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Autore: monalisasmile    30/09/2008    1 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15

 

Il sole splendeva gioioso su Tokyo, riflettendosi in bagliori accecanti sulla neve che per tutta la notte non aveva cessato di fioccare. Al porto le imbarcazioni erano attraccate saldamente al pontile, incrostate da un sottile strato di ghiaccio.

Era la mattina del 26 dicembre e Mimi inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante. Seduta sul muretto che costeggiava il lungomare, il volto scoperto rivolto verso l’acqua, sembrava voler assorbire con un solo sguardo l’intero paesaggio.

-      Ero convinto che con la scusa del fuso orario avresti dormito per due giorni di fila. –

Non c’era derisione nella voce del rosso, calda e dolce alle orecchie della ragazza.

Mimi arrossì, voltandosi e incontrando il suo sguardo.

-      Koushiro! - sgranò gli occhi, trovandosi a pochi centimetri dal volto di lui.

-      Oh, scusami, ti ho spaventata? –

Sembrava sinceramente mortificato e lei non poté far altro che scuotere il capo, tentando di nascondere il rossore che le imporporava le guance.

Lui si sedette accanto all’amica, allungando le gambe al di là del parapetto.

-      Sai, Koushiro…mi è mancato tutto questo. –

 

Le lanciò un’occhiata di soppiatto e la vide sorridere dolcemente verso l’orizzonte, gli occhi luminosi alla luce del mattino.

Sorrise a sua volta: quella ragazza non avrebbe mai smesso di sorprenderlo. Ogni suo gesto era talmente genuino e spontaneo da lasciarlo sbigottito.

Ricordò l’avventura che avevano vissuto insieme diversi anni fa. Non si conoscevano, ma sin dal primo momento gli era parso chiaro che Mimi fosse l’opposto di lui: semplice, spontanea e passionale. Alle volte s’era sorpreso ad invidiarla un po’ per quelle qualità che spesso l’avevano messa nei guai ma che in compenso le avevano permesso di conquistare l’affetto di molti. Cosa che non si poteva dire di Koushiro, razionale e contenuto in ogni suo gesto. Sapeva badare a se stesso e non aveva mai avuto bisogno di nessuno. O almeno questo era ciò che credeva.

Era stata la stessa Mimi a fargli capire il suo errore di giudizio, anche se probabilmente non se n’era mai accorta.

Koushiro riportò lo sguardo sul mare, sorridendo sereno.

 

-      Allora, cosa mi racconti di nuovo? – esordì la ragazza dopo un lungo silenzio.

-      Cosa vuoi sapere? –

-      Non so… un po’ di pettegolezzi! – sorrise lei, civettuola.

Lui scoppiò a ridere, gettando il capo all’indietro: non era cambiata di una virgola! E la cosa gli riempiva il cuore di gioia.

“ Per fortuna certe cose non cambiano mai…” pensò, riportando la mente ai fatti che erano accaduti negli ultimi tempi.

Certo nulla di grave, sicuramente molte persone ora erano serene e spensierate, ma ciò non di meno alcuni di loro avevano sofferto ingiustamente. Ma non era questo a preoccuparlo.

Corrugò la fronte: da qualche tempo aveva una strana sensazione. Avvertiva una tensione, nell’aria e nelle persone che lo circondavano, che andava acuendosi di giorno in giorno. Quasi che si stessero creando le premesse per il compiersi di un evento.

Mimi dovette mal interpretare la sua espressione pensierosa. 

-      Dai, non vorrai dirmi che non è successo nulla da quando ci siamo visti l’ultima volta… -

Koushiro le sorrise, chiudendo dentro di sé i suoi pensieri e i suoi sentimenti. Come era solito fare, d’altronde. Perché allarmarla inutilmente? Gliene avrebbe parlato quando ne avrebbe avuto le prove.

-      Beh effettivamente sono successe diverse cose, dipende quali vuoi sentire per prime. –

-      Love stories? –

“ Prevedibile” pensò lui, affettuosamente.

-      Yamato e Sora si sono lasciati. –

-      Oh… - si spense il sorriso della ragazza – Mi dispiace per lei, deve esser stato un duro colpo… -

-      È stata lei a lasciarlo. –

-      Davvero?! –

Koushiro annuì, godendosi l’espressione stupefatta dell’amica. Quanto le era mancato quel volto tanto espressivo e sincero.

 

-      Come mai si sono lasciati? –

Koushiro alzò le spalle.

-      Lo sai che i pettegolezzi non sono mai stati il mio forte. E poi non sono il tipo di persona da cui gli altri vengono per sfogarsi… -

Mimi abbassò il capo. Conosceva Koushiro da tanti anni, forse meglio di tutti gli altri digiprescelti: un ragazzo timido e gentile, dolcissimo e premuroso, sebbene a modo suo. Quella che gli altri scambiavano per insofferenza e circospezione era in realtà un’impacciata modestia. Che lei trovava adorabile.

-      Però – continuò il rosso – credo che il loro rapporto avesse diverse piccole incrinature già da un po’ di tempo. Non parlavano più come prima, non erano più legati come una volta. –

Lei sorrise dolcemente dell’innata perspicacia dell’amico: chissà come, sapeva sempre qualcosa in più di quello che si poteva supporre. Sin da bambino, per quanto taciturno e concentrato più sul suo computer che sulle persone che lo circondavano, aveva un acuto sesto senso. Col passare degli anni e grazie all’amicizia con gli altri digiprescelti, il rosso aveva imparato a interagire maggiormente col mondo, sviluppando la sua sensibilità. E in tutto questo processo, a Mimi piaceva pensare di aver avuto una parte importante…ma non gliel’aveva mai chiesto, timorosa di ricevere una grande delusione.

-      Poi, certo, è intervenuto un fattore esterno… -

-      “ Fattore esterno”… - levò gli occhi al cielo lei – Koushiro, questa non è scienza, ma pettegolezzo! – lo canzonò lei.

-      Hai ragione, Mimi. Allora vogliamo chiamarla…ragazza? –

 

Come aveva previsto gli occhi della castana s’accesero d’entusiasmo e lei si aggrappò con entrambe le mani al suo braccio. Koushiro ringraziò di avere il cappotto, altrimenti quelle dita artigliate gli avrebbero lacerato la carne.

-      Una ragazza?! Chi?! Yamato ha…?! –

-      No, non penso l’abbia tradita. Ma credo che Sora abbia capito che avrebbe potuto farlo, perciò l’ha lasciato. –

-      Povera cara… Se metto le mani su quella sciacquetta…! – ruggì furiosa.

Koushiro sospirò di fronte all’istinto protettivo suscitato nella ragazza di fronte alle disgrazie dell’amica. D’altronde era fatta così: sensibile, impulsiva e tremendamente testarda.

-      Non le farai nulla, Mimi. – tentò di calmarla lui.

-      E perché?! Credi che non ne sarei capace?! –

-      Oh, non lo metto in dubbio! Ma probabilmente dovresti ingaggiare battaglia non solo contro Yamato, ma anche contro Sora, Taichi e un’agguerritissimo Daisuke! –

La vide sollevare un sopracciglio, perplessa.

-      Vedi, prima che accadesse tutto quel trambusto, Rumiko aveva già stretto amicizia con tutti loro e dopo l’accaduto il rapporto tra lei e Sora s’è addirittura rafforzato, perciò… -

-      Come? –

-      Dicevo che Sora l’ha perdonata, dunque… -

-      No no, come l’hai chiamata? –

Koushiro cercò il suo sguardo, ma la ragazza pareva persa in foschi pensieri.

 

“ No, non può essere lei…sarebbe un caso troppo fortuito, una coincidenza incredibile… eppure ho come l’impressione che si tratti proprio di lei, perché se così fosse…”

-      Rumiko…si chiama Rumiko Kitamura. Ah, giusto, ha vissuto a New York per un po’, per caso la conosci? –

 

Ci fu una breve pausa, troppo corta per lasciar spazio ad altre domande, troppo lunga per non indovinare la risposta.

-      No… - fece lei, voltando il capo dalla parte opposta e nascondendo il viso allo sguardo indagatore dell’amico.

 

Koushiro aggrottò la fronte.

“ Sei sempre stata negata per le bugie, Mimi. Che cosa mi stai nascondendo?”

Una cosa era certa: il nome di Rumiko le era tutt’altro che nuovo.

 

“Alla fine è stato più semplice del previsto.”

Eppure quel pensiero non le procurava alcun sollievo. Ora cominciava la parte difficile.

Era da un anno che la cercava, ma dopo quella notte la famiglia Kitamura pareva esser svanita nel nulla. I vicini avevano riferito che s’erano trasferiti, ma nessuno sapeva dire dove. Aveva fatto molte ricerche, ma senza risultato. Poi c’era stato uno spiraglio: un collega del signor Kitamura le aveva riferito che entro qualche mese il fotografo avrebbe allestito una mostra personale a Tokyo. Il tempo di organizzare la partenza e Mimi s’era messa in viaggio. Non ne aveva fatto parola con gli altri digiprescelti, nemmeno con Koushiro. Innanzitutto doveva trovarla e meno persone erano coinvolte, minore era la possibilità che lei se ne accorgesse.

“ Maledetta strega…”

 

Un sonoro “etciù” ruppe il silenzio dell’appartamento 18.

Yamato sghignazzò.

-      Credi che qualcuno stia parlando male di te? –

-      Non escludo l’ipotesi, ma è più facile che io mi sia raffreddata, non credi?! –

Il biondo rise di gusto, sotto lo sguardo fulminante di Rumiko, seduta sul divano e avvolta da un morbido piumone blu.

-      Sei sempre malata. – la beffeggiò lui, posando il vassoio con la colazione sul tavolino di fronte al sofà.

-      È colpa tua se ho preso freddo! Tua, della tua moto e delle tue gite notturne! –

Lui si chinò sul suo volto, fermandosi a pochi centimetri di distanza.

-      Vuoi dire che non ti è piaciuto? – le sussurrò con voce roca.

-      N-non volevo dire questo. – borbottò lei, scostando lo sguardo dai suoi occhi azzurri e magnetici.

Yamato le stampò un bacio sulla guancia.

-      Sei adorabile. –

Rumiko abbassò lo sguardo, impacciata. Non era abituata a riceve complimenti tanto diretti, soprattutto a doverli accettare senza ribattere con battute sarcastiche.

-      Ho dimenticato i cucchiaini, arrivo subito. – si scusò il biondo, scomparendo in cucina.

Rimasta sola nel salotto di casa Ishida, Rumiko lasciò che la sua mente volasse alla sera precedente.

 

Yamato l’aveva baciata. Era stato tutto perfetto, semplicemente meraviglioso. Nella sua testa risuonavano ancora le parole della canzone che le aveva cantato. Una melodia romantica e struggente…

Poi erano tornati a casa. Ma anziché dividersi, lei era entrata in casa Ishida. Non era la prima volta che attraversava quella soglia, ma questa volta si era concentrata meglio su quanto la circondava.

Un appartamento ordinato e moderno, arredato in maniera semplice ma fornito di un mega televisore al plasma, uno stereo di ultima generazione, molti cd, dvd e, immancabilmente, giochi per il computer. Mancavano i fiori e tende e tovaglie erano di un monotono bianco. In compenso le pareti erano costellate di poster d’arte contemporanea e paesaggi, sui mobili comparivano cornicette che riquadravano i volti sorridenti dei familiari. La casa di due uomini, insomma.

Yamato aveva lasciato che desse un’occhiata in giro, poi l’aveva condotta nella sua stanza. Anche questa si era presentata esattamente come Rumiko se l’era immaginata: spaziosa e piena di musica. Le pareti erano un collage di poster di band e rock star. I cd parevano sbucare da dovunque, impilati su ogni scaffale, mensola o ripiano disponibile.

S’era gettata sul letto per sfuggire all’abbraccio di Yamato, ma il giovane l’aveva seguita, stendendosi accanto a lei.

-      Quella foto… -

Yamato aveva seguito la direzione del suo sguardo.

-      Perché l’hai appiccicata al soffitto? –

-      Per poterla ammirare più comodamente. – aveva risposto lui, senza distogliere lo sguardo dall’immagine.

Il silenzio era calato nella stanza, scandito dai loro respiri. Ciascuno poteva percepire il rincorrersi dei pensieri nella mente dell’altro, senza però riuscire a intuirne il contenuto.

Lui si era alzato a sedere, probabilmente con l’intento di metter fine alla faccenda.

Rumiko aveva fissato la sua schiena, spaziosa ed eretta, e le ampie spalle. E aveva provato l’irresistibile impulso di rifugiarsi dietro di esse, di esser rassicurata e consolata.

Invece era rimasta immobile. Come sempre…

 

-      Ehi, tutto bene? –

Rumiko si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri.

-      S-sì, certo! Benissimo! – sbiascicò in fretta.

Yamato non disse nulla, limitandosi a sedersi accanto a lei. Rumiko afferrò la tazza di caffè ancora calda e l’accostò alle labbra.

-      Senti… - sentì esordire Yamato – Forse io non sono la persona più raccomandabile, ma vorrei che ti fidassi di più di me. –

Rumiko non osò guardarlo, fissando lo sguardo nel liquido scuro tra le sue mani.

-      So che non è facile, ma parlare a volte aiuta a capire, ad accettare…anche a dimenticare, se necessario. Ci sono passato anche io, tanto tempo fa… -

-      Non credo… – sussurrò lei, posando la tazza sul tavolino.

-      Ne sei sicura? –

Silenzio.

-      Il fatto che due persone abbiano vissuto vicende diverse non significa che non possano capirsi l’un l’altra. Persone con esperienze simili possono al contrario confrontarsi, metter l’altro a parte delle consapevolezze acquisite. –

Silenzio.

-      Rumiko… - le afferrò delicatamente le mani nelle sue – Io voglio aiutarti, per quanto mi sia possibile. Ma non posso farlo se non mi parli. –

La vide tremare impercettibilmente. Allora temette di aver esagerato. L’abbracciò e la cullò dolcemente sul suo petto, senza dire più nulla.

 

“ Io voglio fidarmi di te! Voglio davvero fidarmi di te! Perché tengo molto a te…”

 

-      Quella foto… -

Yamato smise di cullarla, ma non la lasciò.

-      Quella foto è molto importante…riguarda il mio passato, un passato che ormai mi sono lasciata alle spalle... –

-      Che tipo di passato? –

Lei parve pensarci un attimo su.

-      Non saprei nemmeno io come definirlo… Facevo qualcosa che mi entusiasmava, che mi faceva sentire forte, quasi invincibile. Anche se forse non sempre era giusto… Ho trascorso dei bei momenti, ma poi è morta mia madre e tutto è cambiato… O forse è solo cambiato il mio modo di vedere il mondo. D’improvviso quelle cose che avevo fatto mi sono sembrate mostruose e solo l’idea di rifarle mi procurava disgusto. Fino a quel momento non avevo pensato alle conseguenze delle mie azioni, ma ripensandoci mi accorgevo del dolore che dovevo aver procurato a molti, seppur indirettamente. Ho cominciato a chiedermi perché avessi compiuto certe azioni, ma ogni risposta mi sembrava insoddisfacente. –

Sospirò.

-      Ho cominciato a cercare all’esterno le riposte di cui avevo bisogno. E sono venuta a conoscenza di alcune verità che hanno accresciuto la mia amarezza, aumentando anziché dissipando i miei dubbi. Ho capito di non esser mai stata messa al corrente di tutta la verità. Ho provato rancore per quelli che avrebbero dovuto aiutarmi e guidarmi e che invece mi avevano lasciata in balia della sorte. Mi sono sentita abbandonata e usata. E impotente. Perché ormai quelle cose erano già successe e non avrei potuto far nulla per cambiarle. –

Lui non aveva ancora proferito parola, immobile e attento.

-      Non penso di rinnegare del tutto quel mio passato, ma andandomene da New York ho deciso di porvi la parola “fine”. È un capitolo chiuso della mia vita… -

Yamato annuì, sebbene non fosse affatto sicuro di aver capito.

-      Quella foto me lo ricorda continuamente, perché ne ha immortalato un momento rappresentativo. –

Yamato ripensò alla figura dai capelli lunghi che si stagliava sulla cima del grattacielo. Osservandola con attenzione aveva notato che portava uno strano copricapo, con due punte sulla cima. Un mano teneva un bastone. Era una teppista?

“ Beh, col caratterino che ha non mi stupirebbe…”

Era possibile che dopo la scomparsa della madre avesse capito il significato della morte e del dolore che poteva arrecare ad altre persone. Forse aveva messo la testa a posto per non impensierire ulteriormente il padre, già abbattuto dalla perdita della moglie. O forse da quel giorno qualcosa s’era spento dentro di lei e non aveva più trovato una ragione per continuare con quello stile di vita.

 

“ Ti prego, non chiedermi altro…non posso dirti nulla di più. Quelle cose che ho fatto, quella che ero e quello che è successo nessuno dovrà mai saperlo! Perciò ti prego, non chiedermi altro, non riuscirei a mentirti…”

 

Probabilmente lei non intendeva andare più a fondo con le spiegazioni e lui non avrebbe insistito. Però c’era ancora una cosa che voleva sapere.

-      Mi hai regalato quella foto per disfarti di un ricordo doloroso? –

 

Sapeva che prima o poi gliel’avrebbe chiesto. Lei aveva provato diverse volte a elaborare una risposta soddisfacente. Ma gli sforzi non l’avevano condotta da nessuna parte.

 

-      Non lo so… - si scostò da lui.

Lui attese che continuasse, cercando d’intercettare il suo sguardo evasivo.

-      È stato un gesto… -

-      Impulsivo? –

-      Direi piuttosto istintivo… -

Rumiko scrollò le spalle, come a volersi arrendere.

-      Ok, lo ammetto: non avevo un regalo per te. Cioè sì, ce l’avevo, ma l’ho dato a Mei. -

-      Credevo avessimo fatto pace alla festa della scuola. Mi odi così tanto? – rise lui.

-      No, certo che no! Il regalo te l’avevo preso già prima della festa… -

Il sorriso del ragazzo si allargò e lei s’accorse di aver parlato troppo.

-      Comunque l’ho dato a Mei perché Daisuke non le aveva preso nulla e non volevo che si sentisse esclusa…poi tu mi hai regalato i cd e non volevo lasciarti a mani vuote, così sono andata in camera mia in cerca di… -

-      Di qualcosa da riciclare! – scoppiò a ridere lui.

Lei lo fulminò.

-      Tu mi avevi fatto un regalo bellissimo, mi avevi regalato qualcosa di tuo. E io avrei voluto fare altrettanto…ho cercato qualcosa che potesse piacerti, che mi rappresentasse, che potesse farti pensare solo a me… -

Yamato non rideva più, fissandola serio.

-      Ho pensato alla foto e prima che me ne accorgessi te l’avevo già impacchettata… -

Lui le afferrò una mano, ma lei parve non accorgersene e continuò imperterrita la sua spiegazione disordinata.

-      Non sapevo nemmeno io come dovessi interpretarla, non so cosa ho pensato in quel momento. –

Lei non s’accorse del corpo di lui che s’accostava al suo.

-      Ma per quanto a me possa rievocare spiacevoli ricordi, è qualcosa di mio, di personale. Qualcosa che nessun altro ha. Perciò io… -

La interruppe con un bacio.

 

Sapeva che l’interruzione avrebbe potuto farla inviperire, ma non aveva potuto trattenersi.

Gli bastava incontrare quegli occhi viola, smarriti e turbati per aver voglia di stringerla tra le sue braccia. Rumiko era forte e coraggiosa, ne era convinto. Ma nel suo sguardo vedeva il suo tormento interiore, l’intensità delle sue emozioni, i fantasmi del suo passato misterioso.

“ Voleva regalarmi qualcosa di solamente suo...”

Sentirle pronunciare quelle parole gli aveva fatto battere il cuore a mille. Sapere che lei lo pensava, che voleva che anche lui la pensasse…

Le credeva. Voleva credere ad ogni sua parola. Perché l’amava.

 

Quando scese la notte, le nuvole si muovevano lente, ora oscurando, ora rivelando piccoli scorci di una pallida sfera sopra Tokyo.

Tutto era silenzioso.

Poi improvvisamente si levò l’ululato del vento, che scacciò rapidamente le nubi.

Una luna piena brillava ora nel cielo, proiettando la sua luce sulle alture alle spalle della città, insinuandosi tra rocce ed alberi, fino a rivelare le colonne di un tempio scintoista dedicato al dio Inari, la divinità del riso.

L’alone latteo scivolò sulle lisce superfici e sulle mattonelle del sentiero, sino all’ingresso del santuario. Ma non proseguì oltre: la statua di una volpe si ergeva ai piedi di un antico ciliegio, le fauci spalancate e minacciose.

L’ululato del vento si fece più insistente, rimbombando sulle pendici del promontorio e  agitando le chiome dell’albero.

Poi tutto tacque.

Le nubi tornarono a coprire la luna e tutto venne nuovamente avvolto dall’oscurità. Eppure un debole biancore s’aggirava ancora nel cortile del santuario, quasi che la luna avesse scordato di ritirare uno dei suoi raggi luminosi.

 

 

 

Continua…

 

 

  
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