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Autore: PeNnImaN_Mercury92    17/09/2014    0 recensioni
Fu solo quando John e io ci trasferimmo a Londra, nel 1970, che lui entrò a far parte della band che gli avrebbe cambiato la sua vita e in qualche modo stravolse anche me, perché mi fece innamorare di una persona che non avrei mai concepito essere il mio tipo di ragazzo ideale.
E' infatti una storia d'amore che non mi sarei mai aspettata, e ora che lo racconto a te posso dimostrartelo...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Nuovo personaggio, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dormivo beatamente, quando una voce a dir poco squillante mi svegliò.—Sveglia, piccioncini! Oggi è il grande giorno. Sono le cinque e mezza, rischiamo di perdere il volo.—disse mia madre.
Perdere il volo? Ma se saremmo dovuti partire alle nove? Sì, era un po' lungo il viaggio da Zara all'aeroporto.
Io mi trovavo ancora tra le braccia di John, che la sua prima azione del giorno fu quella di tirarmi un bel calcio sul ginocchio.
—Ahio!—urlai, facendolo sobbalzare all'in piedi.
—Oh, scusa! Ti ho fatto male?—disse lui, strizzando le palpebre. Io mi tastai il ginocchio dolorante, quello destro, gemendo.
—Bel risveglio, Johnny. Davvero.—lui fece un sorriso beffardo.
—Prenditela con mamma.— lanciò un'occhiata a quest'ultima, che sistemava tutto nelle valigie, con pura strafottenza.
Io mi alzai malavoglia dal letto, presi i vestiti che avevo preparato il giorno prima, ovvero una maglietta nera con fantasie a fiori, e un jeans semplice a sigaretta, e andai in bagno per prepararmi.
Non ci credevo. Stavo finalmente andando a Londra!
Avevamo visitato Londra qualche volta, ma da sempre avevo desiderato viverci.
Non mi importava lasciare quelle poche amiche che avevo, la scuola-senza contare che a Londra è sicuramente migliore- e le mie abitudini; sapevo che sarebbe accaduto qualcosa, me lo sentivo.
Uscii dal bagno per farci entrare John, ancora intento a sonnecchiare nel letto.
Mi buttai sopra di lui per svegliarlo.
—Sveglia! Hai già dormito abbastanza!—gli gridai nell'orecchio.
—Ma tu i fatti tuoi non li fai mai?—gli mostrai un sorriso misto tra malizia e divertimento.
—Mai, caro. Muovi il culo e vai in bagno.—lui obbedì.
Io vagavo per la nostra stanza in cerca di qualcosa che avevamo dimenticato.
Come al solito, il mio essere sciatta mi fece trovare sotto al letto qualche indumento quali calzini e un reggiseno.
John, che era il solito bigotto, non aveva lasciato traccia di lui.
Sbirciai nell'altra camera: mamma e Sid stavano ancora sistemando alcune cose in valigia, cosa che avevamo fatto noi la mattina prima.
Sid mi vide.—Ciao, Rosalie. Vieni, entra!—obbedii ed entrai.
—Buongiorno. Dormito bene?—chiesi io.
—Sì. Pronta per il viaggio?Sid non era proprio perfetto per fare il padre, ma almeno è abbastanza ricco e da quando mamma andò a vivere con lui, non ci fece mancare niente.
—Prontissima! Non vedo l'ora di visitare Londra! E di rivedere i miei figlioli.—entrambi risero, capendo che mi riferivo alla batteria.
—Tieni a quella insulsa batteria più della tua vita.—commentò mamma. Di risposta le lanciai un'occhiataccia.
—Insulsa? Tu non hai capito nulla della mia vita!Ricordai quando ricevetti la batteria per il mio diciassettesimo compleanno.
All'inizio non era completa, c'era solo un charleston, un rullante, una grancassa, un piatto e due tom.
Poi, con i diversi risparmi che avevo tenuto da parte, cominciai ad ampliarla.
—Sarà.—Sid rideva sotto i baffi.—E tuo fratello?
—Si sta prepar...—in quel momento entrò John, vestito con una camicia a fiori rosa e un pantalone bianco.
—Ciao, Sid!—disse lui, dopo uno sbadiglio.
—Ciao, John. Sei pronto?—rispose Sid.
John si strinse nelle spalle e ritornò nella nostra stanza.
Sid sospirò.—Quel ragazzo davvero non lo capisco.—disse, piegando una camicia. Guardai a terra.
—Vedrai che cambierà idea.—lo consolai io.
—Lo spero.—risposero all'unisono Sid e mamma.
Raggiunsi John intento a risistemare la sua personale valigia.
Guardai "La Chiave del Piacere" sul tavolino e lo presi, sventolandolo.—E questo?—John si girò verso di me.
—Uh, dammelo.—si alzò e si avvicinò a me.
—No, lo metto in borsa. Ti ho detto che intendo leggerlo durante il volo, no?—risposi, di rimando.
—Va bene, ma se non ti bastano i sacchetti che trovi di fronte il tuo sedile, non venirli a chiedere a me.—scherzò lui.
—Oh, non credo che mi serviranno.—gli diedi un pizzicotto sull'avambraccio.
—Ehi!
—Così siamo pari. Non dimenticarti che mi duole ancora il ginocchio!

Arrivammo in aeroporto alle sette e ci imbarcammo alle nove meno un quarto, poco prima dell'orario previsto.
Io mi sedetti al centro, con mamma alla mia sinistra, attaccata al finestrino, e John alla mia destra.
Dopo un po', l'aereo finalmente decollò.
Dopo qualche minuto dalla partenza, decisi di chiacchierare un po' con John.
—Allora? Pronto per rivestire i panni di Elvis?—mi girai dalla sua parte.
A lui, come me, piaceva molto Stevie Wonder, si può capire quindi che ha un' educazione musicale che va sul soul.
Io amavo alla follia Billie Holiday, anche se il mio genere era il Rock, non tanto il jazz, e infatti mi piaceva molto Elvis e i Beatles.
—Oh, non vedo l'ora! Speriamo che questo cazzo di trasloco non mi abbia rotto neanche un vinile, o mando in rovina la ditta!—cercò di parlare il più piano possibile, ma io comunque lo zittii.—Stavo scherzando, eh?
—No guarda, non l'avevo capito.—risposi di rimando.
—Non mando in rovina la ditta, la incendio!—non trattenni una piccola risata, ma zittii nuovamente John, dopo aver notato che mamma sonnecchiava beatamente.
—Da quanto ho capito, la ditta ha già lasciato tutti gli scatoloni in casa.—Sid era andato avanti e indietro da Dublino a Londra per l'acquisto della casa e si era preoccupato anche dei mobili.
—Speriamo solo che Sid non mi abbia comprato un letto di un metro.—mi sussurrò nell'orecchio.
—E speriamo che a me non abbia verniciato le pareti di rosa.—continuammo a chiacchierare dei disastri che avrebbe potuto fare Sid, ridendo entrambi, a tal punto che sentii un leggero mal di stomaco.—Oddio, Johnny! Basta, ti prego!—lo supplicai, massaggiandomi la pancia.
—Va bene! Quanto tempo manca ancora?—chiese lui.
—Ma se siamo partiti solo un quarto d'ora fa!—alzai un tantino la voce, perché mia mamma aprì un occhio e lo e lo richiuse.
—Sarà. Io mi riposo un po'.—annunciò John.
—Va bene. Io credo che leggerò un po'.—lui mi si accucciò accanto, poggiando la testa sulla mia spalla.
—Cerca di non vomitarmi addosso, però.—disse, prima di darmi un pizzicotto sulla guancia.
Cominciai a leggere "La Chiave del Piacere".
Il libro adottava un linguaggio abbastanza complesso, un inglese abbastanza classico, ma il ritmo era incalzante.

Ebenezer sapeva suonare "Aria sulla IV corda" di Bach.
A quei tempi, pensavo che, tra tutta l'orchestra, egli era il violinista più eccellente.
La sua espressione in viso mentre si dava da fare sul gracile strumento era serena.
Non sembrava la persona che quando uscivi con lui, avresti finito con il litigare perché avresti difeso il barista che non aveva avuto intenzione di aggiungere un dito in più di vino nel suo calice.
Ma quando suonava, ahimè, era Dio in persona.
Le sue rughe in viso causate dal suo carattere avido, si rilassavano, quasi scomparivano.

Alle dieci di mattina, fuso orario inglese, eravamo finalmente arrivati all'aeroporto di Heathrow.
Pensare che inizialmente dovevamo arrivare al Geatwick, che è un po' fuori Londra, ma fortunatamente Sid aveva fatto di tutto per cambiare volo.
Chiamammo un taxi che ci avrebbe portato nel nostro nuovo appartamento situato a Knightsbridge, famoso quartiere di Londra.
Appena il taxi si fermò sul lato sinistro della strada, Sid ci indicò il palazzo bianco dove saremmo andati ad abitare.
Scendemmo dalla macchina e ritirammo i bagagli.
Ci avviammo al portone di ingresso.
Nell'edificio non ci abitavamo solo noi, ovviamente.
Una volta aperta il portone, Sid ci condusse di fronte ad un'altra porta situata alla destra della prima.
La aprì con le chiavi e io mi ci precipitai direttamente dentro.
Di fronte a me c'era un corridoio stretto e lungo dove al lato sinistro vi erano due porte, mentre al lato destro ce ne erano tre, inoltre alla fine del corridoio ve ne era un'altra.
Cacciai un sospiro di entusiasmo. —Wow!
—Entrate in cucina, prima porta a sinistra.—disse Sid. John cercò di avanzare per vedere, ma io lo spinsi indietro per arrivare subito alla stanza.
La cucina era abbastanza ampia.
C'era un angolo cottura in legno, un piccolo e modesto tavolo del medesimo colore e una vetrina ovviamente vuota.
Alla sinistra della porta di ingresso c'era una finestra, mentre dalla parte opposta vi era una porta.—Lì c'è il salotto, ragazzi.—disse Sid.
Quella volta fu John a precedermi.
Entrammo nella porta comunicante con la cucina.
Il salotto era leggermente più grande della stanza precedente.
C'era un divano bianco, una libreria e alla destra del divano un mobiletto.
—Ma è fantastica!—si lasciò scappare John.
—Aspetta a vedere la tua camera.—annunciò Sid.
La camera di John era quella di fronte la porta principale del salotto.
John la aprì, tutto eccitato. Decisi di dargli un' occhiata anche io.
Non c'era nessun letto da un metro, altroché. Un bel lettone da una piazza e mezzo, con tanto di copriletto blu era incastrato perfettamente in un angolo della camera. C'era poi una scrivania di legno bianco lunga circa un metro e mezzo e una piccola libreria del colore della scrivania.
Un armadio di legno abbastanza grande era situato vicino al letto, e tra di loro c'era un piccolo comodino.
—È davvero fantastica, Sid. Grazie!—esclamò John. —E ora andiamo a vedere la camera della principessa!—John mi prese per mano e mi condusse alla mia camera, come se lui conoscesse il resto della casa da sempre.
Era raro vedere così felice John, come quella volta.
Mi fece entrare nella mia stanza, che era affianco la sua.
Come grandezza era simile.
Il letto, sempre da una piazza e mezzo, era avvolto da un copriletto rosso.
La scrivania era uguale, mentre la libreria era sostituita da una specchiera e un paio di mensolette sopra lo scrittoio.
L'armadio, invece di essere di legno marrone, era bianco, come il comodino.
La mia bocca formò una o.—Porca miseria!—esclamai io.
—E ora tutti nel seminterrato!—disse Sid
Probabilmente il seminterrato sarebbe stato il luogo dove avremmo passato più tempo, visto che avremmo suonato lì.
La porta che portava al seminterrato era quella vicino la camera di John.
Scendemmo le scale strette e ci trovammo in uno stanzino che era grande quanto entrambe le nostre camere insieme.
Non vi erano finestre, al contrario di tutte le altre camere.
Trovammo tutti gli scatoloni.—Forza, John. Mettiamoci all'opera!—annunciai.
Fortunatamente, notai che sugli scatoloni erano etichettati per nome, per cui io e John non avremmo avuto problemi a separarli.
—Bene, credo che noi possiamo andare. Ah, non abbiamo visto il bagno.—disse mamma.
—Non preoccuparti, andiamo a vederlo dopo. Voi potete andare.— la tranquillizzai, mentre ero intenta ad accumulare i miei scatoloni.
—Okay, ci vediamo più tardi. Vi porterò la macchina.—disse Sid. Io e John lo guardammo preoccupati.
—La macchina?—rispondemmo all'unisono io e John.
Sid rise.—Il mio speciale regalo!
Noi due gridammo entrambi dalla gioia.
Avevamo fortunatamente la patente. — Dopo la vedrete!
—Va bene, noi andiamo. Ciao, tesorini.— disse mamma e lasciò un bacio a noi due e ritornò su, insieme a Sid.
— Non sai quanto sono contenta, Rose!—disse John, avvicinandosi a me.
—Visto? Non è poi così male. Coraggio, aiutami a portare i miei scatoloni.—lui annuì, prendemmo uno scatolone a testa e cominciammo a salirli.
Dopo qualche viaggio avanti e indietro dalle scale alle camere, cominciammo a sistemare il contenuto degli scatoli e gli indumenti nella valigia.
Misi i vestiti in un armadio, sistemai i miei profumi sulla specchiera e collocai quei pochi libri che avevo sulle mensole.
Sistemai anche alcune padelle e piatti -da cucina, ovviamente- che ci aveva regalato mamma, e qualche foto che mi ero trovata in uno scatolone. Misi anche a posto la radio e il mangiadischi che avevamo io e John.
Alle due di pomeriggio finalmente terminammo.
Diedi una sbirciata al bagno.
Era abbastanza grande, con le mattonelle blu.
Scesi di nuovo nel seminterrato per sistemare i vari pezzi della batteria.
Controllai per prima cosa se fossero tutti intatti, e fortunatamente erano sani.
La sistemai in fondo allo stanzone e cominciai a fare un piccolo assolo, testando tutti gli elementi.
Il suono attirò John, che scese per raggiungermi.—Ah, vedo che ti sei messa già all'opera. Che ne dici di fare una pausa? Ho visto un ristorante italiano mentre venivamo qui.—disse, esaminando un piatto della batteria.
Mi alzai dallo sgabello e mi avvicinai a lui.—Va bene, andiamo.
Uscimmo e andammo nel ristorante che aveva notato John.
Era un ristorante abbastanza grande e molto affollato.
Ordinai un semplice piatto di spaghetti al pomodoro, mentre John si era dato da fare: spaghetti al pomodoro, bistecca e insalata e per completare una fetta di torta al cioccolato.—Alla faccia! Dovresti farti tutta Londra per smaltire tutto quello che hai ordinato.—lui mi guardò come per dire "Stai scherzando?", ma io ignorai il suo sguardo, alzando gli occhi al cielo.
Consumammo il nostro pranzo parlando del più e del meno.
Pagammo il conto dividendocelo in base alle nostre portate, ovviamente John ne ebbe la parte più salata.
Appena uscimmo, bloccai il polso di John.—Aspetta, facciamoci tutta la strada, così la memorizziamo.—proposi.
—Ok, d'altronde devo smaltire anche il dolce.
—Solo quello?—misi le braccia conserte e inarcai un sopracciglio.
—No, principessa, non fare quella faccia.—sbuffai mentre cominciammo a camminare per la lunga strade in cui abitavamo.
—E tu non chiamarmi "principessa", non mi si addice.
—Hai ragione, per te è meglio "Strega", ti si addice di pi...—gli diedi una gomitata prima che potesse continuare.—Chissà quale macchina ci avrà preso Sid.
—Oh, che importa. Abbiamo una macchina, John, cazzo!—risposi, alzando un po' la voce.
—Anche se il college non è lontano, ma il bello è che possiamo spostarci in tutta tranquillità.
La nostra scuola era il prestigioso "Imperial College", un istituto dove potevamo seguire i nostri corsi di tecnologia e medicina, senza contare che avevamo la fortuna di non alloggiare per forza in un dormitorio, bensì in una casa tutta nostra.—Senza usare la metropolitana.—aggiunsi.
Poco dopo raggiungemmo la fine della strada e ritornammo.
Riuscimmo a ricordare l'edificio.
Fuori il portone che portava all'interno del palazzo, c'era una Chevrolet Camaro rossa e mamma e Sid.
Ci avvicinammo a loro.—Ma dove eravate? Vi stavamo aspettando da mezz'ora.—non tardò a protestare mamma.
—Stavamo esplorando la strada.—rispose John.
—Va bene, non preoccupatevi. A chi devo dare le chiavi?—intervenne Sid.
—Quali chiavi?—rispondemmo all'unisono io e John. Sid si avvicinò alla Camaro.
—Che domande, la chiave di questo gioiellino.—morivo dalla voglia di buttarmi a terra, ma non lo feci.
Mi sembrava qualcosa di assolutamente surreale.
—Vuoi dire che questa Camaro è nostra?—John ebbe la conferma quando Sid gli lanciò le chiavi.
—Andate a fare un giro. Magari andate a qualche supermercato.—noi salimmo immediatamente nella splendida auto che odorava di nuovo.
Salutammo mamma e Sid e John fece partire il veicolo.
—Che cazzo! Ancora non me ne rendo conto!—dissi, guardando fuori dal finestrino aperto tutti i palazzi che circondavano la strada.
—Ho quasi il timore di guidare!—rispose. Effettivamente si notava il tremolio che aveva sul volante.
—Facciamo una passeggiata, che ne dici?
Facemmo un breve ma affascinante giro turistico per la città.
Attraversammo la parte sud-occidentale della città, quindi tutto l'isolato di Knisghtbridge, un giro per Kensington, vedemmo Leicester,  un pezzo di Piccadilly, poiché era molto affollata e saremmo rimasti lì fino a sera.
Poi ci spostammo più a est: passammo davanti il Buckingham Palace, a Green Park e ritornammo verso Knisghtbridge passando davanti l'Imperial.
Era un istituto davvero molto grande, ovviamente era vuoto, visto che mancava una settimana all'inizio dell'anno scolastico.—Beh, non è male.—commentai, continuando a guardare fuori dal finestrino.
—Spero vada tutto bene.—John si sporse di più sul mio lato.
—John, ci sono io. E poi tu sei un ragazzo così simpatico, chi non vorrebbe essere tuo amico, chissà, finisce che forse ti troverai una band dove potrai suonare il basso.—distolsi lo sguardo dalla scuola per guardare lui.
—Magari.
—Io entro, voglio vedere l'entrata.—scesi dalla macchina.
—Io non vengo.—sporse la testa.
—Ok, nessuno te lo obbliga.
Cominciai ad avventurarmi verso l'ingresso. Si poteva intravedere qualche insegnante e studente.
Mentre diedi uno sguardo alla bacheca della segreteria, un ragazzo alto, dai capelli ricci che correva dietro un gruppo di ragazzi mi si scontrò bruscamente, facendo cadere un mucchio di fogli che aveva in mano.—Oh mio Dio, scusa. Ti ho fatto per caso male?-- Si inginocchiò per raccogliere i fogli e io lo aiutai.
—No, non preoccuparti. Scusa tu, ero io che dovevo stare attenta.—gli porsi i foglietti che avevo raccolto.
—Grazie! Ma scherzi? Sono io quello che doveva stare attento. Scusa ancora, ma alcuni miei amici mi hanno fregato un quaderno importante e li stavo inseguendo.—non mi feci sfuggire una risatina.—Sì, lo so che può sembrare buffo, ma sono dei tonti. Comunque, io sono Brian May, corso di astrofisica.—mi porse la mano destra, che strinsi.
—Rosalie Deacon.—diede un'occhiata dietro di me.
—Beh, se ne sono andati. Tu sei nuova, per caso?—annuii.—Bene, che ne dici se ti faccio visitare un po' tutto?
—Oh, sì. Molto volentieri. Dobbiamo fare presto, non ho molto tempo.—gli spiegai.
—Non preoccuparti, facciamo subito.
Mentre mi mostrava i vari luoghi dell'istituto, gli raccontai che io avevo vissuto gran parte della mia vita a Dublino, ma che mi ero appena trasferita a Londra, che avrei frequentato il corso di medicina e che non avevo bisogno di un dormitorio.—Oh, beata te. Io invece alloggio in un dormitorio con altri due miei amici. Sai, suoniamo con una band, anche se uno di loro è un ex componente. Comunque anche io non sono di Londra, ma di Twickenham.
—Oh, non la conosco, è bella?—si strinse nelle spalle.
—Molto meglio Londra.
Continuammo il nostro giro, continuando a parlare. Non gli raccontai che avevo un fratello e che mia madre si era risposata.
Tornammo all'ingresso.—Beh, abbiamo concluso il viaggio. Spero le sia piaciuto, signorina Deacon.—io sorrisi.
—Oh, tanto, Signor May.
Un ragazzo dai capelli biondi che richiamavano all'arancione si avvicinò a Brian.—Bri, ecco dov'eri, ma che fine hai fatto?—guardò me e fece un sorriso sardonico.
—Roger! Dopo tutto quello che siete stati capaci di combinarmi sentivate anche la mia mancanza? Vengo subito, saluto un attimo questa mia... Ehm, amica?—io annuii. Ci conoscevamo da solo un quarto d'ora, ma chissà, forse ci saremmo potuti sentire anche in futuro.
—Ci vediamo, Brian.—mi congedai da lui e dal biondo chiamato Roger che continuava a guardarmi e ritornai dove avevo lasciato John.
—Eccoti, finalmente. Ma che fine hai fatto?—mi chiese, mentre rientravo nella Camaro.
—Mi sono fatta un giro. Dentro l'edificio è davvero bello.—non rispose, ma ripartì.

A qualche strada più distante da Knightsbidge c'era un supermercato, così andammo lì.
Riempimmo ben sei buste di plastica, fortunatamente avevamo la macchina.
Tornammo poi a casa e sistemammo tutto ciò che avevamo comprato.
—Finito!—John mise apposto il sale nella credenza e si piastró i suoi lunghi capelli con le dita.
—Andiamo a suonare qualcosa?—chiusi finalmente il mobiletto adiacente i fornelli.
—Subito. Chi arriva per primo!—cominciò a correre verso le scale e subito dopo lo feci anche io.
Le scale non mi permettevano di superarlo.—Aha. Hai perso, principessa!—gli misi le mani al collo fingendolo di strozzare.
—Brutto stronzo!—lo mollai e mi andai a sedere sullo sgabello della batteria.—Dunque, che facciamo?
—"I'm sorry"dei Platters?—io annuii.
Finalmente prese il suo basso.
Cominciammo a suonarla, in una versione molto più rock.
Trovavo quella canzone favolosa.
Amavo il momento finale della giornata, quando ci mettevamo a suonare.
Mettere le mani sulla mia cara batteria era qualcosa di assolutamente piacevole: mi faceva dimenticare tutti i problemi.
Nella vecchia casa eravamo costretti a suonare in camera di John e non potevamo finire dopo le otto di sera.
Ma ora che avevamo il seminterrato non avremmo dato fastidio a nessuno.
John non sapeva cantare, mentre per me non era la cosa che facevo meglio ma me la cavavo, così ogni volta che suonavamo qualcosa la canticchiavamo, anche perché c'erano alcune volte, come quella, che suonavamo senza accompagnamento musicale, vale a dire suonare con il disco in sottofondo.
Finimmo di suonare il pezzo.—Ora tocca a me decidere. Dunque... Ah, ce l'ho! "Love me tender!" di Elvis non me la toglie nessuno!—come avevo già previsto, lui sospirò.
—Sai che ora sono costretto a suonare la chitarra.
Suonare quella canzone con solo il basso e la batteria sarebbe stato qualcosa di assolutamente patetico.
—Dai, non metterti a piagnucolare e suona quella fottuta chitarra.—gli urlai. Fortunatamente avevamo anche una chitarra.
Se è per questo, è stato il primo strumento con cui ci siamo esercitati.
Dopo altre tre canzoni dei Platters, una rivisitazione di Aretha Franklin, altre due canzoni di Elvis e due dei Beatles si fecero le otto e mezza di sera.
Appena terminammo "Another Girl" dei Beatles, mi alzai dallo sgabellino e iniziai a salire le scale.
—Dove vai?—mi chiese John con una voce affogata in uno sbadiglio.
—Vado a farmi un panino.—dissi.
—Io non ho per niente fame.—cominciò a salire le scale anche lui.
—Dopo che ti sei strafogato tutta quella roba, mi sembra ovvio!
—Vado a mettere su un po' di musica.—una volta arrivati su, io mi diressi verso la cucina, mentre lui andò in salotto.
Mentre mettevo del prosciutto in due fette di pane, sentii la voce di Aretha Franklin cantare "Respect".
Avvolsi il panino in un tovagliolo e raggiunsi John in cucina, seduto sul divano.
Cominciai a masticare la cena senza che nessuno dei due spiaccicasse parola.
Il disco di John finì e io intanto avevo finito di mangiare.—Posso mettere Billie Holiday?—decisi di mettere "Lady in Satin", uno dei miei dischi preferiti dell'artista.
Ascoltammo solo il primo lato.—Beh, primo giorno andato. Come lo voteresti in una scala da uno a dieci?— gli chiesi.
—Mh, un bell'otto non glielo leva nessuno.—disse.
—Alla grande, proprio! E io che gli volevo dare un dieci. Puoi modificare il tuo voto?
Sospirò.—Dai, in fondo oggi non abbiamo fatto granché. Può darsi che domani recuperiamo. Ora, se non ti dispiace, vado a dormire nel mio nuovo letto. Tu rimani ancora sveglia?—annuii.
—Sì, ma tra un po' vado anche io a dormire.—dissi.
—Va bene. Buonanotte, Rose.—mi diede un bacio sulla guancia e si alzò dal divano.
—Buonanotte, John.
Rimasi sul divano ancora altri cinque minuti, poi andai in bagno per cambiarmi.
I servizi igienici erano davvero comodi,cosa mi sarei dovuta aspettare se no?
Appena mi fui cambiata, diedi una sbirciata alla camera chiusa di John.
Dormiva beatamente, girato dal lato opposto alla porta.
La finestra era semiaperta e le lenzuola non lo coprivano.
Guardai il soffitto è chiusi la porta per andare nella mia camera.
Lasciai sia le finestre sia la porta aperta, ma mi coprii con il lenzuolo.
C'era una piccola lampada sul comodino che avevo portato dalla vecchia casa.
L'accesi e mi misi a leggere un po' "La Chiave del Piacere".
Continuai a leggere per un quarto d'ora, dopodiché, sfinita, spensi la luce e mi rimboccai le lenzuola fino alle spalle.
Riflettei su tutto quello che era successo in giornata: la partenza, la casa nuova, la macchina, la visita a Londra, Brian.
John nel giro di qualche giorno sicuramente avrebbe cambiato idea.

 

 
  
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