Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: StarFighter    24/09/2014    10 recensioni
AU_Anna è al suo primo anno di college alla NYU ed è alla disperata ricerca di qualcuno che le faccia compagnia alla scoperta di tutti i divertimenti che New York ha da offrirle. Ma per quanto si sforzi, non riesce ad instaurare un rapporto d'amicizia con chicchessia: la sua coinquilina, Merida, a stento le rivolge la parola e i suoi compagni di corso si ignorano l'un l'altro. L'unica che potrebbe iniziarla ai piaceri della città che non dorme mai, è sua sorella Elsa, che vive lì da molto più di lei; ma Elsa, che non vede da tre anni, si rifiuta di incontrarla, adducendo scuse su scuse.
Anna non sa spiegarsi il suo comportamento e quando la sua vita prende la piega che si aspettava, decide di volerla lasciar perdere. Ma il destino la conduce da lei, rivelandole i suoi 'sporchi piccoli segreti', e Anna non sarà più tanto sicura di voler scoprire i piaceri nascosti di New York city.
(Crossover con altri film Disney).
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Jack, Frost, Kristoff
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 6: Take me home

 

Continuava a rigirarsi quella coppa di Dom Perignon tra le mani da troppo tempo ormai. Il liquido dorato, era diventato caldo ed imbevibile, ma avere qualcosa con cui tenere occupate le mani, lo rilassava. Se non fosse stato altrimenti, avrebbe di certo tirato un pugno a uno dei suo fratellastri, che si erano riuniti come un piccolo coro a cappella, in un angolo dell’enorme salone principale del Waldorf Astoria, chiacchierando animatamente delle loro famigliole perfette, delle loro conquiste di una notte, o semplicemente di quanti soldi avessero guadagnato quel giorno, ignorandolo completamente.

Ma a lui andava bene così: rimanere semplice spettatore di tutto quell’andirivieni di uomini d’affari e ricche ereditiere, lo faceva sentire come un giudice super partes.

Aveva mentito ad Anna, quando le aveva detto che i galà mondani non gli interessavano, perché non era vero: i lustrini e l’oro erano il suo elemento naturale, come l’oceano per uno squalo. Lui c’era cresciuto in tutto quel lusso inutile, conosceva pregi e difetti di ognuna delle persone che popolavano quella sala, gli piaceva vestirsi bene e sguazzare nella superficialità di quella gente, il cui unico pensiero, era rimpolpare i propri conti bancari alle Cayman.

Aveva amato più di una di quelle donne finte e calcolatrici, strette in vestiti griffati, con parure di diamanti, che gli lanciavano occhiate provocatorie, a cui lui rispondeva con un lieve sorriso: tutte storie di una notte e via, perché per quanto potessero essere belle, nessuna di loro meritava davvero la sua considerazione. Tutte troppo vuote, nonostante avessero studiato nelle università più prestigiose del mondo, come delle bambole a molla, che ripetevano un certo numero di frasi, all’infinito.

Quando a quella festa aveva visto Anna, aveva subito pensato che si trattasse di una di quelle, ma quando aveva aperto la bocca, dalle sue soffici labbra non erano usciti fuori i ricchi resoconti delle proprietà di paparino. Non ricordava come, ma erano finiti a parlare dell’arte e del bello, più in generale: Anna sembrava intendersene e restare ad ascoltare, tra tutto quel vuoto chiacchiericcio, le sue considerazioni sulle opere di Monet e Renoir, era stato per lui un piacere. Aveva capito subito che lei era diversa e quando l’aveva salutata, si era reso conto troppo tardi di non averle chiesto nulla più che del suo nome.

Ritrovarla tra le strade innevate di New York, era stata una piacevole sorpresa, e con suo grande stupore, il suo cuore aveva fatto una capriola quando l’aveva vista con il viso rigato di lacrime.

Non aveva la bellezza sofisticata delle donne che di solito frequentava, ma quella più semplice e genuina di una ragazza qualunque, e stranamente la trovava più attraente di molte altre. E poi, da quello che ne sapeva, le rosse erano tutte fuoco e fiamme: di certo non si sarebbe annoiato con lei.

Quella serata, a cui l’avevano trascinato a forza, si stava protraendo troppo, per i suoi gusti e non c’era nulla di interessante con cui far passare il tempo, nemmeno un giocattolino carino: erano tutte accompagnate da fratelli e padri iperprotettivi. Se non fosse accaduto nulla di interessante nei successivi trenta minuti, avrebbe tolto le tende.

Ed invece qualcosa accadde. Qualcosa che cancellò dalla sua mente Anna, i suoi fratelli e la gente stipata nella sala.

Fu come se un fulmine lo avesse colpito in pieno petto, facendogli perdere la cognizione di quello che aveva attorno, lasciando che la sua mente si concentrasse solo sull’elettricità che gli circolava in corpo.

Da una delle porte del salone, entrò Mr Ades, che a dirla tutta era fondamentalmente un ospite  onnipresente a serate del genere, ma quello che catturò la sua attenzione, furono senza ombra di dubbio le due bellissime ragazze che portava sottobraccio. Una bionda e una bruna. Ma la prima aveva qualcosa che la seconda non aveva: una grazia nei movimenti, simili a quelli di un felino. Aveva tutta l’aria di uno di quegli animai pericolosi, da cui non riesci a distogliere lo sguardo, troppo preso da tanta bellezza, come una tigre siberiana a caccia.

Un viso di porcellana, incorniciato da capelli così biondi da sembrare fatti di candida neve, su cui spiccavano gli occhi, due acquemarine finemente tagliate. Aveva qualcosa di esotico, ma familiare al tempo stesso, qualcosa a cui non sapeva dare un nome. La stoffa argentata del vestito che indossava, fasciava perfettamente la sua figura, mettendo in risalto le curve giuste, lasciando ben poco all’immaginazione. Era come se fosse vestita di stelle.

Ades si fece strada tra la folla di ospiti, trascinandosi dietro le due ragazze, attirando gli sguardi di molti ospiti, e si fermò proprio davanti a suo padre, Mr Westerguard. Il capo, come lo chiamava lui, salutò calorosamente il nuovo arrivato con una stritolante stretta di mano, ignorando le due ragazze, che si staccarono da Ades e si confusero tra la folla. Ma due tipe del genere non potevano passare inosservate: passeggiavano per la sala, con gli occhi di tutti gli uomini e di tutte le donne puntati su di loro, incuranti dei risolini o delle cattiverie che queste ultime riversavano loro addosso.

Aveva già visto quella spettacolare creatura, in precedenza, all’annuale crociera sull’Hudson che suo padre aveva organizzato per festeggiare il 4 Luglio. Aveva calamitato la sua attenzione fin da subito, con quella sua aria altezzosa, la postura rigida e l’indifferenza agli sguardi degli uomini presenti. Non aveva parlato con nessuno se non con la sua compagna, scambiandosi occhiate tetre, e con Jack North, uno dei suoi migliori amici. Cosa avesse North che gli altri presenti non avessero, non era riuscito a capirlo, stava di fatto che solo in sua compagnia la ragazza, di cui non conosceva nemmeno il nome, aveva sorriso: un sorriso timido e quasi tirato, ma che le aveva illuminato gli occhi.

Anche quella sera, non fece eccezione: Hans le tenne gli occhi puntati addosso, fissandola con malcelata curiosità da un angolo della sala, mentre lei scivolava silenziosa come un’apparizione, facendo attenzione a non urtare nessuno, guardando sempre davanti a sé, senza incrociare lo sguardo di nessuno. Qualcosa era cambiato dall’ultima volta che l’aveva vista: la luce di fiera dignità, che le aveva visto brillare negli occhi, aveva lasciato il posto ad uno sguardo opaco ed insicuro, quasi spento. Stava cercando qualcuno tra la folla, se ne rese conto quando la vide fermarsi e guardarsi attorno. Cercava qualcuno che accorresse in suo aiuto, glielo leggeva negli occhi.

La tentazione di avvicinarsi fu troppo forte per metterla a tacere, e con passo certo si fece strada verso di lei, salutando con un gesto del capo alcuni suoi conoscenti. Non aveva uno scopo preciso: voleva solo sentire la sua voce.

-“Cerchi qualcuno in particolare?”- le chiese senza troppi preamboli, arrivandole alle spalle.

La vide sobbalzare impercettibilmente, mentre si voltava verso di lui, recuperando una postura rigida e una faccia neutra: “No.”- rispose solamente, fissandolo negli occhi.

-“Quindi posso offrirmi di essere il tuo salvatore per questa sera?”-

-“Da cosa dovrei essere salvata?”- fece lei, alzando un sopracciglio chiaro, interrogativa. Aveva ragione, la sua voce era quanto di più melodioso avesse mai sentito.

-“Ah, non saprei, ma la tua faccia mi dice che questo non è il posto dove vorresti essere al momento.”- lei si strinse le mani, come per nasconderne il tremore –“Credimi, gettarsi nella vasca degli squali da soli non è granché, meglio se si è accompagnati. Come si dice: un problema condiviso è un problema dimezzato.”- le sorrise affabile.

-“Ti crea problemi, rimanere qui? Non mi sembri il tipo da disprezzare una serata del genere.”- puntualizzò lei , distogliendo lo sguardo, facendolo vagare sulla sala.

-“No, affatto. Ma senza una compagnia decente, anche la festa migliore perde d’interesse. Ti andrebbe di farci compagnia a vicenda?”- fece una pausa studiata, per osservare la sua reazione.

-“Non conosco nemmeno il tuo nome…di solito non do corda agli sconosciuti.”- ribatté fredda.

-“Perdona la mia mancanza, sono un maleducato: Hans Westerguard.”- fece un piccolo inchino, portandosi la mano destra la petto.

-“Oh, tu sei il figlio di…”- la ragazza lo guardò con gli occhi spalancati, gesticolando verso la folla.

-“Del grande capo, si.”- confermò lui sorridendo-“E tu sei?”

-“Elsa.”- soffiò fuori.

Come la sorella di Anna? Che strana coincidenza.

-“Elsa e …?”-

-“Elsa e basta!”- scattò lei.

Hans rimase per un momento interdetto, ma lasciò perdere il suo comportamento: “Allora, Elsa e basta, andiamo a bere qualcosa?”-propose.

-“Se posso evitare, non bevo.”- rispose diplomaticamente, stringendo ancora di più le mani.

Hans sembrò contrariato dalla risposta, ma non le fece pressione, perché la vide osservare qualcosa e spalancare gli occhi, impaurita. E all’improvviso si ritrovò una delle sue piccole e affusolate mani, nell’incavo del gomito.

-“Ma se insisti.”- blaterò, mentre lo conduceva verso il free bar, sul lato lungo della sala.

Hans si lasciò condurre in silenzio, ma prima si voltò verso la cosa che l’aveva fatta impallidire: Mr Ades li fissava scuro in volto, seguendo ogni passo di Elsa con uno sguardo indecifrabile, ma quando si accorse di essere osservato, gli rivolse un sorriso inquietante e un veloce saluto con la mano.

Un brivido gli scese lungo la schiena, e l’unica cosa naturale che gli venne da fare, fu stringere la mano fredda di Elsa.

 

-“Cavolo, passala! Passa quella palla, maledetto egoista!”- Anna aveva già da un po’ cominciato ad inveire poco finemente verso il megaschermo. Al suo terzo drink, era scesa dallo sgabello e si era avvicinata per sentire meglio il commento dei cronisti, sovrastato dal vociare della clientela. Dei ragazzi le avevano fatto posto al loro tavolo, invitandola a bere con loro e lei aveva accettato su di giri.

Da quando era quasi caduta sui suoi stessi passi, Olaf non le aveva tolto un attimo gli occhi di dosso, per paura che potesse succederle qualcosa. E poi, una ragazza sola e brilla, nel bel mezzo di un branco di bestioni esaltati, non lasciava presupporre nulla di buono.

Lui e Kristoff si erano fermati un momento per osservare l’azione di gioco: “Dai passala.”- commentò Olaf-“ Perché non la passa?”- chiese poi rivolgendosi al cugino, che gli rispose facendo spallucce, senza staccare lo sguardo dal megaschermo –“Secondo te la sa passare?”- continuò.

Intanto sullo schermo, il quarterback continuava a correre, dopo aver superato con una finta la prima linea di difesa sulla linea delle 50 yards. Il ricevitore si sbracciava sulla linea delle 20, cercando di smarcarsi dai due corner back che gli alitavano sul collo. Da un momento all’altro il quarterback avrebbe di sicuro lanciato. Doveva farlo, altrimenti l’azione sarebbe stata un fallimento. Superò illeso anche la seconda linea difensiva e nel pub c’era già chi gridava al miracolo, poi caricò il destro e tirò la palla verso il fondo sinistro del campo. La palla ovale atterrò direttamente tra le braccia del ricevitore, intento a zigzagare tra gli strong safety, l’ultimo baluardo della difesa avversaria.

Nel pub scese il silenzio, mentre diverse persone rimasero con il fiato sospeso, pronti per esultare: tra questi c’era Anna.

Quando la palla rimbalzò sull’erba verde della meta, scoppiò il caos. L’ovazione che seguì il touchdown fu qualcosa di emozionante. Anna gridò così forte da farsi male alla gola, e abbracciò i suoi compagni di bevuta, esultando felice: “Si,si, si!”

I pochi tifosi della squadra avversaria, rimasero muti a scuotere il capo demoralizzati. Olaf improvvisò un balletto, imitando il ballo della vittoria in cui si stava esibendo, a bordo campo, il giocatore che aveva appena segnato.

-“È davvero imbarazzante, smettila.”- commentò Kristoff, mentre si allontanava di un passo dal cugino.

Olaf si fermò nel mezzo di un moonwalk sgangherato e lo fissò serio: “Ma tu sai divertirti?”

A salvare il proprietario del pub, dallo sguardo omicida del cugino, ci pensò Anna, che arrivò tutta sorridente e traballante: “Non posso crederci, non ci speravo nemmeno! Ma te lo immagini? I Denver Broncos alla finale del Super Bowl!”- si riaccomodò sullo sgabello che aveva abbandonato poco prima- “Devo chiamare mio padre, starà esultando anche lui. Deve assolutamente procurarsi i biglietti per la finale.”-si sporse per recuperare il cellulare dalla borsa e quasi cadde.

-“Tutto okay?”- le chiese Olaf preoccupato.

-“C-credo di si. Mi gira solo un po’ la testa, non è nulla, sono stata in condizioni peggiori.”- gli scoccò un sorriso divertito-“ Te lo avevo detto che riuscivo a reggere,no?!”-.

Dietro di lei, arrivò uno dei ragazzi del tavolo dove era stata invitata poco prima: “Ehi rossa, bicchierino della staffa?”- le chiese, sedendosi sullo sgabello libero al suo fianco.

-“Prima di tutto io sono Anna.”-disse alzando un dito-“E secondo non so davvero cosa sia un bicchiere della staffa! C’entrano  per caso i cavalli?”- chiese ingenuamente, sorridendo.

-“Sei uno spasso.”- esclamò il ragazzo, battendo una mano sul bancone, facendo sobbalzare Olaf -“No, intendevo l’ultima bevuta prima di andare via. Ci stai?”

-“Ma certo!”- esclamò felice Anna, attirando lo sguardo severo del proprietario del pub.

La ragazza era chiaramente alticcia e sembrava non essersi resa conto del faccia poco raccomandabile del tizio seduto al suo fianco: “Anna, so che non sono fatti miei, ma direi che per stasera può bastare, no?”- cercò di farla ragionare, avvicinandosi a lei, per non essere sentito dal tale.

-“Ehi, piccoletto, servici da bere e non discutere! È quello il tuo mestiere, no?”- intervenne il tizio, che cominciava ad assumere un’aria poco affidabile, ogni minuto che passava.

Olaf rimase interdetto per pochi secondi e fece per rispondere a tono, quando Anna lo anticipò,lasciandolo con la bocca semiaperta, pronto a ribattere: “Aspetta che? Non osare rivolgerti al mio amico in questo modo!”-

-“Andiamo rossa, non c’è bisogno di prendersela tanto.”- cercò di metterle un braccio attorno alle spalle-“Stavo solo scherzando, vero piccoletto?”-

Anna si scansò indignata, mentre Olaf gli rivolgeva uno sguardo omicida.

-“Smettila di chiamami così, ti ho già detto che mi chiamo Anna!”- protestò lei, alzandosi a fronteggiarlo-“ E lui è Olaf e non è un piccoletto…è solo un po’ più basso.”-

Olaf fece un colpo di tosse, alzando un sopracciglio, scoccandole uno sguardo dubbioso.

Anna si riprese dal lapsus: “Ehm, volevo dire che è basso, ma è un concentrato di zucchero, cannella e ogni cosa bella!*” –

La ragazza stava straparlando più del solito, lasciando che le parole sconnesse, che le si formavano in testa, fluissero libere sotto la spinta dell’ebbrezza , attraverso le sue labbra screpolate.

-“Non sapevo fossi una Power Puff Girl!”- scoppiò a ridere il tizio, indicando Olaf.

-“Anna!”- si lamentò il piccoletto, voltandosi verso di lei.

-“Che c’è?”- chiese, scuotendo le spalle, ignara del casino che aveva appena fatto.

-“ Allora, questo bicchierino quando arriva?”- continuò imperterrito il tizio.

-“Bevitela da solo la tua staffa!”- borbottò Anna, recuperando la sua borsa per uscire.

Il tizio l’afferrò per la vita, prima che potesse fare due passi: “Te ne vai così? Senza nemmeno il bacio della buonanotte?”- le alitò in faccia, stringendola di più.

Anna cercò di divincolarsi, aggrappandosi al suo braccio con le unghie laccate di rosso: “Lasciami andare, brutto…”-

Olaf cercò di scavalcare il bancone, cadendo rovinosamente in terra tra gli sgabelli, per aiutare l’amica.

-“Ehi, toglile le mani di dosso.”- intervenne una voce alle loro spalle.

Il tizio si voltò verso Kristoff, che era accorso non appena aveva visto Olaf cadere goffamente.

-“E tu chi diavolo sei, per dirmi quello che devo fare, eh?”- gli chiese alzandosi a fronteggiarlo, continuando a tenere ferma Anna, che per quanto si applicasse, non riusciva a liberarsi dalla presa ferrea di quell’idiota, che ora fronteggiava l’idiota del caffè: “Il suo ragazzo?”

-“No, sono…suo fratello.”- sputò fuori Kristoff, cercando di mantenere il sangue freddo.

-“Sul serio? Non vi assomigliate per niente.”- ridacchiò, spingendolo indietro con una mano.

-“Abbiamo un padre diverso.”- proruppe Anna, cercando di dare manforte al biondo-“Ora, dopo la spiegazione del nostro albero genealogico, ti dispiacerebbe lasciarmi…andare?”- continuava a dimenarsi senza esito.

-“Sentito mia sorella? Lasciala subito, altrimenti ti ritrovi con il culo nella neve nel giro di tre micro secondi.”- continuò Kristoff, facendosi sempre più vicino al tizio, sovrastandolo con la sua altezza.

Il braccio che teneva ferma Anna si allentò, fino a lasciarla completamente libera.

-“Ehi, stiamo calmi. Volevo solo divertirmi un po’.”- esclamò facendo un passo indietro.

-“Con me? Hai sbagliato persona, fratello.”- gli rispose Anna, aggiustandosi il maglione sgualcito, e agitando un dito davanti alla faccia del tizio.

Kristoff la osservò ondeggiare paurosamente, quasi stesse perdendo l’equilibrio, e prima che potesse cadere addosso all’idiota o con la faccia sul pavimento, l’afferrò per mano, tirandola su: “Calmati furia scatenata, il tuo amico se ne sta andando, vero?”-

Il tizio scoccò un’altra occhiata ad Anna e poi alla mano di Kristoff che la teneva ferma: “Non c’era bisogno di tutta questa scena, te la puoi tenere. Non mi interessano i giocattoli di qualcun altro.”- poi si girò e raggiunse il gruppo di amici che aveva lasciato al tavolo.

Anna cercò di avventarsi su di lui, ma Kristoff la tenne ferma: “Credo sia ora che tu torni a casa.”- le disse facendola sedere.

-“Già, lo credo anch’io.”- disse Olaf, massaggiandosi il fianco dolorante-“La accompagni tu? Posso finire io qui.”-

-“Che?”- proruppero entrambi.

-“Posso farcela da sola, non ho bisogno della tata.”- sbottò lei.

-“Io non porto la gente a casa.”- si lamentò lui.

Olaf li fissò per pochi secondi, prima di puntare il dito verso Anna: “Tu non lascerai questo posto, se non accompagnata da qualcuno di mia fiducia.”- si voltò verso Kristoff- “E tu sei l’unico di cui mi fidi al momento. E poi lei non è ‘gente’! Lei è Anna, una delle mie clienti affezionate e da ora anche ottima amica.”- sorrise alla ragazza.

Le labbra di Anna si piegarono in un morbido sorriso, prima che le parole di Olaf giungessero al suo cervello in tutta la loro chiarezza: “Senti, Olaf apprezzo il fatto che ti preoccupi per me, ma…”

-“Shh!”- la zittì lui.

-“Ma io…”-cercò di continuare.

-“Shh-shh!”-le puntò un dito alle labbra-“ Niente obiezioni. Ci vediamo Anna. Dormi bene.”- le augurò dandole un buffetto sulla guancia, lasciandola senza parole.

-“Kristoff, noi ci vediamo domani. Mi raccomando portala a casa sana e salva.”- aggiunse allontanandosi.

I due rimasero a fissarlo, senza muoversi, poi si voltarono l’uno verso l’altra e i loro sguardi si incrociarono per un imbarazzante secondo, prima che lui si schiarisse la voce: “A-aspetta qui, i-io devo prendere le chiavi.”-

Anna lo guardò avventurarsi nel retro del pub e uscirne qualche minuto dopo con un mazzo di chiavi in mano e il cappotto addosso, quello su cui gli aveva versato il caffè, da come poteva dedurre dall’alone scuro sul petto.

Lui si avviò verso l’uscita, aspettando che Anna lo seguisse, ma lei rimase seduta a guardarlo con un’aria strana: “Allora, vieni?”- le chiese sospirando scocciato.

Anna si riscosse e recuperando la sua borsa lo seguì fuori, in silenzio.

-“Senti, non c’è bisogno che mi accompagni, davvero. Ce la faccio anche da sola e poi io abito a qualche isolato da qui, potrei prendere la metro.”-

-“Non se ne parla. Se Olaf viene a sapere che ti ho lasciata vagare per le strade di New York”- si fermò a guardare l’orologio-“…all’una di notte! Cavolo non pensavo fosse così tardi. Comunque non me lo perdonerebbe mai.”- disse, scrollando il capo.

-“Se ci tieni tanto…beh, allora portami a casa.”- accettò, seguendolo barcollante sul marciapiede, fino ad una macchina nera-“Non posso crederci, ma voi maschi siete fissati con le Mustang? Cos’è vi impiantano la voglia di averne una nel codice genetico?”- sbuffò, guardando la vecchia macchina, tirata a lucido.

-“Spero tu stia scherzando! Questa è una Impala del ’67, della Chevrolet…non ha nulla a che vedere con una Mustang.”- le rispose accarezzando la carrozzeria e aprendo lo sportello del guidatore.

-“Si, è lo stesso. Per me una vale l’altra.”- lo liquidò, salendo al posto del passeggero, battendo la testa.

-“Ce la fai a salire o ti serve una mano?”-

-“Ehi, non sono ubriaca, mi gira solo un po’ la testa.”- in realtà vedeva quasi doppio e la testa le vorticava come sulle montagne russe, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di cadergli davanti agli occhi.

-“Come vuoi.”- tagliò corto, mentre lei chiudeva lo sportello-“ Metti la cintura.”-

Lei obbedì come una brava bambina, tirò la cintura e cercò con tutta la buona volontà di inserirla al suo posto, ma non riusciva a capire quale, delle due fessure che vedeva, fosse il congegno per fermare la cintura.

Kristoff la guardò, cercando di non ridere: “Hai fatto?”- le chiese facendola trasalire.

Anna alzò lo sguardo su di lui, lo fissò attraverso i capelli che le erano sfuggiti dalle trecce, imbarazzata: “Ehm, potresti…”-

Click. La cintura era la suo posto, senza che lei avesse avuto il tempo di concludere la frase.

Quando il rumore del motore riempì il silenzio dell’abitacolo, Anna si accasciò contro lo schienale del seggiolino, sospirando: chi avrebbe mai pensato che l’idiota del caffè, sarebbe potuto diventare il suo salvatore! Doveva ringraziarlo. Se non l’avesse fatto subito, ne era certa, se ne sarebbe dimenticata.

-“Garzie…p-per prima.”- biascicò a metà tra il sonno e la veglia –“Gli idioti come quello meritano di essere presi a calci.”-

-“Anch’io  allora, perché secondo il tuo giudizio rientro nella categoria degli idioti.”- la punzecchiò, mentre sostavano ad un semaforo.

Anna ci pensò su un attimo: “Nah, stai facendo passi avanti: ora sei nella categoria finto-fratello-che-non-sapevo-di-avere-che-mi-ha-salvata-dall’imbecille-di-turno. Continua così e potresti anche diventarmi simpatico.”-

Il sorriso che gli vide spuntare sulle labbra, mentre ripartiva, le fece attorcigliare lo stomaco, o forse era solo quello che aveva bevuto che le si stava rinfacciando. Così impari a bere a stomaco vuoto, idiota.- si accusò, chiudendo gli occhi e scivolando in un piacevole torpore.

 

 

Elsa stringeva tra le mani il bicchiere, come se da esso dipendesse la sua stessa vita, mentre ascoltava con poco interesse quello che il rampollo Westerguard aveva da dirle. Megara la fissava dal fondo della sala, con uno sguardo preoccupato, scoccando delle rapide occhiate tra lei e Ades, che chiacchierava animatamente con un nutrito gruppo di lupi di Wall Street.

Hans era stato un’ottima scappatoia, prima che Ades la costringesse a fare compagnia a qualcuno dei suoi vecchi amici. Era stato gentile e finora non aveva fatto passi falsi, le aveva offerto da bere e si era lanciato nel riepilogo delle storie scandalose dei presenti, quindi per il momento era al sicuro.

-“Vedi quello laggiù?”- le disse indicando un vecchio con il doppiopetto e un sigaro tra le dita-“Quello è Joe Dallas, uno dei petrolieri texani più ricchi della nazione. Ha settant’anni suonati, tre matrimoni alle spalle, una decina di figli e continua ad importunare le giovani ragazze. È un giocatore incallito di poker e proprio il mese scorso, ha perso un ranch di sua proprietà con una mano sfavorevole.”- sorrise tra sé, sorseggiando il suo Martini.

-“Perché  mi stai raccontando tutto questo?”- gli chiese, cercando di capire dove volesse andare a parare con tutte quelle storielle indecenti.

-“Solo per dimostrarti che non devi temere questa gente. Anche loro hanno dei segreti e delle debolezze.”- le sussurrò in un orecchio.

Il suo fiato caldo, contro la pelle delicata del collo, le fece correre un brivido lungo la schiena: “Io non ho paura di queste persone.”- disse in un soffio, guardandolo negli occhi.

-“I tuoi occhi dicono il contrario, cara Elsa. La paura è una cosa che non si può nascondere. Affiora in superficie senza che tu possa far nulla, con piccoli segni evidenti: le mani che tremano, le pupille che si dilatano.”- le disse posandole una mano, sopra le sue, chiuse attorno al bicchiere, fermandone il tremito-“ Chi è, che ti fa tanta paura qui dentro?”- le accarezzò una guancia con il dorso della mano, libera dal Martini.

Lei si fermò a fissarlo in quegli occhi di un verde innaturale, per capire cosa si nascondesse dietro tanto interesse, mentre tratteneva il respiro. Si scostò brusca, facendo un passo indietro: “I-io devo andare, è stato un piacere fare la sua conoscenza signor Westerguard.”- si affrettò a dire, prima di essere bloccata da un braccio attorno alla vita.

-“Els, vedo che hai conosciuto il figlio del capo di tutta la baracca.”- le sorrise il nuovo arrivato-“Come va West?”- chiese porgendogli una mano.

Lei tirò un sospiro di sollievo, nello specchiarsi negli occhi chiari del suo amico Jack.

-“Bene, prima che arrivassi tu, North.”- Hans strinse la mano dell’amico di controvoglia, dato che gli aveva appena rubato il suo passatempo.

-“Di che stavate parlando? Spero non di me, mi offenderei a morte.”- fece fintamente offeso.

-“In realtà, me ne stavo andando.”- puntualizzò Elsa.

-“Direi che ritirata strategica, si addice di più a quello che stai facendo.”- la provocò Hans, scoccandole uno sguardo divertito.

-“Bene allora, che ne dici se ti accompagno io a casa?”- le chiese Jack, ignorando il commento dell’altro.

-“Si. Portami a casa.”- lo supplicò quasi lei, stringendosi al suo braccio, non staccando lo sguardo dagli occhi magnetici di Hans.

-“Come desidera mia regina.”- scherzò Jack-“West, è stato un piacere rivederti. Dovremmo vederci qualche volta, per una partitella o che ne so.”- gli disse sorridendo.

-“Si, certo.”- lo liquidò Hans recuperando il suo Martini e svuotando il bicchiere in un sorso, mentre li guardava allontanarsi verso l’uscita.

Quando Elsa si voltò a guardarlo un'ultima volta, prima di varcare la porta, decise che sarebbe stata sua, in un modo o nell’altro. Al diavolo tutto il resto: se poteva averla Jack North, di certo poteva farcela anche lui.

 

 

-“Grazie.”- gli sussurrò una volta che furono da soli.

-“Elsa, non devi ringraziarmi. Finché potrò salvarti da certe situazioni, lo farò sempre.”- Jack fissava la strada davanti a lui, tenendo una mano sul volante e l’altra stretta a quella di lei.

-“Spero tanto che finisca tutto e in fretta.”- si lamentò nel buio della macchina.

-“Lo spero tanto anch’io. Tooth non vorrebbe vederti in questo stato, le si spezzerebbe il cuore se fosse qui.”-

Silenzio. Solo silenzio, pesante come un macigno.

-“Credi che ce la farò?”- una lacrima le scese lungo la guancia, mentre guardava fuori dal finestrino.

-“Non ho dubbi. Sei più forte di quanto tu creda.”-

Ancora silenzio.

-“Credo che tutti voi riponiate troppa fiducia in me.”-

 

 

La macchina inchiodò all’improvviso, riscuotendola dal suo improvviso attacco di narcolessia, e facendole rivoltare lo stomaco. Spalancò gli occhi di botto, portandosi una mano alla bocca.

-“Siamo arrivati.”- disse con calma Kristoff, voltandosi verso di lei e cominciando ad agitarsi alla vista della sua faccia pallida e delle mani saldamente premute sulle sue labbra-“Qualcosa non va?” le chiese, sperando che lei non gli rispondesse quello che temeva.

-“Sto per vomitare.”- Anna confermò le sue paure, mugugnando in disappunto.

-“Non pensarci nemmeno per sogno!”- sbottò lui-“Ho appena finito di pagarla.”- cominciò ad agitarsi sul seggiolino mentre combatteva contro la cintura, per togliersela.

-“Avresti dovuto pensarci prima di inchiodare a quel modo! Un aereo che atterra, frena con meno forza di te!”- gli rispose stizzita, portandosi una mano allo stomaco, sentendo che l’attacco di nausea cominciava a scemare. Scese con non poca fatica dalla macchina, mantenendosi allo sportello chiuso.

Si voltò a guardare l’enorme palazzone grigio dove abitava e una domanda le sfuggì dalla bocca: “Come facevi a sapere dove abito?”- spalancò gli occhi, colta da una nuova rivelazione-“ Oh mio dio, sei uno stolker. Stai indietro sono cintura nera di shiatsu.”- gli intimò portando i pugni chiusi davanti alla faccia. Che strano, vedeva quattro delle sue mani.

Kristoff sospirò sfinito dal suo modo di fare: “Se vuoi stendermi a colpi di massaggi, fa pure.”- ridacchiò della sua espressione contrariata- “Sta tranquilla, me l’ha detto Olaf.”- la rassicurò, voltandole le spalle e avviandosi verso l’entrata -“E poi non sei il mio tipo.”- blaterò sottovoce.

Anna abbassò la guardia e lo seguì verso l’entrata. Una volta dentro l’ascensore, si lasciò scivolare vicino alla parete di metallo: “Guarda che non c’era bisogno di accompagnarmi fino alla porta.”- gli disse senza alzare lo sguardo dalla punta dei suoi stivali.

-“Io sto salendo al mio piano.”- replicò con poco entusiasmo, stropicciandosi gli occhi. Era stata un giornata davvero pesante e non vedeva l’ora di buttarsi con la testa sul cuscino, per dormire fino al mattino successivo.

-“Abiti anche tu qui?”- gli chiese sorpresa, mettendosi dritta.

Lui annuì semplicemente, mentre le porte dell’ascensore si aprivano sul pianerottolo illuminato:“Allora, buonanotte.”- la salutò.

-“Cosa? No, questo è il mio piano, non esiste al mondo che tu possa abitare qui e che io non me ne sia mai accorta!”- uscì in fretta, prima che le porte dell’ascensore si richiudessero-“Com’è possibile?- chiese al nulla, avvicinandosi alla porta del suo appartamento.

-“I misteri della vita.”- borbottò lui, mentre infilava le chiavi nella toppa della sua porta.

Anna intanto cercava di fare lo stesso, con miseri risultati: fece cadere le chiavi e abbassandosi a raccoglierle, un capogiro fece capitolare anche lei. Si tirò su a sedere, con la schiena rivolta verso la soglia, sbuffando. Ok, era così tanto ubriaca che non riusciva ad aprire la porta e a rimanere in equilibrio per più di tre secondi, e allora?

-“Serve aiuto?”- la sua voce,troppo  vicina, la fece trasalire. Lei lo guardò, mentre le tendeva una mano per rialzarsi. La tirò su e lei gli mise le sue chiavi in mano: “So che avevo detto che ce la facevo, ma ti dispiacerebbe…”- gesticolò verso la porta ancora chiusa, mentre vi si poggiava con tutto il suo peso.

Kristoff rovistò tra le varie chiavi e ne provò alcune, mentre Anna chiudeva gli occhi per l’ennesima volta, senza che lei potesse fare nulla per evitarlo. Quando sentì la serratura scattare ne fu sollevata, e fece un passo dentro il piccolo appartamento.

-“Da qui in poi ce la faccio da sola, grazie. Non credo serva che tu mi porti a letto.”- biascicò, mentre lanciava la sua borsa da qualche parte al buio, ignara di quello che aveva appena detto.

La faccia di Kristoff cambiò cinquanta sfumature di rosso in pochi secondi: “Oh, beh…okay. C-ci vediamo.”- fece per andarsene, sollevato che il suo compito fosse finito, ma un tonfo e parolacce dette a denti stretti, lo fecero tornare sui suoi passi.

-“Sto bene, s-to bene. Sono solo inciampata.”- cercò di difendersi.

Sospirò demoralizzato, mentre l’aiutava per la seconda volta a mettersi in piedi: perché lo faceva? Ormai era arrivata a casa, era un problema suo se cadeva e ci rimaneva secca sul pavimento. Avrebbe potuto tranquillamente chiudere la porta del suo appartamento dietro di sé e scivolare nel mondo dei sogni, senza doversi preoccupare della sorte di quella svampita.

-“Sto bene, davvero, ma…”- si voltò per ringraziarlo, ed incrociò il suo sguardo caldo e rassicurante, così diverso da quello che gli aveva visto nella metro o quello che le aveva rivolto quella stessa sera al pub. Trattenne il fiato, mentre lui la guardava di rimando, tenendola ancora stretta per…quale motivo?

-“Lasciala immediatamente o per quanto è vero che gli scozzesi indossano il kilt, ti ficco questa su per il…”- Merida sostava sulla porta della camera, imbracciando l’arco armato, puntandolo verso Kristoff.

-“Woah! Mai sei pazza.”- esclamò lasciando andare Anna, che barcollò all’indietro presa alla sprovvista, cercando di recuperare l’equilibrio.

-“Mer!”- scattò verso l’amica, facendole abbassare l’arco, che sembrava molto fuori luogo tra le quattro mura di un appartamento per collegiali-“Ti sembra il modo?”- la rimproverò.

-“Anna, ma quanto hai bevuto?”- Merida si scostò dall’amica.

-“Un po’.”-

-“Un po’ quanto? E lui chi diavolo è?”- protestò, indicandolo bruscamente.

-“Ehm, io sono quello che toglie le tende e se ne va a dormire.”- Kristoff uscì alla svelta, evitando di guardare l’invasata con l’arco.

-“No, tu non vai da nessuna parte! Ora mi dici perché Anna è in queste condizioni e…”- cercò di seguirlo.

-“Mer! Lascialo stare, mi ha solo riaccompagnata a casa.”- la rabbonì, mettendosi a sedere sul divano.

-“Ma come…?”-

-“Chiudi la porta, la luce mi fa male agli occhi.”- si lamentò, lanciandole un cuscino-“Christofer, ti devo un favore!”- urlò poi, indirizzata al ragazzo che aveva battuto in ritirata, barricandosi nel su appartamento.

-“Anna!”- Merida chiuse di scatto la porta, facendo sobbalzare la coinquilina per il rumore, che nelle sue orecchie ubriache rimbombava come il motore di un jumbojet.

-“Shhh!”- la zittì-“Ne parliamo domani.”- Anna si stese sul divano, premendosi un braccio sugli occhi, troppo pesanti per tenerli aperti.

-“Non finisce qui.”- l’avvertì la scozzese.

 

 

 

 

NdA: come butta bella gente? Ho aggiornato alla velocità della luce secondo i miei standard…spero siate felici almeno la metà di quanto sono felice io d’aver postato ;)

Allora non ho nulla da dire, perché tipo questo capitolo è la continuazione del precedente. Spero solo vi sia piaciuto.

Ho alcune cose da chiarire: non conosco il football americano e per descrivere un’azione mi sono dovuta documentare su Wikipedia, quindi se ho detto cavolate lasciatemele passare XD I Denver Broncos sono la squadra di Denver appunto, la capitale del Colorado, lo Stato da dove viene Anna nella mia ff, per questo lei tifa questa squadra. Inoltre i Broncos sono stati per davvero alla finale del Super Bowl quest’anno, che poi abbiano perso contro i Seattle Seahawks è un altro discorso XD

Anna dice che Olaf è un concentrato di “zucchero, cannella e ogni cosa bella” e il tizio molesto ride, dicendo che non sapeva che lui fosse una Power Puff Girl. Spiegazione: le PPG sono le Superchicche, non so se qualcuno di voi se le ricorda e la sigla diceva che il loro creatore aveva usato zucchero, cannella e ogni cosa bella, per realizzarle. Forse spiegata non fa più ridere, ma tant’è…XD

La macchina di Kristoff, l’Impala del ’67, è la macchina dei fratelli Winchester di Supernatural e mi piaceva per lui.Ora avete capito che mi piacciono i riferimenti a telefilm e cartoni di vario genere? Spero li apprezziate :)

Se qualcos'altro non è chiaro fatemelo sapere :) Credo d’aver detto tutto…

Anzi NO! Rullo di tamburi…c’è una sorpresa, o almeno per me lo è stata ;) La dolcissima e talentuosissima Laura, alias weepingangel qui su efp, mi ha inviato dei bellissimi disegni ispirati da questa ff eccoli qui: Grazie mille!

   
 
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