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Autore: KuromiAkira    23/09/2014    3 recensioni
[HiroMido - What if. Presenza di OC.]
Una buona azione apre le porte ad un incubo.
Il lato oscuro della Luna veglia su un mondo privato del suo sole. E ora qualcuno ha deciso di riprendersi la luce... a qualsiasi costo!
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Xavier/Hiroto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note iniziali: manco talmente tanto da questo fandom che mi sento in ansia XD
Yo! Qualcuno si ricorda ancora di me?
Eccomi qui, finalmente, con la what if che avevo annunciato nelle note dell'ultimo capitolo di 'Revenge', una storia che ho iniziato a ideare tantissimi mesi fa, ho preso in considerazione l'idea di metterla davvero su scritto a ottobre e che ho iniziato a scrivere effettivamente a gennaio.
Siamo a settembre e non l'ho ancora finita.
La stesura di questa fiction è stata difficoltosa fin dall'inizio, non sto qui a spiegarvi tutto, sappiate solo che questo capitolo fa parte della terza versione della fiction.
Come già detto, non l'ho ancora conclusa, per cui non assicuro aggiornamenti veloci. Tra blocchi e lavoro, sto scrivendo poco e lentamente negli ultimi mesi.
Bando alle ciance, ho atteso anche troppo per pubblicare questo primo capitolo!
Ringrazio Princess Kurenai per avermi controllato il capitolo e in generale per aver acconsentito a controllarmi anche i successivi pur non conoscendo la serie. Ti aspetta un lavoraccio, amica mia XD








La spessa porta in pietra si aprì con un lungo e acuto cigolio che il silenzio dell'edificio contribuì ad amplificare.
Il giovane sussultò, bloccando l'azione a metà, e con il solo movimento degli occhi scrutò i dintorni per accertarsi che nessuno si avvicinasse. Appurato che la stanza fosse ancora deserta, oltrepassò in fretta la soglia.
La porta si richiuse di scatto, sbattendo rumorosamente, ma ormai a lui non interessava più.
Tre piccole sfere azzurrine volteggiavano sopra la sua testa, emettendo una fioca luce chiara che illuminava il corridoio, largo poco meno di un metro ma molto lungo.
L'ambiente era angusto e spoglio, sembrava essere stato costruito apposta per mettere in soggezione e scoraggiare dall'addentrarsi oltre.
Percorse con lentezza, quasi con cautela, la corsia delimitata ai lati da scure e imponenti mura, fino a quando la strada non si interruppe bruscamente, trasformandosi in ripide scale che scendevano al piano inferiore.
La gradinata portava ad un'ampia stanza piena di librerie. Dal soffitto aleggiava, quasi fosse nebbia, una tenue luce arancione.
Il fanciullo si guardò attorno qualche istante, solo per ricordare dove dovesse andare, poi si girò verso la propria destra e si diresse a larghe falcate in una particolare area. Si mise in ginocchio e iniziò a frugare tra gli scaffali più bassi.
Tra innumerevoli testi, uno attirò la sua attenzione. Ne studiò la copertina anonima, scura e ruvida, dallo stile antico. Sembrava un libro molto vecchio, e se lo rigirò tra le mani con attenzione. Infine lo aprì.
Lesse poche righe e, quando comprese l'argomento di cui parlava, il suo sguardo si riempì di incredulità.

Il sole estivo brillava nel bel mezzo dell'azzurro intenso del cielo, i raggi ardenti si riflettevano sui vetri delle finestre lasciate spalancate per permettere al vento fresco di riempire le stanze.
Dalle strade e dai giardini provenivano le allegre voci delle persone che, godendosi le vacanze, passeggiavano e giocavano all'aria aperta.
Ignorando i gioiosi rumori che provenivano dall'esterno, Hiroto sedeva sul letto della propria camera, con la testa bassa e le mani che stringevano le ginocchia.
I suoi occhi verdi erano fissi sul pavimento chiaro, e la sua mente ripeteva a memoria le parole che qualcuno gli aveva rivolto quella mattina.
Il Football Frontier International era alle porte, gli aspiranti campioni del mondo avevano iniziato da tempo a fantasticare sui rappresentanti, a sperare nella convocazione e, più in generale, a prepararsi psicologicamente al forte impatto che avrebbe avuto l'evento sugli studenti delle medie e sui fan del calcio.
Anche quell'anno Kiyama aveva ricevuto la telefonata del coach Hibiki, che lo invitava a presentarsi alla palestra della Raimon, nella città di Inazuma, per le selezioni.
Era una bellissima notizia! Quello sarebbe stato il secondo anno consecutivo nella Inazuma Japan, e l'attaccante, oltre ad essere lieto di avere l'onore di partecipare di nuovo, era anche ansioso di rivedere i suoi compagni di squadra che, non aveva mai avuto dubbi, sarebbero stati scelti come l'anno prima, pronti a sfidare il mondo ma anche a sfidarsi tra loro.
Sarebbe dovuto essere felice, e in parte lo era, se non fosse stato per un piccolo particolare: a quanto pareva, quella di ritrovare, almeno alle selezioni, tutti i compagni dell'anno precedente era stata una mera illusione!
A differenza della prima volta, infatti, l'anziano allenatore aveva rivolto l'invito solo a lui.
Hiroto stava provando a rievocare ogni piccolo particolare della chiamata dell'uomo, sperando di essersi scordato qualche parola, ma sapeva che era tutto inutile.
Midorikawa non era stato chiamato.
La probabilità che ci fossero nuovi elementi in squadra, con conseguente assenza di vecchi membri, era elevata, ma al ragazzo dai capelli rossi dispiaceva molto che proprio il migliore amico fosse stato escluso, sopratutto dopo che questi, lo scorso anno, aveva partecipato solo ed esclusivamente al girone asiatico prima di subire un infortunio che l'aveva allontanato dalla squadra per tutto il resto del torneo.
Dopo il suo ritorno come campione del mondo, Hiroto aveva ricominciato ad allenarsi con Ryuuji, e ripetevano spesso che, questa volta, avrebbero giocato per la vittoria fino alla fine.
L'ex-capitano della Genesis sospirò, sconsolato. Se fosse stato scelto sarebbe dovuto stare lontano dall'orfanotrofio per parecchie settimane, senza quindi poter vedere l'amico, e questo lo rendeva triste.
Ma a preoccuparlo maggiormente era la reazione del ragazzo dai capelli verdi. Midorikawa era molto orgoglioso, e sopratutto sperava davvero di aver l'occasione di giocare di nuovo con Endou e gli altri amici della Inazuma. Sicuramente, alla notizia della sua esclusione, ci sarebbe rimasto male e avrebbe sofferto; senza contare che Kiyama non era certo che Ryuuji avesse superato del tutto la paura di essere inferiore gli altri.
Per anni, proprio nel delicato periodo dell'infanzia, era stato insegnato loro che se non sei abbastanza forte vieni escluso, abbandonato da tutti. Parole che potevano segnare chiunque, sopratutto bambini già abbandonati dai genitori naturali come loro. E l'ex-capitano della Gemini Storm più di tutti aveva subito le conseguenze di quell'ingiusto insegnamento, che l'aveva condizionato anche ai tempi del primo torneo.
Era arrivato a sforzarsi e a farsi del male pur di evitare l'esclusione dalla squadra e fu proprio quella la principale causa del suo infortunio, poiché allenandosi più del necessario aveva compromesso la propria salute.
Non sapeva come l'avrebbe presa questa volta e, quel che era peggio, lui non sarebbe potuto rimanere accanto a lui per aiutarlo.
"È passato un anno da allora," si disse il ragazzo, "e ormai sembra aver riacquistato completamente fiducia in se stesso. Ma sicuramente sarà un duro colpo per lui, sapere che io sono stato selezionato e lui no."
Una smorfia distorse i bei lineamenti del suo volto.
Per anni Midorikawa era stato convinto di essere inferiore a gran parte dei ragazzi dell'orfanotrofio, sopratutto a lui, ex-capitano della squadra più forte della Aliea.
Ai tempi lui stesso era orgoglioso della propria forza, più per la stima che riceveva dall'adorato padre che per il confronto con gli altri suoi fratelli, ma non si faceva scrupoli a farlo pesare ai suoi sottoposti.
Per questo, in quel momento, Hiroto si sentiva quasi in colpa.
Essere ammesso alle selezioni al contrario di Ryuuji era come essere nuovamente superiore a lui, e temeva che questo pensiero attraversasse la mente del suo migliore amico. La sola idea lo faceva stare male.
Le sue riflessioni furono interrotte da un leggero bussare. Hiroto sollevò di scatto la testa, posando lo sguardo sulla porta.
- Avanti - mormorò incerto, quasi seccato. Non aveva voglia di vedere nessuno, in quel momento. Non era pronto ad annunciare ai suoi fratelli adottivi di essere stato convocato.
Al permesso del ragazzo, l'uscio si aprì lentamente, e Midorikawa fece capolino dietro di essa, sorridendogli.
Istintivamente Kiyama si irrigidì. Aveva davanti il suo migliore amico, ma era anche l'ultima persona con cui voleva avere a che fare in quel momento; si domandò ancora una volta quale sarebbe stata la reazione alla novità di quel giorno e fu con inquietudine che pensò di non voler offuscare quell'espressione gioviale.
- Ehi! - lo salutò allegramente il ragazzo dai capelli verdi, riscuotendolo nuovamente dai suoi pensieri. - Hai da fare? - domandò, col tono di chi sa di star facendo una domanda retorica.
- No, direi di no - rispose infatti l'amico, sorridendo appena.
- Allora ti va di fare due tiri? - propose, con un’espressione di impazienza sul volto.
Il calcio era il principale hobby di tutti gli orfani del Sun Garden, e le partite tra loro erano praticamente quotidiane, tuttavia quella mattina non ne era stata programmata alcuna, anche perché la maggior parte di loro era impegnata con i compiti.
Per cui quella richiesta era improvvisa e, sopratutto, capitava al momento sbagliato.
- Che hai? - domandò il ragazzo dagli occhi neri, notando l'espressione affranta dell'altro.
Hiroto si prese qualche istante di riflessione, poi sorrise e scosse la testa lentamente. - Nulla. Va bene - acconsentì, pur di non insospettire l'amico.

Il campo da calcio dove si allenavano solitamente gli orfani era poco distante dal Sun Garden.
Hiroto ricordava bene di aver calciato per la prima volta un pallone proprio in quel luogo pieno di ricordi piacevoli e meno piacevoli. Fu lì, d'altronde, che Kira Seijirou accarezzò per la prima volta l'idea di utilizzare il calcio e i bambini che accudiva come strumenti per consumare la sua vendetta.
Oltre lui e Midorikawa, in quel momento, non c'era nessun altro, cosa che capitava raramente, e i due si stavano limitando a qualche passaggio di riscaldamento.
Nonostante solitamente passassero anche ore intere a chiacchierare, in quel momento nessuno dei due parlò per parecchi minuti.
- Ti vedo pensieroso - esalò poi Ryuuji, bloccando la palla col piede e sollevando la testa per guardarlo.
Kiyama sussultò e ricambiò l'occhiata, colpevole. Era assorto e continuava a pensare all'anno precedente, e al fatto che prima o poi avrebbe dovuto avvertire gli altri di dover andare, a giorni, alla Raimon per le selezioni.
- Scusami. Hai ragione. -
- Non dovresti essere felice? Ho sentito che il coach Hibiki ti ha chiamato, oggi - gli disse il ragazzo dai capelli verdi.
Hiroto gli scoccò un'occhiata sorpresa, e l'altro rise. - Qui le notizie girano in fretta, prima ne stavano parlando tutti - spiegò poggiandosi entrambe le mani sui fianchi.
L'ex-capitano della Genesis non gli rispose, e distolse lo sguardo. Quella reazione preoccupò Midorikawa, che si avvicinò a lui.
- Cosa c'è? - chiese, sinceramente sorpreso. Non riusciva ad immaginare quale fosse il motivo di quella strana tristezza.
- Mi spiace esser stato convocato solo io - confessò il ragazzo dai capelli rossi, quasi in tono di vergogna.
Midorikawa sbatté le palpebre un paio di volte, poi finalmente comprese.
- Ah, adesso capisco - replicò con spensieratezza. Rise e poggiò le mani dietro la nuca. - Non devi preoccuparti per me - lo rassicurò poi, sorridendogli.
Hiroto tornò a guardarlo, studiando l'espressione dell'altro come se ci volesse trovare un accenno di delusione.
Ma Ryuuji continuò sorridergli - So di aver raggiunto il mio limite, me ne sono accorto parecchio tempo fa - spiegò con voce calma e un pizzico di rassegnazione. Osservò il campo dove, durante l'infanzia, giocava insieme ai suoi fratelli e sorelle.
Hiroto poté dire con certezza che anche lui stava rievocando vecchi ricordi.
- Ci siamo allenati insieme per molti mesi, Hiroto. Proprio qui. Ma, mentre tu hai continuato a migliorare sempre di più, i miei progressi si sono arrestati. È un dato di fatto, e sono certo che te ne sei reso conto anche tu - spiegò.
- Non dire così! - si oppose immediatamente Kiyama. Per qualche motivo non sopportava l'idea che Midorikawa pensasse certe cose, anche se forse erano solo la verità.
L'ex-capitano della Gemini Storm si voltò a guardarlo, stupito dalla sua reazione. Ma gli sorrise dolcemente. D'altronde, era proprio da lui preoccuparsi in quel modo per gli altri.
- Stai tranquillo. Ho avuto molto tempo per rifletterci, e ormai me ne sono fatto una ragione - lo rassicurò, parlando sinceramente. - Certo, inizialmente ci ho sofferto. So che tu hai più talento di me, e che non avrei mai potuto superarti. Ma ho sempre sperato di poter giocare insieme a te, nella stessa squadra, ancora una volta - confessò, quasi in un sussurro. - Ora va tutto bene, dico davvero. Sono contento per te. Sono certo che verrai scelto anche quest'anno. Farò il tifo per voi. -
- Io... - cercò di iniziare Hiroto, esitando. Comprendeva i sentimenti dell'amico, e sapeva che non stava mentendo. - Mi spiace non poter partecipare insieme a te - decise di concludere poi.
- Anche a me - replicò Ryuuji con un sospiro. Accorciò la distanza tra loro di un solo passo. - Avevamo promesso di giocare insieme fino alla fine, questa volta. Ma non è colpa di nessuno. Semplicemente, le cose stanno così - disse, scrollando le spalle.
Kiyama scrutò l'espressione dell'amico qualche istante, come per accertarsi che fosse sincero.
- Vinci, ok? - mormorò poi il ragazzo dai capelli verdi. - Ti aspetterò qui. Non rinuncerò a giocare insieme a te, anche se non in un torneo ufficiale. -
A quelle parole, l'attaccante fece un profondo respiro.
In quel momento ebbe quasi voglia di dichiararsi.
Da parecchio tempo, infatti, covava sentimenti intensi per il migliore amico, sentimenti che i primi tempi aveva persino cercato di ignorare.
Il timore di rovinare il bel rapporto che si era instaurato durante il loro primo FFI era molta, ma il suo affetto per Ryuuji andava via via intensificandosi e non era certo di riuscire a tener nascosto ciò che provava a ancora a lungo.
Tuttavia presto si sarebbero separati, seppur temporaneamente. Dichiararsi proprio in quel momento avrebbe comportato diversi disagi per entrambi, sia in caso di risposta negativa che positiva.
Decise di trattenersi ancora una volta.
"Quando tornerò!" pensò improvvisamente. "Quando tornerò gli rivelerò i miei sentimenti" promise a se stesso.
Con questa nuova determinazione, Hiroto poté finalmente sorridergli e annuire.
- Bene, continuiamo? Ti metterò alla prova, per accertarmi che tu non faccia figuracce alle selezioni! - scherzò Midorikawa.
Hiroto rise. Anche se non aveva più ragione di preoccuparsi per l'amico, sicuramente sarebbe stata dura stare senza di lui per mesi interi, proprio come lo era stata l'ultima volta.
Ryuuji fu pronto a calciargli il pallone, tuttavia un rumore li distrasse.
Midorikawa si bloccò con la gamba a mezz'aria, ed entrambi si voltarono verso destra dove, oltre un muretto alto poco più di due metri che si interrompeva proprio vicino al campo, c'era la strada.
Proprio in quel punto una sagoma scura sbucò barcollando da oltre muretto e s’inginocchiò a terra emettendo un profondo gemito.
Intuendo subito che una persona stava avendo un malore, i due ragazzi uscirono dal campo correndo e in pochi secondi piegarono vicino al malcapitato.
- Ehi! Stai bene? - esclamò Hiroto. Poggiò la mano sulla spalla del ragazzo, che si copriva il volto con entrambe le mani pallide, sfiorando col dorso la folta capigliatura chiara che, con i raggi del sole calante, prendeva sfumature arancioni, e iniziò a scuotere lievemente il corpo.
- La luce - gemette lo sconosciuto, con voce sofferta e bassa.
- La luce? - ripeté Ryuuji, guardandolo confuso.
- La luce... è troppo forte - mormorò allora l'altro, strizzando le palpebre come se non volesse effettivamente lasciarvi passare i raggi.
Cercò di sollevarsi, ma lo sforzo fu eccessivo e si accasciò addosso a Ryuuji. Lui sussultò - Ehi, fatti forza! - esclamò, senza successo.
Il ragazzo dai capelli verdi si voltò verso Hiroto.
- È svenuto - constatò.
Kiyama si guardò attorno. Non stava passando nessuno. Sospirò e abbassò la testa per osservare lo sconosciuto.
- Ha detto che la luce era troppo forte - ricordò. - Dobbiamo spostarlo da qui. Facciamolo sedere oltre il muro, lì almeno c'è l'ombra. Poi chiameremo qualcuno - propose.
Midorikawa annuì e, aiutato dall'amico, sollevò il ragazzo e lo portò senza troppa fatica vicino al campo.
Lì lo fece sedere con la schiena poggiata al muretto.
Hiroto sperò che questo bastasse, poiché non c'erano edifici dentro cui potesse portarlo.
Midorikawa si accucciò davanti al ragazzo e, con Hiroto, lo osservò: era un ragazzo giovane, sicuramente poco più grande di loro, alto e molto magro. I capelli erano corti, bianchi e spettinati, con ciuffi ribelli che andavano in ogni direzione, come se non fossero mai stati pettinati. La lunga frangia gli ricadeva sugli occhi e il volto, dall'espressione dolorante, era molto pallido e sudato.
Nonostante la stagione, vestiva completamente in nero: la maglia era semplice, dalle maniche lunghe, ma all'altezza dei gomiti e del busto c'erano due cinturini diagonali, anch'essi neri e con dettagli argentati, che si intrecciavano a formare una 'X', che passavano dall'interno all'esterno attraverso innumerevoli strappi al tessuto della maglia. I pantaloni erano lunghi e tenuti stretti alla vita con un altro cinturino identico agli altri. Ai piedi portava degli stivali che gli arrivavano fino al polpaccio.
- Più che la luce, non avrà avuto un malore a causa del caldo? - rifletté, voltandosi verso Kiyama. - Non possiamo lasciarlo qui. -
Hiroto fece un cenno d'assenso e camminò fino alle panchine, dove lui e Ryuuji avevano lasciato gli effetti personali.
Nei paraggi non c'era anima viva, e certamente non potevano lasciarlo lì attendendo che si ridestasse, per cui non potevano che chiamare qualcuno.
Prese il cellulare e compose il numero del Sun Garden. Avrebbe chiamato qualcuno dei suoi fratelli adottivi. Non sembrava tanto grave da chiamare un'ambulanza, per cui decise semplicemente di portare il ragazzo in orfanotrofio: dentro casa era decisamente più fresco.
Mentre parlava con An, tornò accanto a Midorikawa, che intanto aveva iniziato a detergere il volto del ragazzo con l'asciugamano, poi attesero l'arrivo di qualcuno.
Non dovettero attendere molto: dopo nemmeno cinque minuti udirono delle voci chiacchierare allegre dalla strada e, riconoscendole, Ryuuji si alzò e si affacciò nella strada, dove ben presto vide An, Izuno e Hiromu.
- Ah, eccovi! Ma non c'era bisogno di venire in tre! -
Izuno scrollò le spalle. Lui era il più robusto e forte degli orfani, per cui An era andata a chiamare lui; tuttavia la ragazzina, avendo saputo da Hiroto che c'era un ragazzo bisognoso di aiuto, non era riuscita resistere alla curiosità e l'aveva seguito.
Entrambi ignoravano il motivo per cui anche Miura era andato con loro, ma d'altronde il ragazzo dai capelli castani era un enigma per la maggior parte di loro.
Fu An la prima ad avvicinarsi al muretto, raggiungendo Hiroto e lo sconosciuto.
- Che bel ragazzo! - esclamò subito l'ex-giocatrice della Prominence, accovacciandosi vicino al ragazzo e osservandolo con interesse. - Lo conoscete? -
Midorikawa, prima di rispondere, scrollò le spalle. - Mai visto prima d'ora. Si è sentito male e non è il caso di lasciarlo qui con questo caldo - spiegò, raggiungendola insieme agli altri due fratelli.
- Izuno, ti spiacerebbe portarlo in spalla? L'orfanotrofio è vicino, ma io e Midorikawa non ce l'avremmo mai fatta a portarlo lì da soli - fu la richiesta di Hiroto.
- Nessun problema, lasciate fare a me! - affermò l'ex-attaccante della Genesis con un gran sorriso. - Ma siete sicuri di volerlo portare al Sun Garden? -
- Perché no? Gli orfanotrofi esistono per ospitare i ragazzi in difficoltà, poco importa se è una cosa temporanea - replicò Kiyama con un sorriso rassicurante. - Quando si riprenderà lo accompagneremo a casa, suppongo. -
Izuno si convinse e, annuendo, si voltò e si accucciò per permettere agli altri di mettergli il ragazzo in spalla.

Non fu difficile spiegare la situazione a Hitomiko, la vera sfida fu informare e frenare la curiosità degli altri inquilini dell'orfanotrofio e portare lo sconosciuto in una delle numerose camere da letto incolume.
Il ragazzo venne spogliato almeno della maglia, davvero troppo pesante per utilizzarla in una stagione così calda, e lasciato riposare nella camera che Ryuuji condivideva con altri tre ex-membri della Gemini Storm.
Midorikawa si prese la responsabilità di rimanere con lui, mentre la proprietaria del Sun Garden preparava, insieme agli altri, una porzione in più per la cena.
Hiroto la aiutò assieme al gruppo che era di turno a cucinare. Al Sun Garden, infatti, ognuno contribuiva alle numerose faccende domestiche quotidiane.
Tuttavia, dopo il pasto serale, il ragazzo non si era ancora svegliato, così, sparecchiando, Hitomiko chiamò Ryuuji e Hiroto.
- Capisco che è stato male, ma ormai si è fatto tardi, i suoi genitori si staranno preoccupando. È meglio svegliarlo e riaccompagnarlo a casa - affermò.
I due annuirono, comprendendo le ragioni della sorella maggiore, ma subito An e Ai si avvicinarono alla sorella maggiore e protestarono.
- Perché? - fu la domanda di un perplesso Ryuuichirou, che non si trattenne dal puntare col dito le due sorelle adottive.
- An-chan si è infatuata di quel tizio appena l'ha visto - fu la spiegazione divertita di Izuno. - Sai com'è fatta, probabilmente si sarà già immaginata un'avvincente love story tra lei e quel ragazzo. -
- Ah - fu il solo commento dell'ex-Zell della Aliea Academy, non riuscendo a fingersi sorpreso. - E Ai? - volle poi sapere.
- Ai nemmeno l'ha visto in faccia - si intromise Shuuji, sbuffando e incrociando le braccia al petto, osservando l'unica persona con cui aveva legami di sangue. - Dà man forte ad An solo per fare la sciocca. -
Hiroto e Midorikawa preferirono ignorare le sorelle e salirono indisturbati al piano superiore.
La stanza era completamente buia.
Memori del lamento del ragazzo, si erano preoccupati di chiudere le persiane per non disturbarne il riposo.
Decisero anche di evitare di accendere la luce ma, una volta vicino al letto, non poterono non accendere l'abat-jour.
La persona che avevano soccorso era nella medesima posizione di quando l'avevano adagiato sul materasso, e respirava talmente piano che quasi non si sentiva.
In parte gli dispiaceva svegliarlo, ma Hitomiko aveva ragione, per cui Ryuuji iniziò a scuoterlo delicatamente. - Ehi - lo chiamò piano.
Dovette fare un paio di tentativi, ma infine lo sconosciuto aprì gli occhi. Rimase pochi istanti immobile, ancora assonnato, poi strizzò le palpebre e si voltò di scatto verso il muro, dalla parte opposta a dove proveniva la luce della abat-jour, ulteriore prova che la luminosità gli dava effettivamente fastidio.
Midorikawa si voltò verso Hiroto, che subito comprese e si pose tra il letto e la lampada, in modo da limitare la luce.
- Scusa - sussurrò poi l'ex-capitano della Gemini Storm, tornando a guardare il ragazzo. - Come stai? -
Il ragazzo si voltò verso di lui, sebbene con evidente sforzo, come se quella poca luce che gli arrivava fosse abbastanza per disturbarlo. La sua smorfia di fastidio mutò subito e sbatté le palpebre molte volte con sorpresa, come se non credesse a quello che stava vedendo.
- Laan Kahyan... - mormorò, con voce roca.
Ryuuji piegò appena la testa di lato. - È tutto ok? Ti senti ancora male? - domandò, cortese, avvicinando la mano al suo volto per capire se era ancora sudato o meno.
Non gli fu concesso, poiché lo sconosciuto gli afferrò il polso in una presa decisa e forte.
- Laan Kahyan! - ripeté il ragazzo dai capelli bianchi, sollevandosi col busto e mettendosi in ginocchio sul materasso.
- Ehi, aspetta... - volle interromperlo l'altro, non capendo le parole del ragazzo, ma lui non sembrò disposto a volerlo ascoltare.
- Finalmente vi ho trovata! - esclamò, sorridendogli. - Vi scongiuro, dovete seguirmi! Dovete tornare indietro! -
- Aspetta un secondo, temo ci sia un equivoco! - affermò Midorikawa, in difficoltà a causa dell'entusiasmo dell'altro. Probabilmente l’aveva scambiato per qualcun altro, ma non voleva essere scortese con una persona che era stata male e che, probabilmente, era ancora debole.
Cercò quindi di limitarsi a sottrarsi alla presa ferrea del ragazzo ma Hiroto lo anticipò, frapponendosi tra loro e osservando serio il volto dello sconosciuto.
- Dovresti cercare di calmarti - consigliò, col tono più conciliatorio che riusciva a fare in quel momento.
L'altro sembrò accorgersi di lui solo allora, e sembrò turbato. La sorpresa gli fece lasciare il polso di Midorikawa.
- E tu chi saresti? - gridò poi, arrabbiato. - Togliti di mezzo! - ordinò, allontanandolo col movimento del braccio.
A Ryuuji sembrò di vedere, anche se solo per un istante, un'ombra partire dalla mano dello sconosciuto ma non ebbe tempo di pensarci: Kiyama cadde a terra come se spinto con violenza, sbattendo la schiena.
- Hiroto! - lo chiamò, voltandosi preoccupato verso l'amico.
Ma lo sconosciuto lo prese nuovamente per il polso, questa volta con più forza.
- Finora ho vissuto per trovarvi - gli disse, osservandolo con severità. - Non potete rifiutare, non dopo così tanto tempo! - urlò, e la sua voce sembrava disperata.
- E lasciami! - questa volta Midorikawa si allontanò subito, e fece qualche passo indietro. - Devi avermi scambiato per qualcun altro - lo informò, massaggiandosi l'arto dolorante.
- No - si mostrò subito contrariato lui, alzandosi dal letto.
- Midorikawa, fai attenzione! - lo avvertì Hiroto, rialzandosi e tornandogli vicino, osservando lo sconosciuto con sospetto.
Aveva infatti sentito una forza spingerlo all'indietro, poco prima, ma era certo che nulla lo avesse toccato.
Era strano.
- Non tornerò indietro senza di voi. Noi... noi abbiamo bisogno di voi! - gridò il ragazzo dai capelli bianchi, irrigidendosi e stringendo i pugni.
La luce nella stanza era flebile, ma abbastanza per far comprendere subito ai due orfani del Sun Garden che le ombre avevano iniziato a distorcersi in modo strano.
Sembrarono allungarsi verso di loro, fino ad inglobare ogni minima luce.
La strana ombra si divise poi in innumerevoli tentacoli che si muovevano volteggiando attorno al ragazzo.
- Sapevo che vi avrei trovata qui, in questo mondo di luce - mormorò, sollevando lo sguardo. - Nessuno ci credeva, ma io sapevo! Non rimane più molto tempo. Laan Kahyan, vi prego, dovete seguirmi - intimò, tendendo la mano verso di lui.
- Si può sapere chi diavolo sei? E chi sarebbe 'Laan Kahyan'? - urlò Ryuuji, spaventato da ciò che stava accadendo ma anche irritato dal comportamento di quello sconosciuto. - Io non ti conosco, devi aver sbagliato persona! -
- So che non mi conoscete - rispose lui sorridendogli, ignorando le altre domande. Avanzò verso di lui, e subito Hiroto cercò nuovamente si mettersi tra loro, spingendo delicatamente l'amico all'indietro.
- Cosa vuoi da Midorikawa? - volle comprendere l'ex-capitano della Genesis, lanciando un'occhiataccia all'interlocutore.
- Allontanati! - ordinò ancora lo sconosciuto, duramente.
Una strana energia, causata dal movimento delle ombre, scaraventò all'indietro entrambi.
Midorikawa sbatté contro la parete e subito le ombre avvolsero le sue gambe, trattenendolo a terra.
Al tatto quegli oscuri tentacoli sembravano inconsistenti, tuttavia ben presto Ryuuji provò un forte bruciore, come se gli stessero grattando via la pelle.
Gemette di dolore, ma si sforzò di tenere gli occhi aperti, per poter osservare lo sconosciuto, che si stava lentamente avvicinando a lui.
- Perché volete continuare a fuggire? - chiese, tristemente. - Il vostro risentimento verso di noi è talmente grande? -
Si accucciò di fronte a lui e sollevò il braccio verso il suo volto. Tuttavia, l'arto non sfiorò la pelle di Midorikawa, poiché Hiroto si era rialzato e, prima che lui potesse toccarlo, lo colpì con un pugno, facendolo sbilanciare e cadere all'indietro.
Era raro che Hiroto alzasse le mani su qualcuno, ma in quel momento sentiva che il suo migliore amico era in grave pericolo, per cui non era riuscito a trattenersi, né a nascondere lo sguardo d'odio in direzione dello sconosciuto
- Non avvicinarti! - gridò, stringendo il pugno come avvertimento.
- Sei uno scocciatore! - ribatté l'altro, voltandosi verso di lui pur rimanendo seduto a terra e sollevando un braccio.
Una strana aria si sollevò dirigendosi verso Hiroto, che la percepì come se fossero innumerevoli lame. Quando cadde a terra era effettivamente coperto di ferite.
- Hiroto! - lo chiamò Ryuuji, allarmato. Cercò di muoversi, ma le ombre lo trattenevano e le gambe bruciavano ancora.
"Com'è possibile?" si chiese intanto Kiyama, cercando di rialzarsi pur affannato. Aprì a fatica gli occhi e ansimò. "Era semplice aria?" rifletté, mentre sentiva chiaramente il suo corpo dolere per le ferite.
Non avevano a che fare con qualcosa di umano, e questa consapevolezza gli fece provare sensazioni che aveva provato altre volte in passato.
Lo sconosciuto si rialzò e lo guardò.
- Non permetterò a un tanyanie come te di intromettersi - sibilò, aprendo la mano. - Hiya! - disse, e nella sua mano apparve una sfera di luce azzurra, ad ulteriore conferma della natura non umana del ragazzo.
- Hiroto, vattene! - gridò Midorikawa, intuendo ciò che stava per accadere.
Il ragazzo si preparò ad attaccare ma improvvisamente la luce si accese e le ombre sparirono.
Lo sconosciuto gemette di dolore e abbassò lo sguardo. La sfera d'energia si spense all'istante e lui si inginocchiò, ansimando, proprio come se la luce lo ferisse in qualche modo.
- Cosa sta succedendo? - esclamò Hitomiko, entrando nella stanza insieme ad altri orfani e osservando i presenti con severità.
Il ragazzo vestito di nero fece schioccare la lingua sul palato, in segno di stizza e, pur a malincuore, dovette ammettere di non essere più nelle condizioni di combattere e di dover rinunciare al suo obbiettivo.
Poggiò la mano sul pavimento. La sua stessa ombra si distorse e il ragazzo iniziò a sprofondarvi lentamente all'interno, lasciando i presenti pietrificati.
Prima di sparire del tutto, il ragazzo lanciò un'ultima occhiata a Midorikawa.
- Tornerò! - lo avvertì. - La mia missione è di riportarvi nel luogo che vi è dato, Laan Kahyan! - dichiarò, dileguandosi e lasciando gli altri immobili sul posto.
Ci furono degli istanti di silenzio, poi Mureta Hachirou, ex-centrocampista della Epsilon, boccheggiò.
- L-l'avete visto anche voi, vero? - domandò, dubitando di ciò a cui aveva appena assistito.
Nessuno gli rispose e nessuno sembrò riuscire a fare nulla fino a quando Hiroto non si sollevò e si accostò a Midorikawa, notando l'anomalo rossore nei suoi arti inferiori.
- Stai bene? - chiese.
- S-sì - rispose poco convinto, sentendo ancora le gambe bruciare. - E tu? - ricambiò poi, preoccupato per le ferite che l'amico aveva su tutto il corpo.
Non sembravano profonde, ma non c'era da fidarsi.
Hiroto fece un cenno con la testa. - Io sto bene - gli disse, aiutandolo ad alzarsi.
Ryuuji barcollò, come se non riuscisse a stare in piedi da solo. Le gambe bruciavano e sentiva la pelle tirare al più lieve movimento. Hitomiko decise di dare una mano a Kiyama.
- Cos'è successo? Chi era quello? - domandò, sorreggendo Midorikawa.
- Vorremmo saperlo anche noi, sorella - commentò semplicemente Hiroto, voltandosi con cipiglio preoccupato verso il punto dove quel ragazzo era sparito. - Davvero, vorremo proprio saperlo. -

Un solo pesante passo fece sollevare di qualche centimetro la sabbia dalla terra arida, nel silenzio della notte.
Il ragazzo dai capelli bianchi era ora circondato da grossi e maestosi alberi dalle fronde immobili. Non c'era alcun alito di vento, lì.
Lentamente e barcollando, indebolito dalla luce e dallo sforzo di utilizzare i suoi poteri, avanzò qualche passo e sollevò la testa, per osservare il letto di un imponente edificio scuro a pochi chilometri di distanza.
Sentiva il capo girare e il corpo pesante. Poggiò la mano destra su un tronco per sorreggersi e, con l'altro arto, si sfiorò la fronte.
- Se continuo in questo modo, esaurirò le mie energie - sussurrò. - Non posso permettermi di cedere, non ora. -
Decise quindi di fermarsi lì e riprendere le forze per un po'.
Attese il minimo necessario, qualche minuto, giusto il tempo per trovare la forza di procedere fino al luogo che considerava la sua casa.
Ma peccò di impazienza e, dopo pochi passi, barcollò ancora pericolosamente e rischiò di accasciarsi al suolo, se non fosse per qualcuno che, afferrandolo per le spalle, gli impedì di rovinare a terra.
- Sai! - si sentì chiamare, la voce familiare di un ragazzo. - Sai, fatti forza! -
Il ragazzo dai capelli bianchi aprì lentamente gli occhi, proprio mentre veniva raddrizzato e sorretto dal proprietario della voce.
La sua vista era annebbiata, ma riuscì a riconoscere i suoi amici. - Mirai. Sanae - sussurrò cercando di attirare la loro attenzione.
- Brutto idiota, che fine avevi fatto? - esclamò una voce femminile. - Dove sei stato, tutto questo tempo? -
- Sanae, per cortesia, abbassa la voce - sussurrò Mirai, con gentilezza. - La magia nel suo corpo è quasi esaurita, - notò, allarmato, - dobbiamo portarlo a casa e farlo riposare. -
- Amici miei... - sussurrò Sai con voce appena udibile. - Io... io ce l'ho fatta. Laan Kahyan. Ho trovato Laan Kahyan - rivelò, prima di perdere i sensi.
Le sue ultime parole non furono sentite e, in pochi minuti, il bosco rimase deserto.
  
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