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Autore: shalalahs    12/09/2014    0 recensioni
I pensieri erano come pesci voraci. Cambiavano direzione in una maniera impressionante, riavvicinandosi e sfuggendo come sapone. Non importava quanto stringessi l'attenzione attorno ad essi, riuscivano sempre a scivolare via ed allontanarsi, soppiantati da parole fastidiose e mal volute.
Un piccolo frammento, come un vetro che rotea su sé stesso e rifrange parzialmente la luce. Si trattava di uno di quei pensieri insopportabili, che mi costringevano a distogliere lo sguardo, a cercare disperatamente un modo per pensare a qualcos'altro. Quel volto giovane e vitale aveva, troppo tardi, riempito di nuovo i miei pensieri. Perché lui? Perché, fra tutti coloro che potevano capitare, lui?

[sequel di "Al di là dell'incubo" di Megara X.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: I Cinque Guardiani, Jack Frost, Pitch, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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!WARNING! LA SEGUENTE STORIA È IL SEQUEL DI QUESTA FANFICTION, SCRITTA DA MEGARA X. SI CONSIGLIA, QUINDI, LA LETTURA DELLA PRECEDENTE ONE-SHOT PER LA COMPRENSIONE DELLA STORIA. OGNI AVVENIMENTO A CUI FACCIO RIFERIMENTO FA PARTE DELL'ORIGINALE.
GRAZIE PER L'ATTENZIONE <3

 


RISING DOWN - AL DI LÀ DELL'INCUBO II


Ci volle tempo. Molto tempo. Quel tipo di tempo che solo le cose irrimediabilmente rotte richiedevano. E più che passava, più che le ferite non sembravano rimarginarsi. Non seppi minimamente quanto tempo era passato, quanto fossi rimasto lì a fissare il buio, scorgendo sagome equine, occhi dorati oscurati dalla sabbia nera.
C'era una voragine, proprio lì, dentro di me. Ero sicuro che ci sarei cascato completamente dentro; e invece, eccomi qui: ancora disteso, fradicio e sporco dei miei stessi sentimenti, delle mie stesse paure.
Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare.. Sognare..?
La stessa parola si ripeteva.
Ogni.
Singolo.
Secondo.
Sto sognando.
Era come un orologio, nella mia mente. Non seppi se fu la stanchezza, non ricordai neanche com'era iniziato quell'interrogativo. Si ripeteva, semplicemente, da quella che sembrava un'eternità. Come quando si ripete la stessa parola fino a perderne il significato. Era diventata vuota e la disperazione fu solo un vago ricordo, qualcosa da cui distaccarsi e distogliersi, qualcosa da dimenticare.
Sembrò come alienarsi dalla realtà. La sconfitta? Il dolore? La rabbia, la frustrazione, la speranza che andava in frantumi? Niente. Il vuoto più totale, avvolto solo in quell'ombra spessa e buia. Là dove gli incubi si mescolavano alla realtà. E non potevo riposare, non potevo far altro che restare in guardia ripetendo a fior di labbra quella che ormai era diventata una nenia. Volevi che fosse finita? Volevi forse qualcosa di più, non è vero?, mi chiedeva qualcuno che usava la mia stessa voce.
Era il capolinea ed il nuovo inizio: la scelta.
Arrendersi, gettare tutto alle ortiche e permettere definitivamente a chiunque mi volesse estinto di avere la meglio. Se lo trovassero un altro, di Uomo Nero, mi ripetevo. Il mondo era pieno di spiriti maligni anche senza la mia presenza. Cos'ero, se non una marionetta preda e schiava degli stessi bambini che tanto agognava distruggere? Così è sempre stata, così sempre sarà. Tutto si basava sul mio insulso e stupido orgoglio che mi impediva di arrendersi e darla vinta a Manny, i Guardiani e chiunque altro mi volesse far restare nel proprio covo, all'interno di quell'insopportabile e solitario groviglio di ombre. Solo con la mia testa.
I pensieri erano come pesci voraci. Cambiavano direzione in una maniera impressionante, riavvicinandosi e sfuggendo, come sapone fra le dita. Non importava quanto stringessi l'attenzione attorno ad essi, riuscivano sempre a scivolare via ed allontanarsi, soppiantati da parole fastidiose e mal volute.
Un piccolo frammento, come un vetro che rotea su sé stesso e rifrange parzialmente la luce. Si trattava di uno di quei pensieri insopportabili, che mi costringevano a distogliere lo sguardo, a cercare disperatamente un modo per pensare a qualcos'altro. Quel volto giovane e vitale aveva, troppo tardi, riempito di nuovo i miei pensieri. Perché lui? Perché, fra tutti coloro che potevano capitare, lui?
Troppo tardi, avevo ricordato. Ricordato di come le mie mani avevano cercato il suo volto, in quel sogno troppo vivido per essere falso ed effimero; ricordato come lui si era rivolto a me giocosamente, frutto di una fantasia ancora incomprensibile. Ammetterlo sarebbe costato più che tenerlo nascosto -ed avrei continuato a farlo, mentendo anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno.
Un eccesso di bile mi salvò dai miei stessi pensieri. Una sensazione nuova, diversa dalla sconsolata disperazione che mi aveva accompagnato fino ad ora; diversa dall'arrendevolezza che colorava i miei intenti: indignazione. Proprio quel vile sentimento, lentamente, mi portò a realizzare che la risposta era sempre stata una sola: rabbia.
La stessa strada, battuta più e più volte, perfino l'ultima volta. Rabbia indignata per quella semplice immaginazione.
Fin dove ero finito? Cosa significava quel volto, Jack Frost? Come avevo potuto anche soltanto farmi abbindolare da uno dei miei incubi? Chi era quel piccolo ragazzo ghiacciato per far tremare me? Nessuno.
«Nessuno.»
Ecco chi era. L'ondata di rabbia venne rivolta a quelle ombre che mi turbinavano attorno. Fuori dai piedi, sibilai nella mia mente. Un ordine che, per assurdo, venne recepito con più forza ed impeto di quanto pensassi. Sarebbe stato facile. Sarebbe stata un giochetto da ragazzi. Rialzarsi, sollevarsi ed ignorare quel fastidioso pungere d'ago dei miei pensieri. Era un monito, un memento. La mia debolezza era stata proprio quella. Era stata più una fortuna, che fosse un incubo -o forse un sogno-, che non fosse nient'altro che una fantasticheria.
Jack Frost non era certamente così intelligente da arrivare a simili conclusioni. Non gli avevo chiesto di diventare la mia famiglia; era un espediente, memore e conscio dei suoi ricordi, di ciò che era stato in passato e di cosa l'altro agognava di più. Non era la mia aspettativa più rosea, non era il mio desiderio più agognato. Era il suo.
Mettitelo bene in testa, Black, ripetei mentalmente.
Con un ringhio scacciai via le ultime ombre rimaste, gli ultimi Incubi che restavano a cibarsi delle mie stesse paure e dei miei dubbi.  
Ci fu un attimo di silenzio. Sentivo ancora male ovunque, là dove il mio corpo era atterrato. Le ferite non si sarebbero rimarginate così facilmente -e non solo quelle del fisico, ma quelle dell'animo. L'orgoglio, soprattutto, era quello su cui avrei dovuto lavorare di più. Il Re degli Incubi non si sarebbe mai inchinato di fronte ad una simile e stupida fantasticheria -infondata, soprattutto.
Quando mi rialzai, a fatica, mi sembrò quasi che una fastidiosissima e ormai nota familiarità mi attraversasse. Non era la prima volta che accadeva tutto questo. Sarebbe stata l'ultima? L'Uomo Nero che si rialza dalle ombre, ritorna in esse per complottare nuovamente contro tutti i bambini del mondo.
L'orgoglio, nuovamente, aveva avuto la meglio.
L'orgoglio, nuovamente, mi aveva permesso di fare la scelta giusta.
Perché quella era la scelta giusta.. vero?
Non mi sarei abbassato a provare insulsi e deboli sentimenti come facevano quelle schifose creature mortali. Non erano per me, non lo sarebbero mai stati. Jack Frost, se solo si fosse unito a me, avrebbe capito l'inutilità dei propri sentimenti e desideri di compagnia, di attenzioni.
Ciò che volevo io.. no, non era uguale. Non desideravo che loro mi vedessero. Era una pura e semplice condizione a cui sottostavo, poiché mi dava potere e mi conferiva un'esistenza divertente e piena di spunti che potessero riempire il vuoto delle notti e dell'eternità. Tutto ciò che avevo detto o lasciato intendere era solo parte di un piano. Se mi avessero sconfitto, avrei potuto fare appello al loro senso morale, alla loro umanità latente. Non si bastona un cane ferito e disperato. Non è colpa sua, ma della sua condizione e ciò che questa gli ha insegnato. E magari, quando avrebbero provato a “rieducarlo”, avrebbe guadagnato abbastanza tempo per rimettersi in forze e tornare a fare ciò che gli riusciva meglio.
L'unico problema sarebbero stati Sanderman ed il Pooka. Ma erano pedine facili da abbattere: avevo già sterminato i Pooka, tempo fa, che ne rimanesse uno non significava niente, se non che poteva influenzare le scelte dei Guardiani.
«In ogni caso, prima o poi impareranno la lezione» riflettei, pulendomi l'abito dal tessuto scuro e liscio, appena cangiante sull'argento a causa della luce: una luce tagliente e fredda che proveniva da un'insenatura nella parete rocciosa.
La sabbia nera aveva scolpito quel luogo, rendendolo la realtà fisica della mia essenza, del mio essere. Freddo, inospitale e spigoloso. Solitario. Dimenticato.
«Basta.» sibilai. Basta pensieri del genere. Sarebbe stato per poco.
Avrei trovato Jack Frost ed i suoi Guardiani un'altra volta. Li avrei fatti pentire e riflettere su quanto avevano osato sfidare e, in secondo luogo, sarebbe toccato ai bambini. Prima di tutti, Jamie Bennett.

 

[...]

 

Un crepitio arrivò alle mie orecchie. Non fu difficile seguire con lo sguardo un Incubo che, silente, s'infrangeva e ricomponeva contro la finestra sudicia e sporca di un'abitazione. Seguivo le sue movenze senza aver bisogno di vederlo realmente. Sentivo, in parte, ciò che sentiva lui. Si stava muovendo all'interno dell'abitazione. Il silenzio veniva rotto solo dal suono della sabbia nera che si ricreava a filava lungo le estremità del corpo snello e dinamico. Un guizzo di adrenalina penetrò nelle vene, quando realizzai assieme all'Incubo che era stata trovata: la stanza del bambino. Sarebbe stato facile, come bere un bicchier d'acqua. Chiunque si sarebbe aspettato che sarei rimasto buono e zitto nella mia tana a leccarmi le ferite.
E invece, eccomi fuori, a ricercare nuovamente altre energie. Mi sarebbero servite, dopotutto. Non importava con quale nome mi chiamassero i bambini, l'importante era che temessero le ombre, il buio, la notte. La loro stessa fantasia.
Il globo di freddo ferro risplendeva al centro dell'enorme salone nella grotta. Era fastidioso e prezioso al tempo stesso, quando lo vidi per l'ennesima volta. Carezzavo quelle insulse e felici luci che, semplicemente, brillavano strafottenti davanti ai miei occhi.
Oh, non c'è niente di cui aver paura, non esiste niente come l'Uomo Nero.
Quelle parole rimbombavano nella mia mente anche allora, quando -sgattaiolando fra le ombre- mi diressi in un altro continente. Non c'era bisogno che i bambini credessero nei Guardiani. Ce ne erano molti che sfuggivano alle loro luci, poiché vivevano in una realtà diversa, con regole e credenze diverse. Era così che avrei sempre ripreso abbastanza potere da contrastarli: coloro che non credevano, coloro che neanche sapevano chi fossero Babbo Natale, la Fatina dei Denti o il Coniglio di Pasqua.. figuriamoci Jack Frost, lo spirito del Gelo.
Un sorriso si dipinse sulle mie labbra, sghembo. Sentii la paura che scorreva in lui e lo alimentava, facendolo crescere.
«Così..» mormorai, flebile, in piedi sul ramo più basso dell'albero vicino all'abitazione. Era notte, buio, come al solito. Difficilmente uscivo di giorno, non avrei certo iniziato adesso. Un sibilo accompagnò la serata, irrompendo nel silenzio. Altri Incubi erano accorsi e, sfilando al mio fianco, mi si fermarono a pochi centimetri. Ne carezzai uno, sentendo la sabbia che rispondeva al mio tocco e si scioglieva, per poi ricomporsi, una volta passata la carezza.
«Arriverà anche il vostro turno, non preoccupatevi. Per ora abbiamo bisogno di circospezione, miei cari.» soffiai in loro direzione, prima di lasciarmi cadere. Non toccai il terreno, né si sentì alcun rumore. Non fu il terreno ad accogliermi, bensì le ombre. Fu la stessa sensazione, ormai naturale, familiare. Non dovevo sforzarmi particolarmente per farmi inglobare e fondermi ad esse, ma mai abbastanza. Divenni ombra, ma mantenni la mia coscienza, senza perderla, fino a ritrovarmi all'interno di altre ombre. Mi spostai, fin là, dove sentivo la presenza sicura di quattro mura di legno. La cameretta del bambino. Un turbinio scuro aveva preso il posto alla visione standard della sabbia del Sandman. Si comportavano in modi speculari. Il procedimento era lo stesso, ma il risultato totalmente opposto, differente. E, a detta mia, anche migliore.
Il bambino si agitò appena nel sonno. Guardandolo meglio, aveva la pelle scura, i capelli corti e crespi, neri come la pece. La sabbia nera mi lasciò intravedere parte dell'incubo che stava divorando le paure del piccolo, il quale si era così gentilmente “offerto” per quella notte. Figure di uomini che non riconobbi si palesarono davanti a me, nel mentre che -con un battito di ciglia- mi ritrovavo spettatore di uno strano e particolare film.
I bordi frastagliati dell'incubo erano indefiniti, come ogni sogno: si perdevano a vista d'occhio, ma sembravano rientrare in uno spazio angusto al tempo stesso. Tutto il senso d'indeterminazione si focalizzava sulla scena principale: uomini armati, che gridavano, fatti di geroglifici e parole di sabbia nera. Il bambino giaceva a pochi metri da essi, nascosto, ma non riuscivo a capire da cosa -a volte le memorie di quei marmocchi erano semplicemente così, vaghe, indefinite e difficili da interpretare. Era quello che mi permetteva, il più delle volte, di modellare gli incubi come pareva e piaceva a me. Più sfocati e sbiaditi erano i ricordi, più era facile manipolarli e sostituire falsità ai dettagli. Un hobby che, ormai, non aveva più segreti per me.
Il bambino sentiva una voce familiare -papà, aveva pronunciato una voce nella sua mente, che però era rappresentata come una parola, mista anche ad un volto- cercava disperatamente di far risparmiare la propria famiglia. Il calcio del fucile impattò contro la fronte dell'uomo, il quale cadde all'indietro, inciampando contro un sasso. Altre urla e le pareti dell'incubo cominciarono a tremare, scosse da una forte paura.
Sapevo già cos'era, sapevo già come sarebbe finito l'incubo prima ancora che il bambino lo vedesse. Quella paura mi parlava, era assillante e cieca, proprio come poteva essere quella di un adulto.
Sbattei le palpebre e mi ritrassi, pronto ad accogliere la mia nuova creazione. Dalla sabbia nera iniziò a vorticare una figura sinuosa e leggera. Galoppava, scalciava e cercava di districarsi oltre quelle spire, fino a volteggiare un paio di volte e ritrovare il terreno solido su cui sospendersi e trottare. Un piccolo nitrito mi fece sorridere.
«Eccoti qui, finalmente.» mormorai, tirando un sorriso divertito, le mie mani si mischiavano alla polvere scura, avvolgendola e coccolandola. Finché l'Incubo non riprese le proprie forme e dimensioni. Lo strinsi appena, in un gesto quasi familiare, come quando mi trovavo nella stanza di quella ragazzina obesa.. com'è che si chiamava? Cre.. Cretina? Qualcosa del genere. Niente d'importante, ovviamente.
«Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me, mio carissimo Incubo.» mormorai, carezzando la sabbia scura. «Va' dagli Altri, segui i punti bui del globo e infetta quanti più bambini possibili: non importa con che nome mi chiameranno, purché vi temano e temano l'ombra che vi porta con sé.» sorrisi, compiaciuto, sentendo quell'ordine penetrare nella volontà dell'Incubo senza troppi problemi.
C'era voluto tempo, prima che riuscissi a riacquistare l'egemonia indiscussa -o quasi. Ancora qualcuno tentava di spodestarmi, osava volersi cibare di eventuali mie paure. Invece, quella volta, quando riuscii a guidare l'Incubo fra i sogni e le paure più recondite del marmocchio, ero sicuro di aver riacquistato qualcosa che la sconfitta mi aveva inevitabilmente tolto.
Un guizzo attirò la mia attenzione. L'Incubo si sollevò lentamente e, dando un paio di poderose falcate, si infranse contro la finestra, ricomponendosi subito dopo per poter cominciare a galoppare. Un nitrito risuonò nell'aria e vidi altre ombre che vorticavano nel cielo della notte, portando con sé le mie speranze ed i miei piani.
Rimasi immobile in quella stanza, solo, ma mai completamente. I pensieri vagarono di nuovo, a memorie ormai dimenticate e vuote. Era stato facile rimettersi in piedi, ignorare quello strano sogno, ma l'inquietante interrogativo continuava ad assillarmi.
Se la sabbia dorata di Sanderman mi avrebbe acciuffato di nuovo, sarei sprofondato di nuovo in quell'orribile sogno? O sarebbe stato diverso?
Scossi vigorosamente la testa, mentre un'ombra si dileguava oltre la mia schiena. Scacciai via la sabbia nera con un gesto d'insofferenza misto a fastidio. Il mio abito emise un suono sottile, quando feci una mezza giravolta, distendendosi in una piccola onda, elegante e raffinato, finché anche quello non si confuse con la mia stessa oscurità. E allora, con la stessa facilità di poco prima, mi ritrovai a viaggiare per le ombre, sentendole sfrigolare e sibilare al mio passaggio. Affabili e malleabili, come ormai avevo imparato a conoscerle.

  Mi ritrovai, senza troppe spiegazioni aggiuntive, su una sporgenza fredda e ghiacciata, alle pendici di una montagna di ghiaccio -letteralmente. Quel posto non era fatto di niente, se non acqua congelata. Ignorai il senso di ostinata cecità -ovvia e palese- che mi risvegliava aver compiuto quel gesto, ma continuai nella mia farsa. I vari pensieri assillanti e molesti vennero cacciati in un angolo remoto della mia mente. Là, proprio in quel crepaccio, avevo scaraventato il ragazzino ghiacciato, contro una parete, dopo avergli spezzato il bastone.
È per ricordare, ricorda com'era stato infrangere una -se non l'unica- cosa più preziosa che aveva. Era nei piani, fin dall'inizio.
Il sogno non significava niente. Non ero lì per la nostalgia, né per il rimpianto, né per il senso di colpa. Non ero lì per niente in particolare, se non rinnovare le mie sicurezze.
Io volevo distruggere i Guardiani, far provare loro ciò che avevo provato io in tutti quei secoli di isolamento e solitudine. Un grumo di sabbia nera mi solleticò i polpastrelli. Li roteai appena, assieme a tutta la mano, con un gesto del polso, osservando come la sabbia iniziava a danzare con maestosa eleganza.
Uno sbuffo insofferente ruppe il mio silenzio, nel mentre che contraevo il diaframma e rilasciavo una nuvoletta di fiato, lasciandola svanire davanti a me.
E poi, come un vecchio ricordo, di una lotta lontana ormai settimane, se non mesi -quando hai l'eternità davanti, che cosa cambiano un giorno o due? Ne perdi totalmente il significato- una saetta di ghiaccio si palesò proprio a pochi centimetri da me, facendomi balzare via con un'esclamazione di sorpresa trattenuta a fior di labbra. Trattenni il respiro, nel mentre che la confusione si palesava sul mio volto, facendomi girare, proprio nell'istante in cui..
«Pitch!»
Non potei fare a meno di sgranare gli occhi, per la sorpresa iniziale. Era nuovamente un sogno? In realtà, avevo solo finto di alzarmi e riprendere possesso delle mie ombre, paure, desideri..?
Quando vidi il suo volto, i ricordi riaffiorarono.. no, macché, irruppero nella mia mente, costringendomi al silenzio, per evitare nuovamente di commettere lo stesso errore del sogno.
I fiocchi di neve roteavano attorno alla figura del Guardiano, rivelando e tradendo la presenza dei venti che lo sorreggevano in aria. Nelle mani, impugnato nel più ridicolo ed inutile dei modi per un combattente, c'era il bastone; il suo bastone. Sentii improvvisamente ogni eccesso di sicurezza venir meno, farmi vacillare nel dubbio.
Cosa c'è al di là del personaggio? Cosa succede quando cala il sipario e si torna tutti a casa?, e ancora: allora, Pitch, proprio non la vuoi sapere? Che cosa. La tua paura più grande.
Sognare. Sognare. Sognare. Sognare.
Il mio corpo si mosse impercettibilmente. Sentii una parte della mia mente, la parte più razionale e crudele, elaborare un piano per disfarsi della presenza di quel ghiacciolo inopportuno ed imprevisto.
«Sì, Jack?» chiesi, fingendo un sorriso tagliente, affilato.
Dietro di me, intanto, nel crepaccio, iniziai a richiamare via via sempre più sabbia nera. Non troppa, ovviamente: se fosse scappato, avrebbe detto ai suoi adorati amichetti cos'è che ero riuscito a fare in quei pochi giorni che avevo avuto a disposizione.
Non dovevo destare la sua curiosità, per quanto -ovviamente- dubitavo fortemente delle sue capacità mentali.
«Che ci fai qui?» chiese lui, aggressivo.
Non era un sogno. Quella ne era la dimostrazione. Era naturale che il Jack Frost del mio sogno fosse più intelligente di quello reale.. Mi sentii sollevato, perché il mio segreto era al sicuro -segreto? Da quando in qua iniziava a chiamarsi così? Come qualcosa di cui vergognarsi e tenere nascosto..
«Passeggio. Non posso fare neanche questo ormai?» chiesi, inclinando la testa da un lato.
«In Antartide?» chiese lui, corrugando la fronte e facendosi depositare a terra dai venti, il bastone ancora indirizzato verso di me. Rimasi immobile, il petto gonfio e le spalle dritte.
«Che male c'è?» chiesi, infine. «Neanche stessi attentando alla vita dei tuoi preziosi pargoletti.» schioccai la lingua, senza mai distogliere l'attenzione dallo Spirito del Ghiaccio.
«Beh, si dà il caso che qui voglia farci casa mia, quindi vedi di non tornarci più.» ribatté il ragazzo. Insolente come al solito, Frost.
«Perdonami?» un eccesso di sarcasmo e divertimento attraversò il mio tono, nel mentre che mi inclinavo appena verso di lui, seppur i metri ci dividevano. «Casa tua? Oh, stai proprio diventando un Guardiano a tutti gli effetti, a quanto vedo.. Fammi indovinare, te ne resterai qui tutto il tempo, magari in compagnia di qualche Sirena, mentre mandi per conto tuo i venti gelidi a procurare il 'chiuso per neve' nelle città?» non potevo fare a meno di sorridere di quella semplice eventualità. Proprio quando Jack si voleva dimostrare diverso e di insegnamento per i Guardiani, cadeva nel loro stesso errore?
A quelle parole, lo Spirito si irrigidì appena, fissandomi con astio e fastidio. Sì, così; continua a farti influenzare, piccolo stolto.
Era facile, mi dissi, influenzare il giudizio e l'azione di un bambino.
«Non mi dimenticherò dei bambini, non farò lo stesso errore.» sbottò l'altro, sulla difensiva. «E tu dovresti startene.. rinchiuso in quel buco buio e freddo, è quello il tuo posto.» sembrò quasi esitare.
«Non ti basta proprio, eh?, avermi privato già del credo dei bambini.» mormorai, in un altro eccesso di pura recitazione. I sensi di colpa sarebbero stati la sua rovina.
Jack abbassò appena il bastone, raddrizzandosi e sgranando appena gli occhi, il fiato corto che si disperdeva nel vento gelido dell'Antartide. Bingo. Trattenni un sorriso, mentre quello si avvicinava appena e mi fissava, per poi mormorare un: «Dovresti esserci abituato, no?, a venir ignorato.»
Rimasi in silenzio per un attimo. Quelle parole.. da quando in qua era diventato così fastidiosamente ragionevole? Superato l'attimo di sconcerto, mi ritrovai a cercare un nuovo modo per poter rivoltare la situazione ed avere il pugnale dalla parte del manico. Gli lanciai un'occhiata furiosa, che non fece altro che sollevare l'angolo delle sue labbra in un sorrisetto di vittoria.
«Ti facevo una persona migliore di così, Frost.» finii per sibilare, schioccando la lingua contro il palato.
«Oh, solo perché ti ho offeso? Andiamo, chi non vorrebbe farlo?»
«No, proprio perché dovrei essere io, quello che fa simili cattiverie. Da uno come te ci si aspetta solidarietà, stupidità e ingenuità: non certo questo.» e sorrisi, fissandolo. «In ogni caso, rallegrati, stavo proprio per andarmene.» continuai, ignorando ogni sua reazione, seppur non potei fare a meno di notare con una punta di soddisfazione che le parole avevano, circa, colto nel segno, rabbuiando un po' l'espressione del Guardiano. Feci un passo indietro, facendo volatilizzare completamente tutta la sabbia nera, prima di farmi inglobare a mia volta dal frammento di ombra che calava all'interno della fenditura. Sentii un'esclamazione di sorpresa, mista a.. preoccupazione? Non fu una domanda a cui seppi trovar risposta, poiché -improvvisamente frettoloso di ritornare nella mia grotta- non potei celare un senso di fastidio, nel vedere la sagoma chiara della sua chioma balzare, come un guizzo di luce, oltre la linea del crepaccio. Fu un attimo. Forse mi ero immaginato tutto, poiché tutto si confuse e divenne nero, facendo sembrare che i bordi del crepaccio si muovessero. Forse era solo una delle distorsioni dovute al passaggio nelle ombre. Era capitato molte volte: ogni cosa si distorceva, prima di venir inglobata nel buio.
Mi voltai, riprendendo la “strada” di casa, ricomparendo in un batter d'occhio all'interno della mia grotta. Era tutto così confuso. Mi irritava oltremodo non riuscire a tenere a bada i miei pensieri e le mie sensazioni. Perché sì, erano sensazioni, nient'altro che mere ombre di ciò che ero. L'Uomo Nero non provava emozioni. Erano stupide rappresentazioni create dall'uomo per dare un altro significato -uno fra i tanti- alla loro effimera e misera esistenza.
Sospirai, ricadendo a terra. Sentivo il corpo pesante, ero spossato e non potevo certo farci niente. Non era minimamente tornato come qualche mese fa, quando ero forte e potente. Mi sistemai meglio, in una delle tante nicchie, trasportandomi sempre attraverso le ombre. Avrei riposato fin quando i miei Incubi non fossero ritornati nuovi e rinvigoriti, pieni di tante paure da regalarmi e sussurrarmi. Chissà quali bambini avevano tormentato? Chissà quante urla avevano strappato..
Mi addormentai. Non lo facevo da molto, molto tempo. Eppure, avevo solo voglia di riposare, di ritornare in forze.



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NA:
omg. it's happening.
okay, premetto subito che ringrazio tantissimo Megara X -vi linko il suo profilo, perché DOVETE visitare e leggere qualcosa di suo <3- per avermi permesso di continuare la sua FanFiction.
per quanto riguarda questo primo capitolo, spero che piaccia e che non sia troppo diverso -come personaggi- da quello che aveva scritto l'autrice.
fatemi sapere tutto, che siano impressioni positive o negative, ogni cosa è ben accetta.
per il resto, #tira su i bandieroni per la ship#
quantosonobelli?! #saltella fissando Pitch e Jack#
okay, ci vediamo per la pubblicazione del prossimo capitolo *_*7

paZZo e chiudo,
Shà <3

  
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