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Autore: BlueButterfly93    12/09/2014    1 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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                             CAPITOLO 6
                     
                     Il Castiel che aspettavo







Cosa mi era passato per la testa? Per quale motivo desideravo così improvvisamente un bacio da Castiel? Ma soprattutto perché il mio cuore batteva così velocemente per lui? Erano tante le domande che vorticarono nella mia mente in quel preciso istante ma a nessuna riuscii a trovare risposta. Gli unici pensieri insistenti erano le sue labbra, il suo respiro fresco, i suoi occhi intimidatori, il suo nome. Esisteva solo lui nella mia testa in quegli istanti. Non ero mai stata sfacciata in quel modo prima d'allora, non avevo mai chiesto un bacio, non avevo mai lasciato avvicinare nessun ragazzo. Perché sebbene volessi fare la dura, temevo di perdere la testa, d'innamorarmi. Il mio cuore non era di pietra come volevo far credere. Ma a quei tempi pensavo di non poter mai e poi mai riuscire a perdere la testa per uno come Castiel. Non era il principe azzurro che desideravo quando ancora -da piccola- mi era permesso sognare. Così quel giorno lasciai correre, mi lasciai travolgere dagli istinti perché credevo di non rischiare il mio cuore. Ma ancor prima che potessi chiudere gli occhi in attesa di congiungere le mie labbra con le sue, qualcuno scoppiò la bolla in cui mi ero rifugiata.

«Cosa ti fa pensare che io voglia baciarti?» sussurrò ridendo a pochi centimetri di distanza dal mio volto.

Mi stava prendendo in giro?

E fu lì che capii. Precedentemente aveva intrapreso una specie di gioco solo per vedere la mia reazione e per smettere di annoiarsi. Voleva dimostrare a sé stesso ed anche a me che neanch'io ero immune ai suoi modi, a lui ed al suo fascino. Era talmente sicuro di sé da sapere, dal principio, che io sarei caduta nella sua rete. E non era stato forse così? Sin dal primo giorno gli avevo fatto capire di essere immune al suo fascino, di non essere come le altre, di essere sua amica, di non essere interessata "all'altro" che lui aveva da offrirmi. E invece erano bastati una stanza buia, il suo sguardo, la sua voce seducente e le sue battute provocatorie per intrappolarmi lì dove erano cadute tutte. Avevo commesso più errori in quelle poche ore che in sedici anni di vita. Stupida!

«E cosa ti fa pensare che invece io voglio farlo?!?» cercai di ricompormi per non mostrare la delusione di quel mancato bacio. Riuscii a guardarlo persino negli occhi senza far trapelare niente. Tutti quegli anni di finzione erano serviti a qualcosa. Ero brava a mentire.

«Ma se fino a qualche minuto fa mi stavi quasi supplicando» ribatté ovvio. 

«Potrei anche averlo fatto di proposito, per vedere la tua reazione o per non farti andare via.. dipende dai punti di vista» mi stavo arrampicando sugli specchi, ma questo lui non doveva saperlo. Cercai di mostrare sicurezza dal mio tono di voce.

«E perché non volevi farmi andare via allora?» voleva mettermi in difficoltà; ci stava riuscendo.

«Vorrei delle risposte, ne ho bisogno. Altrimenti mi toccherà trovarmi di nuovo da sola le risposte ai miei dubbi e sai che sono capace di farlo» suonò quasi come un ricatto, ma non lo era.

Intanto si era allontanato dal mio corpo. Eravamo sempre alzati, l'una di fronte all'altro ma con una distanza di sicurezza a dividerci. 

«Credi di potermi intimidire? Ti sbagli. Non risponderò alle tue stupide domande» si era innervosito nuovamente. Strinse i pugni e mi guardò di sbieco, poi incrociò le braccia sul busto e iniziò a fissarmi. Era lui a voler intimidire me. 

«Perché l'amicizia tra te e Nath è finita?» ignorai i suoi toni intimidatori e schiettamente andai dritta al punto. Era quella la domanda che più fremeva di una risposta. Sapevo di aver detto di dover aspettare per un'ipotetica verità, ma dovevo sviare l'argomento "bacio" in qualche modo e quello era l'unico argomento che mi venne in mente al momento. 

«Tzé... Che ragazzina testarda» sbuffò poi continuò gesticolando nervoso «Nath? Sul serio? Smettila di chiamarlo con quel diminutivo come se foste amici inseparabili o altro. Apri gli occhi Micaela; se lui avesse tenuto realmente a te, ti avrebbe raccontato ogni cosa di questa storia insulsa. Se non l'ha fatto c'è un motivo. Vuole semplicemente allontanare tutti da me e ora usa te per farlo» non avevo mai sentito Castiel parlare a quella velocità e così tanto. Era nervoso e stava esplodendo usando le parole. Spesso rispondeva a monosillabi, quel giorno invece le ore in quello stanzino furono riempite solamente dalla sua voce.

Mi fece riflettere ciò che disse, ma non lo ammisi ad alta voce. Non volevo dargli soddisfazioni. 

«Scommetto pensi che lui si sia già innamorato di te...» aggiunse poi -abbassando i toni e quasi sussurrando- avvicinandosi alla mia figura.

«I-io n-non...» la sua vicinanza mi fece vacillare, non riuscivo ad esprimere il mio punto di vista.

«Bene. Allora tu vai dal tuo segretario delegato ed io troverò altro da fare. Non ho voglia di stare qui» pronunciò innervosendosi nuovamente e allontanandosi di nuovo verso la porta.

Quei suoi modi di fare lunatici mi stavano facendo impazzire. Era giunto a conclusioni da solo, senza attendere il mio parere. Doveva smetterla di comportarsi in quel modo.

Così senza riflettere ulteriormente, mi precipitai accanto a lui e lo bloccai dal braccio. Il mio inconscio, il mio subconscio, la mia anima, il mio cuore, la mia testa volevano stare con Castiel a tutti i costi. Mi piaceva trascorrere il mio tempo con lui; in quel giorno particolare ancor di più. 

«Facile discutere con sé stessi, vero? Hai parlato tutto il tempo da solo, senza aspettare un mio parere. Ti ringrazio per aver cercato di aprirmi gli occhi, ma quelle cose che hai detto le sapevo già. Non sono ingenua come tu credi. Non penso Nathaniel sia innamorato di me e non penso di essere sua amica; non penso neanche che lui tenga a me» chiarii. Riuscii ad avere un tono di voce fermo, per fortuna.

«E adesso fammi qualsiasi tipo di domanda. Chiedimi qualcosa di personale o non lo so... qualsiasi cosa, in modo da passare il tempo. Non andartene!» mai a nessuno avevo dato la possibilità di farmi domande personali, con lui venne tutto spontaneo. Mai a nessuno avevo chiesto di restare; mentre invece stavo quasi supplicando Castiel di non abbandonare quella stanza. 

Lui si voltò e mi guardò dritto negli occhi. L'espressione rilassata. Le mie parole erano riuscite a calmarlo. Poi un sorriso furbo spuntò sulla sua bocca sottile quando mi chiese: «sei vergine?» 

L'aria tesa di quella stanza si sciolse facendosi più leggera. Lo ringraziai mentalmente per aver evitato le domande sulla mia famiglia o sul mio passato, infondo non sapeva nulla di me e sarebbero state legittime qualora le avesse fatte. Però nello stesso tempo lo maledii per quella domanda parecchio scomoda. La verginità era il mio tallone d'Achille.

Arrossii e lui se ne accorse. Fece qualche passo verso di me, quando potei sentire il suo respiro sulla mia pelle mi guardò intimidendomi, sfiorò la sua spalla con la mia e mi sorpassò andandosi a sedere al posto occupato da lui in precedenza. 

«Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» voleva a tutti i costi imbarazzarmi. 

Ma io non potevo permettergli di capire le mie debolezze. 

Non potevo dire la verità.

Così mi feci forza, indossai la maschera che con lui avevo levato per troppo tempo, e lo raggiunsi con passo sicuro. Ingoiai un grosso groppo formatosi in gola per l'agitazione e mi abbassai -senza sedermi- a livello del suo volto. Eravamo a pochi millimetri di distanza; potei sentire il suo respiro accelerare, potei vedere i suoi occhi sgranarsi leggermente per la mia azione inaspettata, potei vedere la sua bellezza particolare da una distanza privilegiata. Inevitabilmente il mio cuore minacciò di uscire dalla gabbia toracica per quanto batteva forte. Era quello l'effetto che Castiel Black faceva al mio corpo. 

«M-ma... c-che stai facendo?!?» domandò più a sé stesso che a me. Non si aspettava un ribaltamento di situazione. In quel momento ero io a comandare, a decidere l'eventuali e successive azioni. 

Poi, sfiorando la sua bocca gli sussurrai «ho più esperienza di quanto tu possa pensare». Il mio tono era risultato sensuale e sicuro. Mi complimentai con me stessa per la missione riuscita. Non volevo baciare Castiel, volevo solo mentirgli, fargli credere di avere esperienza e a considerare l'espressione che si dipinse sul suo volto, ci riuscii in pieno. 

Vista la missione terminata feci per alzarmi, per riprendere la distanza di sicurezza da quel ragazzo pericoloso, ma Castel me lo impedì. Posò le sue mani sul mio bacino e mi attirò a sé facendomi sedere a cavalcioni su di lui. Io lo lasciai fare ma arrossii per quella posizione. Precedentemente ero stata troppo presa dal bisogno di mentirgli per permettermi di arrossire o di provare vergogna, ma ora che i giochi si erano conclusi era tutto diverso. Ero tornata ad essere una ragazza di sedici anni impacciata e senza alcuna esperienza, senza alcuna maschera. 

«Dove scappi? Adesso che sei qui, tutta per me, non ti lascio andare da nessuna parte» sussurrò a pochi centimetri dal mio volto. Quella sussurrata poteva apparire come un'imposizione, ma non lo era. 

Istintivamente socchiusi le labbra e lo guardai ammaliata. Fino a qualche mezz'ora prima mi aveva fatto credere di non avere nessuna intenzione di baciarmi, mentre in quell'istante capovolse tutte le convinzioni. Sapevo cosa sarebbe accaduto da lì a poco e non mi dispiacque. Non volevo scappare, non volevo pensare a cosa sarebbe accaduto dopo. Non volevo essere con una persona diversa. Il mio cuore, il mio corpo, la mia testa desideravano la bocca di Castiel; solo ed unicamente la sua. Sapevo di aver sostenuto tante cose sul suo conto, sapevo che quella bocca era stata di troppe ragazze prima di me, ma non doveva di certo diventare mio marito o il mio ragazzo. Non doveva importarmi niente del resto. Tutto ciò che vedevo eravamo io e Castel in quella stanza semi-buia. Due ragazzi con la voglia improvvisa di scambiarsi un semplice bacio, niente di più. 

Finalmente la sua mano dietro alla testa, tra i miei capelli, mi fece distogliere l'attenzione dai miei pensieri portandomi a pensare solamente e nuovamente a lui. Spinse leggermente il mio volto verso il suo e poggiò la sua fronte contro la mia. Sembrava quasi combattuto. Continuava a spostare lo sguardo dai miei occhi alla bocca ed io feci lo stesso. I nostri nasi si sfiorarono, i respiri si scontrarono. Era inutile nascondere le farfalle che s'impossessarono del mio stomaco. Ero agitata, tanto agitata e nello stesso tempo intrepida. Volevo a tutti i costi sfiorare la sua bocca, ne sentii il bisogno... Quasi di come si necessita dell'acqua dopo una corsa. I suoi occhi da quella distanza erano ancora più particolari. Il grigio era diventato quasi azzurro, come il cielo e a fissarli riuscii a tranquillizzarmi. 

Quando, poi, chiuse gli occhi capii che era giunto il momento. Il cuore accelerò il suo battito. Castiel spostò le sue mani dalla testa al mio collo e poi al volto. Quel contatto bruciò sulla mia pelle tanto da farmi credere di star andando a fuoco. 

E poi accadde...

Imprigionò quell'istante in un bacio. 

Il primo fu un bacio a stampo, dolce. Quando la sua lingua sfiorò il mio labbro inferiore gli permisi l'accesso aprendo leggermente la bocca. Le nostre lingue s'intrecciarono in uno scontro senza pretese, non c'era possessione in quel bacio ma solo voglia l'una dell'altro. 

Non sapevo bene cosa fare, cosí mi limitati semplicemente a seguire i suoi movimenti, a farmi guidare da lui. Sperai di non averlo deluso. Quando si staccò aveva il fiato corto ed intuii che, per fortuna, quel bacio non gli era stato del tutto indifferente.

Ma a me non bastava. Poggiai le mani sul suo petto e strinsi in un pugno la sua maglietta. Ne volevo ancora. L'attirai nuovamente verso la mia bocca, lo baciai con più foga e lui ricambiò. Sensazioni mai sentite prima d'allora si fecero spazio nel mio stomaco ed anche piú sotto, nella zona proibita. 

Ed ecco all'età di sedici anni il mio primo bacio. Non era stato in un luogo magico, non era stato con un principe azzurro eppure non avrei cambiato nulla di quel momento. Era stato tutto imprevedibile. Era perfetto così com'era.

Mentre il bacio continuava, le nostre bocche non ne volevano sapere di staccarsi, Castiel iniziò a sfiorarmi i fianchi e a giocare col bordo della mia felpa. Capii subito le sue intenzioni. Ma per andare oltre ancora non ero pronta. E poi... non potevo. Non con lui. Mi staccai di colpo dalle sue labbra e mi alzai velocemente dalle sue gambe.

«Sc-scusa devo andare...» e pronunciando una scusa banale abbandonai di fretta quella stanza senza voltarmi verso di lui. 

Appena fuori dalla porta dovetti poggiarmi per qualche istante al muro adiacente, per reggermi in piedi. Il cuore e le gambe ancora tremavano per tutte le emozioni vissute fino a qualche istante prima. Il respiro era pesante e le labbra erano gonfie. Portai una mano sul labbro superiore per tastarlo, il sapore di lui era ancora lì per non permettermi di dimenticare. 

Mi si ripresentò davanti agli occhi, quasi come un film, la scena di noi due. 

Solo in quel momento realizzai cosa era appena accaduto.

Come mi sarei dovuta comportare dopo quel momento? Ma soprattutto il mio rapporto di quasi amicizia con Castiel sarebbe mutato a causa di quel bacio? Non ne combinavo neanche una giusta quando nella mia stessa stanza si trovava il rosso. Da totale stupida non avevo pensato alle conseguenze.

Iniziai a fissare quella porta, Castiel sarebbe potuto uscire da un momento all'altro. L'aria d'un tratto era diventata opprimente. Scappai. E quasi come se stessi correndo una maratona andai alla ricerca dell'uscita per tornare immediatamente a casa, al sicuro. 

Sapevo di dover risolvere il problema dell'articolo sul dolce journal ma rimandai tutto al giorno seguente. Non potevo passare un minuto di più in quella scuola.

Quando arrivai davanti all'uscita primaria la trovai sigillata, con tanto di serranda blindata. Com'era possibile? Quanto tempo avevo passato in quella stanza con Castiel? Come sempre la mia mente si riempì di domande senza risposte. 

Passai i successivi trenta minuti a girovagare dentro scuola per trovare un'uscita d'emergenza non sigillata, ma non la trovai. Tutte le porte erano state chiuse con tanto di lucchetto e serrande in ferro. Era a prova di ladro quell'istituto. 

Quando il mio sguardo si scontrò con una sveglia posta sopra un muro sussultai per la sorpresa. Era già sera. Erano passate all'incirca tre ore dalla fine delle lezioni. Come avevo fatto a non accorgermene prima? Castiel stava diventando realmente pericoloso per la mia sanità mentale. Per tutto il tempo ero stata troppo impegnata con i suoi capricci, con il cercare a tutti i costi di farlo restare in quella stanza da non accorgermi minimamente delle ore che passavano. Nessuno era venuto a disturbarci o a prendere gli attrezzi per le pulizie presenti in quella famosa stanza ed io non mi ero preoccupata di guardare l'ora. Diventavo ogni giorno di più un'irresponsabile. 

Alzai il volto disperata e maledii ogni cosa di quella scuola; ero rimasta bloccata. Ma se...

Se urlassi qualcuno mi sentirebbe? Senza pensarci ulteriormente lo valutai come unico modo per non dover passare la notte chiusa lì dentro. 

Così mi diressi nuovamente verso l'entrata principale e urlai con tutta la voce posseduta in corpo.

«AIUTO! AIUTO! SONO BLOCCATA QUI DENTRO. AIUTO!» gridai per cinque minuti buoni, mentre a pugni chiusi battevo sulla porta sigillata. Sperai che almeno il rumore avrebbe attirato l'attenzione di qualcuno. 

In cuor mio, però, sapevo che quella maledetta scuola non si trovava al centro della città, sapevo fosse situata in una zona piuttosto isolata e che quindi i miei desideri non si sarebbero avverati. Ma tentar non nuoce, giusto?


 

Castiel

Da mezz'ora trattenevo a stento le risate. Mi trovavo in un angolo nascosto, dietro gli armadietti degli studenti, a guardare Miki disperarsi per essere rimasta chiusa dentro scuola in mia compagnia. Lei non si era accorta della mia presenza e proprio quella era la parte divertente. Continuava a farneticare e a maledire me mentre i suoi pensieri fuoriuscivano ad alta voce dalla sua bocca, senza che lei se ne accorgesse. In realtà, un modo per uscire da quella scuola c'era, ma ovviamente non lo avrei comunicato a lei. Perché privarmi di una serata e di una notte di divertimento? Sarebbe stato esilarante guardare i suoi comportamenti e gesti imbarazzati dopo il bacio. 

Già il bacio... E chi se lo sarebbe aspettato? Avevo provocato Miki per gioco ma non avevo di certo programmato di baciarla, eppure era accaduto e mi era anche piaciuto. Se non si fosse allontanata probabilmente non mi sarei riuscito a trattenere. Avrei tanto voluto baciarla ancora.

Scossi la testa per far fuoriuscire pensieri sbagliati dalla mia testa e decisi di uscire allo scoperto.

«Non sprecare fiato, tanto non ti sentirà nessuno. Siamo rimasti da soli... tu ed io» marcai sulle ultime parole per dar voce alla sua paura più grande, per stuzzicarla. 

Avevo compreso, dai suoi gesti, il motivo della sua fretta e della sua paura. Aveva il timore di restare da sola con me, paura che potesse accadere qualcos'altro dopo il bacio. Non potevo darle torto. Le intenzioni da parte mia c'erano tutte. Insomma ero un ragazzo di diciott'anni nel pieno della crescita ormonale, a quei tempi, era normale provare attrazione per una bella ragazza.

Quando sentì la mia voce sussultò e poi si voltò nella mia direzione con un'espressione incazzata. Per poco non scoppiai a riderle in faccia. Nessuno riusciva a divertirmi così tanto da parecchi anni. 

«Senti. Trova un modo per uscire da qui. Io voglio tornare a casa» mi puntò un dito contro.

«Quante volte devo dirti che io non accetto ordini da nessuno? E comunque anche se volessi non c'è nessun modo per uscire da qui. L'unica cosa buona di questa scuola è il sistema di sicurezza» ovviamente le mentii sull'ultima parte. 

«NO...NO...NO...NO! DEVE ESSERCI UN MODO. DEVE ESSERCI PER FORZA UN MODO...» si portò entrambe le mani sulla testa in segno di disperazione e si mise a camminare avanti e indietro davanti all'entrata principale ripetendo quelle frasi come un disco inceppato. Sembrava una pazza, mi divertiva sempre di più. 

«No, non c'è nessun modo. Ora smettila di disperarti e fermati. Mi stai facendo girare la testa!» volevo provocarla, farla infastidire maggiormente e ci riuscii.

Fermò la sua camminata folle e mi guardò con uno sguardo truce senza parlare.

«Guarda che non ho nessuna colpa io. Se non mi fossi saltata addosso saremmo riusciti ad uscire prima che chiudessero» conclusi con un sorrisetto sul volto, lei arrossì immediatamente. 

«I-io... io... non è vero!» riuscì solamente a dire mentre incrociò le braccia portandosele sul grembo. 

«Come dici tu. Io vado a prendere qualcosa da mangiare ai distributori. Ho fame!» bloccai il discorso incamminandomi verso i distributori mentre lei si voltò nuovamente e riprese a battere i pugni alla porta per farsi sentire.

"Quanto è cocciuta quella ragazzina"


 

Miki

Dopo circa quindici minuti di pugni alla porta venni stretta intorno alla vita e sollevata per poi essere allontanata dall'entrata. Poteva essere solamente una persona.

«Per oggi direi che hai dato spettacolo abbastanza. Se passasse qualcuno di qui chiamerebbe la polizia e noi finiremmo nei guai. Non ci ha pensato la tua testolina?» con quelle parole liberò la presa e i miei piedi toccarono il pavimento. 

Non mi era stato indifferente quel contatto breve, purtroppo. 

Aveva ragione, non avevo pensato alle conseguenze. Saremmo potuti finire nei guai. Maledetta me che non contava mai fino a dieci prima di agire. 

«Ho preso qualcosa anche per te» aggiunse porgendomi un pacchetto di patatine e degli snack sia dolci che salati. Alternai lo sguardo dagli snack a lui, incredula. Mi aveva pensata. Castiel Black aveva pensato qualcuno oltre sé stesso. Un sorriso spuntò involontariamente sulle mie labbra e mi brillarono gli occhi. Non era chissà quale gesto d'affetto, eppure mi emozionò. 

«Grazie! Quanto ti devo?» sussurrai prendendo gli snack. 

Le nostre mani si sfiorarono ed io sussultai. Dopo il bacio ero diventata particolarmente sensibile ai suoi tocchi.

«Niente!»

Non feci in tempo a ringraziarlo nuovamente che Castiel si voltò senza aggiungere altro e s'incamminò verso la stanza in cui avevamo passato quasi tutto il giorno. Io lo seguii.

Quando entrammo aprì la luce e si recò dritto verso la finestra spalancandola e accendendosi una sigaretta iniziò a fumare. 

«La regola del "se passasse qualcuno di qui e ti vedesse potrebbe chiamare la polizia" valeva solo per la sottoscritta?» puntualizzai.

«Questa stanza si trova dalla parte opposta all'entrata, c'è un muro e una campagna qui di fronte e nessuna strada, genio» rispose mentre gettava il fumo dalla bocca.

Mi guardò dritto negli occhi ed io feci lo stesso. Era poggiato al davanzale della finestra con una mano in tasca e l'altra a reggere la sigaretta. Quando poi si mise la sigaretta in bocca ed inspirò dovetti distogliere lo sguardo. 

Era incredibilmente sexy. 

Ma subito scossi la testa; non potevo permettermi quei pensieri. Non potevo rovinare quella specie di amicizia che si era creata tra di noi. Non sarebbe più accaduto nulla, nessun bacio, nessuno strano contatto, solo gesti d'affetto tra amici. Castiel era l'unica persona amica che avevo al momento, non potevo permettermi il lusso di desiderarlo in altri sensi. Nessuno dei due era alla ricerca di relazioni serie e un rapporto di scopamici con lui non era nei miei piani. Dovevo smetterla di considerarlo sexy e di desiderare un contatto con il suo corpo ogni qualvolta ci trovavamo nella stessa stanza. Con la promessa d'iniziare a controllare i miei istinti alzai nuovamente il volto e lo guardai. Aveva smesso di fumare e aveva gettato la sigaretta dalla finestra.

«Non ti hanno mai detto che la sigaretta inquina? Non dovresti gettarla per strada» sapevo di essere pesante, ma volevo creare una sorta di dialogo con lui e volevo insegnargli le buone maniere vista la sua totale mancanza. 

«Sai, ragazzina?!? Io credo dovresti usare la lingua per fare altro piuttosto che per blaterare continuamente. Per quel che ho potuto tastare sai usarla anche bene» arrossii davanti a quelle parole.

Per quale motivo si divertiva così tanto a mettermi continuamente in imbarazzo? 

Senza rispondere alle sue pessime insinuazioni mi voltai e cercai un posto per sedermi. Trovai una scatola piena e chiusa, la spostai verso il muro e mi ci sedetti sopra. Castiel nel frattempo era immobile alla finestra e seguiva i miei movimenti. Mi metteva in imbarazzo anche solo guardandomi. 

Si era creato un silenzio imbarazzante nella stanza e per spezzarlo aprii un pacco di patatine «Ne vuoi?» gli chiesi educatamente prima d'iniziare a mangiare. 

Lui non rispose a parole, ma si allungò verso uno scaffale, prese un altro pacco di patatine -che aveva poggiato lì appena era entrato nella stanza-  e si sedette accanto a me, ma sul pavimento con la schiena rivolta al muro. Aprì gli snack ed iniziò a mangiare silenziosamente.  

Quando finimmo entrambi di mangiare Castiel strappò degli scatoloni vuoti ed entrambi ci sdraiammo sopra. Lui fissava il soffitto e giocava con il bordo della sua maglia pensieroso. Era impossibile distogliere gli occhi dalla sua figura. 

«Non fissarmi» mormorò d'un tratto senza voltarsi. Ero stata colta in flagrante. Mi voltai di scatto e anch'io iniziai a fissare il soffitto. 

«Che situazione assurda» pensai ad alta voce.

«Che intendi?»

«Tu ed io. Restare chiusi in una scuola e doverci passare tutta la notte» risposi ovvia.

«Come abbiamo fatto a non accorgerci del tempo che passava? É assurdo» continuai. 

«Non rimurginarci sopra, ormai è accaduto e basta» la faceva facile lui.

Fortuna volle che proprio quel giorno zia Kate partisse per una causa di un cliente fuori città e avrebbe passato i successivi due giorni lontana da casa, altrimenti sarebbe successo l'impossibile.

Non risposi al rosso, non avevo voglia di discutere. Così tra di noi calò di nuovo il silenzio.

«Per quanto riguarda quella storia lì...» iniziò dopo qualche minuto di silenzio, ma si bloccò subito.

Corrugai la fronte. Di cosa stava parlando? 

«I-io... Quel giorno passavo di lì per caso, é uno dei quartieri peggiori della città, e ho trovato Violet in quello stato. Se solo fossi arrivato dieci minuti prima, quello stronzo non avrebbe abusato di lei» strinse i pugni in segno di nervosismo e il cartone sotto di lui fece rumore. 

«Non conoscevo bene Violet, era arrivata da poco qui al liceo, ma odio da sempre chiunque provochi violenza sulle donne... Eppure, scherzo del destino, sono stato accusato ingiustamente, tra l'altro, proprio di questo reato» rise amaramente. 

«M-ma per quale motivo Violet non ha detto la verità? Perché non ti ha scolpato?» Ero rapita dal suo racconto, non mi capacitavo del fatto che mi stesse raccontando tutto di sua spontanea volontà, senza alcuna domanda da parte mia. Già si fidava di me. Il mio cuore perse un battito e il mio corpo fu invaso da una scossa davanti a quella nuova scoperta.

«É stato il suo ex ragazzo ad abusare di lei. All'epoca stavano ancora insieme, non sto qui a raccontarti i vari motivi del loro litigio, sono fatti loro, fatto sta che lei non ha voluto metterlo nei guai mentendo sulla verità. E quella deficiente di Peggy ha dato la botta finale con la sua foto del cazzo...» sospirò poi proseguì il discorso «alla fine mio padre, con le sue amicizie, é riuscito a farmi dare come pena da scontare solo i lavori socialmente utili e il pagamento di una somma di denaro. Certo, la mia fedina penale sarà sporca per chissà quanto tempo ancora e qualora commettessi un altro reato sarei fottuto. Ma a me va bene così, ormai. Anzi... Ci ha aiutati il non avere la testimonianza e la conferma dei fatti da parte di Violet, se avesse confermato non credo sarei quì ora a parlare con te» concluse amaramente. Per tutto il racconto aveva utilizzato un tono rassegnato, sembrava non lo toccasse minimamente quella storia, come se non l'avesse vissuta in prima persona. Forse essendo passato un po' di tempo era riuscito a sbollentare la sua rabbia.

Perlomeno Violet aveva avuto la decenza di non testimoniare per qualcosa di falso. Eppure non riuscivo a comprendere le sue scelte. Come si poteva tacere davanti ad una violenza? Come aveva potuto lasciare che fosse incolpata una persona innocente? Non poteva esserci nessuna giustificazione al suo comportamento. Sicuramente superare una violenza fisica doveva essere qualcosa di difficilissimo e forse impossibile. Insomma, sarebbe rimasta per tutta la vita una ferita del genere. Se poi questa era provocata da una persona cara, a cui si tiene, diveniva il doppio difficile. Ma ciò non toglieva il male provocato a persone innocenti che al contrario volevano aiutarla dal principio. Quella sera capii finalmente la paura letta ogni giorno negli occhi di Violet da quando avevo messo piede nel liceo. Inizialmente non capivo quei suoi comportamenti di chiusura contro il mondo ma ora che conoscevo parte della storia era più che comprensibile il suo carattere. Purtroppo potevo capirla in parte. Sulla mia pelle avevo inciso il male provocato da quel mostro; qualcosa di simile alla storia di Violet.

«Non oso immaginare quello che hai dovuto passare in quel periodo. Mi dispiace tanto, Castiel» riuscii solamente a dire presa anch'io dai ricordi della mia vita orribile. 

Ma poi per dimostrargli la mia vicinanza feci qualcosa d'inaspettato per entrambi. Cercai la sua mano che ancora stava torturando la sua maglietta per il nervosismo e la strinsi nella mia. Voltò la testa dal mio lato ed io feci lo stesso. Gli sorrisi con gli occhi, con la bocca e con il cuore. Castiel non era la persona che tutti al liceo avevano dipinto come un mostro. Credevo alla sua versione della storia, i suoi occhi chiari in quel momento trasmettevano semplice e pura sincerità. Per quel motivo mi promisi una chiacchierata a quattro occhi con Peggy, il giorno dopo. Dovevo sdebitarmi con Castiel era il minimo dopo aver riaperto una sua ferita, dopo aver fatto riemergere quella storia. 

«Stanotte mi farai da cuscino» se ne uscì improvvisamente liberando le nostre mani ancora legate a alzandosi in piedi. Lo imitai e ci trovammo l'uno di fronte all'altra, di nuovo ad una distanza proibita. Mi allontanai di scatto come se fossi stata colpita da una scarica elettrica e mi andai a sedere contro il muro. In quel modo non lo avrei guardato negli occhi, non avrei percepito il suo respiro fresco sulla pelle, non avrei desiderato un suo bacio. 

«Stanotte dormiremo a dieci metri di distanza, come minimo» puntualizzai incrociando le braccia.

«Hai paura io scopra che sei vergine?» ghignò. 

L'aria si alleggerì ed io contemporaneamente ripresi ad odiare quei suoi modi di mettermi in imbarazzo. 

«Simpatico. No, non c'è nessun problema di questo genere perché non lo sono» gli feci l'occhiolino e la linguaccia. Cercai di essere sicura nel mio tono di voce, forse ci riuscii. Non potevo dirgli la verità, avrei mostrato le mie debolezze. Non mi era permesso farlo. 

«Hai paura di non riuscire a resistermi, allora?!?» lo avrei preso a sberle per l'espressione provocatoria e divertita che assunse. 

«Non ti farò da cuscino che ti piaccia o no. Non c'è nessun motivo, non voglio e basta!» 

«Se dormissi sotto quelle scatole del cazzo mi verrebbe il torcicollo e non posso permettermelo. Domani ho le prove con la band. Quindi farai un'opera di bene che ti piaccia o no!» 

Senza aspettare risposta, spense la luce e si sdraiò accanto a me poggiando la testa sulle mie gambe. Alzai gli occhi al cielo e m'inebriai del suo profumo. Purtroppo la sua vicinanza era piacevole, troppo piacevole e per quel motivo non potevo permetterla. Eppure in quel momento non riuscii ad alzarmi per allontanarmi da lui, aveva un'espressione rilassata mentre già probabilmente dopo pochi minuti si era appisolato. Non doveva esser stato facile per lui, starmi dietro tutto il giorno. Sorrisi ammirandolo. Aveva le braccia incrociate ed il corpo completamente rilassato illuminato dalla luna. Non l'avevo mai visto così in pace con sé stesso; mentre io non riuscivo a prendere sonno per la posizione scomoda. E poi... non potevo chiudere gli occhi sapendolo a pochi centimetri di distanza, quasi attaccato al mio corpo. Volevo bearmi della sua visione. Quella notte, quello sarebbe stato il mio piccolo segreto. Potevo ammirarlo senza essere disturbata o scoperta e così feci sebbene non avessi una sua completa visione, vista la scarsa illuminazione nella stanza. Ad un certo punto spostai lo sguardo sui suoi capelli lunghi e dal colore acceso; erano sparpagliati sulle mie gambe e sembravano richiamare le mie mani. Non mi avrebbe scoperta, stava dormendo. Ripetendomi quelle parole nella mente iniziai ad accarezzare i suoi capelli rossi partendo dalla testa a finire alle punte. Al tatto erano parecchio morbidi, mi rilassai nel sentirli scivolare tra le mie dita. Non avevo mai apprezzato i capelli lunghi in un uomo, ma su Castiel stavano incredibilmente bene. Dopotutto erano il suo segno distintivo. Giorno dopo giorno stavo iniziando ad apprezzare tutto di quel ragazzo e sicuramente non era qualcosa di positivo per la nostra quasi amicizia. 

«Ehi... Non dormi?» mi smosse dai pensieri la sua voce rauca. Lo guardai mentre il mio volto prese calore arrossendo. Lui aveva ancora gli occhi chiusi. 

Ed io stavo ancora accarezzando i suoi capelli anche dopo la sua domanda. Mi stupì il suo essere indifferente a quel tocco. Credevo mi avrebbe spostata bruscamente. 

«Vista la posizione discutibile non riesco» risposi con una frecciatina, levando le mani dai suoi capelli. Erano diventati una droga.

«E va bene... Ho capito. Mi sposto. Và a dormire dove caspita vuoi. Notte!» si alzò bruscamente e si spostò sugli scatoloni che aveva aperto precedentemente e gettato sul pavimento a mo' di coperta. Quando si allontanò sentii freddo sia fuori che dentro di me, ma cercai subito di eliminare quella sensazione.

«Oh, che gesto gentile. La ringrazio, signore!» lo sfottei mentre mi sollevai da terra e prendendo la mia parte di "coperta di cartone" mi posizionai e sdraiai qualche metro più lontana da lui. 

Presi il cellulare, postai la sveglia per le sette e trenta del giorno dopo e finalmente anch'io presi sonno pur rabbrividendo a causa del freddo. 

-

Quando il giorno dopo la sveglia suonò ero scossa dai brividi. Di notte i riscaldamenti a scuola restavano chiusi, giustamente, ma essendo già mese di Ottobre il primo freddo si era percepito per tutto il tempo in quella stanza. Inoltre mi faceva parecchio schifo il fatto di non aver potuto fare una doccia e di dover rimanere con gli stessi abiti per due giorni, ma quello era l'ultimo dei problemi al momento. 

A breve sarei andata alla ricerca di Peggy per mettere in atto il mio piano. Per sdebitarmi con Castiel. 

Mi alzai con il mal di schiena, bevvi un po' di acqua dalla bottiglia che avevo nello zaino, presi uno degli snack dolci offertami dal rosso il giorno prima e lo mangiai. 

«Buongiorno» sussurrai a Castiel quando lo vidi alzarsi da terra tenendosi anche lui la schiena. Sicuramente, come me, aveva dolore alla schiena a causa della dormita su quel pavimento duro. Lui non rispose al mio saluto ma imprecò contro il pavimento e il cartone -suo letto per quella notte passata- guardandoli. Risi per l'immagine buffa. 

«Ehm... Io vado... Ci vediamo dopo» ero ancora leggermente in imbarazzo per i fatti accaduti il giorno prima e farfugliai. 

Sapevo che Peggy avesse il permesso di entrare dentro scuola prima degli altri alunni per la stampa del giornalino così mi diressi direttamente verso il fantomatico laboratorio di stampa. La sera prima, avendo avuto tutta la scuola per me, avevo girovagato abbastanza, tanto da riuscirmi finalmente ad orientare e a saper distinguere le varie aule senza confondermi. 

Quando arrivai davanti al luogo di mio interesse trovai Peggy proprio in procinto di entrare nel laboratorio. Era di spalle e quindi non poteva vedermi. Ne approfittai per fare un forte respiro d'incoraggiamento e per riunire un attimo le idee. Ma subito dopo la chiamai prima che lei entrasse dentro la stanza.

«Peggy» il mio tono sembrò minaccioso. Dopo aver capito di che pasta fosse fatta avevo iniziato a provare una sorta di fastidio e rabbia nei suoi confronti. Aveva incastrato Castiel senza chiedere e capire prima i fatti com'erano andati realmente. Voleva solo essere al centro dell'attenzione, essere considerata l'eroina di turno, voleva solo avere scoop per il suo giornalino insulso giocando con i sentimenti e le vite degli altri. 

«Oh! Guarda, guarda chi si rivede. Contenta di aver saputo finalmente la verità?» si voltò con un sorriso furbo e guardandomi come se fossi un fenomeno da baraccone. 

Per lei ero solo un'altra pedina da muovere. Avrei tanto voluto urlare cosa pensavo di lei, ma quel giorno non potevo discutere, lei era la parte fondamentale del mio piano. Così mi morsi la lingua e non risposi alle sue provocazioni. 

Anzi andai dritta al punto cercando di mantenere un tono duro e deciso: 

«Ora sta' un po' zitta e ascolta la mia di verità».

  
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