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Autore: Emera96    15/09/2014    2 recensioni
Cristian è un ragazzo spento, intrappolato in una routine che non sembra dargli tregua.
Poi, un mattino, tutto cambia. Una sconosciuta sull'autobus, un sorriso che sembra brillare di luce propria.
Due destini pronti ad intrecciarsi, incapaci di tornare sulle proprie strade.
Storia partecipante al contest "With flowers and words"
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dove è sempre sole

 

 

“Perché se poi ad un tratto cambia il tempo,
e se cambia il vento,
io so che ti ritrovò sempre là,
dove è sempre sole.”
 

 
 

12 ottobre

 

Il sole sorge timidamente quando la sveglia suona le sei e cinque. Sembra far capolino dalla cima rotonda della collina che, totalmente illuminata dalla sua luce fioca ma persistente, si accende di una nuova tonalità di verde, in contrasto con le foglie variopinte che punteggiano il prato come le lentiggini sul volto di una bambina dalla pelle candida.
Come ogni mattina, spengo la sveglia con un colpo secco che, potenzialmente, potrebbe romperla. E che, ogni mattina, è appena sufficiente a disattivarla del tutto.
Conscio della mia lentezza, mi obbligo ad alzarmi subito dal letto, per non perdere l’autobus che, ogni mezz’ora, passa dal vialetto di fronte a casa mia. Mi ravvivo i capelli rapidamente, passandoci le dita sottili per districare quanto basta i nodi che si sono formati di notte. Nel giro di venti minuti, sono già pronto per uscire di casa e, nel minuto in eccesso che mi sono ritagliato, mi concedo una scorsa veloce allo specchio, come ogni mattina.
Il riflesso nello specchio sorride spento, senza energia. Gli occhi grigi si intonano al maglione, leggermente infeltrito dopo tanti anni, e donano quel tocco interessante al mio viso, ancora addormentato e privo d’espressione. Provo a sorridere, per cercare qualche sofferenza.
Niente. Stessi capelli indomabili, biondo scuro. Stessi occhi spenti, belli ma privi di vitalità.
Insoddisfatto ma consapevole di ciò che vedo, esco di casa senza voltarmi indietro, quasi a voler dimenticare per il resto della giornata la stanchezza che mi è stata cucita addosso.
L’autobus non si fa attendere per più di qualche minuto, che passo osservandomi attorno, alla ricerca di qualche dettaglio nuovo da catturare con gl’occhi. Sorrido divertito da quel pensiero: come se, dopo cinque anni, qualcosa potesse cambiare all’improvviso.
Una volta salito, noto uno strano afflusso di persone, considerando l’ora. Mi guardo intorno, desideroso di un posto singolo, lontano da tutto e da tutti, dove sia possibile dormire per tutto il tragitto, senza nessuna interruzione. Dopo aver percorso tutto il corridoio dell’autobus, mi imbatto in un punto libero, vicino al finestrino, che occupo al volo, prima che altri possano impadronirsene. Mi siedo, incapace di trovare una posizione comoda, e socchiude gli occhi.
Qualcosa, però, cattura la mia attenzione.
Ma non è un qualcosa. È un qualcuno.
Gli occhi blu scuro mi guardano con un’intensità tale da spaventarmi; come se potesse guardarmi dentro o passarmi attraverso, come se avessi la stessa trasparenza di un fantasma, ma, al tempo stesso, come se fossi una realtà solida e incrollabile al suo sguardo.
Si scosta un ciuffo di capelli castani che, insistentemente, le ricade sugli occhi, senza volerne sapere di sottostare al suo volere. Gli stessi capelli che si estendono fin sotto le spalle, voluminosi e morbidi, anche solo a guardarli. Quel tipo di capigliatura che ti viene voglia di infilarci una mano dentro, solo per vedere se riesci a tirarla fuori.
Ma quel che sono sicuro che riuscirà a togliermi il sonno per tutta la durata del tragitto è il suo sorriso. Così luminoso, così brillante. Come se qualcuno di passaggio avesse deciso di incastonarci il sole più splendente della giornata d’estate più bella, in quel sorriso.
Un sorriso così potrà solo tenermi sveglio, rendendo il lungo tragitto un po’ più piacevole.
 
 
17 ottobre
 
 
La sveglia è diventata un accessorio superfluo.
Ogni mattina, da cinque giorni ormai, svegliarmi è diventata un’azione automatica, che compio con piacere e con sorprendente precisione. Come se dentro di me ci fosse un meccanismo che mi avvisa che è arrivato il momento di rivederla, apro gli occhi e mi scopro a sorridere.
Scelgo con cura ciò che indosserò, optando infine per un maglione che mette in risalto il colore dei miei occhi che, da qualche giorno, non possono fare a meno di splendere di una luce nuova.
Cerco di sfruttare ogni momento libero prima di uscire di casa per rimettermi in sesto.
Tento di dare una piega decente ai capelli, tagliati due giorni fa con precisione maniacale e, come ultimo tocco, spruzzo per due volte il profumo alla base del collo.
Devo essere impeccabile.
Per lei. Perché possa notarmi tra la folla ancora una volta.
Una manciata di minuti dopo sono già sull’autobus verso l’ufficio e, istintivamente, cerco il suo sorriso tra gli sguardi corrucciati di chi, a quest’ora, sa solo essere assonnato. Nel grigiore che mi circonda, colgo un bagliore di luce e  colore, che pare riflettere la luce insita nei miei occhi.
Ancora una volta, è lei a splendere. Lei a portare una ventata d’allegria in tutto questo nero.
Spinto da un coraggio che non sento mio, mi avvicino a lei con passi misurati, cauti.
Noto con piacere che il posto accanto al suo è libero e, mantenendo un tono di voce basso, simile ad un sussurro, le domando: «Scusi, le dispiace se mi siedo accanto a lei?»
La mia voce è appena percepibile. Forse perché una parte di me ha paura di romperla in mille pezzi col gesto più insignificante. Forse, perché so che lei mi sentirà in ogni caso.
«Ma certo, si sieda. La avverto però: non sono molto di compagnia.» mi avvisa lei, col suo sguardo serio che si conficca dritto nel mio ma, allo stesso tempo, con tono scherzoso.
«Non c’è bisogno che faccia niente. Mi basta starle vicino.» ammetto io, incapace di puntare i miei occhi nei suoi con la sua stessa sicurezza. Come uno scolaretto inesperto, mi guardo le punte dei piedi, sorridendo soddisfatto della mia piccola conquista.
La ragazza sembra stupita del mio commento e, come se volesse farmi un regalo, mi sorride.
Non con lo stesso sorriso di una settimana fa, quello che ti toglie il fiato e non ti fa dormire.
Mi sorride come se volesse farmi partecipe della sua felicità.
Come se volesse donarmi un po’ del sole che splende in lei.
«Piacere, sono Matilde. E dammi del tuo, per il lei ci penserò quando sarò vecchia.»
Allunga la mano, delicata e candida, verso di me. Non tentenno un attimo, e la stringo senza eccessiva pressione, con la stessa paura di romperla di poco fa.
«Piacere mio, Cristian.» ribatto, provando a nascondere il nervosismo che mi attanaglia lo stomaco. Le sorrido, imito la sua leggerezza, invano.
Anche oggi, sento che il tragitto sarà piacevole.
 
 
18 ottobre
 
Oggi autobus vuoto.
No, non vuoto. Pieno di persone.
Nessuna di quelle persone era Matilde.
E così, mi sento un po’ vuoto anche io.
Manca il sole, mancano i colori.
 
 
24 ottobre
 
 
«Buongiorno Cristian!»
La voce squillante, ma pacata al tempo stesso, di Matilde mi scuote dalla mia sonnolenza.
Il torpore sembra scivolare tutto d’un colpo, come una doccia fredda che ruba la mia stanchezza e mi sveglia di colpo, senza darmi altre alternative. Le faccio un cenno del capo e, senza sentire il bisogno di chiederle il permesso, prendo posto accanto a lei, sorridendo spontaneamente.
 
«Buongiorno Matilde. Che piacere rivederti!» affermo io, fissandola negli occhi per qualche secondo, nel tentativo di assumere un atteggiamento amichevole che non mi appartiene.
«Ti vedo bene oggi. Fatto una bella dormita?» chiede lei, curiosando nella mia quotidianità.
«Veramente no. Non dormo molto bene da qualche settimana ormai.» ammetto io.
«Posso sapere perché?»
Reprimo un “perché ti sogno ogni notte e sento che mi manchi” che, sono sicuro, potrebbe spaventarla non poco.
«Anche se te lo dicessi, non ci crederesti mai.»
L’ambiguità della mia risposta la lascia per qualche secondo in sospeso, a metà tra il non avere il coraggio di chiedere spiegazioni, e la curiosità di capire cosa mi passa per la mente.
Il silenzio si protrae per qualche lungo minuto e, incapace di portare avanti la conversazione, decido di recuperare parte del sonno perduto nelle settimane passate. Faccio segno a Matilde, indicando il finestrino, su cui appoggio la testa, in modo da simulare una posizione comoda, e accompagnando il tutto con uno sbadiglio fittizio. Lei sembra afferrare le mie intenzioni e rovista nell’ampia borsa di pelle, estraendo un foglio bianco, che apre con cura.
Poco prima di chiudere gli occhi, per abbandonarmi alla tranquillità di un sonnellino sprovvisto di sogni, sbircio ciò che c’è scritto nel foglio nelle mani di Matilde.
Il cuore manca un colpo quando mi accorgo che è un biglietto aereo.
Di sola andata.
Che parte domani.
 
 
25 ottobre
 
Non sono mai stato il tipo di persona che può permettersi di sognare.
I sogni sono per chi ha il tempo di fabbricarseli, mattone dopo mattone, creando un’immagine chiara, che poi insegue per tutta la vita. Ad occhi aperti o nel buio della notte.
Le poche volte che mi è capitato di sognare qualcosa, l’immagine svaniva nel momento esatto in cui mi svegliavo ed alzavo la testa dal cuscino. I sogni sono per chi ha il fisico ed il coraggio per rincorrerli, per chi nonostante il fiatone continua imperterrito a correre.
Anche a costo di inciampare.
Anche cadendo ad ogni passo che fa.
Anche se quel sogno sembra allontanarsi progressivamente.
Poi ci sono quei sogni che il destino decide di sbatterti in faccia, quelli che non potresti rifiutare, semplicemente perché non trovi un motivo valido per non provarci.
Forse seguire un sogno scoperto un paio di settimane fa non ha senso.
Ma, infondo, se fossero razionali, non si chiamerebbero sogni.
E il mio sogno, da qualche tempo, si chiama Matilde.
Lasciarlo volare via senza nemmeno provare ad inseguirlo per qualche metro sarebbe come rifiutare l’offerta di una vita intera. Ed io non sono disposto a correre il rischio.
La strada pare srotolarsi con naturalezza sotto le ruote veloci della mia macchina, rapida e leggera come non mai. Come se qualcuno, nel cuore della notte, avesse deciso di aiutarmi, rendendo quella macchina che era stata dei miei genitori il mezzo più appropriato per raggiungere Matilde senza intoppi.
L’ora che di solito impiego per arrivare in aeroporto si trasforma in quaranta minuti scarsi, che corrono via veloci senza toccarmi minimamente, poiché troppo concentrato sul mio obiettivo.
Mi dico che non sarà necessario cercarla, che, come nei film più prevedibili, il mio istinto mi porterà da lei, seguendo un percorso privo di qualsiasi logica.
Una volta all’entrata, mi concedo un momento per riflettere a quel che sto facendo, tentando di trovare una ragione plausibile per tornare a casa, accantonando quest’idea folle.
Ma poi la sua immagine ritorna, violenta come una folata di vento inaspettata in piena estate.
Quegli occhi azzurro cielo, di quel colore talmente artificiale da sembrare un mare pieno di lacrime buie, non riescono a staccarsi dalla mia mente. Se ne stanno incollati lì, come un adesivo appiccicoso, che più cerchi di staccarlo e più esso rimane attaccato con forza.
Lei, per me, è questo: una sconosciuta con cui ho scambiato due parole, ma con cui sento di aver condiviso milioni di vite precedenti, senza essermene mai accorto. L'anima gemella.
Stava per volare via.
Le sue ali, spiegate, erano già pronte al volo.
E io non potevo farla scappare via. Non sarei rimasto nuovamente solo.
È un attimo.  Io che, armato di coraggio, entro in aeroporto, lasciandomi alle spalle la porta.
Nello stesso momento, lei esce, con la stessa espressione afflitta e piena di paura.
Il suo sguardo, basso, si puntò su di me, come se qualcosa la spingesse a guardarmi.
Il tempo di un’occhiata e la paura crolla. Le barriere si spezzano. Il biglietto cade a terra.

«Ti ho aspettato per così tanto tempo.» mi sussurra lei, dopo essersi avvicinata a me.
«Anche io. E stavolta, non ti lascio più andare via.» rispondo io, col cuore in gola.
 
Sorrido.
E adesso, anche il mio sorriso insignificante splende dello stesso sole suo.
 

   
 
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