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Autore: seasonsoflove    16/09/2014    11 recensioni
"Era quasi ora di pranzo alla Storybrooke High School, e Belle era seduta in classe insieme ai suoi compagni.
Belle era la tipica ragazza...atipica.
Graziosa ma di una bellezza antica, di classe. I lunghi capelli rosso scuro leggermente mossi, la carnagione pallida, le guance rosee, gli occhi di un azzurro irreale, il viso tondo, e il corpo minuto."
AU!Highschool - Young!Storybrooke.
Pairing (Rumbelle/SwanQueen e altri possibili)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Belle, Emma Swan, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You know I try to live without regrets
I'm always moving forward and not looking back
But I tend to leave a trail of dead,
while I'm moving ahead

So I'm stepping away
'Cause I got nothing to say


 



Regina camminò svelta fuori da casa di Tink, scavalcando un tavolo rovesciato in mezzo al giardino e un ammasso di cocci di vetro sparpagliati sul vialetto.
Strinse i denti e si fece largo tra i vari detriti, sentendosi notevolmente in colpa.
Aveva promesso che avrebbe aiuto l’amica l’indomani, a pulire e a sistemare l’immane disastro.
Eppure se la stava svignando.
Si mise a correre appena uscita dal vialetto d’ingresso e corse fino a quando non svoltò l’angolo.
Avrebbe voluto aiutare Tink a pulire.
Avrebbe voluto fare colazione con lei e con Ariel, che dormiva placidamente stesa sul divano, coperta dalla coda da sirena che aveva indossato la sera precedente.
Ma non ci era riuscita.
Non appena Regina aveva aperto gli occhi e si era trovata abbracciata a Tink, completamente nuda e a pochi centimetri dal suo viso, era entrata nel panico.
Si era alzata senza fare rumore, si era infilata i vestiti (il blazer era pieno di macchie e puzzava di vino) ed era sgattaiolata fuori dalla stanza.
Stralci della serata le tornavano in mente, il litigio con sua madre, Robert, Belle ed Ariel che erano venuti a prenderla, Emma e l’abbraccio, i fuochi d’artificio, il bacio con Tink e poi…
Si sedette su un muretto e respirò forte per calmarsi.
Era successo.
Era andata a letto con Tink, non serviva a nulla negarlo.
Il perché l’aveva fatto, restava un mistero.
Ricordava di aver confusamente pensato di voler fare qualcosa di trasgressivo e che facesse arrabbiare sua madre, qualcosa che la facesse sentire giovane. Alla luce del giorno le appariva chiaro che più che orgoglio e senso di ribellione, provava solo vergogna ed imbarazzo.
Inoltre doveva ancora sistemare le cose con Cora Mills.
Pensò fugacemente di richiamare Emma e chiederle una mano, ma scartò l’opzione. Era sabato mattina e di sicuro la professoressa si stava godendo un po’ di meritato riposo.
Di tutto il disastro della sera prima, Emma Swan era l’unica cosa che Regina ricordava con felicità.
Sospirò e si rialzò, avviandosi verso casa.
Una volta all’inizio di Mifflin Street, notò che alcuni dei suoi vicini, persone che incontrava abitualmente ogni mattina, la squadravano stralunati.
Immaginò di avere un aspetto tremendo, spettinata, struccata e coi vestiti sporchi. Camminò rapida senza incrociare lo sguardo di nessuno e si fermò di fronte alla porta di casa sua.
Respirò profondamente e suonò il campanello.
Le aprì suo padre, dopo pochi secondi.
“Regina!” esclamò.
“Papà…” disse lei fissando i gradini.
“Dio mio, dove sei stata? E…stai bene? Come sei ridotta!? Dai, entra!”
Regina lo guardò con estrema gratitudine.
Suo padre, Henry Mills, era sempre stato un uomo profondamente buono e gentile, seppur debole; venerava sua figlia, le voleva un bene infinito e questo traspariva da ogni gesto.
“Papà, mi dispiace.” Iniziò una volta nell’ingresso “Io…non avrei dovuto. Ho dormito da un’amica, so che mamma è arrabbiata ma volevo solo divertirmi un po’ e stare con…con i miei amici.”
Suo padre la squadrò da capo a piedi.
“Tua madre non c’è” disse poi lentamente. “E’ partita questa mattina.”
Regina spalancò gli occhi.
“Dov’è andata?”
“A Boston, a trovare suo padre…in clinica.”
Il nonno di Regina era un uomo anziano, distrutto dall’alcool e dalle droghe, ora ricoverato in un centro lungodegenti, a Boston.
“Ma…lei ieri sera mi ha detto che-”
“Facciamo così…vai a farti una doccia e a darti una ripulita. Io preparo qualcosa per colazione e parliamo, va bene?” provò Henry incoraggiante.
Regina sorrise, sentendosi vagamente meglio.
“Va bene. E…grazie papà.”
 
Più turbolento fu il risveglio di Tink.
Lei della serata ricordava veramente gran poco e risvegliarsi nuda nel suo letto non rese la cosa più facile.
Cercò di ricollegare gli avvenimenti della sera prima, indossò qualcosa e scese in soggiorno dove per poco non si mise a piangere di fronte al disastro.
Ci mise tutta la giornata a risistemare la casa e a renderla presentabile, con l’aiuto di Ariel, e Belle, che le raggiunse dopo pranzo.
Mandò diversi sms a Regina, ma non ottenne risposta.
 
 
Lunedì mattina, appena udì il suono della sveglia, Robert scattò in piedi con un sorriso ebete stampato sul volto.
Non vedeva l’ora di andare a scuola.
Perché scuola significava solo una cosa: lei.
Non vedeva l’ora di poter abbracciare e baciare Belle davanti a tutti, poterla tenere per mano nei corridoi, poter pranzare con lei.
Mentre si preparava allegramente la colazione, ripensò al giorno precedente.
Si erano visti un’oretta in caffetteria, per chiacchierare. Gli era parso di vivere in una nuvola di indefinita felicità per tutto il tempo in cui aveva potuto bearsi della sua presenza. Una cosa semplice come un thè coi biscotti si trasformava in qualcosa di meraviglioso: bastava che Belle fosse presente.
Dunque Robert Gold si considerava la persona più contenta dell’universo in quel momento.
E col cuore leggero si avviò verso la scuola, quasi saltellando.
 
Ma c’era qualcosa, o meglio, qualcuno, con cui Robert non aveva fatto i conti.
Quel qualcuno si presentò a, lui durante primo intervallo.
“Ciao!” disse Zelena, sorridendo radiosa.
Robert avvertì una sgradevole sensazione in fondo allo stomaco ma evitò di pensarci. Avrebbe solo peggiorato le cose.
La salutò cordialmente e iniziò a riporre libri nel suo armadietto, simulando una gran concentrazione.
“Allora…la festa? Com’era?” chiese lei, guardandolo con aspettativa.
“Oh…giusto! La festa! Ehm…niente di che. Una cosa abbastanza tranquilla tra noi del giornalino…” rispose Gold vago, evitando il suo sguardo.
“Davvero? C’è un sacco gente a scuola che dice che sia stata una festa incredibile!”
“Beh, ecco, alcuni si sono imbucati e hanno fatto un po’ di…baccano diciamo. Ma nulla di speciale.” Continuò lui a disagio.
“Spero di essere invitata alla prossima festa allora! Sennò…dovrò imbucarmi anche io!”
“Già. Ma non credo ce ne sarà un’altra. Tink ha detto che non replicherà.”
“Oh. Peccato!”
Non trovando più nulla da fare per fingersi impegnato, Robert si voltò infine verso di lei e chiuse l’anta del suo armadietto.
Pregò intensamente che Belle non li vedesse. Non voleva farla allarmare per nulla.
“Comunque, stavo pensando” ricominciò Zelena entusiasta “Che mi piacerebbe moltissimo andare alla fiera di Storybrooke. Ne parlano tutti ma siccome non conosco nessuno, pensavo che potessi…accompagnarmi, ecco.”
Gold aprì la bocca a vuoto.
La fiera della città. L’aveva completamente dimenticata.
Era uno dei pochi eventi di Storybrooke in grado di mobilitare l’intera cittadina. Ci andavano i commercianti, ci andavano i professori, ci andavano le suore, ci andavano i ragazzi…ci andava chiunque.
Sicuramente Belle ci sarebbe andata e lui l’avrebbe accompagnata.
Inoltre la situazione con Zelena iniziava ad essere fuori controllo. Evidentemente la ragazza aveva frainteso il loro rapporto, e forse era venuto il momento di riprendere le redini del loro rapporto.
“Ascolta Zelena…io…” cercò le parole adatte per non ferirla “Tu sei molto simpatica. Però io ho - ecco – una ragazza. Tu la conosci, giusto? Belle…Ed ecco, credo che andrò alla fiera con lei. E insomma, non credo che sarebbe contenta di sapere che esco con…con altre ragazze. Da solo intendo.”
Zelena parve sorpresa.
“Io intendevo come amici!”
“Certo, lo so, è solo che-“
E’ solo che non sono stupido e mi sono reso conto di come mi guardi.
E so anche cosa stava per succedere venerdì pomeriggio e non mi sembravi tanto amichevole.
“E’ solo che preferisci non far preoccupare Belle, ho capito.” Finì per lui Zelena, tornando a sorridere.
Sembrava che il sorriso fosse parte di lei, era una cosa che faceva di continuo. Se all’inizio poteva sembrare gradevole, ora risultava stucchevole e leggermente fastidioso.
Robert si strinse nelle spalle imbarazzato e annuì.
“Mi dispiace!”
“Non c’è problema! Io...Troverò qualcuno con cui andarci…magari ci vediamo là tutti insieme nel tardo pomeriggio. Prima ho allenamento con le cheerleader.”
“Sì…sì, certo, ci vedremo sicuramente!”
Rimasero un momento in silenzio poi Gold afferrò la borsa e si schiarì la voce.
“Allora vado, ho lezione di chimica e biologia.”
 
 
“Ehi!”
Robert sentì due braccia cingerli dolcemente il petto e avvertì il meraviglioso calore del corpo di Belle premuto contro il suo.
“Ciao! Ti stavo aspettando!”
Si girò e la fronteggiò, sogghignando leggermente, guardandola dall’alto al basso e scostandole una ciocca di capelli rossi dal viso.
“Cos’hai da ridere?” chiese Belle sospettosa.
“Nulla. Sto solo sorridendo perché sei davvero piccola.”
“Non è che tu sia particolarmente alto.”
“Sono comunque venti centimetri più alto di te!”
“Nulla di onorevole parlando di una ragazza bassa come me.”
La porta dell’aula di chimica si aprì e il professor Booth fece segno di entrare. Tink arrivò di corsa con un plico di fogli in mano e raggiunse la coppia.
“Quindi ora state insieme ufficialmente?” iniziò senza preavviso e parlando molto forte.
“Noi-“
“No, non rispondete, in effetti non mi interessa niente, basta che continuiate a scrivere articoli e non diventiate una di quelle coppie mielose che si baciano a risucchio e si palpeggiano davanti agli altri. Ora vi saluto, credo che raggiungerò Regina.”
E schizzò avanti nella fila.
“Cos’è appena successo?” chiese Robert dubbioso.
“Si dev’essere svegliata con la luna storta” asserì Belle saggiamente, entrando in classe e prendendo posto in prima fila, accanto al banco su cui si era seduta Tink.
Robert rimase in piedi guardando incerto il posto accanto a lei.
“Puoi sederti, sai.” Disse la ragazza.
“Vicino a te?”
“C’è qualche problema?”
Lui appoggiò la borsa a terra e si appollaiò sul banco.
“Credevo volessi tenere un po’ le distanze…in classe, intendo.”
Belle sorrise.
“Non nelle lezioni in cui tu sei più bravo di me.”
Robert strinse gli occhi e scosse la testa.
“Opportunista.”
“Adesso vi sedete anche vicini? Tra un po’ inizierete ad andare in bagno insieme, vero?” chiese Tink accanto a loro, guardandoli con scetticismo.
“Guarda che sei tu che sei sparita a cercare Regina!” esclamò Belle.
“Ma lei non c’è.” Ribattè l’altra.
Robert si guardò intorno.
Effettivamente…
“Avete idea di dove sia?”
“Perché lo chiedi sempre a noi? E perché hai sempre tanta urgenza di vederla, soprattutto.”
“Perché io- Niente, come non detto, eccola.”
Regina entrò in classe spedita, proprio mentre il professor Booth intimava i ragazzi al silenzio.
Si guardò intorno in cerca di un posto libero, mentre Tink agitava le braccia nella sua direzione.
Inizialmente la mora continuò ad osservare le varie bancate, poi, appurato che l’ultimo posto libero era proprio quello in prima fila, si avviò verso di esso e vi si lasciò cadere sopra.
“Alla buon’ora!” sussurrò Tink.
Regina le lanciò un’occhiata glaciale.
“Beh? E’ questo il modo di trattare un’amica!?”
L’altra non rispose, tenendo imperterrita lo sguardo fisso davanti a sé.
“Senti.” Riprese Tink “E’ da sabato mattina che mi eviti. Quindi ora parliamo.”
Regina continuò ad ignorarla, ma strinse le labbra contrariata.
Tink le agitò la mano davanti alla faccia nel tentativo di smuoverla.
“Ti ricordo che mi avevi promesso che mi avresti aiutata a sistemare quel disastro e invece mi hai smollata da sola come una stupida!” rincarò la dose, sperando infine di farla sentire in colpa.
“A me non va di parlarne ok? Non so cosa tu ti sia messa in testa ma-“
“Signorina Mills, se lei desidera chiacchierare con la sua compagna di banco, potete tranquillamente accomodarvi fuori dalla porta e proseguire il vostro salottino privato altrove. ” Le interruppe il professor Booth, squadrandole severamente.
Regina alzò gli occhi al cielo e cercò di concentrarsi sulla lezione.
“Dunque” riprese Booth “Avete due ore di tempo per creare un ambiente favorevole alla proliferazione dei batteri. Qua avete terriccio, piante, alcuni campioni e tutto ciò che può servirvi.  L’elenco di ciò che dovete trovare è alla lavagna… Ah, per motivarvi un po’ di più…ho pensato di allegare un premio finale, insieme chiaramente ad un buon voto, alla coppia che farà il lavoro migliore. Come sapete, ogni anno la scuola regala dei biglietti per la fiera di Storybrooke. I due migliori studenti se li aggiudicheranno. Buona fortuna!”
Tutti si alzarono simultaneamente dalle sedie e si precipitarono nel ripostiglio a cercare il necessario.
 
“Penso che quei biglietti potremmo anche comprarceli.” Mugugnò Robert arrabbiato, tenendo stretta una matita tra i denti e reggendo in mano due provette piene di un liquido verdastro e cercando di non rovesciare il tutto durante un travaso.
“Non esiste. Non se posso averli gratis.” Disse Belle concentrata, preparando il microscopio.
“Te ne compro venti di biglietti se è quello il problema.”
“Voglio vincere questa gara!”
Gold finì di travasare l’ultima goccia in un grande becker trasparente e storse il naso.
“Questo spirito competitivo ti ucciderà prima o poi.”
“Quasi dimenticavo: chi vincerà la sfida, non avrà compiti per la prossima lezione.” Esclamò improvvisamente Booth.
Robert aprì la bocca a vuoto e la richiuse.
“Dobbiamo vincere.” Disse poi scioccato.
“Come mai quest’improvvisa convinzione?”
“Hai sentito? Niente compiti per domani!”
“Sì.”
“Questo vuol dire pomeriggio libero.”
Belle inserì il vetrino nel microscopio, inclinando la testa e corrugando la fronte.
“Quindi?” chiese poi distrattamente, concentrata sul suo obbiettivo.
“Ho casa libera per tutto il pomeriggio.” Disse infine Robert con tono casuale, inserendo un po’ di terra nella miscela.
Belle si girò lentamente verso di lui.
“Tutto il pomeriggio?”
“Sì.”
“E potrei venire da te?”
“Sì.”
“E passare tutto il pomeriggio da te?”
“Esatto.”
"A guardare un film?"
"Certo. O a fare anche altre cose."
"Altre cose?"
"Sì."
Con una determinazione mai vista i due si rimisero al lavoro.
 
Nel banco accanto al loro invece si stava consumando un altro tipo di dramma.
“Reggi qua.” Disse Tink infilando una provetta in mano a Regina.
“Perché non ti arrangi? Sto lavorando ai campioni di terra!” esclamò l’altra contrariata.
“Se non collaboriamo non vinceremo mai!”
“Non voglio vincere quei biglietti, non mi interessa e non voglio andare alla fiera con te.”
Tink la guardò con rabbia.
“Io invece voglio proprio vincerli. Sto risparmiando per comprarmi un nuovo laptop e mi farebbero comodo venti dollari in più. Perciò se non ti dispiace, mettiti d’impegno e lavora come si deve. Non mi interessa se provi disagio a stare con me o se ti vergogni di quello che è successo tra noi ma-“
“Non è successo nulla tra noi!” esclamò furibonda Regina, rovesciando un po’ di terra sul banco.
“ATTENTA!” Strillò Tink.
“E’ solo terra!”
“Stai attenta lo stesso!”
“Calmati!”
“Calmati tu!”
Le due si fissarono in cagnesco e ripresero a lavorare.
“Comunque puoi fare finta di nulla, ma qualcosa è successo. Questo non significa che-“
“Non c’è nulla tra noi. Okay? Quello che è accaduto è stato un errore di una volta. Non si ripeterà.” Disse Regina con forza.
“Questo non significa che ci sia qualcosa tra noi.” Tink finì la frase precedente e afferrò uno dei becker guardando Regina con serietà.
Lei si voltò improvvisamente scioccata.
“Non…ti aspetti niente da me?” chiese poi esitante.
“Ma cosa credevi!? Che mi aspettassi di vederti apparire davanti alla mia porta coi bagagli e un anello di fidanzamento?” esclamò l’altra rabbiosa.
“Io pensavo che-“
“Pensavi male. E’ un’esperienza che può capitare tra due amiche.  Ma questo non significa che sia importante dal punto di vista sentimentale. E per inciso, a me piacciono i ragazzi. Perciò puoi smetterla di evitarmi e pensare che ti salterò addosso o cercherò di baciarti o…cose del genere.”
Riprese a sistemare le provette in fila e si voltò senza più degnare Regina di uno sguardo.
“Le amiche lo fanno?”  chiese la mora esitante.
“Ogni tanto, credo. L’ho visto in qualche serie tv. In Glee lo fanno ad esempio.”
“Tu e Belle…?”
Tink la guardò scandalizzata.
“NO!”
“Scusa. Chiedevo, sai com’è, visto che tra amiche si fa!” ribattè l’altra scrollando le spalle seccata.
“Belle è troppo casta e vergine per fare certe cose.”
Regina evitò accuratamente di dirle che secondo lei Belle era tutto fuorché casta e vergine, soprattutto dopo la festa del venerdì precedente.
Ed evitò di menzionare il fatto che probabilmente Belle aveva smesso di esserlo proprio nel letto dei genitori di Tink.
“Quindi…questa cosa…questo…” cercò di dire Regina torcendosi le mani “Questo tipo di esperienza…è normale?”
“Assolutamente.” Affermò Tink.
“Quindi…possiamo essere amiche anche dopo una cosa del genere?”
“Secondo me è un’esperienza che rafforzerà la nostra amicizia. Voglio dire, non abbiamo più segreti ormai. So anche che forma ha la tua vag-“
“Va bene, va bene. Allora smetterò di trattarti come un’appestata.”
“Grazie.”
Mescolarono le loro misture in silenzio per un po’.
“Allora, vogliamo vincere la gara? O vuoi farla vincere a quei due imbecilli?” sbottò Regina infine, indicando Robert e Belle che si erano messi a lavorare sodo.
Tink li scrutò attentamente.
“La vinciamo noi. Te lo dico io.”

 
Non avevano fatto i conti col fatto che sia Robert che Belle erano due studenti modello, e che Gold era decisamente un asso in tutto ciò che riguardava la chimica.
Era un vero mago delle pozioni.
Due ore dopo, Tink e Regina uscirono rabbiose e sudate dall’aula, mentre Belle osservava compiaciuta i biglietti appena vinti e ne consegnava uno a Robert, con la prospettiva di un pomeriggio decisamente piacevole davanti.
 
Pranzarono tutti insieme.
Non fu una cosa premeditata, accadde e basta. Robert si sedette vicino a Killian (che aveva fatto esplodere per sbaglio una cartuccia di inchiostro nel suo barattolo di batteri guadagnandosi una bella E in chimica), Belle vicina a Robert, Tink vicina a Belle, e Regina, dopo un momento di esitazione, prese posto accanto a Tink.
Poco dopo li raggiunse anche Ariel.
Non era quello che si poteva definire un gruppo di amici uniti, ma erano pur sempre un gruppo.
Nel primo pomeriggio si separarono.
Robert e Belle si avviarono mano nella mano, mentre Tink storceva il naso, verso casa Gold.
Regina invece aveva ancora i suoi recuperi pomeridiani da frequentare.
Killian venne trattenuto in punizione per aver picchiato un primino in palestra.
 
Prima di entrare in classe, Regina provò uno strano senso di piacevole tepore dalle parti dello stomaco. O del cuore.
Non ci fece particolarmente caso, in realtà era ancora un po’ nervosa per tutta la faccenda di Tink e di sua madre, e per quella ridicola sfida di chimica che avevano perso contro quei due stupidi…ma l’idea che Emma Swan la stesse aspettando dentro quell’aula, rese improvvisamente tutto più allegro.
Abbassò la maniglia e camminò felice verso la cattedra.
Emma era lì.
Era una cosa che piaceva a Regina. Con Emma non c’erano imprevisti spiacevoli, non capitava che improvvisamente sparisse, che non fosse presente, che non fosse disponibile. Emma c’era ed era…era sicurezza.
“Buongiorno professoressa Swan!” la salutò allegramente.
“Buongiorno Regina!” le disse di rimando l’altra, regalandole un grande sorriso.
“Ti vedo di buon umore. Hai risolto con tua madre?”
Regina lasciò la borsa vicino al banco e si sedette pensierosa.
“No, non direi. Non è a casa da un po’ di giorni.”
“Oh…come mai?”
 “Questioni di famiglia.” Disse semplicemente Regina.
Emma non indagò oltre.
Quando alle cinque in punto, suonò l’ultima campanella del pomeriggio, entrambe si stiracchiarono, sapendo che era arrivata l’ora di andare a casa.
“Direi che abbiamo finito.”
“Giovedì alla stessa ora?”
Emma sorrise.
“No. Direi che abbiamo finito.” Ripeté poi.
Regina si zittì di colpo.
“Intende dire che-“
“Sì!” confermò Emma.
Afferrò un foglio dalla cattedra e glielo consegnò.
“E’ tutto scritto qui. Hai recuperato il programma e frequentato ben più lezioni di quante non avresti dovuto. Ti sei comportata bene, pertanto io ti assegnerò dei crediti extra e la coach è ben decisa a riammetterti in squadra.”
Regina la fissò a bocca aperta.
“Non fare quella faccia, prima o poi sarebbe successo!” esclamò la professoressa ridendo.
“Io…sì. Non pensavo…non pensavo adesso.” Rispose Regina stordita.
Una serie di emozioni la travolsero.
Euforia, soddisfazione, senso di liberazione…cos’altro?
“Non sembri del tutto contenta.” Osservò Emma.
“Sì! No io- sì, sono solo molto stupita.”
Ma non era solo stupita.
Il senso di sicurezza che la avvolgeva in presenza di Emma era appena svanito.
Anche lei se ne stava andando.
“Sei sicura che vada tutto bene?”
Regina scrollò le spalle.
“Sì. Insomma, non me l’aspettavo. Non pensavo che sarei ritornata alla mia vecchia vita, ecco tutto.”
“Beh, non sei costretta. La punizione è finita ma penso che tu abbia imparato molto negli ultimi mesi perciò…”
Continuò a sorridere, poi improvvisamente le strinse leggermente il braccio, quasi con affetto.
“Mi mancherai un po’. ”
La mora si perse un momento in quei begli occhi verdi che aveva imparato a conoscere.
Sì, anche a lei sarebbe mancata.
Non voleva che Emma uscisse dalla sua vita.
“Posso continuare a frequentare il suo corso? Nonostante tutto…mi piace.”
Emma la guardò stupita.
“Credevo odiassi psicologia.”
“Si può cambiare idea.”
“L’hai fatto?”
“Credo di sì.”
“Allora sei la benvenuta!”
Entrambe afferrarono le loro cose e si diressero verso l’uscita dell’aula.
“Lei mi aveva promesso che avrei cambiato idea anche riguardo all’amore” disse improvvisamente Regina, quasi casualmente.
Emma si voltò verso di lei, camminando.
“Non è ancora detta l’ultima parola! Sei una malfidente.”
“Sono realista. Non ce la farà mai.”
“Lo vedremo.”
 Arrivate di fronte alle scale, Emma si voltò e la fronteggiò.
“Devo passare dal preside per firmare alcuni documenti.”
“Allora arrivederci.”
“Ci vediamo a lezione!” la salutò dandole una leggera pacca sul braccio e prese a salire le scale, mentre Regina la guardava allontanarsi con uno strano, triste, senso di abbandono nel cuore.
“Anche lei mi mancherà!” esclamò all’improvviso.
Emma si voltò e sorrise.
 
 
Robert fissava il soffitto di camera sua, mentre accarezzava dolcemente i capelli di Belle, appoggiata sul suo petto nudo.
“Dovremmo comunque farei i compiti di storia.” Disse poi la ragazza, tenendo gli occhi socchiusi e godendosi il contatto dei loro corpi così stretti.
“Li facciamo. Tra un pochino.” Mormorò Robert, ancora in estasi.
“Questa sera mangiamo qualcosa insieme?”  chiese Belle.
Lui ci pensò un attimo.
“Devo fare una cosa in realtà.”
“Cioè?”
“Dovrei…scrivere una lettera per il college.”
Belle non disse nulla, sentendo qualcosa di sgradevole agitarsi nello stomaco.
Quanto avrebbe potuto condividere quell’esperienza con lui…
“Aspetta” disse immediatamente Robert abbracciandola, mal interpretando il suo silenzio “Se vuoi posso comunque passare da te dopo cena, verso le nove. La lettera in realtà è già quasi pronta, devo solo mandarla.”
Belle sorrise leggermente, lasciandogli un rapido bacio appena sotto il collo.
“Non ti preoccupare! Ero silenziosa perché stavo pensando.”
“Passo comunque volentieri da te.” Replicò Gold, facendola improvvisamente spostare e issandosi sopra di lei piuttosto agilmente, puntellandosi sui gomiti.
“Sono confusa da questo improvviso cambio di posizioni.” Disse Belle sogghignando leggermente.
“A cosa stavi pensando?” le chiese Robert, guardandola negli occhi. Aveva paura che ci fosse qualcosa di irrisolto. Ormai aveva imparato che quando Belle rimaneva silenziosa, stava pensando a qualcosa che la rendeva triste o arrabbiata.
“Ai compiti che dovremmo fare. E che non si faranno da soli se tu continui a rimanere qui sopra di me.”
“Li facciamo…dopo?” propose Robert sorridendo.
“E ora cosa facciamo?”
“Ora parliamo.”
“Ho un’idea migliore.” Disse semplicemente Belle, baciandolo e cingendogli la schiena, intrecciando le gambe con le sue.
Robert pensò che in fondo avrebbero potuto parlare anche più tardi. Magari mentre facevano i compiti.
 
 
Il resto della settimana passò senza gravi incidenti.
Zelena non si era più fatta viva, Cora aveva prolungato la sua gita a Boston e Regina si godeva la sua libertà. La sera cenava chiacchierando felice con suo padre, il pomeriggio studiava con Tink e qualche volta anche Ariel, Belle e Gold.
In qualche curioso, folle ed incredibile modo, stavano diventando amici.
Belle continuava a trattarla con freddezza e Regina lo sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto chiederle sinceramente scusa per tutto quello che le aveva fatto.
Ma non era ancora quello il momento. Non si sentiva pronta.
Inoltre era andata a parlare con la Coach delle cheerleader e avrebbe avuto il primo allenamento dopo due mesi di pausa proprio quel sabato.
Killian non aveva più parlato a Tink dalla sera della festa.
I due si evitavano completamente.
I giorni passarono in una discreta serenità.
 
 
Emma Swan ci aveva pensato parecchio.
Teneva quei due biglietti per la Fiera di Storybrooke nel cassetto da un bel po’ di giorni, la scuola li aveva distribuiti gratuitamente a tutti gli insegnanti.
Alcuni avevano deciso di regalarli agli studenti più meritevoli, altri se li erano tenuti…ma Emma era molto indecisa.
Poteva andarci lei, con sua madre.
Mary Swan si era dichiarata entusiasta all’idea. Anche David Swan era entusiasta. Lui le avrebbe accompagnate e si sarebbe pagato il suo di biglietto e loro si sarebbero goduti una meravigliosa giornata in famiglia.
Ma c’era qualcun altro con cui Emma voleva andare alla fiera, anche se faceva fatica a connettere le idee.
Regina le stava davvero simpatica. Era un po’ scontrosa a volte e decisamente perfida quando ci si metteva, l’aveva sentita fare delle battute atroci su alcuni compagni più sfortunati, ma aveva un suo senso dell’umorismo alquanto pungente che la faceva ridere.
E più la conosceva e più le sarebbe piaciuto conoscerla.
Emma faceva fatica a spiegarsi questa specie di attaccamento: lo collegava al fatto che comunque aveva visto Regina per ciò che realmente era, una ragazza triste e sola, spaventata da sua madre, ossessionata dall’apparire e dalla superficialità degli stereotipi imposti.
La verità è che Emma si rivedeva in lei.
Non che avessero un carattere simile o ambizioni simili, ma in qualche modo erano…spiriti affini.
Emma si sentiva persa da quando viveva a Storybrooke.
Era una professoressa ma aveva solo ventotto anni, dieci appena in più di Regina. Era giovane e i suoi amici erano rimasti a Tallahassee, lì non aveva nessuno, a parte i suoi genitori. I suoi genitori che continuavano a chiederle se ci fosse qualcuno nella sua vita: lei avrebbe voluto qualcuno nella sua vita ma era una persona riservata e faceva fatica a trovare…quel qualcuno.
Le continue domande dei genitori la facevano solo sentire inadeguata e persa.
Ed era considerevolmente stufa di vivere con loro.
Se ne rese conto un venerdì mattina, il venerdì prima della fiera.
“Allora io e tuo padre abbiamo pensato che domani potremmo pranzare insieme sul molo e poi andare a vedere le bancarelle tutti insieme, come ai vecchi tempi.”
Emma, che stava facendo colazione, alzò lo sguardo dalla sua tazza di caffè e inarcò le sopracciglia.
“Mamma, non so ancora se ci vado.”
“Dai Emma, ci andiamo tutti insieme. Mi mancano i tempi in cui facevamo cose in famiglia.”
Emma si mosse a disagio.
“E’ che io ci…ci vorrei andare con qualcun’altro.”
Persino David Swan distolse lo sguardo dal giornale che stava leggendo e fissò sua figlia.
“Emma…stai uscendo con qualcuno?” esclamò felice.
“No. No, no, veramente!” esclamò precipitosamente Emma. “Volevo andarci con un’amica.”
Mary parve delusa, ma si riprese immediatamente.
“Andiamo tutti insieme! Puoi presentarcela…se non sbaglio è la tua prima amica qui a Storybrooke, giusto?”
“Beh non proprio ma insomma, ecco-“
“Come si chiama? Dove lavora?” incalzò David.
Emma deglutì. Non poteva certo dire che la sua “amica” era una sua studentessa.
“Regina. Regina Mills.” Rispose semplicemente.
“Bellissimo nome!”
“Dov’è che lavora?”
“A…a scuola.”
“Aaah, è una tua collega!”
“Circa.”
Mary inarcò le sopracciglia.
“Cosa intendi con circa?”
“Intendo che non è una professoressa, se è quello che mi stai chiedendo, ma l’ho incontrata a scuola ed è…nell’ambiente.”
“Oh…cosa fa?”
Emma non era mai stata brava a mentire.
Era un asso se si trattava di scoprire se qualcun altro mentiva, lo considerava il suo superpotere, ma mentire…no, non ne era capace.
“Lavora…con gli altri studenti.”
“Psicologa!” disse subito David, riprendendo a leggere il giornale.
“Davvero? Ha fatto i tuoi stessi studi? Dove?” riprese Mary.
Emma bevve il suo caffè senza rispondere.
“Emma?” insistette sua madre.
“Mamma!?”
“Allora?”
“E’ una studentessa.” Borbottò infine Emma, fissando il tavolo di legno laccato e grattando via una macchia con l’unghia, evitando lo sguardo dei genitori.
“Una…studentessa?”
“Sì. Dell’ultimo anno.” Aggiunse, come se il fatto che fosse all’ultimo anno rendesse meno umiliante e strana la situazione.
Mary la guardò inquieta.
“Ascolta, tesoro, so che ti senti sola, ma non credo che sia il caso. Insomma, diventare amica di una studentessa…sono solo ragazzine. Inoltre non mi pare appropriato...voglio dire, io sono contenta se ti trovi bene con lei, sai che non ho pregiudizi…ma le altre persone potrebbero pensare male.”
“Ha diciotto anni, non tredici. Ho dieci anni in più di lei, mi ricordo perfettamente cosa significhi avere quell’età! Non mi importa cosa dicono gli altri.” esclamò Emma punta sul vivo.
“Ma certo, ma certo! Però ecco, forse dovresti cercare qualcuno di più consono e-“
“E chi lo decide chi è più consono? Voi!?” disse adirata.
“Emma!” esclamò David.
“No! Sono stufa. Sono sola da mesi qui, sono un essere umano anche  io e…sono giovane! I biglietti sono miei e li userò con chi voglio!” si alzò sbattendo la sedia e si allontanò velocemente, lasciando i genitori costernati.
Si diresse spedita verso la scuola, decisa come non mai a fare la sua proposta a Regina.
Passando davanti ad un edificio in centro, le cadde l’occhio su un cartello.
“AFFITTASI APPARTAMENTO MONOLOCALE, ARREDATO. PER INFORMAZIONI, CONTATTARE GOLD”
Emma strinse gli occhi.
Gold...sicuramente era il padre di Robert. Ancora meglio, magari le avrebbe fatto lo sconto.
Forse era davvero venuto il momento di un’azione decisiva.

Regina stava sistemando le ultime cose nell’armadietto quando vide improvvisamente Emma Swan, apparire in fondo al corridoio.
La salutò con la mano ma curiosamente la professoressa le fece segno di avvicinarsi e di seguirla dentro un’aula.
Perplessa ma incuriosita, Regina fece come le era stato detto.
“Chiudi la porta.” Disse Emma, sedendosi sulla cattedra.
Regina obbedì, ansiosa. Aveva fatto qualcosa che non andava…?
“Questa cosa potrà sembrarti strana e…sei libera di dire di no. La mia è solo una proposta. Ho due biglietti per la fiera che tutti qui a Storybrooke dicono essere meravigliosa e assolutamente imperdibile…ma non so con chi andarci. Perciò pensavo che siccome il professor Booth mi ha detto che i suoi biglietti li vinti Gold e la French, allora tu…potevi avere questo. Il mio. E magari potevamo vederci là.”
Terminò la frase e deglutì attendendo una risposta.
Regina aprì la bocca senza dire nulla.
“Sì!” esclamò poi all’improvviso.
Emma esitò.
“Sì?”
“Sì!” ripetè Regina. “Sì, ci vengo molto volentieri!” disse convinta.
Poi si sciolse in un grande sorriso che venne ricambiato da uno ancora più grande da parte di Emma.
“Bene! Direi che possiamo vederci domani pomeriggio al…al molo, okay?”
“Al molo?” disse confusa, l’altra.
“Non so dove sia il posto ma mi hanno detto che è lì vicino.”
“Oh! E’ vero! Non c’è problema, allora al molo.” ripetè Regina.
“Ottimo! A che ora?”
“Alle tre?”
“Perfetto! A domani allora.”
Stava per andarsene quando Regina si voltò e la guardò con espressione di sfida.
“Deve ancora farmi cambiare idea sull’amore.”
Emma annuì.
“Troveremo un modo.”
 
Arrivata a casa, Regina si maledisse mentalmente.
L’indomani avrebbe ripreso gli allenamenti per rientrare in squadra.
Come aveva potuto dimenticarli.
Erano alle dieci di mattina, ma sapeva bene che tendevano a protrarsi per tutta la giornata.
Sperò comunque di aver finito entro le tre.
Non chiamò Emma per disdire la loro uscita: era ben determinata a farcela.



Il giorno dopo:
Le due in punto.

Regina guardò nervosa l’orologio.
Sperò che entro mezz’ora avessero finito.
 
Alle due e venti chiese il permesso per andare in bagno.
Si guardò bene allo specchio, consapevole che si stava comportando da idiota.
La Coach Tamara la richiamò in palestra e riprese ad allenarsi.
 
Due e trenta:
“Perché continui a fissare l’orologio?” chiese Zelena stupita.
“Non sono affari tuoi” ringhiò Regina di rimando.
 
Due e quaranta:
Sarebbe arrivata un po’ in ritardo.
Bastava inviare un sms.
“Ritardo dieci minuti.”
“AVANTI RAGAZZE! DAI CON QUEI PIEGAMENTI!”
 
Due e cinquanta:
Non sarebbe arrivata un po’ in ritardo.
Sarebbe arrivata con un mostruoso ritardo.
Sudata, arrabbiata, con la divisa, ma sarebbe arrivata.
Regina continuava a ripeterselo.
 
Tre:
Lo scoccare dell’ora fu come una martellata nello stomaco.
Emma era al molo in quel momento, o stava per arrivare.
La stava aspettnado.
“Regina! Non sei per niente presente!” continuava ad urlare la coach.
“Mi scusi.” Bofonchiò di rimando lei.
 
Tre e cinque:
“REGINA SMETTILA DI GUARDARE L’OROLOGIO!” Ringhiò Tamara.
Regina alzò lo sguardo attonita mentre tutte le compagne la fissavano.
Doveva salire in cima alla piramide e invece era ancora a terra.
Zelena scuoteva la testa.
 
Tre e sette:
“Coach, io ho un impegno!” disse infine disperata, Regina.
“Quando?”
“Ora…?”
“Rimandalo. Sapevi di questi allenamenti da martedì. Sei stata due mesi senza muoverti, quindi vedi di fare poche storie e metterti sotto.”
La ragazza rimase a bocca aperta.
 
Tre e dieci:
Regina non riusciva a non pensare ad Emma. Emma che in quel momento era sicuramente seduta su una panchina, cercandola con lo sguardo e non trovandola...
“Coach, la prego. Lunedì ci metterò il doppio dell’impegno.”
“Lascia che ti dica una cosa. Qui non ci sono compromessi. O ci sei, o sei fuori.”
 
Tre e undici:
Regina guardò un’ultima volta l’orologio.
La differenza tra scegliere ciò che è giusto e ciò che è facile.
“Io…io non posso farlo.” Esclamò semplicemente.
 
Dieci minuti dopo usciva dagli spogliatoi di corsa, coi capelli completamente fradici, tracce di sapone ancora un po' ovunque, i vestiti puliti addosso e la divisa nello zaino.
Sarebbe andata a quella dannata fiera, anche se le sarebbe costato caro.
Aveva chiuso con la squadra delle cheerleader.
 
Quando arrivò al molo, alle tre e quarantaquattro minuti, constatò che non c’era nessuno ad aspettarla.
Si fermò con una fitta tremenda alla pancia. Aveva guidato ai limiti dell’illegale e aveva corso fino a non avere più fiato.
Ma non c’era nessuno ad aspettarla.
“Merda.” Mormorò, accasciandosi su una panchina.
Davanti a lei il mare si stendeva sereno e imperturbabile e il sole picchiava caldo sulle travi della banchina. Nell'aria sentiva chiaramente l'odore dello zucchero filato e delle frittelle.
Non le procurò alcuna gioia.
Emma se n’era andata.
Doveva aspettarselo.
Quarantaquattro minuti di ritardo…
Le aveva mandato un messaggio ma non era bastato.
E aveva perso l’unica vera amica che avesse mai trovato.
Emma l’aveva aspettata e lei non era arrivata e l’idea la faceva stare così male che sentì la gola chiudersi.
“Ma alla buon’ora!” esclamò una voce seccata.
Regina si girò di scatto e rimase a bocca aperta.
“Dove diavolo eri! Mi sono preoccupata, pensavo ti fosse esplosa la macchina o qualcosa del genere!” Disse Emma camminando spedita verso di lei. Indossava un leggero vestito a fantasia, e sopra un cardigan.
E’ la prima volta che la vedo senza i jeans pensò distrattamente Regina.
Si alzò dalla panchina, incredula e felice come non lo era mai stata.
“Ma dov’era lei!? Sono arrivata e non c'era nessuno...Credevo che se ne fosse andata!”
“No. Ho ricevuto il tuo messaggio e ho immaginato che ci avresti messo un po’.”
“Ma poteva dirlo che non se n’era andata, mandarmi anche lei un messaggio. Io…ci sono rimasta male! Mi sono sentita in colpa.”
“E hai fatto bene a sentirti in colpa! Neanche io ero così ritardataria quando avevo la tua età, ed è tutto dire.” borbottò Emma aprendo la borsa e frugandoci dentro.
Regina continuava a guardarla costernata.
Era lì.
L’aveva aspettata.
“Ecco.” Disse poi Emma, tirando fuori un fagotto incartato “Questo è per te.” E glielo pose.
Ci fu un momento di silenzio nel quale Regina fissò il pacchettino assolutamente senza dire niente.
Non riusciva a formulare un pensiero.
“Cos’è?” chiese poi titubante.
“Aprilo ” disse Emma indicandolo. “Non è nulla di che, ma credo ti piacerà.”
E Regina lo aprì.
Scoppiò in una risata.
“Mele caramellate!”
Emma sorrise.
“Sono molto buone, ne ho presa una confezione anche per me, c’è il banchetto alla fine del molo.”
Regina la guardò felice.
“E’ il mio frutto preferito.”
“Lo so. Ti ho vista, le mangi spesso a merenda. Hai fame?”
“Da morire!” esclamò la mora, che dopo gli allenamenti e l’ansia e la corsa finale era letteralmente a pezzi.
Addentò il frutto e annuì.
“Quasi meglio di quelle del mio giardino.” Decretò.
Emma inarcò le sopracciglia.
“Sono così buone le mele del tuo giardino?”
“Un giorno gliele farò provare.”
“Ci conto.” Disse la bionda decisa.
Poi, per la seconda volta in pochi giorni, ma questa volta senza l’influsso dell’alcool, Regina la strinse in un abbraccio.
“Grazie.” Mormorò.
“Ti avevo detto che ti avrei fatto cambiare idea!” disse Emma, picchiettandole le spalle con la mano.
Regina rimase un momento immobile, cercando di capire cosa effettivamente implicasse quella frase.
Istintivamente si strinse di più a lei.
“Sull’amore?” chiese infine perplessa.
“In questo caso sull’amicizia.” Rispose Emma.
Regina riprese a respirare normalmente e si staccò, sorridendo.
“Allora andiamo?”
“Andiamo. Spero che questa fiera sia all’altezza della sua reputazione.”
 
 
Robert si stiracchiò indolenzito, e si adagiò meglio sulla panchina.
Belle, la testa sulle sue gambe e il resto del corpo spaparanzato sul legno, protestò lievemente: doveva avvisare prima di muoversi o rischiava di farla scivolare. Dopodiché riprese a leggere il suo nuovo acquisto. Aveva trovato una vecchia edizione del Maestro e Margherita che non vedeva l'ora di scartare.
“Non mi sono mai piaciuti gli autori russi. E' interessante?”
“Devo dire, sì.”
Davanti a loro la gente passeggiava con tranquillità, godendosi la primavera e l'atmosfera della fiera.
Il banchetto delle candele delle suore, poco lontano da lì, emanava un buon profumo di fiori e spezie.
Il sole era caldo ma non torrido e soffiava un leggero venticello.
Nel complesso, non avrebbero potuto chiedere una giornata migliore.
“Per la cronaca, è da circa dieci minuti che continua a vibrarti il cellulare.” Riprese Belle, la testa appoggiata sulle gambe di Robert.
“Lo so. Sto cercando di ignorarlo e godermi il pomeriggio.”
“Mi vibra la testa però.”
Lui sorrise lievemente e sfilò l’incriminato oggetto dalla tasca.
“Dunque?”
“E’ mia madre.”
“Tutto bene?”
“Sì io- lei vuole sapere cosa ho risposto a Yale.”
Belle spalancò gli occhi e si tirò su immediatamente.
“Ehi!” protestò Robert. “Torna qui!”
“Ti hanno scritto da Yale!?”
“Sì .”
“Quando?”
“Questa mattina.”
“E cosa ti hanno scritto!?”
“Che hanno letto la mia presentazione e…che sono interessati a me.” Disse semplicemente Gold, osservandosi le mani.
Belle aprì la bocca a vuoto e poi sorrise calorosamente.
“Ma è fantastico!”
“Immagino di sì!”
Lo osservò un momento.
“Non sembri felice.”
“Lo sono…beh, non ho ancora risposto ma lo farò. Mio padre pensava ad Harvard ma Yale è altrettanto buona ecco, perciò…immagino che andrò lì. Devo ancora fare il colloquio però, da quello dipende la loro decisione finale.”
Belle continuò a sorridere e gli afferrò la mano.
“C’è qualcosa che non va?” chiese poi, vedendo che non sembrava particolarmente entusiasta.
“No.” Mentì rapidamente Robert.
Un po’ troppo rapidamente.
“Lo sai che puoi-“
“Sì lo so.”
Non aggiunse più nulla e le fece segno di appoggiarsi nuovamente a lui. Gli piaceva averla vicina e poterla stringere o coccolare. Era il modo migliore che conosceva per farla sentire amata senza incespicarsi in discorsi al di fuori della sua portata.
“Tu cosa pensi di fare?” chiese Robert dopo qualche minuto di silenzio, guardando lontano, verso il molo.
“In che senso?”
“Nel senso…dopo il liceo.”
Belle puntò su di lui i suoi occhi azzurro cielo e si adagiò meglio sulle sue gambe.
“E’ questo il problema?”
“Cosa intendi?”
“Che…che non sai cosa farò io?”
“Sei proprio una piccola egocentrica se pensi di essere tu il problema!” la rimbeccò lui, gli angoli della bocca leggermente ricurvi.
“Conosco il mio valore!” asserì Belle pavoneggiandosi.
Si concessero una mezza risata.
“Allora, cosa farai?”
Belle girò la testa inquieta, osservando il passeggio. Dopodiché si rialzò nuovamente e si lasciò cadere contro lo schienale.
“Non lo so.” Mormorò poi.
“In che senso?”
“Nel senso che…non credo di avere i fondi necessari per potermi permettere di pagare la retta dell’università.” Ammise tristemente, sempre mantenendo lo sguardo ben lontano.
“Lo sai che lo Stato offre le borse di studio…”
“Ne offre poche e io sono una sola.”
“Potresti tentare. Ci sono un sacco di università buone che pagherebbero oro per avere qualcuno come te.”
Belle sorrise.
“Tipo? Che università?”
“Tipo…non lo so, la New Haven University.”
“E’…vicina a Yale?”
“Sì. E’ nella stessa città.”
Vi erano molte cose implicite in quella frase ed entrambi ne erano ben consapevoli.
Belle cercava di non pensare al fatto che entro due, o al massimo tre mesi, avrebbe salutato Robert. Che le loro strade si sarebbero divise, che lei sarebbe rimasta a Storybrooke a fare a fioraia e lui sarebbe diventato un avvocato, o un giornalista, un chimico o qualsiasi cosa volesse diventare.
Cercava di non pensare al fatto che probabilmente i loro futuri erano destinati a non incontrarsi più.
Belle voleva godersi il presente, le emozioni che provava in quel momento, senza preoccuparsi di cosa sarebbe accaduto.
Ma in quello che Robert le aveva appena detto c’era più che un semplice incoraggiamento: c’era una proposta di provare a condividere il loro futuro.
Di lasciare le loro strade libere di proseguire affiancate.
“Io- non volevo dire che devi pensare a New Heaven perché ci sono io.” Disse rapidamente Robert intuendo dove stava andando a parare il discorso. Si interruppe e poi riprese “Insomma, se vuoi andare in California o…o a Vancouver a me va bene. Cioè, non molto però…è una tua scelta. Solo che non vorrei vederti bloccata qui perché credo che tu abbia delle grandi possibilità. E non lo dico perché stiamo insieme ma perché sei…studiosa, ti impegni e sei intelligente; in genere queste cose si trovano raramente ed è ancora più raro trovarle tutte insieme nella stessa persona, non credi?”
Finalmente Belle si girò verso di lui. Senza dire nulla cercò istintivamente le sue labbra.
“New Haven è vicina a New York?” chiese poi, staccandosi lentamente.
“Neanche due ore in macchina.”
“Potrei davvero pensarci allora. Sembra una grande opportunità. Mi piacerebbe studiare vicino a New York.” Concluse lei.
“Davvero?” esclamò Robert felice.
“Sì. Insomma, io vorrei davvero andare all’università, ma…ho persino paura di parlarne a mio padre. Non voglio vederlo demoralizzato…e non voglio che sia costretto a dirmi di no…”
“Non dovrà farlo.” Disse precipitosamente Gold “Lunedì andiamo in segreteria a chiedere per le borse di studio. E mandiamo subito una lettera all’università con il tuo curriculum.”
A Belle non sfuggì il fatto che Robert avesse parlato al plurale.
Contenta come non lo era mai stata e piena di ottimismo, gli scoccò un ultimo bacio prima di accoccolarsi nuovamente sopra di lui.
 
 

 




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Song: Coming of Age - Foster the people

Salve dearies! 
E' con estrema fatica che finalmente riesco a pubblicare questo capitolone. Vi chiedo scusa per l'enormità ma c'erano un po' di cose da risolvere e non mi piaceva l'idea di spezzettare la cosa in due capitoli :)
Qualche nota:
Il padre di Cora...ho pensato di voler dare un'umanità a questo personaggio. Io personalmente l'ho sempre amata durante i vari episodi (un po' meno quando ha cercato di uccidere Rumple - DETTAGLI -), e avrei tanto voluto vedere un suo riscatto con Regina. Quindi penso di esplorare il suo personaggio prossimamente e il modo migliore mi pareva quello di darle una famiglia e...un passato. Vedremo come :3
La New Haven University esiste davvero ed è appunto, a New Haven, la cittadina dove si trova anche Yale (che dista esattamente un'ora e cinquantun minuti da New York in macchina). Devo ringraziare Glee per queste nozioni geografiche!
Ultima cosa, piccolissimo appunto, il Maestro e Margherita è un romanzo di Michail Bulgakov. L'ho appena finito e mi sento di consigliarlo a chiunque. Io in genere non amo gli scrittori russi, molto bravi ma un po' troppo micragnosi, ma questo è uno spettacolo di libro. Se vi manca, leggetelo!

PASSIAMO ALLE COSE FRIVOLE!
Finalmente ho finito la sessione e ho trovato il tempo di aggiornare Y A Y!
E che dire? I Rumbelle sono leggermente messi in disparte ma le SwanQueen avevano bisogno di un po' di spazio per loro. Ovviamente la fiera non è finita qui...ne sapremo qualcosa di più nel prossimo capitolo.
E niente eccome qua.
Ringrazio come sempre chi ha recensito e inserito la storia nelle varie categorie.
Ve amo.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolone, se ci sono parti OOC, se non va bene, se è troppo lungo o se ci sono troppi pochi dettagli del Rumbelle Sex (nda: sì, ci stanno dando dentro come coniglietti e sì, mi piacerebbe scrivere smut ma NON ACCADRA' MAI).
Un bacio a tutti quanti!
:)
Seasonsoflove

PS: In aggiornamento anche le altre FF al più presto :D 
   
 
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