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Autore: AsfodeloSpirito17662    22/09/2014    4 recensioni
Merlin lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo. Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva potuto fare niente per evitarlo.
Era rimasto completamente alla mercé di se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria identità, della propria unicità.
Merlin lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni - Cristo, mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.
Iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi degli alberi.
Il dolore era giusto. Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.
Merlin si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle persone.
Ed era tutta colpa sua.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Drago, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
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QUARTO CAPITOLO

4. Re Arthur


Londra, 19 luglio 2020

Mattina


Alecto non avrebbe saputo stabilire se il cupo grigiore del cielo fosse dovuto al caratteristico tempaccio di Londra od ai fumi che il fuoco dei draghi aveva fatto salire sin lassù. I suoi occhi celesti assorbirono la forte luce di quella mattina e li sentì palpitare dal fastidio, così fu costretta a socchiudere le palpebre; con la pupilla così piccola, le iridi di colore scialbo sembrarono ancor più prive di qualsiasi attrattiva.

Abbassò la visiera del cappello sul viso e si sporse a guardare l'interno della voragine: le fiamme magiche avevano letteralmente creato un buco enorme in mezzo alla strada ed era talmente profondo e buio che non riuscì neanche a vederne il fondo. La cappa di umidità estrema che appesantiva l'aria le fece colare un rivolo di sudore lungo il lato del viso, ma si tenne stretto addosso il suo k-way grigio, sotto il quale il Triskelion pulsava come fosse stato una cosa viva. Inspirò profondamente, lasciando che quell'abisso oscuro soggiogasse la sua mente.

"È qui, è qui, ho capito" bisbigliò, con una punta di rassegnazione.

Voltò prima la testa verso destra e poi verso sinistra, ma quel quartiere della città sembrava essere stato totalmente abbandonato. Probabilmente se l'erano data tutti a gambe durante la notte dell'attacco; lo sguardo le cadde su una macchina occupata da quattro corpi, morti carbonizzati. Sono scappati tutti tranne loro, pensò, dando mostra di uno scadente humor nero. Stavolta il suo sguardo catturò il cielo grigio e storse le labbra con insofferenza.

Stanno arrivando. Devo sbrigarmi.

Senza lasciare il tempo alla sua mente di formulare qualsivoglia altro pensiero, senza nemmeno la minima traccia di esitazione o di paura, si lasciò cadere nel vuoto, le braccia spalancate verso l'esterno come fossero state delle ali; non un suono abbandonò le sue labbra durante la caduta - sembrò come se non fosse mai stata lì -.

Tornata alla precedente quiete silenziosa, la strada parve ancora più deserta; soltanto la porta dischiusa di una delle case lì vicine cigolava appena, di tanto in tanto, mossa dal vento. Dopo la sparizione di Alecto giù per la voragine buia, un gatto era schizzato fuori da sotto una macchina e saltellando agilmente tra i detriti che ricoprivano il terreno, si era fiondato dentro un'aiuola bruciacchiata. Nascosti dai rami intricati e fragili come cenere, i suoi occhi felini fissarono il punto in cui la ragazza era svanita; miagolò debolmente, leccandosi i baffi con la lingua e dopo quasi cinque minuti voltò la testa di scatto, come avesse sentito un rumore provenire alle sue spalle. Zampettò brevemente verso la casa semidistrutta presente nella proprietà in cui v'era l'aiuola nella quale aveva trovato riparo, quando un verso strozzato attirò di nuovo la sua attenzione verso la voragine.

All'improvviso una mano sbucò fuori oltre il ciglio e si aggrappò all'asfalto con energia; ad una mano ne seguì anche un'altra e poi una testa coperta da un berretto blu notte fece la sua comparsa: Alecto aveva il volto lievemente arrossato dalla fatica, sporco di terriccio proprio come i vestiti che indossava ed il sudore che le si appiccicava sulla pelle non aiutò a farla sentire meglio. Cadde a carponi sul terreno ed inspirò profondamente, beandosi per qualche meraviglioso minuto della lieve brezza che a tratti dava sollievo al suo viso accaldato; ebbe l'impulso di liberarsi del cappello, ma sarebbe stato troppo rischioso: non si poteva mai sapere chi stava a guardare.

Tolse lo zaino dalle spalle, che era diventato molto più voluminoso di prima e lo poggiò davanti a sé; mettendosi sulle ginocchia, Alecto lo aprì e subito spuntò fuori il profilo morbido e curvo di un uovo dalla sfumatura giallina. La ragazza lo afferrò con entrambe le mani e lo sollevò, fino a portarselo davanti gli occhi; anche se ne aveva già visti in precedenza, la visione delle uova di drago la lasciava sempre stupefatta ed affascinata. Il Triskelion aveva smesso di pulsare nell'esatto istante in cui, giù nella voragine, aveva stretto la presa sull'oggetto della sua ricerca. Con un sorriso soddisfatto rimise l'uovo nello zaino e dopo aver chiuso la lampo lo issò sulle spalle; si alzò in piedi e dalla tasca posteriore dei jeans estrasse un cellulare del tutto anonimo.

Ce l'ho, digitò velocemente, prima di premere invio.

Ebbe appena il tempo di farlo, perché improvvisamente qualcosa la colpì forte dietro la nuca ed il mondo divenne completamente buio.


*


Londra, Horsell Common Park, 19 luglio 2020

Pomeriggio


Verso le dieci del mattino, Hester e Charles erano stati bruscamente risvegliati da un ruggito selvaggio. Erano bastati pochi minuti per capire che i draghi erano tornati all'attacco ed avevano iniziato a bruciare con le loro fiamme magiche tutto ciò che di integro - o quasi -, era rimasto. La donna aveva intimato a Charles di sbrigarsi: dovevano assolutamente allontanarsi da Londra, non c'era alternativa. Radunati tutti i loro pochi averi e dimentichi di tutte le faccende in sospeso che avevano lasciato, entrambi avevano abbandonato la protezione della boscaglia con circospezione; non solo i draghi, ma anche la bestia errante era un pericolo. Dovendo scegliere tra il male minore, Hester non ebbe altra scelta che rischiare e, nonostante l'età, cercò di mantenere il più a lungo possibile un passo sostenuto.

"Ma è giorno!" aveva esclamato Charles, non appena aveva compreso a chi era dovuto il suo brutto risveglio.

"Evidentemente non glie ne importa un accidente!" aveva replicato Hester con voce roca, da fumatrice incallita - eppure non aveva mai provato una sigaretta in vita sua -.

Allontanarsi da Londra risultò più difficile del previsto: anche se si erano lasciati il centro alle spalle, il segno del passaggio di quelle creature enormi li circondava totalmente. Oltre alla capitale inglese, sembravano non essersi salvate nemmeno le zone periferiche. L'unico modo in cui riuscirono a spostarsi fu a piedi; il loro travagliato e difficoltoso tragitto fu accompagnato senza sosta dai gorgoglii a volte lontani - altre più vicini -, dei draghi tornati all'attacco. Charles si domandò distrattamente perché diavolo quelle creature fossero tornate a Londra dopo tutto quello che avevano combinato: non c'era più niente da distruggere, cosa volevano ancora? Come avesse intercettato i suoi pensieri, Hester indirizzò verso di lui uno sguardo apprensivo ed il ragazzo sembrò capire: possibile che fosse tutto a causa sua?

No, pensò di primo acchito, non intendo considerarmi il Percy Jackson di turno. Eppure il giorno prima, Hester gli aveva detto una cosa che l'aveva mandato in confusione: "Vede, Charles, il fatto che i draghi si siano risvegliati non è un caso. C'è solo un motivo per cui possano averlo fatto... quel motivo è lei". Che cosa voleva dire risvegliati, tra l'altro? Doveva forse davvero credere che i draghi fossero sempre esistiti, assopiti da qualche parte? Che per millenni avevano atteso il suo arrivo? Se non fosse incappato in un numero già indefinito di cadaveri e non avesse saputo che sarebbe stata una spesa troppo alta per il governo inglese da sostenere, avrebbe pensato di essere il protagonista di un lungo, disturbante scherzo di cattivo gusto.

"Basta!" esalò Hester, poggiandosi stancamente contro il tronco di un albero. "Basta così, Charles. Fermiamoci, devo riposare" aggiunse, non riuscendo a nascondere una smorfia di dolore non appena mosse la gamba - la storta presa qualche giorno prima le dava ancora dei problemi -.

Il ragazzo inspirò profondamente e si guardò attorno, senza stupirsi: si trovavano nell'ennesimo parco inglese, di quelli lasciati allo stato brado, poco somigliante ai Kensigton Gardens perfettamente curati e quasi geometrici grazie al volere di Sua Maestà, la Regina Elisabetta - conosciuta dai più come Highlander, l'immortale -. Lasciò cadere le poche cose che avevano sull'erba e si allontanò senza dire una parola.

"Dove sta andando?" lo interrogò immediatamente Hester, senza riuscire a celare il sospetto che l'altro avesse deciso di abbandonarla.

"A lavarmi" rispose seccamente lui, senza neanche voltarsi. "Puzzo da fare schifo."

In una situazione normale sarebbero dovuti passare sul suo cadavere, prima di convincerlo ad immergersi nelle acque poco limpide di un laghetto artificiale quale era quello dell'Horsell Common Park, ma... quella non era una situazione normale, per cui fu proprio quello che fece: dopo essersi tolto tutti i vestiti, sfregò ripetutamente la pelle con quell'acqua, preferendo l'odore di natura selvaggia a quello di sudore. La stessa sorte toccò ai suoi vestiti e nell'attesa che si asciugassero, si avvolse nella coperta con cui era solito dormire. Quando tornò nel punto in cui Hester aveva deciso di fermarsi per la notte, la trovò a cuocere un coniglio spellato.

"E quello da dove spunta?" domandò, inarcando le sopracciglia bionde.

"Si aggirava nei dintorni" fu la risposta laconica; "Si è avvicinato troppo, ma non se ne è reso conto. Per fortuna..." aggiunse, quando percepì gli occhi azzurri di Charles soffermarsi sulla sua gamba dolorante. Si stava ovviamente chiedendo come diavolo avesse fatto ad acchiapparlo.

Tuttavia, l'odore di qualcosa che non fosse legumi in scatola lo mise decisamente di buon umore e non fece ulteriori domande; dopo aver appoggiato alla meno peggio i suoi indumenti bagnati sull'erba, si sedette accanto ad Hester, vicino al fuoco. Il sole morente, semi nascosto dalle nubi che coprivano il cielo da quella mattina, immergeva il silenzioso parco in una cupa luce aranciata.

"Presto farà buio" commentò Charles, tirando su con il naso. I suoi occhi furono attratti dal guizzo delle fiamme.

"Prima di allora il coniglio sarà cotto" replicò la governante, distendendo la gamba davanti a sé per massaggiare il ginocchio. Lui si voltò per guardarla e studiò con aria assorta le rughe che caratterizzavano il suo volto, decisamente più numerose dai tempi di quando era bambino. Nonostante quel dettaglio, in uno strano modo Hester gli sembrava sempre la stessa. Si chiese da quanto tempo gli nascondesse delle cose e se quella persona che lui aveva conosciuto ed aveva imparato ad amare, non fosse altro che una menzogna vivente.

"Non ti seguirò più" si ritrovò a dire, ancora prima di rendersi conto d'aver davvero aperto la bocca. Si mostrarono sorpresi entrambi, da quell'osservazione.

"Charles, le ho già detto..."

"No" la interruppe lui con decisione. "Non mi hai detto niente".

Già che c'era, tanto valeva continuare: "Non mi piace dare ultimatum, specialmente a te, ma è quello che mi costringi a fare. Ieri stavi per dirmi qualcosa, prima che quella bestia..." un brivido di incomprensione misto a paura scosse visibilmente le sue spalle, "...sbucasse da non so dove. Ora, hai due opzioni: vuota il sacco, oppure me ne tornerò a casa e per impedirmelo non sarò io a dover passare sul tuo cadavere, sarai tu a dover passare sul mio".

Hester unì le labbra in una linea sottile e lo osservò con severità, ma Charles non si lasciò intimorire dai suoi occhi verdi: non era più un bambino. Si guardarono in silenzio per attimi lunghissimi, la tensione resa più morbida dal crepitio delle fiamme - era un suono così dolce. Alla fine, la donna dovette capitolare.

"Che cosa vuole sapere?" domandò debolmente, girando il coniglio sul fuoco affinché non si bruciasse.

"Posso fare qualsiasi domanda e tu risponderai?"

"Dipende..."

"Allora cominciamo da questo: perché non puoi rispondere a tutte le mie domande?"

"Perché ho giurato che le avrei detto tutto, a tempo debito. Si tratta di un tipo di giuramento che non posso infrangere senza subire delle conseguenze".

"Che genere di conseguenze?"

"Non lo so. Non l'ho mai infranto".

"A chi hai fatto questo giuramento? E perché?"

"Non posso dirlo".

"È un caso che tu abbia iniziato a lavorare per la mia famiglia?"

"No".

"È stato a causa mia?"

"Sì".

"Chi ti ha mandata?"

"Non posso dirlo".

Charles inspirò bruscamente, distogliendo lo sguardo per brevi attimi. Si stava innervosendo.

"Allora dimmi questo: perché ciò che sta succedendo sarebbe colpa mia? Cosa c'entro con i draghi?"

"Non è colpa sua!" replicò immediatamente Hester, accalorandosi. "È a causa sua!"

"C'è differenza?" risultò eccessivamente sarcastico.

"C'è tutta la differenza del mondo!"

"Cosa stavi per dirmi ieri?"

Hester tolse il coniglio dal fuoco che il sole era tramontato da appena due minuti. Fissò intensamente le basse fiamme crepitanti del piccolo falò, ma nelle orecchie di Charles c'era anche il suono del suo cuore, che aveva iniziato a battere più velocemente. Si sentiva stranamente inquieto. Quando la donna alzò gli occhi su di lui, il suo disagio aumentò esponenzialmente: il bagliore del fuoco gettava ombre grottesche sul viso di Hester.

"Charles... dopo aver visto dei draghi in carne ossa, dovrebbero essere ancora poche le cose in grado di sorprenderla".

"Mettimi alla prova" sussurrò di rimando, stringendosi addosso la coperta senza rendersene conto.

La donna si alzò in piedi, senza mai distogliere lo sguardo da lui. Poi, improvvisamente, fletté un po' la schiena in avanti, nell'accenno di un bizzarro e maldestro inchino. Charles sbatté più volte le palpebre, cercando di fuoriuscire dalla nebbia di confusione nella quale stava vagando il suo cervello.

"Hester..." tentennò, arretrando con la schiena. "Che stai facendo?"

"Porgo i miei omaggi a Re Arthur" fu la sua semplice risposta, caratterizzata da un tono che dire devoto, sarebbe stato riduttivo. Il ragazzo restò a guardarla con gli occhi sbarrati, mentre lei alzava la gonna e calpestava il falò, facendo calare entrambi nel buio della sera.


*


Londra, 19 luglio 2020

Pomeriggio tardi


Alecto gemette di dolore nel momento in cui riprese conoscenza. Non solo la testa le faceva un male cane, ma si sentiva estremamente intorpidita; provò a compiere qualche piccolo e cauto movimento, strusciando involontariamente la faccia contro l'asfalto ruvido. Contrasse il volto in una smorfia insofferente e socchiuse gli occhi: si trovava ancora vicino la voragine, ma la botta che aveva preso le aveva fatto perdere conoscenza per molto tempo. Quando osservò il cielo già imbrunito, si rese effettivamente conto di quante ore fossero passate. Un'improvvisa scarica di paura le fece battere più forte il cuore e come se avesse ripreso conoscenza tutto d'un botto, scattò a sedere velocemente; fu presa da un giramento di testa veramente tremendo, ma l'agitazione che provava in quel momento le impedì di cedere all'ondata di nausea che ne era conseguita. Con movimenti frenetici girò la testa a destra e sinistra, in cerca del suo zaino, ma già dal momento in cui aveva riaperto gli occhi aveva intuito che qualcosa non andava. Mentre si alzava in piedi, barcollando un po' sulle gambe, cominciò a sudare di nuovo. No, ti prego, no, ti prego, no...

Nonostante l'intensità dei suoi pensieri, scoprì che le sue peggiore paure si erano avverate: lo zaino era sparito e con lui, anche l'uovo ed il Triskelion.


*


Gorech non poteva francamente credere alla fortuna sfacciata che aveva avuto. Rubare l'uovo ed il Triskelion a quella ragazzina era stato sin troppo semplice - e pensare che si era trovato lì per puro caso, alla ricerca di qualcosa da rubare tra le macerie delle abitazioni crollate -. Ne era sicuro: ci avrebbe come minimo guadagnato un intero baule pieno di monete d'oro. Si leccò le labbra fini, al solo pensiero di tutto quel ben degli Dèi e di quello che avrebbe potuto farne; immaginò se stesso immergersi tra le monete come fossero state invitanti e calde acque profumate.

Che colpa ne aveva, lui, se era nato Goblin(1)?

I Goblin erano una razza praticamente perfetta, con un solo piccolo, irrisorio difettuccio: avevano una discreta quanto non trascurabile ossessione per le cose preziose.

E lui ne aveva appena rubata una che l'avrebbe fatto diventare ricco da fare schifo.





NOTE DELL'AUTORE: Allora. Innanzitutto ci tengo a dire che la mia beta, Mimiwitch, con i suoi occhi da falco cacciatore, mi ha salvata da una gaffe, ma una gaffe che più gaffosa non si può. La mia e la vostra incondizionata adorazione tutta a lei, per piacere. Passando oltre, come sempre i miei ringraziamenti a chi mi segue, anche se in silenzio: il fatto che letture siano davvero numerose mi fa molto piacere! Di seguito vi riporto l'unica nota presente nel capitolo:


(1) Le caratteristiche dei goblin non sono di mia invenzione, ma sono state prese direttamente dalla serie originale.


A lunedì!

Asfo


   
 
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