Naruto, che non rispose subito. Alla fine sbuffò e appoggiò i gomiti alla scrivania. «Per come lo conosco io, se così non fosse Gaara avrebbe già fatto a pezzi la spia nel suo ufficio.»
I ragazzi rabbrividirono involontariamente. Non avevano mai visto il Kazekage di Suna all'opera, ma quando erano all'Accademia girava una storia inquietante su un vecchio esame per Chunin. Chiharu aveva provato a chiedere i dettagli a sua madre, una volta. Tragico errore: lei aveva deviato il discorso sulla sconfitta inflittale da Shikamaru nel corso del torneo e non era più stato possibile tornare sull'argomento senza che lei si lamentasse che la promozione del marito era stata una truffa.
«Quando partiamo?» chiese per stemperare l'atmosfera.
«Avete tre giorni per prepararvi» rispose Shikamaru. «E gradirei che obbediste ciecamente agli ordini del maestro Gai.»
«Sissignore!» scattò Kotaro, gli occhi densi di orgoglio ed emozione.
«Ti pareva» grugnì Hitoshi, e la sua mano guizzò involontariamente alla tasca delle sigarette, strategicamente invisibile agli occhi di Sakura.
«Anche mamma?» chiese Chiharu con l'ombra di un sorriso.
Le spalle di Shikamaru si abbassarono, afflitte. Sakura lo salvò congedando i ragazzi, e loro lasciarono lo studio dell'Hokage per andare a prepararsi.
«Siamo a metà maggio» bofonchiò Chiharu quando furono di nuovo all'aria aperta. «Ci saranno come minimo quaranta gradi all’ombra, a Suna.»
«Ringrazia che non siamo a luglio, allora» ribatté nervosamente Hitoshi, ansioso di allontanarsi per accendersi una sigaretta.
«Non oso immaginare la fatica lungo la strada...» continuò lei, gemendo. «Qualcuno mi ricorda perché sono qui?»
«Perché Stupido ti ha fatta perdere le staffe all’esame per Chunin» rispose Hitoshi stringato. «Andiamo? Qui siamo troppo... vicini.»
A tua madre?, stava per chiedere Chiharu con un ghigno, ma Kotaro la precedette.
«E' la prima volta che facciamo una missione così seria senza Naruto» disse, a metà tra il rammarico e l'orgoglio. «Adesso che è Hokage probabilmente passerà sempre meno tempo con noi...»
Chiharu e Hitoshi rimasero in silenzio. Cosa sarebbe successo al loro gruppo senza la guida di Naruto? Kotaro sarebbe stato un collante sufficiente oppure...?
«Beh, era ora» sbottò l'Uchiha. «Gli altri gruppi lavorano senza Maestro da anni.»
«Ma i loro maestri non sono al livello del nostro!» ribatté Kotaro seccamente.
Hitoshi rise, e il compagno lo fulminò con lo sguardo. «Sei davvero così ottuso, Uchiha?»
«State scherzando? Litigate per Naruto?» intervenne Chiharu.
«Litighiamo perché qualcuno, tra noi, ha ancora dodici anni» replicò Kotaro.
«Già, e quel qualcuno non sono io» sibilò Hitoshi.
Vorrei essere io, pensò Chiharu, che i compagni diciottenni proprio non li capiva.
Kotaro serrò i pugni, rimangiandosi la risposta. Sarebbe stato così facile – oh, troppo facile – distruggere Hitoshi, ma non voleva. Aveva passato gli ultimi cinque anni a tenere insieme il gruppo, ingoiando rispostacce e lusingando l'ego dei compagni di squadra; cedere adesso avrebbe reso vano tutto il suo lavoro. Il suo arduo, sfibrante e doloroso lavoro...
Ne vale la pena?, si chiese, irritato, guardando Hitoshi.
Chiharu posò una mano sul suo braccio. «Dobbiamo andare a prepararci.»
Lui la fissò, esitante, ma alla fine sorrise.
Sì.
«Hai ragione. Devo andare a comprare gli snack per i festini notturni!»
«Non era proprio quello che intendevo...» borbottò Chiharu, ma gli batté una pacca sulla spalla.
Kotaro li salutò, annunciando che avrebbe chiesto a Rock Lee di preparare un piano speciale di allenamento per il viaggio, quindi sparì prima che Chiharu potesse lamentarsi.
«Tu hai qualche impellente faccenda da sbrigare prima della partenza?» chiese Hitoshi fissandola.
Lei pensò a Sai, e, per una minuscola frazione di secondo, anche a Stupido; tuttavia si limitò a scrollare le spalle. «No, non credo. Ma posso accumulare ore di sonno.»
«Eccola» bofonchiò Hitoshi contrariato. Ogni attimo di libertà Chiharu lo sprecava a dormire, quando avrebbe potuto godere della sua preziosa compagnia. E se solo avesse saputo quanto poteva essere apprezzabile, beh, sicuramente non avrebbe parlato così.
«Allora ci vediamo.»
Hitoshi non fece in tempo ad alzare lo sguardo che la vide allontanarsi con le mani in tasca e la testa già altrove.
«Cazzo» imprecò, digrignando i denti. Sentì le prime avvisaglie della solita beffarda emicrania. «Non me ne va bene una che sia una, eh.»
Tra l’altro, tra gli Hokage che gli avevano affidato la tanto pericolosa missione mancava solo suo padre; che non lo aveva visto, rigido e fiero, mentre ascoltava come un uomo, un Uchiha, e non come un ragazzino qualunque.
Deluso, si mosse rapido in cerca di un angolo appartato dove accendere una sigaretta.


Il giorno in cui Kakashi aveva stabilito che Sasuke, Sakura e Shikamaru avrebbero assistito Naruto nel suo compito, Sasuke era tornato a casa e aveva parlato francamente alla moglie.
«Kakashi ha nominato anche me solo per contenere Naruto nel caso in cui perda la testa. Come capo della polizia e capoclan Uchiha sono già fin troppo impegnato, per di più la mia fedina penale è tra le più sporche di Konoha. Sappiamo bene che non c'entro niente con il ruolo di Hokage: spero non vi offendiate se passerò molto poco tempo con voi.»
Controvoglia era stato trascinato nella faccenda della missione di Kakashi e controvoglia aveva perso un pomeriggio per presenziare alla riunione straordinaria del Consiglio, ma all’infuori delle occasioni ufficiali aveva detto ai suoi colleghi che avrebbero dovuto fare a meno di lui, perché era un uomo impegnato e un padre di famiglia e un mucchio di altre cose che potevano essere sintetizzate in: non voglio essere coinvolto negli altri casini che sicuramente combinerete.
Per questo in pieno orario lavorativo, mentre Sakura, Shikamaru e Naruto cercavano di dare un senso alle pile di documenti lasciati da Kakashi, Sasuke se l’era svignata anche dalla stazione di polizia ed era seduto alla sua scrivania di casa, cercando di capire come e perché sua moglie avesse sborsato centomila ryo in una boutique per bambini.
Il suo cervello rifiutava di accettare che un cappellino da baseball costasse seimila ryo, anche dopo aver riletto la fattura quattro volte. Ma forse era perché non riusciva a concentrarsi a causa dei rumori che venivano dal giardino. Si alzò e andò a socchiudere la porta che dava sul corridoio esterno. Ciò che vide fuori furono Fugaku, il suo secondogenito, e Mikoto, la prima figlia femmina, che si allenavano: tra tecniche e scivoloni il giardino sembrava un campo di battaglia; di tanto in tanto una fiammata strinava l’erba.
I due ragazzini avevano rispettivamente tredici e dodici anni, ma entrambi avevano già completato l’Accademia e Fugaku sfoggiava con orgoglio uno sharingan completo e perfetto. Mikoto, diplomatasi lo scorso settembre, gli teneva testa a fatica e ancora non era in grado di padroneggiare perfettamente i suoi occhi, per ora semplicemente scarlatti.
Sasuke rimase a studiarli ancora un po’, la spalla appoggiata all’intelaiatura di legno della porta. Alla fine con un piccolo sorriso arretrò e la chiuse, tornando alla scrivania.
Fugaku, Mikoto e Itachi, il suo orgoglio. Tutti e tre degni eredi del clan, tutti e tre fieri portatori di sharingan, tutti e tre futura gloria del casato. Ironicamente, tutti e tre portatori di un nome della precedente generazione.
Alla nascita di Itachi, cinque anni prima, Sasuke era stato inquieto. Allora Hitoshi non aveva sviluppato lo sharingan, e quel bambino calvo che apriva un solo occhio lo aveva preoccupato profondamente. Dopo qualche giorno, però, Itachi – che allora non aveva ancora un nome – aveva rivelato cosa nascondesse sotto la palpebra sinistra. E alla vista di uno sharingan già completo Sasuke aveva provato un orgoglio sconfinato.
Questo bambino sarà il vero e miglior erede. Il nuovo genio della famiglia.
A quel punto, nonostante le perplessità di Sakura, chiamarlo Itachi era sembrato inevitabile. Anche perché in quel periodo erano comparsi Ryuichiro e Saifon, e lui era stato assalito dai ricordi.
Trovandosi improvvisamente in quel pensiero Sasuke si incupì. Quasi distrattamente socchiuse gli occhi e portò una mano a sfiorare il segno maledetto che ancora marchiava il suo collo, ormai grigiastro e sbiadito. Di tanto in tanto Sakura doveva ancora controllare che il virus non riprendesse forza, ma negli ultimi anni sembrava essersi assopito definitivamente.
Bussarono alla porta che dava sul corridoio interno.
«Sì?» Sasuke alzò lo sguardo e si affrettò ad allontanare la mano dal collo.
Hitoshi entrò nello studio, chinando il capo in un saluto. «E’ ora di cena, padre. Devo dire alla cuoca di preparare o aspettiamo ancora?»
Da quasi cinque anni aveva smesso di chiamarlo papà.
«Dille di preparare. Tua madre probabilmente rientrerà tardi» rispose Sasuke con una magra e schiva occhiata.
Hitoshi lottò per tenere le mani distese lungo i fianchi e non serrarle a pugno. «Va bene» rispose atono. «Oggi il mio gruppo è stato convocato nell’ufficio dell’Hokage» aggiunse dopo un’impercettibile esitazione.
Sasuke rialzò il capo e corrugò la fronte, cercando nella memoria qualche accenno di Sakura alla cosa. «E’ per la missione a Suna?» riuscì a ricordare alla fine.
«Sì. Partiamo tra tre giorni.»
«Bene. Se vuoi allenarti prima della partenza puoi usare il secondo giardino sul retro. I tuoi fratelli stanno occupando quello principale.»
«Lo terrò presente. Grazie» mormorò Hitoshi tra i denti.
Sasuke lo guardò finché non si fu inchinato ed ebbe richiuso la porta.
Hitoshi. Il ragazzino che doveva essere il baluardo degli Uchiha e che invece si era rivelato la più grande delusione. Nessuno sharingan per lui. Né a dodici, né a quattordici, né a diciassette anni. Era abile nel controllo del chakra, era intelligente, era agile, era Jonin e svolgeva una missione dietro l’altra... Ma non aveva il segno distintivo degli Uchiha, era solo uno shinobi come tanti altri. Talentuoso, sì, ma potenzialmente inferiore ad ognuno dei suoi fratelli.
Sviluppare lo sharingan non era scontato, tra gli Uchiha. Sasuke ricordava che nel clan solo i migliori potevano vantarsi di possederlo e saperlo usare, e da bambino era fiero che nella sua famiglia tutti ne fossero in grado. Era convinto che tutti i suoi figli sarebbero stati all’altezza della loro eredità, invece la prima delusione era arrivata proprio da Hitoshi: per quanto fosse forte, per quanto fosse intelligente, non era abbastanza meritevole per lo sharingan. Dopo la nascita di Itachi Sasuke aveva inevitabilmente finito per concentrare le sue attenzioni sull’ultimo arrivato, sul piccolo prodigio. Poco dopo, al compimento degli undici anni, Fugaku aveva mostrato i primi segni dello sharingan, e le attenzioni del padre si erano divise. Quando anche Mikoto si era presentata a lui con occhi rossi e densi d’orgoglio era diventato evidente che in Hitoshi qualcosa non andava. E allora non c’erano più stati timidi ‘papà, hai un minuto per allenarti con me?’, né lezioni speciali sulle tecniche oculari. A dire il vero, non c’erano stati più ‘papà’, né ‘oggi com’è andata la missione?’. I rapporti tra Sasuke e Hitoshi si erano congelati nell’attimo che aveva seguito la nascita di Itachi, fermi a una fredda cortesia.
Poi, quando erano soli, non pensavano ad altro: Sakura aveva passato notti su notti a sorbirsi i monologhi di Sasuke, le sue domande retoriche, le elucubrazioni, le imprecazioni e la delusione. Aveva anche provato a cercare un contatto con Hitoshi per fare da mediatrice, ma quando Fugaku aveva mostrato il suo sharingan alla famiglia Hitoshi si era chiuso in sé stesso e aveva tagliato fuori tutti. Di fatto viveva con il suo gruppo, ormai. E che quel gruppo comprendesse Naruto non poteva che essere un duro colpo per Sasuke.
Ma, orgogliosi com’erano, né lui né Hitoshi avevano fatto un passo per cercare di avvicinarsi; si erano arroccati sulle loro posizioni e continuavano a rodersi e soffrire in silenzio, perché se c’era una cosa che gli Uchiha sapevano fare bene era ferirsi a vicenda e anche da soli. L’orgoglio era l’unica realtà che conoscevano.
Sasuke si passò una mano sugli occhi, forzandosi a tornare ai suoi conti. Non gli piaceva inoltrarsi in quei pensieri, era frustrante e doloroso. Cercò la penna che era scomparsa sotto qualche foglio, borbottando corrucciato tra sé, ma sembrava che addendi e cifre, guidati dal subdolo pensiero di Sakura, cercassero di schivare il suo controllo: prima che potesse ritrovare il punto in cui si era interrotto, infatti, bussarono di nuovo.
Questa volta a entrare fu Ryuichiro.
Come ogni volta che lo vedeva Sasuke sentì un curioso miscuglio di disagio, affetto, ansia, fastidio e rimpianto. Si mosse nervosamente sulla sedia e annuì al suo sorriso, avvertendo una fitta leggera allo stomaco.
Ryuichiro aveva più o meno vent’anni ed era naturalmente portato a mettere soggezione. Aveva un incarnato delicato, capelli neri che sfioravano il collo, occhi dello stesso colore bordati da ciglia lunghe e folte. Le sue mani erano affusolate, eleganti come quelle di una ragazza. Il portamento era distinto ma poco vistoso. Sarebbe stato soltanto bello se si fosse limitato a questo, ma ciò che causava tanto disagio era che Ryuichiro era la copia vivente di Itachi Uchiha. E chiunque lo avesse conosciuto, guardandolo non poteva fare a meno di sentire un brivido correre giù per la schiena e di pensare a quante terribili cose avrebbero potuto fare quelle dita affusolate.
«Mi perdoni se la disturbo» disse con un cenno di scusa, garbato, qualcuno avrebbe detto timido – e l’impressione era sempre molto strana. «Vedo che è impegnato, se vuole torno in un altro mo...»
«Non è nulla» lo interruppe Sasuke, suo malgrado quasi ansioso di fare bella impressione. Si disprezzò per quella debolezza infantile.
«Meglio così» sorrise Ryuichiro. «Ecco, mi spiace fare di nuovo una richiesta del genere, ma mia madre vorrebbe ancora dei... un piccolo prestito.»
Prestito. Come se quei soldi fossero destinati a tornare. Sasuke si accigliò impercettibilmente ma non fece altra piega. «Torna domani» disse senza scomporsi. «Sarò in centrale, di’ che hai un appuntamento con me. Cinquantamila ryo vanno bene?»
«Trentamila sarebbero meglio...»
Sasuke annuì, ripromettendosi di procurarne cinquanta, quindi studiò Ryuichiro per un lungo istante. «State bene? Siete abbastanza comodi in quell’appartamento?»
«Siamo sistemati perfettamente» rispose il ragazzo con un’evidente nota di gratitudine nella voce. «Mia madre ha sempre qualcosa di cui lamentarsi, ma lo fa solo per noia. In realtà le siamo profondamente riconoscenti.»
«Non dovete» lo interruppe Sasuke schivando il suo sguardo.
Ryuichiro rimase vagamente imbarazzato. Nello studio scese un silenzio teso, rotto solo dai rumori della lotta all’esterno. «Allora... beh, grazie» mormorò il ragazzo chinando il capo. «Verrò in mattinata, va bene?»
«Perfetto» annuì Sasuke.
Solo quando fu rimasto di nuovo solo si concesse di rilassare i muscoli del tronco e lasciarsi andare contro lo schienale della sedia. Si passò una mano sulla fronte, insoddisfatto: non riusciva ad avere a che fare con quel ragazzo senza sentirsi sempre sotto esame, un esame per cui non si era preparato e non sarebbe mai stato pronto. Da quando Saifon era spuntata nella sua vita era tornato un bambino di sei anni.
Senza che se ne accorgesse la sua mano scivolò dalla fronte al collo, tornando al segno maledetto. Qualcosa nella punta delle sue dita fremette; ma, anche se lo avesse notato, non avrebbe saputo dire se il fremito proveniva dalla mano o da qualcosa di più profondo.


Hitoshi fissò Kotaro e imprecò mentalmente.
Kotaro vide entrare Hitoshi e sospirò dentro di sé.
Si trovavano entrambi nel negozio di armi gestito da Tenten, che stava quasi chiudendo per la sera. Entrambi avevano pensato che quello fosse un buon orario per non incontrarsi, ma dal momento che avevano studiato sugli stessi testi le loro strategie si assomigliavano parecchio.
«Quattro kunai e uno stock di shuriken?» disse Tenten, depositando sul tavolo due scatole di legno lucido. «Considerali un regalo di compleanno in ritardo» aggiunse, strizzando l'occhio al figlio.
«O molto in anticipo» ribatté lui, prendendo le scatole sottobraccio e incastrandosi un po' con la borsa che già portava.
Si voltò e fece un cenno a Hitoshi. Lui ricambiò, silenzioso, e prese il suo posto al banco.
«Due stock di shuriken, una confezione da dieci di carta-bombe» ordinò a mezze labbra.
Tenten diede un'occhiata a lui e una al figlio, corrugando la fronte, finché Kotaro non fu uscito.
«Ciao anche a te. Mi sono arrivate le carta-bombe ritardate, ne vuoi qualcuna?»
«Mi scusi. Buongiorno. Ne aggiunga un paio, per favore.»
Tenten si voltò per preparare la merce. Non conosceva molto bene gli Uchiha, ma conosceva molto bene i Lee, ed era certa che suo figlio fosse arrabbiato.
Ora poteva innescare una carta-bomba ritardata nel pacco di Hitoshi e ucciderlo, oppure passare la sera a spiegare a Kotaro che non si può partire per una missione avendo litigato con il compagno di squadra. Chissà se anche Chiharu c'entrava qualcosa? Al pensiero della kunoichi sospirò, guadagnandosi un'occhiata perplessa di Hitoshi.
Dato che il pacco era piuttosto voluminoso, Tenten gli diede una borsa e ritirò i contanti. Poi si schiarì la voce. Hitoshi subodorò il pericolo, allenato da anni di convivenza con sua madre, e aprì bocca prima di lei, con un ampio quanto falso sorriso.
«Sarà un onore andare in missione con suo marito» annunciò fieramente. «Sono sicuro che potrà insegnarmi un sacco di cose! Buona serata.»
«Ehi!» lo bloccò Tenten mentre lui cercava di svignarsela. «Guarda che io non sono Sakura» indicò la merce sul banco. «Vendo armi, non mi si frega così facilmente.» Hitoshi strinse le labbra. «Tu e Kotaro avete litigato? No, ok, non te lo chiedo nemmeno. Ma, per favore, non fate i bambini: non si può andare in missione avendo litigato. Vi farete ammazzare.»
Hitoshi sbuffò. «Lo so. Cioè, lo sappiamo tutti e due. Non si preoccupi, sappiamo come comportarci.»
Tenten si appoggiò al banco, lasciando che il ragazzo se ne andasse. «Ma davvero?» mormorò una volta sola. Si ripromise di parlare a Kotaro, quella sera.
Hitoshi uscì dal negozio e si incamminò verso casa, la borsa stretta in una mano e l'altra ad accarezzare il pacchetto di sigarette in tasca. Quando lui e Kotaro litigavano, di solito era Kotaro a cedere per amore di convivenza: anche questa volta si aspettava che il compagno sarebbe venuto a chiedere scusa, e come sempre avrebbero condiviso una lattina di qualche bevanda gassata e finto che Chiharu non fosse sempre tra di loro. Non era il miglior scenario possibile, doveva ammettere, ma visto che non lo avevano preso negli Anbu era l'unico scenario a disposizione.
A un tratto si fermò. In fondo alla strada, davanti a una bancarella di dango, vide una chioma di un giallo abbagliante. Accanto a quella, la familiare coda nera di Chiharu.
«Doveva dormire, eh?» borbottò una voce al suo fianco. Hitoshi non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che era Kotaro.
Entrambi rimasero fermi ad osservare Chiharu e Yoshi, che prendevano da mangiare e si allontanavano senza notarli. Quando furono scomparsi dietro un angolo, Kotaro sbuffò e tirò fuori dalla sua borsa una lattina dai colori sgargianti. «Vuoi?»
Hitoshi trattenne un sorriso, ma accettò.
Si spostarono in una via traversa meno trafficata, dove trovarono un marciapiede su cui sedersi mentre si accendevano i lampioni.
«Mi dispiace per oggi» esordì Kotaro, ruotando piano la lattina tra le mani.
«Non è niente» rispose Hitoshi scrollando le spalle.
Kotaro lo fissò, leggermente risentito. Perché quando lui chiedeva scusa Hitoshi non rispondeva mai 'è anche colpa mia'? Tossicchiò con intenzione, sollevando le sopracciglia.
«Che c'è?»
«Tu non hai niente da dirmi?»
Hitoshi, infastidito, bevve un lungo sorso dalla sua lattina. «Cosa vuoi sentirti dire?»
«Per esempio, che anche a te dispiace per le cose che hai detto.»
«Ma non mi dispiace.»
Kotaro gli tirò un pugno contro la spalla, e Hitoshi rovesciò un po' della sua bevanda sui pantaloni, imprecando.
«Lo sai, vero, che se non fosse per me questo gruppo non esisterebbe già da tanto tempo?» disse seccato. «Perché devo essere l'unico che si sbatte a tenerci insieme?»
Hitoshi rinunciò a pulire i pantaloni, ma appoggiò a terra la lattina. «Credi che io non ci stia provando?»
«No. Per niente.»
«Beh, invece ci sto provando!» sbottò Hitoshi. Ma Kotaro non poteva capire la sua costante frustrazione, il nervosismo, l'ambizione divorante che lo rendeva sempre irritabile. Kotaro era forte e amato, non poteva capire proprio niente dei suoi sforzi.
«Fai schifo anche a provarci» disse il giovane Lee.
Hitoshi sbuffò, frugando nelle tasche in cerca di una sigaretta. «Ti preparerò un cartello con scritto quanto sei figo e maturo, così che tutti possano ammirarti...»
«Oppure potresti darmi ragione, per una volta.»
Hitoshi fece una smorfia e inspirò per accendere la sigaretta.
Kotaro scosse la testa, snervato. «Non riesco a capire perché tu non abbia ancora fatto richiesta per gli Anbu!»
Hitoshi serrò le labbra. L'aveva fatta, invece. Purtroppo.
«Senti...» iniziò, passandosi una mano tra i capelli. «Sai che tipo sono.»
«Una testa di cazzo.»
«Come vuoi. Sai che sono una testa di cazzo. Sai che non è una scelta, ci sono nato. In fondo sai anche che ci sto provando, a modo mio, ma con risultati penosi» Kotaro fece un cenno con la testa, suo malgrado concorde. «Non sono io il rischio più grosso per questo gruppo... Credimi, se pensassi di poter fare di più lo farei.»
La scheggia impazzita, in effetti, non era Hitoshi. Era Chiharu, era sempre stata Chiharu.
«Ma certo» Kotaro sorrise amaramente. Stava per aggiungere un commento tagliente, poi si trattenne.
Aveva lavorato tanto per tenere insieme quel gruppo... Aveva resistito anche a provocazioni peggiori, non avrebbe mandato tutto all'aria parlando di gelosia. Era il loro tacito accordo, non parlarne mai: allusioni a fiumi ma nessun argomento concreto.
Era l'unico modo in cui potevano restare in bilico.
«Beh, meno male che io sono un po' più bravo» concluse Kotaro, finendo la lattina e gettandola con precisione nel cestino poco distante. «Dove sareste senza di me, eh?»
Hitoshi guardò la parabola del proiettile e lo vide centrare perfettamente l'apertura del cestino. Ogni centimetro del corpo di Kotaro era nato per quello, per essere una catena perfetta di azioni e reazioni. Non come lui, che sarebbe dovuto nascere per lo sharingan e non ci era riuscito. E in più il giovane Lee dagli occhi a palla gli faceva lezioni sul senso di gruppo.
Al diavolo, poteva anche risparmiarselo.
Hitoshi si alzò in piedi e accartocciò la sua lattina, avvicinandosi al cestino. Fissò quella lanciata da Kotaro poco prima, e lasciò cadere la sua sopra.
Non aveva intenzione di chinare la testa.






* * *

Hitoshi e Kotaro sono un po' meno amici della vecchia versione, vero?

Quindi come potrebbero andare le cose dopo il prossimo capitolo,
che è stato molto poco rimaneggiato e si chiama "Sbronza collettiva"?

Sangue! Sangue! Sangue!
  
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