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Autore: Acinorev    23/09/2014    20 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo tre - Caution
 
 

Dopo la partenza di Harry, Rawson Street era diventata una via dalla quale Emma tentava a tutti i costi di tenersi lontana: non voleva posare gli occhi su quell'edificio grigio nel quale aveva passato innumerevoli ore, tra le lenzuola azzurre che l'avevano accolta la prima volta e le braccia che invece non l'avrebbero più stretta. Non voleva e non poteva sottoporsi a quel genere di tortura.
Impiegò diverso tempo ad accettare l'idea di passare davanti a casa Styles, magari senza alzare lo sguardo e stringendo i pugni, magari con il respiro strozzato in gola. Voleva riscattare l'immagine che aveva di sé e che doveva conservare, quindi era disposta a soffrire un po' di più per poterne ricavare beneficio. In fondo, i ricordi la tormentavano ovunque lei fosse.
Era un pomeriggio anonimo ed immerso nella quiete, quando per la prima volta non si accorse nemmeno di trovarsi in Rawson Street, di passaggio per raggiungere Tianna in un negozio. Provò un profondo senso di liberazione e di fierezza per se stessa, nel capire di aver finalmente conseguito il suo obiettivo.
Così, anche quel sabato mattina di fine Agosto, i suoi passi erano decisi sull'asfalto del marciapiede ed il suo viso mostrava alterità e sicurezza. Dopo tutti quegli anni, non sapeva se Harry abitasse ancora in quell'appartamento con il padre, ma era decisa a fare un tentativo: due giorni prima l'aveva ignorato senza nemmeno scusarsi, quindi temeva che lui potesse covare nei suoi confronti una buona dose di risentimento, se il suo orgoglio non era mutato. Aveva pensato di chiamarlo e di ricambiare l'invito, ma non si fidava: se doveva basarsi sulle conoscenze passate della sua indole, era facile che Harry decidesse di non rispondere al telefono o di ingannarla per ripagarla con la stessa moneta solo per riscattarsi.
Sospirò a lungo e si sistemò il leggero golfino color ocra, prima di avvicinarsi al citofono: tra i vari nomi, cercò quello che le interessava e lo trovò con un vago senso di sollievo. Il suo era un terno al lotto, dato che vi erano una decina di possibilità alle quali poter andare incontro: Harry avrebbe potuto essersi trasferito altrove, avrebbe potuto essere ripartito o uscito, lasciando solo il padre ad occupare gli scarsi metri quadri. Avrebbe potuto non volerle parlare. O avrebbe potuto essere lì, cambiato ed imprevedibile.
Premuto il pulsante, aspettò qualsiasi cosa le fosse destinata.
«Chi è?» gracchiò la voce metallica, dopo un minuto buono.
Lei increspò le labbra in un sorriso spontaneo e si dondolò sulle punte dei piedi. «Sono Emma», rispose. 
Era lui.
Il silenzio che seguì il breve scambio di battute enfatizzava l'attesa, ma non durò a lungo. Dopo qualche istante, infatti, Emma udì il rumore dato dal riposizionamento della cornetta del citofono e lo scattare della serratura del cancello d'entrata: non era stata rifiutata -almeno non ancora - ed in un certo senso ne era stupita.
Camminò lentamente lungo il breve vialetto, guardandosi intorno per riconoscere qualcosa di già visto e per scoprire ciò che invece le era nuovo, e proseguì lungo le scale scandendo nella mente i propri respiri: doveva ancora interpretare la strana e blanda agitazione che aveva iniziato ad affacciarsi nella sua integrità, ma credeva fosse dovuta esclusivamente all'ignoto verso il quale stava avanzando. Lei ed Harry non potevano essere definiti altrimenti, in circostanze simili: quasi fossero un esperimento, nessuno aveva il coraggio di scommettere su ciò che avrebbero potuto creare nel frangente del nuovo rapporto che li univa, sempre se così era possibile chiamarlo.
Lo trovò appoggiato allo stipite della porta. Le braccia nude incrociate al petto e lo sguardo basso, concentrato: indossava un paio di blue jeans consumati ed una t-shirt completamente bianca, di una leggera trasparenza. I capelli erano legati bonariamente in una piccola coda, lasciando libero il suo viso ancora assonnato: nonostante fossero le undici passate, gli occhi gonfi rivelavano che probabilmente si era appena svegliato.
Emma gli si fermò davanti, inumidendosi le labbra. «Hey», sussurrò, infilando le mani nelle tasche posteriori dei propri shorts solo per non restare ferma. Sperava che lui potesse scorgere nei suoi movimenti e nel suo timbro di voce quelle scuse che forse non avrebbe pronunciato.
Harry alzò le iridi su di lei e serrò la mascella, ma non rispose. Entrambi conoscevano quello sguardo, quel modo di farle pesare un rimprovero: la stava osservando come se si aspettasse di essere compreso senza nemmeno parlare o come se si stesse trattenendo dal cedere il posto alla propria impulsività. Per Emma fu strano confrontarsi di nuovo con qualcosa di così familiare, quasi non fosse trascorso nemmeno un giorno dalla loro separazione: riuscì a ripercorrere i momenti simili già vissuti, i disappunti affrontati, ogni discussione superata, perché aveva l'impressione che fosse tutto racchiuso in quegli occhi che la conoscevano sin troppo bene.
All'improvviso, Harry sospirò profondamente e si passò una mano sul viso, probabilmente arreso ad un pensiero o ad una decisione. Si massaggiò distrattamente il collo, ignorandola per qualche istante, e quando tornò a guardarla con attenzione, la sua espressione era completamente mutata: aveva eliminato qualsiasi traccia di risentimento, sostituendola con un calore appena tiepido ma di conforto.
Emma sentì il petto più leggero, come se avesse appena ricevuto una sentenza in grado di scagionarla, e godette di nuovo di quello stupore che aveva percepito in precedenza: sei anni prima, si sarebbe tenuta un'accesa discussione fatta di accuse e permalosità, mentre in quel momento era bastato loro presentarsi l'uno all'altra. Non poteva ancora sapere se fosse stato dovuto ad un reale cambiamento in entrambi, perché era più propensa a credere che la loro fosse stata solo cautela.
«Facciamo due passi?» domandò allora, accompagnando quelle parole con l'abbozzo di un sorriso. 
Lui si leccò le labbra e annuì, divertito. «Prendo le chiavi».
Nei secondi di attesa nei quali Emma restò sul pianerottolo di fronte all'appartamento, si chiese come sarebbe stato passare del tempo insieme e a cosa avrebbe portato: eppure, si rese conto di non volerci pensare troppo.
«Vivi ancora con tuo padre?» domandò, non appena Harry uscì chiudendosi la porta alle spalle.
«Sì, per ora», rispose lui, schiarendosi la voce e guardandola per un istante, prima di iniziare a scendere le scale.
«Nel senso che ti tratterrai qui a Bradford ancora per poco?» indagò Emma, curiosa, mentre lo seguiva gradino dopo gradino. Era dietro di lui, quindi poteva osservarlo attentamente senza alcun freno, pronta a cogliere qualsiasi indizio.
Harry si voltò senza fermarsi, corrugando la fronte in un'espressione confusa e allegra. «No», la contraddisse. «Nel senso che sto cercando un appartamento per me».
«Ah, quindi...» Emma deglutì a vuoto, senza sapere come reagire a quella verità appena rivelata. «Quindi sei tornato per restare?»
«Sì», confermò lui, aprendo la porta del palazzo e lasciandola passare. «Per restare», ripeté sorridendo, seguendola lungo il vialetto ed oltre il cancello in ferro battuto.
Camminando fianco a fianco, restarono in silenzio per diversi minuti, avvolti esclusivamente dal rumore dei loro passi lenti. Molte volte si era chiesta cosa avesse spinto Harry a tornare a Bradford, ma era sempre stato più semplice per lei ipotizzare che presto se ne sarebbe andato un'altra volta: il fatto che stesse cercando un appartamento, invece, riusciva in qualche modo a confondere le sue certezze. Aveva cercato di nascondere la propria reazione evitando di guardarlo, di rispondere o di fermarsi sulla soglia della porta nel momento in cui aveva udito la sua risposta, ma non sapeva se ci fosse riuscita.
«Quindi», esordì lui, con il manifesto intento di smuovere la situazione. Era aumentata la tensione ed era evidente desiderio di entrambi ridurla a zero. «Sei fidanzata», continuò.
Emma schiuse le labbra e si fermò, obbligandolo a fare altrettanto. Lo scrutò per qualche secondo, senza riuscire a trattenere una smorfia incredula e divertita. «Non ci vediamo per anni e la prima cosa di cui vuoi parlare è il mio fidanzato?» domandò, sollevando un sopracciglio.
Harry alzò le spalle, con la finta innocenza a mascherare la sua furbizia. «È un argomento come un altro», si giustificò. «Ed è l'unica cosa certa che so di te».
Lei annuì dopo qualche istante e riprese a camminare, inspirando a lungo. Poteva sentire il suo profumo estraneo, che la distraeva dalla concentrazione che stava cercando di raggiungere: non sapeva nemmeno da dove iniziare, per parlare con Harry del suo ragazzo. Voleva solo una conferma o voleva sapere tutto?
«Sì, sono fidanzata», esclamò semplicemente. Non si sarebbe sbilanciata, risoluta nel dargli solo ciò che aveva l'intenzione di chiederle.
«È un bel ragazzo», commentò lui, così seriamente da provocare in lei una genuina risata.
Emma cercò i suoi occhi e non nascose l'ilarità della situazione. «Già», affermò, senza sapere cos'altro aggiungere. Tutto quello era irreale, assurdo ed in qualche modo imbarazzante.
«Non dovresti ridere in questo modo, quando qualcuno fa un complimento al tuo fidanzato. Perdi di credibilità», la rimproverò scherzosamente.
«Ma piantala», ribatté lei, dedicandogli una leggera gomitata nel fianco, che fece sorridere entrambi. Era bizzarro riuscire a divertirsi in quelle circostanze, con ancora troppe cose taciute ed in sospeso, e lo era ancora di più accorgersi di non appartenere più ad Harry. Un conto era saperlo mentre lui era e rimaneva a chissà quanti chilometri di distanza, un conto era averlo accanto e poterlo sentire.
«E da quanto state insieme?» chiese ancora Harry, invitandola ad attraversare la strada con un cenno del capo.
Emma controllò che non arrivasse alcuna automobile e camminò sulle strisce pedonali. «Quasi due anni», rispose, con una stretta allo stomaco. «Ci siamo conosciuti quando lui era appena arrivato in città ed io gli sono finita addosso con la macchina», aggiunse, sorridendo a quel ricordo. Presa dalla fretta di andare a lezione, non aveva calcolato bene la distanza dalla propria auto a quella che le era stata posteggiata dietro: era bastato ingranare la retromarcia e partire con un po' più foga del solito, per realizzare il danno. Miles era subito uscito dal bar nel quale si era fermato e, la volta successiva, ci era rientrato per poter offrire ad Emma qualcosa da bere.
«Hai preso la patente?» domandò Harry, incredulo.
«Era meglio così», confermò lei, stringendosi nelle spalle. Non voleva attribuire a lui troppe responsabilità, ma era come se, dopo la fine della loro storia, salire in macchina con qualcuno fosse diventato ancora più difficile. Forse a causa della ferita che si portava dietro. Forse a causa della mancanza di fiducia esasperata. Persino con Miles non era riuscita a raggiungere un completo grado di tranquillità, quando sedeva in un'auto altrui.
«E tu? Sei fidanzato?» domandò lei, decisa a non esporsi troppo, ma a ricavare quante più informazioni sarebbero state necessarie a placare la sua curiosità.
«No», negò Harry, senza aggiungere altro ma mantenendo un'espressione rilassata. Avrebbe voluto scoprire se si fosse innamorato in tutto quel tempo, se avesse avuto delle relazioni importanti oppure solo una serie di Denice in successione, quindi quella risposta la lasciava insoddisfatta.
«Adesso cosa fai? Lavori, studi?» incalzò lui, quasi a compensare la sua riservatezza distraendola.
«Sto studiando architettura, anche se in questo periodo non ho lezioni», spiegò, calciando un sassolino sulla propria strada. Senza alzare lo sguardo, seguì le azioni di Harry mentre si accendeva una sigaretta: non aveva perso il vizio. «Nel frattempo faccio da baby sitter ad alcuni bambini e lavoro come cameriera in un piccolo ristorante fuori città, tre giorni a settimana. Ho bisogno di risparmiare qualcosa, sai, per aiutare i miei».
Non ricevette risposta, quindi decise di sbirciarne il motivo: Harry aveva appena espirato del fumo, guardando a terra con l'accenno di un sorriso indecifrabile sul volto. Non le piaceva il non avere completo accesso ai suoi pensieri, o almeno non più.
«Non dici niente?» indagò, senza smettere di scrutarlo.
Lui sembrò riscuotersi ed incontrò il suo sguardo. «Riguardo cosa?»
«Riguardo te», replicò Emma, corrugando la fronte divertita per sottolineare l'ovvietà. «Insomma, credo che in sei anni tu ti sia costruito una vita a Bristol», esclamò, senza nemmeno sapere se fosse rimasto lì o se si fosse spostato anche in altri posti. «Ora che sei tornato stai già cercando un appartamento, quindi o sei ricco sfondato e te lo puoi permettere, oppure dovrai cercare un lavoro, a meno che tu non ne abbia già uno».
Le labbra di Harry si inclinarono lentamente, scoprendo i denti bianchi: sembrava si meravigliasse di alcuni suoi comportamenti. «A Bristol ho fatto il meccanico, il commesso in un negozio di scarpe e poi in un supermercato, ho insegnato basket ai bambini delle elementari per qualche tempo, in un centro ricreativo, e... Ah, ho anche distribuito stupidi volantini per la città», elencò saccentemente, alzando un dito della mano libera ad ogni lavoro nominato, nonostante sembrasse che la lista non fosse ancora terminata. «Quindi sì, ho un po' di soldi da parte, ma non sono ricco sfondato», continuò, ripetendo le sue parole quasi in una presa in giro.
Emma non rispose, intenta ad immaginarselo in ogni contesto ed in ogni sforzo compiuto per mantenersi. Presumeva che avesse preferito non continuare gli studi, ma non ne era sorpresa, perché durante la loro storia aveva sempre espresso la mancanza di determinazione nell'ambito scolastico.
«Ora mi tocca cercare qualcosa di più... Stabile. E redditizio», spiegò, mentre le palpebre si socchiudevano per il gesto di aspirare del fumo. Il tentativo di Harry di sistemarsi e di assicurarsi a qualcosa di certo destabilizzava Emma, almeno quanto il pensiero che non fossero più i due adolescenti che ricordava: entrambi dovevano confrontarsi con le proprie responsabilità, ormai, con i propri doveri e le aspirazioni che covavano nel profondo.
Improvvisamente, provò un forte dispiacere per non aver avuto la possibilità di vederlo crescere e maturare, affrontare una vita differente.
«Hai già qualche idea?» chiese allora, tentando di riacquistare il controllo sulle proprie emozioni.
Harry si voltò verso di lei e «No», esclamò in una leggera risata.
«Bene», commentò sorridendo.
Presto si accorse di essere succube del contatto visivo che stavano condividendo e che non sembrava volersi interrompere: continuavano a camminare, passi lenti e senza meta, ma le loro iridi erano più che ostinate nel volersi conoscere ancora, nel voler scoprire tutto ciò che non avevano osato chiedere. Le parole che li avevano avvolti, le chiacchiere che avevano riempito il silenzio originario, davano l'impressione di esser state un semplice diversivo: di nuovo, Emma percepì la cautela che nessuno voleva accantonare, il respiro che era meglio trattenere ancora per un po' prima di dover affrontare ciò che li seguiva in ogni gesto. 
La suoneria di un cellulare interruppe bruscamente quegli istanti troppo lunghi, così entrambi si riscossero distogliendo lo sguardo. Lei deglutì a vuoto e si strinse nelle spalle, fissando il cemento rovinato sotto i propri piedi.
Harry rispose al telefono, gettando a terra la sigaretta terminata. La voce dall'altra parte della cornetta sembrava maschile, ma le sue parole non erano distinguibili. 
«Sì, arrivo», esclamò lui, cercando per un istante gli occhi di Emma, che avevano appena compreso quanto breve sarebbe stato il loro incontro. «Che coglione», commentò ancora Harry, scuotendo la testa con un'aria divertita. «Aspettami lì», concluse.
Emma non proseguì oltre, attendendo l'inevitabile saluto: in fondo, si era presentata a casa sua senza alcun preavviso, dando per scontato che avrebbe avuto del tempo libero.
«Devo vedermi con Walton tra cinque minuti», si giustificò lui, con la voce ferma e seria.
«Sì, certo», lo rassicurò. «Avrei dovuto avvertirti prima di venire».
«A quanto pare hai perso l'abitudine», rispose Harry mostrando un sorriso provocatorio. Ed eccola lì, la sua accusa, la prova che il loro incontro mancato gli stesse ancora logorando lo stomaco: forse aveva cercato di trattenersi per tutto quel tempo, ma evidentemente non ci era riuscito.
«No», lo contraddisse Emma, pronta a difendersi. «Semplicemente, ho deciso di non chiederti nulla e di andare sul sicuro», raccontò, certa che lui avrebbe compreso il senso delle sue azioni.
«Anche quando dovevamo vederci al Wallace?» ribatté l'altro, inasprendo impercettibilmente l'espressione, ma continuando a guardarla intensamente. C'era stato un cambiamento di atmosfera tra i loro corpi, quasi come se le precauzioni fossero sul punto di cedere.
«Perché non sei venuta?» incalzò, senza darle il tempo di articolare una risposta.
«Ho avuto un imprevisto», sputò fuori Emma, aggrappandosi alle parole di Pete.
«Un imprevisto?» ripeté Harry, alzando un sopracciglio per la scarsa fiducia che voleva dimostrare. Le sue labbra continuavano ad essere increspate da un vago sorriso, ma erano nervose. «Quindi io sono rimasto lì ad aspettarti come un idiota perché questo imprevisto ti ha fatto perdere l'uso delle mani? Perché, insomma, non era difficile scrivere un messaggio. Oppure, al posto di spegnere il telefono, rispondere e dirmi chiaramente che-»
«Harry», lo riprese fermamente, come ad imporgli un freno.
Lui si interruppe e serrò la mascella.
Il suo sfogo si era sviluppato in crescendo, partendo dal tentativo di trattenersi ed evolvendo verso parole decise e rapide, sfuggite al controllo della bocca loro padrona. Eppure Harry non sembrava pentito, anzi, era risoluto nel ricevere una risposta: probabilmente la sua apparente buona condotta aveva rappresentato una mera maschera a ciò che invece era il suo istinto, quello che Emma aveva inizialmente ipotizzato e per il quale si era preparata.
La pretesa di sincerità era implicita, silenziosa ma insistente.
«Ero con Miles», disse a bassa voce, sostenendo il suo sguardo. Vi colse una crepatura di confusione, quindi si affrettò a precisare. «Il mio ragazzo».
Harry si mosse impercettibilmente, assottigliando gli occhi che avevano già cambiato sfumatura, ad esprimere la mancanza di convinzione: come se quella spiegazione non fosse sufficiente, sembrava aspettare qualcos'altro. Emma non pensò nemmeno per un istante che potesse essere geloso, perché era convinta che a guidarlo fosse solo il suo orgoglio oltraggiato.
«Avevi detto di essere libera», le fece presente.
Lei non era a suo agio nel parlarne: non perché fosse ancora stordita dal non appartenere più ad Harry, ma perché la spiegazione che lui ricercava andava a scavare nella sua intimità, in quella che condivideva con Miles e che le sembrava sin troppo delicata. Inoltre, non sopportava di essere giudicata così aspramente: in un'altra occasione sarebbe stato  ragionevole, ma non tra loro due, non dopo ciò che li aveva divisi e ciò che Harry aveva dimostrato.
«Smettila di guardarmi così», lo ammonì, incrociando le braccia al petto. Non le piaceva la pretesa ostinata che leggeva sul suo viso. «O vuoi davvero giocare a chi dovrebbe chiedere spiegazioni a chi?»
Il suo tono di voce era rimasto piatto, calmo nella sua decisione: non c'era la necessità di alterarsi, perché la verità era indiscutibile e lo sapevano entrambi.
Harry serrò le labbra, abbassò per un attimo lo sguardo e annuì lentamente. «No», rispose seriamente, tornando con gli occhi nei suoi. «Tanto so già come andrebbe a finire». Era una critica senza alcun velo, che li riportava indietro nel tempo a quando le incomprensioni erano all'ordine del giorno, a quando il darsi per scontati era la normalità.
Ad Emma scappò una breve risata incredula, mentre scuoteva la testa. «Ciao, Harry», lo salutò semplicemente, prima di voltarsi e camminare via dal suo corpo e dalla sua sfrontata sicurezza. Non si aspettava di certo di essere richiamata, né voleva che accadesse: non era ingenua e sapeva che, se davvero Harry avesse osato protestare o ribattere qualcosa, la situazione si sarebbe presto evoluta in una discussione, nella stessa che durante quella passeggiata avevano cercato di rimandare silenziosamente, sostituendola con parole ed ancora altre parole.

«Dio, perché  ti fai schiavizzare in questo modo?» domandò Emma, non appena fu entrata in cucina. La stanza era ancora immersa nei profumi della cena, nel tepore rilasciato dal forno utilizzato minuti prima e nella luce calda del lampadario pendente dal soffitto.
Zayn le dava le spalle, intento a caricare gli ultimi piatti nella lavastoviglie con lentezza e cura: la camicia nera e forse di una taglia in più lo rendeva ancora più magro di quanto già non fosse, tanto da sembrare sostenuta solo dalle sue scapole. I suoi capelli disordinati, la barba non rasata e gli scarponi neri e spessi costituivano elementi di contrasto, in quella scena in pieno stile casalingo.
«Non mi cadranno le braccia, se per una volta do una mano a tua madre», si giustificò lui, senza voltarsi a guardarla. Ormai riconosceva la sua voce senza doverla ricondurre ad un viso. «E a te non cadrà la lingua, se per una volta chiudi quella boccaccia».
Emma gli tirò giocosamente i capelli, passandogli accanto e sedendosi sul bancone vicino al lavandino. «Sei senza speranze, mi dispiace per te», replicò con un tono falsamente serio. Non era affatto la prima volta che Zayn si offriva di aiutare Constance in cucina, anzi, succedeva quasi sempre quando lui e Melanie li raggiungevano per cena: testardo come un mulo, non voleva sentire proteste o complimenti, né la sua fidanzata avrebbe mai potuto fargli cambiare idea.
«E tu sei...» Zayn si interruppe con un sospiro profondo, ricco di arrendevolezza, mentre scuoteva la testa con un sorriso.
«Ecco, appunto», lo sbeffeggiò Emma, vittoriosa. Era in grado di portarlo all'esasperazione: ormai li univa un rapporto quasi fraterno, nato grazie al consolidamento sempre più evidente della sua storia con Melanie - sfociata nella convivenza -, e non mancavano mai di stuzzicarsi o tormentarsi. Poteva orgogliosamente dire di essere quasi sempre la prima ad iniziare, ma anche l'ultima a finire: voleva fingere che lui non la lasciasse vincere per la maggior parte delle volte. Era troppo buono per risponderle a dovere, nonostante entrambi sapessero che ne sarebbe stato capace.
«È tornato Harry», cominciò lei, abbassando il tono di voce e dondolando le gambe nell'aria. Le chiacchiere in salotto facevano da sottofondo. «Lo sapevi?»
«Certo che lo sapevo», rispose Zayn, senza reagire in alcun modo. Aveva appena terminato il suo piccolo lavoro: chiuse lo sportello della lavastoviglie e la avviò, asciugandosi poi le mani con uno straccio appoggiato sulla cucina.
«E perché non me l'hai detto?» lo rimproverò, imbronciandosi appena. Non avevano mai parlato apertamente della questione, forse perché era talmente implicita per loro da non sentire la necessità di esprimerla a parole, ma Emma non poteva dire con certezza che lui e Zayn avessero mantenuto e migliorato i rapporti. Per questo aveva posto la domanda.
Lui la guardò per la prima volta negli occhi, mostrandole le ciglia nere e stanche. «Credevo non ti interessasse», rispose alzando le spalle, a metà tra la provocazione e la realtà.
Sì, perché in teoria non avrebbe dovuto interessarle.
«L'hai già visto?» le chiese dopo qualche istante.
«Sì», disse soltanto, senza spingersi oltre e chiedendogli silenziosamente di fare lo stesso. L'idea di commentare il loro incontro non la attirava particolarmente, perché stava ancora cercando di rielaborarlo e di sbarazzarsi della stizza che l'aveva invasa.
«Sai chi altro è tornato in città proprio oggi?» domandò allora Zayn, comprendendo le sue necessità e compensandole con ben altro. Aprì le labbra in un largo sorriso e si appoggiò all'isolotto al centro della cucina, standole di fronte.
Emma corrugò la fronte e «Chi?», curiosò.
«Louis», scandì bene l'altro, in attesa di una reazione prevedibile che non tardò ad arrivare.
«Che diavolo...?» borbottò lei, sbattendo le palpebre più volte. «Cosa...?» continuò. «Quando?» esclamò poi, alzando la voce. «Voglio dire, quando esattamente ha messo piede a Bradford senza nemmeno avvertirmi?! Voglio sapere l'ora e anche i minuti, perché più tempo è passato e più sarà cruento il modo in cui lo ucciderò!»
Zayn rise sguaiatamente, mentre Emma saltava giù dal bancone farfugliando insulti a labbra strette e cercando il proprio cellulare nelle tasche dei jeans. Non poteva credere che fosse davvero tornato ed era ovvio che non le importasse di non essere stata avvertita - ovvio -, perché non voleva altro che riabbracciarlo dopo cinque mesi di lontananza e messaggi vocali idioti su Whatsapp.
Digitò il suo numero di telefono e diede una falsa spinta a Zayn, che stava ancora ridendo. Attese pazientemente che si stabilisse la linea e, dopo soli due squilli, ricevette una risposta.
«Sai, ho scommesso venti sterline con quel coglione di Zayn che mi avresti chiamato entro i primi tre minut-»
«Louis Tomlinson, muovi il culo e vieni immediatamente qui!» 





 


Buongiorno!
Sono ancora mezza addormentata, quindi andrò per punti e spero di fare dei discorsi sensati ahahha
- Emma/Harry: ovviamente è lei a cercarlo, dato che è stata lei a sbagliare, ed il modo in cui si rapportano è abbastanza particolare. Emma stessa ragiona su questa diversità, definendola semplice cautela: voi cosa ne pensate? Spero di aver reso chiaro il concetto! (Ah, ho notato stupore per la "freddezza" di Emma nei suoi confronti, ma io non la definirei affatto così, anzi!)
In questo capitolo si scoprono un po' di cose su di loro: Harry è tornato sul serio, ha dato qualche indizio sulla sua vita a Bristol ed è single. Mentre anche Emma si sbottona un po', venendovi incontro: per chi se lo chiedeva, è fidanzata da quasi due anni con Miles, quindi potete capire che non sia proprio una storiella di poca importanza. E lavora e studia, ma non è una fotografa di professione, come qualcuno aveva ipotizzato :)
So perfettamente che la loro piccola passeggiata possa sembrare irreale, visto che arrivano anche a scherzare, ma ripeto, era tutta una facciata, un modo per tastare il terreno e per studiarsi un po', come quando si cerca di evitare il centro reale della questione: infatti, non appena se ne presenta l'occasione, le incomprensioni ricominciano senza problemi. Aspetto le vostre opinioni a riguardo, perché sono curiosa :)
- Emma/Zayn; Zayn casalingo è il top ahhaha Molte erano impazienti di sapere che fine avesse fatto, ma io non potevo anticipare niente: convive con Melanie e direi che il loro rapporto è ormai su un altro livello, ma si saprà qualcosa in più andando avanti con la storia. Anche il suo rapporto con Emma verrà approfondito!
- LOUIS: per chi non ha letto "It feels like I've been waiting for you" è un'incognita, quindi un personaggio nuovo (spero vi piacerà, ma credo di sì dai ahahha). Per chi invece già lo conosce, SORPRESA ahhaha In realtà avevo in mente di farlo entrare in scena già in LG, però poi ho cambiato idea etc etc: un po' mi mancava, quindi ho colto l'occasione :)
Detto questo, vi ringrazio come sempre per tutto quello che fate/dite/pensate!!!!!!!!!


Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 




       
    
  
  
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