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Autore: Ella Rogers    13/09/2014    6 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Thanatos
 
In futuro, probabilmente, ci avrebbero riso sopra. Tony avrebbe ideato nuove esilaranti quanto geniali - sì, geniali, perché parliamo di Tony Stark - battute, che avrebbe seminato qua e là nel corso delle giornate, facendo ridere o arrabbiare - Rogers - qualcuno.
Poi il tempo sarebbe passato e i ricordi sarebbero sbiaditi, ma non dimenticati.
Forse da vecchi, seduti attorno allo stesso grande tavolo, mentre con rumori osceni succhiavano una calda zuppa dal cucchiaio, avrebbero tirato fuori quella storia in cui una Bestia mostruosa aveva rischiato di farli a brandelli, ma alla fine i Vendicatori avevano trionfato grazie al coraggio, alla forza, alla determinazione e …
 
Ma non diciamo cazzate.
 
Stark si accorse di star delirando, mentre osservava, attonito, l’enorme massa nera ringhiante che avanzava con passi felini verso di loro, scrutandoli con due sfere rosse e brillanti.
Quella cosa era appena uscita incolume da un bombardamento di dardi esplosivi e il Mjolnir pareva non averla scalfita minimamente.
Altro che futuro e vecchiaia!
Sarebbero stati fatti a pezzi, così che i loro corpi non avrebbero nemmeno potuto avere una degna e meritata sepoltura.
 
La Bestia pareva un enorme cane ed era alta almeno tre metri. Non era ricoperta da una morbida pelliccia, bensì da pelle squamosa, simile a quella di un serpente, di un nero lucido e impenetrabile, forse più resistente dello stesso vibranio. Il muso affusolato era digrignato a mostrare le zanne affilate e bianche, incrostate di sangue e residui di carne umana. Le zampe erano armate di lunghi artigli argentei, anch’essi macchiati della colpa di aver ucciso e dilaniato senza pietà poveri innocenti.
Il ringhio che abbandonava quelle fauci letali era profondo, gutturale e provocava nelle sue prede brividi lungo la schiena.
La Bestia si fermò a circa cinque metri dai Vendicatori, piegando e contraendo gli arti, pronta a scagliarsi sulle nuove vittime.
 
“Rompete le righe!”
L’ordine di Capitan America fu seguito all’istante e i quattro Vendicatori si dispersero, scattando come fulmini in direzioni diverse.
La Bestia latrò e le pareti tremarono, come se fossero spaventate da tanta ferocia.
 
Iniziava la caccia.
 
Steve arrestò la corsa e si voltò, rendendosi conto che il mostro si dirigeva nella direzione opposta alla sua.
Stava puntando Clint, che si accingeva ad usare una delle sue frecce cavo, per raggiungere una delle travi d’acciaio percorrenti il soffitto, da cui avrebbe potuto avere una migliore visuale per colpire.
Rogers lanciò con forza lo scudo, che fendette l’aria e colpì l’incavo di uno degli arti inferiori della Bestia, che uggiolò appena e, accecata dalla rabbia, caricò come un toro furioso colui che aveva osato sfidarla.
“Dannazione” imprecò Capitan America, afferrando al volo lo scudo, che fedelmente era tornato indietro.
Il mostro balzò e lo stridio degli artigli contro il cerchio in vibranio, risuonò nell’aria satura di tensione.
Steve strinse i denti, cercando di sostenere l’enorme zampa che premeva con forza sullo scudo. I muscoli delle braccia gridarono pietà e le gambe rischiarono di cedere sotto quella forza bestiale.
Poi il peso divenuto insopportabile da sostenere svanì di colpo.
Thor, con Mjolnir teso davanti a sé, si era scagliato sulla mascella della creatura, investendola come un treno in corsa e sbattendola con violenza contro una delle pareti di cemento armato, che rischiò di sbriciolarsi come terra cotta.
La bestia latrò di rabbia mista a dolore e scosse la testa per riprendersi dall’impatto, ma il dio del tuono non le concesse tregua e la folgorò con un fulmine, che fece vibrare la terra.
 
“Thor, allontanati!”
Appena l’asgardiano fu abbastanza distante, Iron Man diede fondo all’artiglieria pesante, bombardando il mostro con missili potentissimi e distruggendo buona parte della parete che divideva due scompartimenti del parcheggio sotterraneo.
La Bestia ora giaceva seppellita sotto quintali di cemento, immobile.
 
Un silenzio surreale calò come un velo invisibile su di loro.
Steve sentiva chiaramente il cuore martellargli nel petto.
Clint, appollaiato su una delle travi d’acciaio, tendeva ancora la corda dell’arco, pronto a scagliare un nuova freccia esplosiva.
Stark scoppiò a ridere, ma la sua era una risata isterica, perfetta per far scemare parte della tensione accumulata. Il reattore ARC brillava appena sopra lo squarcio dell’armatura, proiettando sul metallo deboli riflessi azzurrini.
“Ti sta bene Snoopy! Vai a farti fottere stupida bestia puzzolente e bavosa!”
Stark atterrò vicino al dio norreno e gli diede un’energica pacca sulla schiena.
“Ottimo lavoro, Point Break.”
Thor ricambiò il gesto e per poco Iron Man non capitolò a terra, travolto da quella mossa di genuino e distruttivo affetto.

“Vi lascio soli un attimo e combinate tutto questo casino. Devo prendere in considerazione l’idea di assumere una baby-sitter.”
Natasha aveva raggiunto i bambinoni troppo cresciuti e si era fermata proprio sotto l’arciere, che abbassò l’arma e ghignò alle parole della rossa.
“Ehi Nat, sei arrivata tardi. La festa è finita da un pezzo, ma puoi sempre occuparti delle pulizie, se ti va.”
La Vedova incrociò le braccia al petto e con uno sbuffo scansò una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi, ora ridotti a due fessure.
“Chi rompe paga e i cocci sono i suoi, Stark, quindi a te l’onore di rimediare a questo macello.”
 
Clint non riuscì a soffocare la risata.
“Adoro quella donna” disse tra sé e sé, lanciando un’occhiata al fondoschiena tondo e sodo, messo in risalto dalla divisa troppo attillata, della rossa focosa.
Natasha aveva un corpo da favola e Clint ne era pienamente consapevole, perché un tempo l’aveva percorso con le sue mani, pelle contro pelle, e aveva impresso nella sua mente ogni particolare di lei.
Ma quell’atmosfera calda e colma di passione che si era creata tra di loro era scemata pian piano, raffreddandosi giorno dopo giorno.
Nessuno dei due era riuscito a comprendere perché fosse accaduto, ma rimaneva il fatto che si erano allontanati, soprattutto dopo Loki.
Sì, erano ancora legati dalla profonda amicizia che li aveva uniti dal momento in cui lui l’aveva salvata da se stessa, concedendole la fatidica seconda possibilità per fuggire da un passato oscuro e tormentato.
Ma a Clint quell’amicizia non sarebbe mai bastata.
 
“Come siamo permalose.”
La voce di Stark riportò l’arciere alla realtà.
La tensione nell’aria pareva essere svanita, sostituita dal sollievo di poter vivere un nuovo domani.
 
Mai cantar vittoria troppo presto, perché si può rimanere davvero molto, troppo delusi.
 
“Stark, fa’ attenzione!”
Il dardo esplosivo di Occhio di Falco arrivò troppo tardi e non poté impedire alla Bestia di aprire uno squarcio sul dorso dell’armatura di Iron Man, che cadde al suolo con un tonfo sordo.
L’esplosione intontì il mostro e Thor ne approfittò per afferrare il compagno ferito e allontanarsi il più possibile dalla portata di quegli artigli fatali.
 
Steve si morse l’interno della guancia e assaporò il sapore metallico del sangue.
Si erano distratti, come pivellini alle prime armi.
La distrazione poteva essere fatale e forse lo era stata, perché il liquido denso e vermiglio che si allargava a macchia d’olio sulla schiena ora scoperta di Tony, non era affatto un buon segno.
“Maledizione” sussurrò a denti stretti, osservando la Bestia tendere i muscoli, pronta ad attaccare ancora.
 
Ma il mostro rimase fermo, spalancò le fauci e ad un latrato spacca timpani seguì un’onda d’urto potentissima, che come un uragano investì i Vendicatori, facendoli volare via come foglie al vento.
La terra vibrò e sulle pareti di cemento si disegnarono profonde crepe.
Clint cadde dalla trave, compiendo un volo di almeno cinque metri e atterrando su una spalla, che emise un preoccupante suono di ossa che si frantumano. Barton lanciò un grido di dolore e lottò per non svenire, mentre con lo sguardo tentava di individuare i suoi compagni.
E avrebbe preferito non vedere, quando li trovò, uno dopo l’altro, stesi al suolo, tra polveri e detriti.
 
Steve si era schiantato contro una delle grigie pareti e l’impatto gli aveva tolto il fiato.
Tossì in modo spasmodico e sputò fuori grumi di sangue che gli avevano riempito la bocca e che minacciavano di soffocarlo.
Si mise carponi e si portò una mano alla fronte, ancora fasciata da bende su cui ora si allargava una macchia rossa, segno che la ferita si era riaperta. La testa gli doleva e il respiro era affannoso.
Un ringhio gli giunse alle orecchie, spingendolo ad alzare lo sguardo.
Due sfere rosse lo fissavano a meno di un passo di distanza. L’alito caldo della Bestia gli sferzava il viso e l’odore di morte che emanava gli penetrava con forza le narici, provocandogli conati di vomito.
 
“Dov’è?”
Parve che a parlare fossero state decine di voci all’unisono, voci profonde, cavernose, demoniache.

Steve si rialzò con fatica, sostenuto a malapena dalle gambe malferme. Deglutì, sentendo la gola secca, e immerse le iridi cerulee nelle due sfere rosse, come a voler sfidare il mostro con lo sguardo.
Se doveva morire, lo avrebbe fatto a testa alta.
 
“Dov’è?” ripeterono con rabbia le voci provenienti dalle fauci della Bestia.
“Cosa?”
Ma Steve sapeva bene cosa, o meglio, chi.
La creatura mostruosa ringhiò e fece un passo in avanti, torreggiando su Capitan America, che istintivamente arretrò fino a ritrovarsi con le spalle al muro e senza alcuna difesa, dal momento che aveva perduto lo scudo durante il volo allucinante.
“Dov’è?”
“Non lo so” affermò, sicuro.
“Menti.”
“No.”
“Menti.”
Quelle voci gli rimbombavano nella testa, stordendolo.
La Bestia sollevò una zampa e la scagliò sul ragazzo, che guidato dal mero istinto di sopravvivenza si gettò in avanti, sotto il ventre del mostro.
Rogers riuscì a evitare di essere schiacciato e corse velocemente verso l’ala est del parcheggio sotterraneo, con l’intento di allontanare il più possibile quella creatura dai suoi compagni.
Voleva lui? Che lo venisse a prendere, allora.
 
“Steve Rogers.”
Qualcuno lo stava chiamando e seppe per certo che questa volta non era stata la Bestia a parlare.
La voce era fioca, un debole sussurro insinuatosi nelle sue orecchie.
Si voltò a guardare indietro e se ne pentì, quando scoprì che il mostro gli era alle calcagna e che, per quanto si sforzasse, non riusciva a distanziarlo abbastanza da ritenersi fuori dalla portata dei letali artigli.
“Steve Rogers.”
Di nuovo quella voce, ma più dura e profonda.
La Bestia balzò e Steve percepì un dolore lancinante diffondersi sulla schiena. Cadde carponi e avanzò gattonando, anche se era consapevole che non sarebbe servito a nulla.
“Steve Rogers!”
La voce era divenuta imperiosa e gridava il suo nome, facendogli pulsare la testa e oscurandogli la vista.
Era stufo che chiunque si prendesse la briga di invadere la sua mente, che pareva diventata un oratorio.
“Basta” sussurrò Steve, battendo la fronte contro il pavimento asfaltato.
 
E tutto tacque.
 

 
                                                   ***
 
 

“Voglio tre squadre alla Stark Tower, immediatamente!”

Nick Fury batté con forza le mani sulla scrivania in acciaio, che arredava il suo ufficio nell’Helicarrier, lasciandosi poi cadere con un tonfo sulla sedia girevole dotata di una morbida imbottitura in pelle nera.
Portò l’indice e il pollice della mano destra a stringere il ponte del naso, in un gesto che esprimeva frustrazione ed un imminente esaurimento nervoso.
“Mi domando cosa abbia fatto di male.”
Sbuffò e puntò quell’unico occhio intimidatorio sulla figura in piedi di fronte a sé.
“Cosa ho fatto di male, Coulson?”

L’Agente tossicchiò appena, per schiarirsi la voce.
“Signore, ha semplicemente messo troppo esplosivo nello stesso posto ed ora rischia che una semplice scintilla rada al suolo una città intera.”
Fury scosse il capo, rassegnato.
“Ho solo cercato di rendere più collaborativo un gruppo di persone straordinariamente capaci, oltre che a salvare il mondo, a creare casini inimmaginabili. Ed io che pensavo che tenendoli insieme, avrei potuto evitare fastidiose grane. A quanto pare mi sbagliavo.”
“Forse forzare una coesione non è stata la scelta più giusta, signore. So bene che pensava di poterli controllare meglio, in questo modo.”
Il Direttore si alzò in piedi ed intrecciò le mani dietro la schiena, mentre aggirava la scrivania per dirigersi fuori dall’ufficio. Ma prima si fermò qualche istante al fianco di Coulson.
“La storia del controllo non deve uscire da qui” sibilò nell’orecchio dell’agente, che sospirò e annuì.
“Non dirò niente, ma signore, dovrebbe smetterla di avere dei segreti con i Vendicatori, perché sanno essere molto, diciamo, vendicativi. Lei sa meglio di me che a quei soggetti, ad alcuni in particolare, non piace essere controllati.”
Fury rimase impassibile.
“Ne sono consapevole” disse soltanto, prima di lasciare solo l’agente, che non poté fare a meno di sospirare ancora.

“Questa storia finirà male, me lo sento.”
Anche Phil lasciò l’ufficio, pronto a salire su uno dei jet diretti a New York, che da qualche ora era scossa da fievoli ma percepibili terremoti, aventi come epicentro proprio la zona dove affondava le fondamenta la Stark Tower.
 
 

                                                     ***
 
 

Bruce voleva - o almeno ci provava - rimanere tranquillo.
Ma come diavolo poteva riuscirci, se ogni istante era costretto ad artigliare con forza i braccioli della poltroncina in pelle bianca, a causa degli scossoni che facevano tremare l’altissimo grattacielo?
Rilassò i muscoli, quando l’ennesima vibrazione cessò di colpo.
Continuava ad immaginarsi la Tower accartocciarsi su se stessa, mentre ogni piano schiacciava quello sottostante in una specie di contorto e raccapricciante domino in verticale.
Sprofondò nella poltrona con un lungo sospiro e lanciò un’occhiata alla ricetrasmittente che gli giaceva in grembo, silenziosa.
Si aspettava di sentirla suonare da un momento all’altro e più volte se lo era immaginato, ma quando l’aveva portata all’orecchio, aveva percepito solo un ronzio sommesso.
Ogni volta che i Vendicatori entravano in azione, lui attendeva dietro le quinte, pronto ad entrare in scena se il pubblico - mostri e alieni vari - l’avesse richiesto, così da poter allietarlo a suon di pugni.
Era stato lui stesso a chiedere di essere coinvolto nelle battaglie, solo nel caso in cui la situazione lo avesse richiesto.
Ma era stata la decisione più giusta?
Nell’attesa, l’ansia lo logorava e gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa. Diventava difficile perfino respirare.
Ma lo strazio non era provocato dal timore di dover prendere parte al combattimento e ciò lo aveva capito già da un po’.
Aveva il terrore di poter perdere uno dei suoi compagni, mentre lui se ne stava comodo in poltrona, al sicuro nel suo appartamento.
Non se lo sarebbe mai perdonato, perché lui aveva la forza per impedire che ciò accadesse.
Ormai erano anni che conviveva con l’Altro e in parte aveva accettato quell’inquilino poco raccomandabile, anche se la sensazione di essere completamente annullato da un’altra entità non era mai piacevole.
Ma, in fondo, Hulk era cambiato, combatteva per ciò che era giusto e al diavolo il fatto che facesse qualche danno di troppo.
Egoista.
Sì, era un egoista, perché aveva anteposto sé stesso alla sicurezza dei compagni e del mondo. Per lui, poi, il mondo era rappresentato da quei stessi compagni dalle personalità più diverse e strabilianti.
La sua famiglia.
Con loro poteva essere sé stesso, senza doversi preoccupare di essere giudicato o emarginato a causa dell’Altro.

E poi, a Hulk piacevano.
 
La ricetrasmittente era ancora silenziosa.
Doveva andare lo stesso?
Doveva assicurasi che i Vendicatori stessero bene?
Sì, doveva.
Ma non si sarebbe mosso di lì.
Si prese il volto tra le mani, emettendo deboli singhiozzi.

“Perdonatemi, ma non ce la faccio. Non ce la faccio, davvero.”

La ricetrasmittente continuava a rimanere in silenzio.
 
 

                                                ***
 
 

Era convinto di essere diventato sordo.
Nessun suono giungeva alle sue orecchie e non sentiva più né il battito del suo cuore, né il respiro affannoso che gli abbandonava le labbra rosse di sangue.
Era come essere in un film muto. Un horror da Premio Nobel.
Era ancora carponi, con la schiena che bruciava come se vi avessero pressato sopra carboni ardenti.
Percepì un movimento d’aria sulla destra e si ritrovò disteso sulla schiena, la divisa nera lacera e fiotti di sangue che sgusciavano fuori dal fianco appena leso dagli artigli affilati del mostro.
La Bestia aveva le zampe anteriori ai lati del suo corpo e dal muso arricciato e le zanne scoperte, Steve capì che stava ringhiando, anche se l’unica cosa che sentiva era il silenzio.
Non tentò di muoversi, troppo stordito dal dolore lancinante alla schiena e al fianco, che non osava guardare per non appurarsi della gravità della ferita.
Il sangue stava formando una pozza scura e densa sotto di lui.
La creatura calò sul suo corpo provato una zampa e Steve percepì le costole incrinarsi sotto la pressione impetuosa.
Quella momentanea sordità gli impedì di sentire il raccapricciante suono che emisero le costole, quando cedettero e si spezzarono.
Capitan America aprì la bocca per gridare, ma dalle sue labbra uscì solo un suono strozzato, che comunque non udì.
 
 

                                                   ***
 
 

Thor riemerse dalla montagna di cemento che l’aveva sommerso.
Il viso era sporco di polvere e sangue ed il mantello strappato in più punti.
Si guardò intorno spaesato e notò una mano di metallo spuntare da un cumulo di detriti.
Tirò fuori Iron Man dalle macerie e staccò con forza la maschera di metallo che gli proteggeva il volto, colto da una vaga sensazione di deja vu.
Tony respirava, debolmente, ma respirava. Per fortuna era ancora vivo, anche se la quantità di sangue che aveva perso e continuava a perdere dallo squarcio sulla schiena era davvero preoccupante.
Il ringhiare sommesso della Bestia gli giunse alle orecchie e lo sguardo di Thor divenne duro.
Il dio allungò il braccio destro avanti a sé e Mjolnir si scagliò nella sua mano, vibrando della sua stessa rabbia.
Roteò il martello e volò in direzione del mostro, ritrovandosi davanti agli occhi una scena agghiacciante.
Il Capitano.
Thor urlò furioso e fece schiantare la sua micidiale arma contro il fianco della creatura, che latrò e rotolò a terra, balzando in piedi subito dopo.
La Bestia si scagliò velocissima sull’asgardiano e lo colpì in pieno con una zampata, sbattendolo sul pavimento asfaltato con violenza.
Thor si rialzò, digrignando i denti, ma non fece in tempo a contrattaccare, che la coda lunga e viscida della creatura si strinse attorno al suo collo, mozzandogli il respiro e costringendolo ad annaspare in cerca di aria.
Il dio del tuono vide una moltitudine di lucine davanti agli occhi e sentì la mente sfocarsi e infine spegnersi. Cessò ogni resistenza.
La Bestia ululò e con un colpo di frusta della coda, lanciò lontano il corpo inerte dell’asgardiano.
 
Risolto il contrattempo, il mostro tornò ad occuparsi della preda primaria.
Il Padrone voleva che quell’umano morisse prima di tutti gli altri, ma non doveva concedergli una morte veloce e indolore.
Gioca con lui. Fa che soffra, quell’insulso umano che ha osato sfidarmi.”
Quelle erano state le parole del Padrone e la Bestia non avrebbe mai osato disubbidire al Padrone, perché il Padrone non andava fatto arrabbiare.
Ed ecco che tornava a torreggiare sul ragazzo che aveva scatenato le ire del Padrone.
Avrebbe scavato nella sua carne e maciullato tutto quello che vi era sotto, facendo attenzione a non danneggiargli il cuore, che avrebbe portato in dono al suo Padrone.
 
 

                                                          ***
 
 
 
Il ragazzo giaceva nella pozza di sangue, con il viso immerso nel liquido denso, il corpo in una posizione innaturale ed i vestiti lacerati.
 
Quell’immagine dell’incubo le apparve chiara davanti agli occhi, mentre i suoi passi risuonavano tra le pareti grigie del parcheggio sotterraneo semidistrutto.
Evitò di guardare qualsiasi cosa, al di fuori del punto più lontano davanti a sé, correndo veloce verso la fievole aura emanata da Steve.
Si stava spegnendo, come la fiammella di una candela posta sotto una campana di vetro e che ha consumato ormai tutto l’ossigeno a sua disposizione.
Percepiva chiaramente il legame tra di loro affievolirsi.
La catena si arrugginiva secondo dopo secondo e presto si sarebbe spazzata, dividendo per sempre l’uno dall’altra.
Si morse il labbro inferiore, che pianse piccole gocce di sangue.
 
Resisti. Sono qui. Tieni duro.
 
Si bloccò, con gli occhi sbarrati. Sbiancò e sentì le gambe minacciare di cedere e la forza abbandonarla.
Il cuore perse un battito.
“No, ti prego.”
Steve giaceva in una pozza di sangue e sopra il suo corpo immobile torreggiava la Bastia ringhiante.
 
Il ragazzo giaceva nella pozza di sangue, con il viso immerso nel liquido denso, il corpo in una posizione innaturale ed i vestiti lacerati.
 
Anthea chiuse gli occhi per un istante e lo sentì, quel debole ma pulsante segnale che proveniva dal cuore di Steve.
Non era troppo tardi.
Percepiva ancora la fievole fiammella, la piccola scintilla di vita.
 
“Thanatos!” gridò, con tutto il fiato che aveva in corpo.
La Bestia si voltò e ammutolì.
Silenzio.
Si studiarono con lo sguardo, immobili.
Iridi cobalto specchiate nelle due sfere rosse e luminose.
Preda e cacciatore.
Chi la preda ora? E chi il cacciatore?
La tensione era palpabile e le pesava sulle spalle come un enorme macigno.
L’odore di sangue impregnava l’aria e le penetrava le narici, si insinuava nella faringe, percorreva la laringe, infettava i bronchi, bruciava i polmoni e infine veniva fuori di nuovo, lasciandole un sapore amaro ed acido in bocca.
E il ciclo ricominciava, si ripeteva ad ogni respiro.
Anthea, però, non ci badava.
Lei era abituata a quell’odore pungente. Lei aveva vissuto nel sangue e nella morte.

Sei una cavia da laboratorio.
Uno scherzo della natura.
Un mostro, non diverso da quello che hai di fronte.
Assassina.

La vocina cattiva nella sua testa non mancava mai di farle ricordare, di richiamarla a quell’oscura realtà da cui non poteva fuggire.
Mostro.
Assassina.
Pensi davvero di meritare di vedere la luce?

Assassina.
Guarda cosa hai fatto a quelle persone!
Le hai uccise.

No!
Oh sì.
Le hai uccise, come tutte quelle che ti sono venute troppo vicino.
Assassina!
Demonio!


Anthea tremò. Vide quella minuscola prospettiva di riscatto frantumarsi e ricadde in quell’oblio che da sempre la cullava.
Thanatos si mosse verso di lei, ringhiando, ma la ragazza non lo vedeva e non lo sentiva, persa nel suo baratro oscuro.
 
“S … ppa …”
Una parola sconnessa sussurrata da una voce troppo lontana per essere udita.
“Scappa!”
Come un raggio di luce, quella voce penetrò l’oscurità ed Anthea si aggrappò ad essa, come un naufrago che afferra un qualsiasi sostegno per non affogare nell’immenso e freddo oceano.
Tornò ad essere nel parcheggio sotterraneo e i suoi occhi finalmente si accorsero del pericolo imminente.
Steve le gridava di scappare, dando fondo alle sue ultime energie e ignorando le proteste accese delle costole fratturate.
 
Non scapperò. Non questa volta.
 
Anthea scattò in avanti, correndo incontro alla Bestia, ma prima di scontrarsi con la sua enorme mole, contrasse i muscoli delle gambe e spiccò un salto impressionante.
Atterrò a cavalcioni sul dorso del mostro e gli afferrò con forza le orecchie a punta, strattonandole violentemente.
Thanatos uggiolò e cominciò a dibattersi, per levarsi di dosso la ragazzina, che rimaneva appiccicata come una ventosa sopra di lui. Si mise in piedi sulle zampe posteriori e si lasciò cadere sulla schiena.
Anthea mollò la presa ed abbandonò la groppa della creatura, per evitare di essere schiacciata. Rotolò a terra e si rimise velocemente in piedi, ma non fu abbastanza svelta e il mostro la investì con la sua colossale massa, sbattendola sul freddo pavimento.
Anthea vide nero quando la testa incontrò il duro asfalto.
Strinse i denti e costrinse gli occhi a mettere a fuoco.
Rotolò di lato per evitare che un artiglio le infilzasse lo stomaco e si rialzò in piedi, correndo lontano dal mostro, che si accingeva a saltarle addosso ancora una volta.
Thanatos si bloccò di colpo, il suo corpo tremò appena, aprì le fauci e scatenò un’altra onda d’urto, che fece vibrare l’intero grattacielo.
La ragazza percepì un’immane pressione sulla schiena e subito dopo venne spazzata via, come polvere al vento. Il suo volo venne bloccato da una delle grigie pareti, che crollò come una castello di sabbia, seppellendola sotto quintali di cemento.
 
“Fammi uscire. Lascia che ci pensi io.”

La vocina cattiva era tornata.

“Tu sei troppo debole. Lascia che ci pensi io.”

Anthea la ignorò e con uno sforzo disumano riemerse dalle macerie.
Il viso era segnato da piccoli graffi rossi ed anche il resto del corpo era cosparso di ferite superficiali.
Tossì e i polmoni si svuotarono delle polveri inspirate.
Thanatos, con passi sinuosi, si avvicinò a lei e pareva che le sue fauci fossero arricciate a formare un ghigno agghiacciante.
Anthea ansimò ed ignorò il tremito delle gambe.
Il mostro si lanciò su di lei, spalancando la bocca e mostrando le enormi zanne acuminate.
L’avrebbe sbranata.
 
“Fermati!”
La ragazza gridò e un’energia invisibile abbandonò il suo corpo, abbattendosi sulla Bestia, che venne sbalzata indietro di alcuni metri e cadde su un lato, uggiolando.
Anthea osservò le proprie mani, stupita da ciò che era riuscita a fare.
Che cosa aveva fatto esattamente?
Non ebbe il tempo di pensare altro, che il mostro era di nuovo su di lei.
Era stato velocissimo e animato da una cieca furia si scagliò contro la ragazza, che spalancò gli occhi, colmi di terrore.
Distrazione equivale a morte in una battaglia.
Una potente zampata la colpì, senza che potesse far nulla per evitarlo, ed Anthea percepì la pelle dell’addome lacerarsi.
Gridò di dolore e cadde a terra, intrecciando le braccia sul ventre sanguinante. Si raggomitolò in posizione fetale e serrò gli occhi. Dalle labbra fuoriuscivano rantoli strozzati alternati a gemiti acuti.
 
“Fammi uscire se non vuoi morire.”

Ancora Lei. La vocina cattiva.

Tu non hai la forza. Lascia che ci pensi io.”

Anthea sapeva di essere debole, lo era sempre stata a differenza dell’Altra, che era pienamente consapevole dell’enorme potere che le scorreva nel corpo e lo dominava con estrema facilità.
L’Altra era forte, invincibile e spietata.
Ma non poteva permettersi di lasciarla uscire, anche se la sentiva dibattersi come un’ossessa dentro di sé, perché Lei era cattiva.
Lei era portatrice di morte e distruzione.
Poche volte era sfuggita del tutto al suo controllo, quando era ancora una bambina spaventata e inconsapevole.
Tutto intorno a lei era divenuto cremisi.
 
Tu sei come me. Tu sei me.”
Eccola di nuovo, quella vocina cattiva e dannatamente persuasiva.
“Ammetti che ti piace sentirti invincibile e solo io posso renderti tale.”

Anthea venne scossa da un fremito al sentire quelle parole.
Era vero che le piaceva percepire tutto quel potere oscuro scorrergli nelle vene.
Era vero che quando era Lei a prendere il controllo, anche solo in parte, si crogiolava in quell’esplosione di potere, sentendosi protetta da tutto e da tutti.
Ma Lei era cattiva.
Aveva quasi ucciso Steve e Steve era buono.
 
“Perché esiti? Perché non mi lasci venire fuori? È per questi umani? Ricorda cosa ti hanno fatto gli umani. Loro ti temono.”

Anthea ricordava bene il momento in cui tutto il suo potere era stato sigillato a causa del maledetto bracciale nero.
Gli umani avevano avuto paura di lei, o meglio, dell’Altra.
Si era sentiva vulnerabile, senza il suo potere, ed era diventata morbida creta, che quegli sporchi umani si erano divertiti a modellare a loro piacimento.
Quante torture. Quanto dolore.

“Ed ora stai combattendo per loro.”

La ragazza si lasciò scappare un ennesimo gemito sofferente, mentre la confusione imperversava nella sua testa, come una tempesta.
Odiava gli uomini ed ora stava lottando e perfino morendo per loro.

Tutti coloro che hai incontrato sul tuo cammino ti hanno fatto del male! Ti temono e ai loro occhi sarai sempre e solo un mostro!”
“Ti prego, smettila.”
Fammi uscire e avrai la vendetta che meriti.”
E Anthea la voleva quella vendetta. Voleva vedere negli occhi dei suoi aguzzini lo stesso terrore che aveva invaso i suoi.
 
Sono in debito con te e so per certo che tu puoi riuscire a controllarti.”
 
Steve … si stava spegnendo.
Steve credeva in lei, anche se aveva visto il mostro che si portava dentro.
E Steve le bastava per sperare di poter diventare migliore.
Non tutti gli uomini erano cattivi.

“Io non sarò mai più un mostro!” gridò con determinazione.
La vocina cattiva tacque.
 
Thanatos sollevò una zampa e gli artigli scintillarono, pronti a recidere la sua vita.
Io vincerò e lo farò con le mie sole forze.
L’arto della Bestia calò su di lei come un ghigliottina.
Avanti muoviti o morirai.
 
Anthea era di nuovo in piedi e teneva con una sola mano uno degli artigli acuminati.
Thanatos tentò di liberarsi da quella presa ferrea, esercitata dalle sole dita affusolate di quella piccola e candida mano, ma il suo dibattersi fu vano.
“Mi hai fatto arrabbiare” sibilò la ragazzina, con gli occhi invasi da una rinnovata scintilla di determinazione mescolata a rabbia.
La pressione sull’artiglio si intensificò.
“La pagherai cara per quello che hai fatto.”
Il mostro ululò di dolore, quando l’artiglio si spezzò come un sottile grissino e finì a terra con un tonfo.
Anthea saltò, sfiorando il soffitto con il capo, caricò un pugno e lo abbatté sul muso della Bestia. Nel momento dell’impatto, dal suo braccio scaturì una scarica elettrica, che rombò come un tuono.
Thanatos venne folgorato ed emise un nuovo latrato di dolore, mentre dalle fauci fuoriuscivano fiotti di liquido violaceo. La pelle squamosa si sciolse come cera calda ed anch’essa venne ricoperta dallo stesso liquido denso e viscido.
Un pungente odore di putrefazione impregnò l’aria.
Anthea osservò il mostro, ridotto ad una poltiglia informe, e poi spostò lo sguardo sulla sua mano, ancora percorsa da piccole scintille.

Alcune volte riusciva a fare cose che nemmeno immaginava.
Quando combatteva era guidata dall’istinto e dalle emozioni e lei si lasciava trasportare senza opporre resistenza.
Era come una macchina programmata.
Il suo corpo agiva prima della sua mente.
 
Thanatos continuava a gemere di dolore. La rabbia di Anthea, però, non si era ancora placata.
La ragazza lanciò un’occhiata all’artiglio acuminato che giaceva inerte a terra, tranciato di netto.
L’artiglio si sollevò in aria.
Era pesante.
La punta acuminata prese ad indicare la Bestia, come un giudice che punta il dito contro l’assassino.
Le tempie pulsavano. Strinse i denti.
L’artiglio si scagliò sul mostro, centrando una delle sfere rosse.
Thanatos latrò, sofferente, e scosse il muso con violenza fino a far saltare fuori l’artiglio dal suo occhio, divenuto di un grigio opaco.
Non era ancora soddisfatta.
 
Un medico sarebbe rimasto sgomento se avesse avuto l’opportunità di osservare ciò che accadeva al corpo della ragazza in quell’istante.
Telecinesi la chiamavano.
Le tempie pulsavano appena quando doveva sollevare qualcosa di davvero pesante. La respirazione diveniva un fievole sospiro. La pressione sanguigna e il battito cardiaco toccavano picchi elevatissimi. La temperatura corporea si abbassava di due o tre gradi.
 
La Bestia venne sollevata da terra, mentre si dimenava per sfuggire a quel potere invisibile.
Anthea ansimava e il sudore solcava il suo corpo provato.
Il sangue scorreva sul suo addome, squarciato da lunghi e profondi tagli orizzontali.
Si concentrò ancora, chiudendo gli occhi e ignorando il martellio nella testa.
Visualizzò lo scheletro del mostro, sotto la pelle squamosa.
“Va’ all’inferno” sibilò tra i denti.
La spina dorsale di Thanatos si spaccò in due, come un ramoscello secco che viene calpestato.
Il corpo floscio della Bestia cadde a terra, creando un piccolo cratere sul pavimento.
Anthea si accasciò al suolo, spossata e ansimante.
Strinse i denti quando percepì le ferite cicatrizzarsi velocemente. La temperatura del suo corpo saliva e la ragazza si sentiva bruciare. Gridò, fino a quando il forte dolore venne sostituito da un fievole formicolio.
Tremava come una foglia, mentre cercava di regolarizzare il respiro.
Osservò la pelle bianca del ventre, macchiata di sangue rappreso e coperta da quello che ne era rimasto della maglia gialla di Pepper.
Nessuna ferita.
Nessuna cicatrice.
Nessun segno.
Era guarita, come sempre quando veniva ferita.
Dal suo corpo era svanito ogni singolo graffio.
Quel rapido quanto doloroso processo di guarigione le riportò alla mente le torture subite, impresse a fuoco nella sua mente.
Rivedeva quelle figure coperte da camici bianchi infierire sul suo corpo con oggetti taglienti ed appuntiti. Le laceravano la carne e si divertivano a veder sgorgare dalla sua pelle lattea il sangue caldo e denso.
Anthea gridava - ma chi poteva sentire le sue urla? -, pregava - ma Dio l’aveva abbandonata -, ma non piangeva.
Tenendosi dentro le lacrime aveva la sensazione di sigillare in sé almeno parte di quella dignità che loro le avevano strappato, riducendola a carne da macello.
Poi di colpo gli uomini si fermavano, lasciandola mezza morta su quella fredda lastra di metallo.
Lei avrebbe voluto morire, avrebbe voluto porre fine a tutta quella sofferenza, ma il suo corpo la tradiva ogni volta.
I suoi aguzzini la osservavano compiaciuti, mentre si contorceva come un’ossessa. Si sentiva bruciare ed il dolore era quasi peggiore di quello provato durante il massacro della sua carne.
Poi ogni ferita spariva e sul corpo non rimaneva mai alcuna cicatrice.
Ma le cicatrici Anthea le percepiva perfettamente, su ogni singolo lembo di pelle e soprattutto nel cuore.
Mai avrebbe potuto dimenticare, perché se quei ricordi non erano segnati sul suo corpo, lo erano nella mente e nel cuore e nessuno poteva cancellarli o anche solo sbiadirli.

La ragazza posò lo sguardo sul corpo immobile di Thanatos, quando questo venne avvolto improvvisamente da una nube nera e densa, che si dissolse subito dopo, senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio.
La Bestia era sparita.
 
Non è finita” sibilò una voce senza corpo.
Anthea venne scossa da una serie di brividi che le risalirono la schiena.
Ignorò il momentaneo attacco di panico. Si fece forza e si rialzò, barcollando.
Doveva aiutare Steve ed anche i suoi compagni.
Incespicò dopo pochi passi e cadde stesa a terra.
Era troppo debole. Aveva dato fondo alle sue energie, soprattutto a causa dell’involontario processo rigenerativo.
L’Altra aveva energie infinite.
Scacciò subito quel pensiero e tentò di rimettersi in piedi, quando si sentì sollevare come una bambola di pezza.
Percepì due forti braccia sostenerla per le spalle e alzò lo sguardo, incontrando due occhi chiari e luminosi, sopra un grande sorriso caloroso.

“Tu hai la forza e la bellezza di una valchiria, midgardiana.”

Anthea arrossì e scivolò lontano dal calore di quel corpo, sforzandosi di piegare le labbra in un surrogato di un sorriso.
“Grazie” sussurrò, imbarazzata.
 
“Anthea, devi aiutarli. So che puoi farlo.”
Alle spalle di Thor, comparve la Romanoff, che le rivolse uno sguardo carico di emozioni divergenti.
La donna aveva il viso coperto di polvere e graffi superficiali. Da una tempia scendeva un rivolo di sangue, segno che in quel punto aveva una ferita più profonda. Aveva un’espressione dura, ma gli occhi verdi scintillavano di preoccupazione e ansia.
La Vedova Nera le stava affidando la vita dei suoi compagni e Anthea decise che non l’avrebbe delusa.
La ragazza sentì divampare una nuova energia dentro di sé e un piacevole calore si diffuse in ogni fibra del suo essere.
“E lo farò” affermò, animata da una rinnovata determinazione.
 
Sarebbe cambiata. Sarebbe diventata migliore.
 
 
 
 
 

Note
Ciao a tutti!
Ed ecco il nuovo capitolo, che spero davvero vi piaccia!
È la prima volta che mi cimento a scrivere qualcosa in cui figura molta azione, dettata soprattutto dallo scontro con Thanatos, e quindi mi chiedo se sono riuscita a rendere l’idea di ciò che accade, almeno in parte xD
Speriamo bene!
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite, nelle preferite e nelle ricordate.
Grazie a DalamarF16, a Ragdoll_Cat e a Siria_Ilias che hanno recensito la storia, facendomi davvero tanto tanto felice *.*
Alla prossima allora (cercherò di non superare mai i 15 giorni per aggiornare, ora che mi devo mettere sotto a studiare)!
Un abbraccio <3
Ella
   
 
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