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Autore: Padmini    22/09/2014    2 recensioni
{Fan fiction sulla serie di libri Sherlock Lupin e Io}
Dopo mesi e mesi di lontananza, Arsène finalmente riesce a raggiungere i suoi amici, Irene e Sherlock, a Londra, con il circo del padre. I tre ragazzi, che proprio non sanno tenersi fuori dai guai, verranno coinvolti in un mistero che avrà per teatro proprio il circo di Theophraste e dovranno cavarsela tra trapezisti, domatori, maghi e i loro sentimenti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irene Adler, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un amico mancante

 

 

Il cielo che accolse il mio primo sguardo il mattino successivo non avrebbe potuto essere più distante dal mio umore. Anche se durante la notte il sonno e qualche sogno avevano allontanato la mia mente dagli avvenimenti del giorno precedente, non appena mi alzai e aprii le finestre bastarono quei pochi passi per ricordare ciò che era accaduto. Il furto, Arséne e tutti i suoi colleghi del circo accusati, forse ingiustamente, la tristezza di Sherlock. Mi ritrovai però a mettere quest'ultima in secondo piano rispetto a ciò che affliggeva Lupin e non mi sentii in colpa. Se il problema di Sherlock era sua sorella io non avrei potuto fare nulla per aiutarla ma se potevo fare qualcosa per aiutare Arséne non avrei esitato un istante, anche perché sapevo che era una cosa nella quale anche Sherlock credeva. Rincuorata da quel pensiero positivo, mi vestii e scesi per fare colazione. Per esperienza e, soprattutto, ricordando il metodo seguito da Sherlock, cercai di non agitarmi come facevo quando stavo per immergermi in una di quelle avventure che contraddistingueva la nostra amicizia. Mangiai con calma, quasi come se fosse stata una mattina qualsiasi. Orazio, che stava servendo la colazione, annotò con un sorriso compiaciuto il mio comportamento e mi premiò con una fetta supplementare di pane imburrato. Solo quando vidi che l'ora dell'appuntamento con Sherlock si avvicinava, mi alzai e andai a cambiarmi e finii giusto in tempo quando sentii il campanello al piano inferiore che mi avvertiva dell'arrivo del mio amico.

Scesi le scale quasi correndo, ignorando l'occhiata rassegnata di Orazio, e andai ad aprire.

Sherlock non sembrava più allegro rispetto al giorno precedente ma in quel momento credetti, forse per non dovermi sforzare di essere gentile, che fosse solo pensieroso.

“Non abbiamo tempo da perdere” disse, senza preoccuparsi di salutare, cosa con la quale ormai avevo imparato a convivere “Arséne ci aspetta al circo e ci aiuterà ad intrufolarci per trovare eventuali indizi. Muoviti.”

Non mi diede il tempo di rispondere e si allontanò, dando per scontato che lo avrei seguito. Erano quelli i momenti in cui lo avrei tranquillamente strozzato o preso a botte, ma mi limitai a sospirare e a corrergli dietro, non senza aver gridato ad Orazio, con suo sommo disappunto, che sarei tornata per pranzo.

Avevamo deciso di andare per conto nostro perché cercare di passare inosservati con un omone come lui sarebbe stato decisamente difficoltoso, soprattutto in un luogo così ben sorvegliato com'era il tendone del circo in quel momento.

Camminammo in silenzio, uno accanto all'altra, per qualche isolato prima di incontrare una carrozza. Solo quando salimmo a bordo e ci ritrovammo nell'intimità dell'abitacolo, mi arrischiai a parlare. Credetti di volergli chiedere cosa avesse intenzione di fare per prima cosa, una volta arrivati, invece dalla mia bocca uscì un'altra domanda, quasi senza che me ne rendessi conto.

“Mi spieghi cosa avevi ieri?” domandai, forse con troppa enfasi “Ammetto di non essermi accorta del tuo disagio, ma tu non mi hai aiutato a capire che stavi male! Insomma, si può sapere qual'è il problema?”

Lo vidi esitare e arrossire, era evidente che quella mia domanda, e forse anche il tono con cui l'avevo posta, lo avevano messo profondamente a disagio. Non mi aspettavo che rispondesse, infatti incrociò le braccia al petto e si incupì.

“Adesso non abbiamo tempo per queste cose” mormorò guardando fuori dal finestrino “Dobbiamo capire chi è o chi sono gli autori di quei furti.”

“Credi che possano essere più di uno?” domandai, leggermente stupita.

“Non lo escludo” rispose lui senza nemmeno voltarsi “Non possiamo escludere nulla al momento perché le uniche informazioni che possediamo sono che ci sono stati svariati furti durante lo spettacolo. La polizia crede che sigillare il tendone prima dell'uscita degli spettatori e impedire agli artisti di allontanarsi sia stato sufficiente per bloccare i ladri ma temo che, nonostante i loro sforzi, non abbiano ancora trovato la refurtiva né i ladri.”

Il suo tono era serio e sembrava che fosse piuttosto sicuro di quell'affermazione. La cosa mi rassicurò parecchio, soprattutto perché voleva dire che anche lui credeva che Arséne e i suoi compagni erano innocenti. Sorrisi, rincuorata da questa ipotesi perché, sebbene provassi una sconfinata fiducia verso Arséne, la consapevolezza del fatto che suo padre, oltre ad essere un bravissimo acrobata, fosse anche un ladro, mi aveva fatto temere che potessero essere coinvolti in qualche modo. Il fatto che Teophraste fosse innocente era ovvio perché l'avevo visto in pista tutto il tempo e non avrebbe avuto modo di rubare nemmeno una monetina da quelli della prima fila. Quel pensiero mi rasserenò così tanto da non farmi notare che, nonostante tutto, il viso di Sherlock era ancora cupo, ma l'avrei capito più tardi.

 

Arrivammo a destinazione molto rapidamente e vedemmo che l'area che circondava il tendone era ancora presidiata dagli agenti di Scotland Yard. Ci avvicinammo fingendo di dover andare da tutt'altra parte, in realtà cercando il nostro amico. Non tardammo molto e dopo pochi minuti lo trovammo che camminava nervosamente avanti e indietro accanto al tendone, il viso contratto in una smorfia di rabbia e preoccupazione. Non facemmo in tempo a chiamarlo che lui, voltandosi per caso, ci intravide e ci corse incontro. Per prima cosa mi abbracciò stretta per qualche istante e, mentre ricambiavo la sua stretta, sentii pian piano la tensione diminuire nei suoi muscoli fino a fargli tirare un sospiro di sollievo. Quando si allontanò vidi che anche la sua espressione era più tranquilla e fiduciosa.

“Sapevo che sareste venuti! Non so come ringraziarvi!” esclamò, concedendosi un sorriso.

“Siamo amici.” rispose semplicemente Sherlock e io non potei che annuire.

“Esatto, siamo amici e ci aiutiamo a vicenda. Siamo convinti che siate tutti innocenti e ...”

“Non ho mai detto questo, Irene” mi interruppe Sherlock guardandomi male “Siamo qui per scoprire la verità, e questo non comprende obbligatoriamente al fatto che tutti loro siano innocenti!”

Non ci vidi più. Intravidi appena il viso smarrito di Arséne al mio fianco perché mi voltai rapidamente verso Sherlock e lo colpii con violenza sul viso con un ceffone che gli fece perdre per un istante l'equilibrio e lasciò un segno rosso sulla sua guancia altrimenti pallidissima.

Si portò una mano alla guancia offesa e mi fisso stupito.

“Non capisco il tuo comportamento, Irene ...”

“Siamo amici, lo hai detto tu, se non sbaglio!” gridai, senza riuscire a frenare la mia rabbia “Non puoi pensare che Arséne o uno dei suoi colleghi abbia commesso quei furti! Hai detto anche che probabilmente si tratta di qualcuno totalmente esterno alla compagnia!”

“Non ho mai detto questo” sottolineò lui, guardandomi con freddezza “Ho semplicemente ipotizzato che la polizia non avrebbe ritrovato né la refurtiva né il ladro con il metodo che ha usato. Fino a quando non troveremo il vero responsabile e saremo sicuri al cento per cento della sua colpevolezza non potrò escludere nessuno, nemmeno gli spettatori.” concluse, guardando poi Arséne, forse sperando di ricevere man forte da parte sua. Stavolta però doveva aver fatto male i conti perché anche lui, rosso in viso per la rabbia, lo colpì con un pugno allo stomaco.

“Ha ragione Irene, credevo che fossimo amici, ma se arrivi addirittura a dubitare di me ...”

Non riuscì a terminare la frase, tanto era forte la rabbia che provava per Sherlock, il quale si era piegato a metà per il dolore. Mi prese bruscamente per un braccio e mi trascinò via. Lo lasciai fare per qualche passo, ancora tramortita da ciò che era accaduto e, dopo aver lanciato una breve occhiata a Sherlock, che forse era anche più scosso di noi, mi adeguai al suo passo di marcia e lo seguii poco distante, dietro ad un albero.

“Non posso credere a quello che ho appena sentito!” esclamò, con irritazione crescente e tremando per l'ira “Dubita di me! Dubita di me!” era arrabbiatissimo e non potevo certo biasimarlo.

Dalla nostra posizione vedevo ancora Sherlock che, ancora tramortito dallo schiaffo e dal pugno, ci fissava da lontano addolorato. Non ci badai. Aveva detto una cosa gravissima e, almeno in quel momento, sentivo che la strada per perdonarlo sarebbe stata molto lunga. Restai ad osservarlo per qualche istante, finché non si decise e si allontanò, probabilmente per cercare da solo gli indizi. A quel punto mi voltai verso Arséne e gli presi la mano.

“Non badare a lui, troveremo noi i veri colpevoli!” esclamai guardandolo negli occhi. Ero più che certa che non potesse essere colpevole, né lui né gli altri della compagnia.

Arséne annuì e sembrò rilassarsi.

“Ti ringrazio Irene” mormorò, e mi abbracciò stretta ancora una volta.

“Non preoccuparti, sono tua amica e starò dalla tua parte qualsiasi cosa accada”

A quel punto lo vidi esitare per un istante, ma il dubbio fu presto sostituito da un sorriso radioso.

“Hai ragione. Hai perfettamente ragione. Qualsiasi cosa accada, noi saremo … amici ...” mormorò infine e, con sorpresa, colsi una certa delusione nel suo tono di voce.

Lasciai comunque perdere, non avevo nessuna voglia di dover risolvere altri problemi che non fossero collegati al furto avvenuto la sera precedente. Avevo intuito già da tempo che Arséne provava per me qualcosa di più di una semplice amicizia e, per quanto lo ricambiassi, sapevo che non era quello il momento per parlarne. Annuii per confermare ulteriormente quelle parole e mi sfregai le mani.

“Bene. Direi che possiamo iniziare. Per prima cosa, sai cosa hanno scoperto gli agenti di Scotland Yard?” gli domandai, lanciando un'occhiata agli uomini in divisa che si aggiravano attorno al tendone.

“Nulla, assolutamente nulla!” esclamò lui, esasperato “Non hanno trovato nemmeno una moneta che non facesse parte dell'incasso della serata, eppure gli spettatori che avevano denunciato il furto avevano parlato di orologi, gioielli, interi portafogli!” scosse la testa ridendo “Eppure, nonostante tutto, continuano a guardarci come se fossimo noi i ladri!”

Sentii un brivido scorrere lungo la mia schiena e Arséne non poté fare a meno di notarlo.

“Che ti prende?” mi chiese infatti, posandomi una mano sulle spalle “Stai male?”

“No, sto bene, solo ...”

Mi voltai verso il punto in cui avevamo lasciato Sherlock e sospirai.

“Ciò che hai detto corrisponde esattamente a ciò che aveva pensato Sherlock”

“Cosa vuoi dire?” mi chiese, sorpreso quanto me.

“Anche lui ha pensato che la refurtiva non si trovasse all'interno del tendone e io avevo creduto che intendesse che vi riteneva innocenti ...”

“Siamo innocenti!” disse lui, quasi offeso.

“Lo so, lo so! Per questo mi ero arrabbiata con lui, ma ...”

“Niente 'ma', Irene. Sherlock ha dubitato di me e tanto mi basta. Ora, dobbiamo pensare come agire?” domandai, sperando che avesse una risposta, ma ottenni solo una stretta di spalle.

“Non lo so, a dire il vero ...” mormorò lui, sospirando sconfortato “Aspettavo che arrivasse Sherlock per avere qualche idea … Prima mi hai visto camminare avanti e indietro nervosamente proprio perché non avevo idea di cosa fare! La refurtiva è sparita, tutti si reputano innocenti e la polizia presidia il tendone. Non possiamo fare nulla!”

Era evidente la sua frustrazione, e lentamente sentii salire anche la mia. Sospirai e, seppur con molta riluttanza, mi ritrovai a concludere che, senza il nostro geniale amico, non saremmo riusciti a trovare la soluzione al nostro enigma. In quel momento la rabbia nei suoi confronti e la preoccupazione per il guaio di Arséne mi avevano perfino fatto dimenticare che anche lui aveva un problema di cui non voleva parlarmi.

“Cosa facciamo allora?” chiesi infine, anche se mi costava non poca fatica “Andiamo a cercarlo?”

Arséne si limitò ad annuire sospirando, così uscimmo dal nostro nascondiglio e ci aggirammo nei dintori per cercarlo. Facemmo il giro del tendone una decina di volte, insieme e poi separatamente, dentro e fuori, prima di renderci conto che non c'era nulla da fare. Sherlock era scomparso.

   
 
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