Capitolo 6: Take
me home
Continuava a rigirarsi quella
coppa
di Dom Perignon tra le mani da troppo tempo ormai. Il liquido dorato,
era
diventato caldo ed imbevibile, ma avere qualcosa con cui tenere
occupate le
mani, lo rilassava. Se non fosse stato altrimenti, avrebbe di certo
tirato un
pugno a uno dei suo fratellastri, che si erano riuniti come un piccolo
coro a
cappella, in un angolo dell’enorme salone principale del
Waldorf Astoria,
chiacchierando animatamente delle loro famigliole perfette, delle loro
conquiste di una notte, o semplicemente di quanti soldi avessero
guadagnato
quel giorno, ignorandolo completamente.
Ma a lui andava bene
così: rimanere
semplice spettatore di tutto quell’andirivieni di uomini
d’affari e ricche
ereditiere, lo faceva sentire come un giudice super partes.
Aveva mentito ad Anna, quando le
aveva detto che i galà mondani non gli interessavano,
perché non era vero: i
lustrini e l’oro erano il suo elemento naturale, come
l’oceano per uno squalo.
Lui c’era cresciuto in tutto quel lusso inutile, conosceva
pregi e difetti di
ognuna delle persone che popolavano quella sala, gli piaceva vestirsi
bene e
sguazzare nella superficialità di quella gente, il cui unico
pensiero, era
rimpolpare i propri conti bancari alle Cayman.
Aveva amato più di una
di quelle
donne finte e calcolatrici, strette in vestiti griffati, con parure di
diamanti,
che gli lanciavano occhiate provocatorie, a cui lui rispondeva con un
lieve
sorriso: tutte storie di una notte e via, perché per quanto
potessero essere
belle, nessuna di loro meritava davvero la sua considerazione. Tutte
troppo
vuote, nonostante avessero studiato nelle università
più prestigiose del mondo,
come delle bambole a molla, che ripetevano un certo numero di frasi,
all’infinito.
Quando a quella festa aveva visto
Anna, aveva subito pensato che si trattasse di una di quelle, ma quando
aveva
aperto la bocca, dalle sue soffici labbra non erano usciti fuori i
ricchi
resoconti delle proprietà di paparino. Non ricordava come,
ma erano finiti a
parlare dell’arte e del bello, più in generale:
Anna sembrava intendersene e
restare ad ascoltare, tra tutto quel vuoto chiacchiericcio, le sue
considerazioni sulle opere di Monet e Renoir, era stato per lui un
piacere.
Aveva capito subito che lei era diversa e quando l’aveva
salutata, si era reso
conto troppo tardi di non averle chiesto nulla più che del
suo nome.
Ritrovarla tra le strade innevate
di New York, era stata una piacevole sorpresa, e con suo grande
stupore, il suo
cuore aveva fatto una capriola quando l’aveva vista con il
viso rigato di
lacrime.
Non aveva la bellezza sofisticata
delle donne che di solito frequentava, ma quella più
semplice e genuina di una
ragazza qualunque, e stranamente la trovava più attraente di
molte altre. E poi,
da quello che ne sapeva, le rosse erano tutte fuoco e fiamme: di certo
non si
sarebbe annoiato con lei.
Quella serata, a cui
l’avevano
trascinato a forza, si stava protraendo troppo, per i suoi gusti e non
c’era
nulla di interessante con cui far passare il tempo, nemmeno un
giocattolino
carino: erano tutte accompagnate da fratelli e padri iperprotettivi. Se
non
fosse accaduto nulla di interessante nei successivi trenta minuti,
avrebbe
tolto le tende.
Ed invece qualcosa accadde.
Qualcosa
che cancellò dalla sua mente Anna, i suoi fratelli e la
gente stipata nella
sala.
Fu come se un fulmine lo avesse
colpito in pieno petto, facendogli perdere la cognizione di quello che
aveva
attorno, lasciando che la sua mente si concentrasse solo
sull’elettricità che
gli circolava in corpo.
Da una delle porte del salone,
entrò Mr Ades, che a dirla tutta era fondamentalmente un
ospite onnipresente
a serate del genere, ma quello
che catturò la sua attenzione, furono senza ombra di dubbio
le due bellissime
ragazze che portava sottobraccio. Una bionda e una bruna. Ma la prima
aveva
qualcosa che la seconda non aveva: una grazia nei movimenti, simili a
quelli di
un felino. Aveva tutta l’aria di uno di quegli animai
pericolosi, da cui non
riesci a distogliere lo sguardo, troppo preso da tanta bellezza, come
una tigre
siberiana a caccia.
Un viso di porcellana,
incorniciato
da capelli così biondi da sembrare fatti di candida neve, su
cui spiccavano gli
occhi, due acquemarine finemente tagliate. Aveva qualcosa di esotico,
ma
familiare al tempo stesso, qualcosa a cui non sapeva dare un nome. La
stoffa
argentata del vestito che indossava, fasciava perfettamente la sua
figura,
mettendo in risalto le curve giuste, lasciando ben poco
all’immaginazione. Era
come se fosse vestita di stelle.
Ades si fece strada tra la folla
di
ospiti, trascinandosi dietro le due ragazze, attirando gli sguardi di
molti
ospiti, e si fermò proprio davanti a suo padre, Mr
Westerguard. Il capo, come
lo chiamava lui, salutò calorosamente il nuovo arrivato con
una stritolante
stretta di mano, ignorando le due ragazze, che si staccarono da Ades e
si
confusero tra la folla. Ma due tipe del genere non potevano passare
inosservate: passeggiavano per la sala, con gli occhi di tutti gli
uomini e di
tutte le donne puntati su di loro, incuranti dei risolini o delle
cattiverie
che queste ultime riversavano loro addosso.
Aveva già visto quella
spettacolare
creatura, in precedenza, all’annuale crociera
sull’Hudson che suo padre aveva
organizzato per festeggiare il 4 Luglio. Aveva calamitato la sua
attenzione fin
da subito, con quella sua aria altezzosa, la postura rigida e
l’indifferenza
agli sguardi degli uomini presenti. Non aveva parlato con nessuno se
non con la
sua compagna, scambiandosi occhiate tetre, e con Jack North, uno dei
suoi
migliori amici. Cosa avesse North che gli altri presenti non avessero,
non era
riuscito a capirlo, stava di fatto che solo in sua compagnia la
ragazza, di cui
non conosceva nemmeno il nome, aveva sorriso: un sorriso timido e quasi
tirato,
ma che le aveva illuminato gli occhi.
Anche quella sera, non fece
eccezione: Hans le tenne gli occhi puntati addosso, fissandola con
malcelata
curiosità da un angolo della sala, mentre lei scivolava
silenziosa come
un’apparizione, facendo attenzione a non urtare nessuno,
guardando sempre
davanti a sé, senza incrociare lo sguardo di nessuno.
Qualcosa era cambiato
dall’ultima volta che l’aveva vista: la luce di
fiera dignità, che le aveva
visto brillare negli occhi, aveva lasciato il posto ad uno sguardo
opaco ed insicuro,
quasi spento. Stava cercando qualcuno tra la folla, se ne rese conto
quando la
vide fermarsi e guardarsi attorno. Cercava qualcuno che accorresse in
suo
aiuto, glielo leggeva negli occhi.
La tentazione di avvicinarsi fu
troppo forte per metterla a tacere, e con passo certo si fece strada
verso di
lei, salutando con un gesto del capo alcuni suoi conoscenti. Non aveva
uno
scopo preciso: voleva solo sentire la sua voce.
-“Cerchi qualcuno in
particolare?”-
le chiese senza troppi preamboli, arrivandole alle spalle.
La vide sobbalzare
impercettibilmente, mentre si voltava verso di lui, recuperando una
postura
rigida e una faccia neutra: “No.”- rispose
solamente, fissandolo negli occhi.
-“Quindi posso offrirmi
di essere
il tuo salvatore per questa sera?”-
-“Da cosa dovrei essere
salvata?”-
fece lei, alzando un sopracciglio chiaro, interrogativa. Aveva ragione,
la sua
voce era quanto di più melodioso avesse mai sentito.
-“Ah, non saprei, ma la
tua faccia
mi dice che questo non è il posto dove vorresti essere al
momento.”- lei si
strinse le mani, come per nasconderne il tremore
–“Credimi, gettarsi nella
vasca degli squali da soli non è granché, meglio
se si è accompagnati. Come si
dice: un problema condiviso è un problema
dimezzato.”- le sorrise affabile.
-“Ti crea problemi,
rimanere qui?
Non mi sembri il tipo da disprezzare una serata del genere.”-
puntualizzò lei ,
distogliendo lo sguardo, facendolo vagare sulla sala.
-“No, affatto. Ma senza
una
compagnia decente, anche la festa migliore perde d’interesse.
Ti andrebbe di
farci compagnia a vicenda?”- fece una pausa studiata, per
osservare la sua
reazione.
-“Non conosco nemmeno
il tuo
nome…di solito non do corda agli sconosciuti.”-
ribatté fredda.
-“Perdona la mia
mancanza, sono un
maleducato: Hans Westerguard.”- fece un piccolo inchino,
portandosi la mano
destra la petto.
-“Oh, tu sei il figlio
di…”- la
ragazza lo guardò con gli occhi spalancati, gesticolando
verso la folla.
-“Del grande capo,
si.”- confermò
lui sorridendo-“E tu sei?”
-“Elsa.”-
soffiò fuori.
Come la sorella di Anna? Che
strana
coincidenza.
-“Elsa e
…?”-
-“Elsa e
basta!”- scattò lei.
Hans rimase per un momento
interdetto, ma lasciò perdere il suo comportamento:
“Allora, Elsa e basta,
andiamo a bere qualcosa?”-propose.
-“Se posso evitare, non
bevo.”-
rispose diplomaticamente, stringendo ancora di più le mani.
Hans sembrò
contrariato dalla
risposta, ma non le fece pressione, perché la vide osservare
qualcosa e spalancare
gli occhi, impaurita. E all’improvviso si ritrovò
una delle sue piccole e
affusolate mani, nell’incavo del gomito.
-“Ma se
insisti.”- blaterò, mentre
lo conduceva verso il free bar, sul lato lungo della sala.
Hans si lasciò
condurre in
silenzio, ma prima si voltò verso la cosa che
l’aveva fatta impallidire: Mr
Ades li fissava scuro in volto, seguendo ogni passo di Elsa con uno
sguardo
indecifrabile, ma quando si accorse di essere osservato, gli rivolse un
sorriso
inquietante e un veloce saluto con la mano.
Un brivido
gli scese lungo la schiena, e l’unica cosa naturale che gli
venne da fare, fu
stringere la mano fredda di Elsa.
-“Cavolo, passala!
Passa quella
palla, maledetto egoista!”- Anna aveva già da un
po’ cominciato ad inveire poco
finemente verso il megaschermo. Al suo terzo drink, era scesa dallo
sgabello e
si era avvicinata per sentire meglio il commento dei cronisti,
sovrastato dal
vociare della clientela. Dei ragazzi le avevano fatto posto al loro
tavolo,
invitandola a bere con loro e lei aveva accettato su di giri.
Da quando era quasi caduta sui
suoi
stessi passi, Olaf non le aveva tolto un attimo gli occhi di dosso, per
paura
che potesse succederle qualcosa. E poi, una ragazza sola e brilla, nel
bel
mezzo di un branco di bestioni esaltati, non lasciava presupporre nulla
di
buono.
Lui e Kristoff si erano fermati
un
momento per osservare l’azione di gioco: “Dai
passala.”- commentò Olaf-“
Perché
non la passa?”- chiese poi rivolgendosi al cugino, che gli
rispose facendo
spallucce, senza staccare lo sguardo dal megaschermo
–“Secondo te la sa
passare?”- continuò.
Intanto sullo schermo, il
quarterback continuava a correre, dopo aver superato con una finta la
prima
linea di difesa sulla linea delle 50 yards. Il ricevitore si sbracciava
sulla
linea delle 20, cercando di smarcarsi dai due corner back che gli
alitavano sul
collo. Da un momento all’altro il quarterback avrebbe di
sicuro lanciato.
Doveva farlo, altrimenti l’azione sarebbe stata un
fallimento. Superò illeso
anche la seconda linea difensiva e nel pub c’era
già chi gridava al miracolo,
poi caricò il destro e tirò la palla verso il
fondo sinistro del campo. La
palla ovale atterrò direttamente tra le braccia del
ricevitore, intento a
zigzagare tra gli strong safety, l’ultimo baluardo della
difesa avversaria.
Nel pub scese il silenzio, mentre
diverse persone rimasero con il fiato sospeso, pronti per esultare: tra
questi
c’era Anna.
Quando la palla
rimbalzò sull’erba
verde della meta, scoppiò il caos. L’ovazione che
seguì il touchdown fu
qualcosa di emozionante. Anna gridò così forte da
farsi male alla gola, e
abbracciò i suoi compagni di bevuta, esultando felice:
“Si,si, si!”
I pochi tifosi della squadra
avversaria, rimasero muti a scuotere il capo demoralizzati. Olaf
improvvisò un
balletto, imitando il ballo della vittoria in cui si stava esibendo, a
bordo
campo, il giocatore che aveva appena segnato.
-“È davvero
imbarazzante,
smettila.”- commentò Kristoff, mentre si
allontanava di un passo dal cugino.
Olaf si fermò nel
mezzo di un
moonwalk sgangherato e lo fissò serio: “Ma tu sai
divertirti?”
A salvare il proprietario del
pub,
dallo sguardo omicida del cugino, ci pensò Anna, che
arrivò tutta sorridente e
traballante: “Non posso crederci, non ci speravo nemmeno! Ma
te lo immagini? I
Denver Broncos alla finale del Super Bowl!”- si
riaccomodò sullo sgabello che
aveva abbandonato poco prima- “Devo chiamare mio padre,
starà esultando anche
lui. Deve assolutamente procurarsi i biglietti per la
finale.”-si sporse per
recuperare il cellulare dalla borsa e quasi cadde.
-“Tutto
okay?”- le chiese Olaf
preoccupato.
-“C-credo di si. Mi
gira solo un
po’ la testa, non è nulla, sono stata in
condizioni peggiori.”- gli scoccò un
sorriso divertito-“ Te lo avevo detto che riuscivo a
reggere,no?!”-.
Dietro di lei, arrivò
uno dei
ragazzi del tavolo dove era stata invitata poco prima: “Ehi
rossa, bicchierino
della staffa?”- le chiese, sedendosi sullo sgabello libero al
suo fianco.
-“Prima di tutto io
sono
Anna.”-disse alzando un dito-“E secondo non so
davvero cosa sia un bicchiere
della staffa! C’entrano
per caso i
cavalli?”- chiese ingenuamente, sorridendo.
-“Sei uno
spasso.”- esclamò il
ragazzo, battendo una mano sul bancone, facendo sobbalzare Olaf
-“No, intendevo
l’ultima bevuta prima di andare via. Ci stai?”
-“Ma certo!”-
esclamò felice Anna,
attirando lo sguardo severo del proprietario del pub.
La ragazza era chiaramente
alticcia
e sembrava non essersi resa conto del faccia poco raccomandabile del
tizio
seduto al suo fianco: “Anna, so che non sono fatti miei, ma
direi che per
stasera può bastare, no?”- cercò di
farla ragionare, avvicinandosi a lei, per
non essere sentito dal tale.
-“Ehi, piccoletto,
servici da bere
e non discutere! È quello il tuo mestiere, no?”-
intervenne il tizio, che
cominciava ad assumere un’aria poco affidabile, ogni minuto
che passava.
Olaf rimase interdetto per pochi
secondi e fece per rispondere a tono, quando Anna lo
anticipò,lasciandolo con
la bocca semiaperta, pronto a ribattere: “Aspetta che? Non
osare rivolgerti al
mio amico in questo modo!”-
-“Andiamo rossa, non
c’è bisogno di
prendersela tanto.”- cercò di metterle un braccio
attorno alle spalle-“Stavo
solo scherzando, vero piccoletto?”-
Anna si scansò
indignata, mentre
Olaf gli rivolgeva uno sguardo omicida.
-“Smettila di chiamami
così, ti ho
già detto che mi chiamo Anna!”-
protestò lei, alzandosi a fronteggiarlo-“ E lui
è Olaf e non è un
piccoletto…è solo un po’ più
basso.”-
Olaf fece un colpo di tosse,
alzando un sopracciglio, scoccandole uno sguardo dubbioso.
Anna si riprese dal lapsus:
“Ehm,
volevo dire che è basso, ma è un concentrato di
zucchero, cannella e ogni cosa
bella!*” –
La ragazza stava straparlando
più
del solito, lasciando che le parole sconnesse, che le si formavano in
testa,
fluissero libere sotto la spinta dell’ebbrezza , attraverso
le sue labbra
screpolate.
-“Non sapevo fossi una
Power Puff
Girl!”- scoppiò a ridere il tizio, indicando Olaf.
-“Anna!”- si
lamentò il piccoletto,
voltandosi verso di lei.
-“Che
c’è?”- chiese, scuotendo le
spalle, ignara del casino che aveva appena fatto.
-“ Allora, questo
bicchierino
quando arriva?”- continuò imperterrito il tizio.
-“Bevitela da solo la
tua staffa!”-
borbottò Anna, recuperando la sua borsa per uscire.
Il tizio
l’afferrò per la vita,
prima che potesse fare due passi: “Te ne vai così?
Senza nemmeno il bacio della
buonanotte?”- le alitò in faccia, stringendola di
più.
Anna cercò di
divincolarsi,
aggrappandosi al suo braccio con le unghie laccate di rosso:
“Lasciami andare,
brutto…”-
Olaf cercò di
scavalcare il
bancone, cadendo rovinosamente in terra tra gli sgabelli, per aiutare
l’amica.
-“Ehi, toglile le mani
di dosso.”-
intervenne una voce alle loro spalle.
Il tizio si voltò
verso Kristoff,
che era accorso non appena aveva visto Olaf cadere goffamente.
-“E tu chi diavolo sei,
per dirmi
quello che devo fare, eh?”- gli chiese alzandosi a
fronteggiarlo, continuando a
tenere ferma Anna, che per quanto si applicasse, non riusciva a
liberarsi dalla
presa ferrea di quell’idiota, che ora fronteggiava
l’idiota del caffè: “Il suo
ragazzo?”
-“No,
sono…suo fratello.”- sputò
fuori Kristoff, cercando di mantenere il sangue freddo.
-“Sul serio? Non vi
assomigliate
per niente.”- ridacchiò, spingendolo indietro con
una mano.
-“Abbiamo un padre
diverso.”-
proruppe Anna, cercando di dare manforte al biondo-“Ora, dopo
la spiegazione
del nostro albero genealogico, ti dispiacerebbe
lasciarmi…andare?”- continuava
a dimenarsi senza esito.
-“Sentito mia sorella?
Lasciala
subito, altrimenti ti ritrovi con il culo nella neve nel giro di tre
micro
secondi.”- continuò Kristoff, facendosi sempre
più vicino al tizio,
sovrastandolo con la sua altezza.
Il braccio che teneva ferma Anna
si
allentò, fino a lasciarla completamente libera.
-“Ehi, stiamo calmi.
Volevo solo
divertirmi un po’.”- esclamò facendo un
passo indietro.
-“Con me? Hai sbagliato
persona,
fratello.”- gli rispose Anna, aggiustandosi il maglione
sgualcito, e agitando
un dito davanti alla faccia del tizio.
Kristoff la osservò
ondeggiare
paurosamente, quasi stesse perdendo l’equilibrio, e prima che
potesse cadere
addosso all’idiota o con la faccia sul pavimento,
l’afferrò per mano, tirandola
su: “Calmati furia scatenata, il tuo amico se ne sta andando,
vero?”-
Il tizio scoccò
un’altra occhiata
ad Anna e poi alla mano di Kristoff che la teneva ferma: “Non
c’era bisogno di
tutta questa scena, te la puoi tenere. Non mi interessano i giocattoli
di
qualcun altro.”- poi si girò e raggiunse il gruppo
di amici che aveva lasciato
al tavolo.
Anna cercò di
avventarsi su di lui,
ma Kristoff la tenne ferma: “Credo sia ora che tu torni a
casa.”- le disse
facendola sedere.
-“Già, lo
credo anch’io.”- disse
Olaf, massaggiandosi il fianco dolorante-“La accompagni tu?
Posso finire io
qui.”-
-“Che?”-
proruppero entrambi.
-“Posso farcela da
sola, non ho
bisogno della tata.”- sbottò lei.
-“Io non porto la gente
a casa.”-
si lamentò lui.
Olaf li fissò per
pochi secondi,
prima di puntare il dito verso Anna: “Tu non lascerai questo
posto, se non
accompagnata da qualcuno di mia fiducia.”- si
voltò verso Kristoff- “E tu sei
l’unico di cui mi fidi al momento. E poi lei non è
‘gente’! Lei è Anna, una
delle mie clienti affezionate e da ora anche ottima amica.”-
sorrise alla
ragazza.
Le labbra di Anna si piegarono in
un morbido sorriso, prima che le parole di Olaf giungessero al suo
cervello in
tutta la loro chiarezza: “Senti, Olaf apprezzo il fatto che
ti preoccupi per
me, ma…”
-“Shh!”- la
zittì lui.
-“Ma
io…”-cercò di continuare.
-“Shh-shh!”-le
puntò un dito alle
labbra-“ Niente obiezioni. Ci vediamo Anna. Dormi
bene.”- le augurò dandole un
buffetto sulla guancia, lasciandola senza parole.
-“Kristoff, noi ci
vediamo domani.
Mi raccomando portala a casa sana e salva.”- aggiunse
allontanandosi.
I due rimasero a fissarlo, senza
muoversi, poi si voltarono l’uno verso l’altra e i
loro sguardi si incrociarono
per un imbarazzante secondo, prima che lui si schiarisse la voce:
“A-aspetta
qui, i-io devo prendere le chiavi.”-
Anna lo guardò
avventurarsi nel
retro del pub e uscirne qualche minuto dopo con un mazzo di chiavi in
mano e il
cappotto addosso, quello su cui gli aveva versato il caffè,
da come poteva
dedurre dall’alone scuro sul petto.
Lui si avviò verso
l’uscita,
aspettando che Anna lo seguisse, ma lei rimase seduta a guardarlo con
un’aria
strana: “Allora, vieni?”- le chiese sospirando
scocciato.
Anna si riscosse e recuperando la
sua borsa lo seguì fuori, in silenzio.
-“Senti, non
c’è bisogno che mi
accompagni, davvero. Ce la faccio anche da sola e poi io abito a
qualche
isolato da qui, potrei prendere la metro.”-
-“Non se ne parla. Se
Olaf viene a
sapere che ti ho lasciata vagare per le strade di New York”-
si fermò a guardare
l’orologio-“…all’una di notte!
Cavolo non pensavo fosse così tardi. Comunque
non me lo perdonerebbe mai.”- disse, scrollando il capo.
-“Se ci tieni
tanto…beh, allora
portami a casa.”- accettò, seguendolo barcollante
sul marciapiede, fino ad una
macchina nera-“Non posso crederci, ma voi maschi siete
fissati con le Mustang?
Cos’è vi impiantano la voglia di averne una nel
codice genetico?”- sbuffò,
guardando la vecchia macchina, tirata a lucido.
-“Spero tu stia
scherzando! Questa
è una Impala del ’67, della
Chevrolet…non ha nulla a che vedere con una
Mustang.”- le rispose accarezzando la carrozzeria e aprendo
lo sportello del
guidatore.
-“Si, è lo
stesso. Per me una vale
l’altra.”- lo liquidò, salendo al posto
del passeggero, battendo la testa.
-“Ce la fai a salire o
ti serve una
mano?”-
-“Ehi, non sono
ubriaca, mi gira
solo un po’ la testa.”- in realtà vedeva
quasi doppio e la testa le vorticava
come sulle montagne russe, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione
di
cadergli davanti agli occhi.
-“Come
vuoi.”- tagliò corto, mentre
lei chiudeva lo sportello-“ Metti la cintura.”-
Lei obbedì come una
brava bambina,
tirò la cintura e cercò con tutta la buona
volontà di inserirla al suo posto,
ma non riusciva a capire quale, delle due fessure che vedeva, fosse il
congegno
per fermare la cintura.
Kristoff la guardò,
cercando di non
ridere: “Hai fatto?”- le chiese facendola trasalire.
Anna alzò lo sguardo
su di lui, lo
fissò attraverso i capelli che le erano sfuggiti dalle
trecce, imbarazzata:
“Ehm, potresti…”-
Click. La cintura era la suo
posto,
senza che lei avesse avuto il tempo di concludere la frase.
Quando il rumore del motore
riempì
il silenzio dell’abitacolo, Anna si accasciò
contro lo schienale del
seggiolino, sospirando: chi avrebbe mai pensato che l’idiota
del caffè, sarebbe
potuto diventare il suo salvatore! Doveva ringraziarlo. Se non
l’avesse fatto
subito, ne era certa, se ne sarebbe dimenticata.
-“Garzie…p-per
prima.”- biascicò a
metà tra il sonno e la veglia –“Gli
idioti come quello meritano di essere presi
a calci.”-
-“Anch’io allora, perché
secondo il tuo giudizio rientro
nella categoria degli idioti.”- la punzecchiò,
mentre sostavano ad un semaforo.
Anna ci pensò su un
attimo: “Nah,
stai facendo passi avanti: ora sei nella categoria
finto-fratello-che-non-sapevo-di-avere-che-mi-ha-salvata-dall’imbecille-di-turno.
Continua così e potresti anche diventarmi
simpatico.”-
Il sorriso
che gli vide spuntare sulle labbra, mentre ripartiva, le fece
attorcigliare lo
stomaco, o forse era solo quello che aveva bevuto che le si stava
rinfacciando.
Così impari a bere a stomaco vuoto,
idiota.- si accusò, chiudendo gli occhi e
scivolando in un piacevole
torpore.
Elsa stringeva tra le mani il
bicchiere, come se da esso dipendesse la sua stessa vita, mentre
ascoltava con
poco interesse quello che il rampollo Westerguard aveva da dirle.
Megara la
fissava dal fondo della sala, con uno sguardo preoccupato, scoccando
delle
rapide occhiate tra lei e Ades, che chiacchierava animatamente con un
nutrito
gruppo di lupi di Wall Street.
Hans era stato
un’ottima
scappatoia, prima che Ades la costringesse a fare compagnia a qualcuno
dei suoi
vecchi amici. Era stato gentile e finora non aveva fatto passi falsi,
le aveva
offerto da bere e si era lanciato nel riepilogo delle storie scandalose
dei
presenti, quindi per il momento era al sicuro.
-“Vedi quello
laggiù?”- le disse
indicando un vecchio con il doppiopetto e un sigaro tra le
dita-“Quello è Joe
Dallas, uno dei petrolieri texani più ricchi della nazione.
Ha settant’anni
suonati, tre matrimoni alle spalle, una decina di figli e continua ad
importunare le giovani ragazze. È un giocatore incallito di
poker e proprio il
mese scorso, ha perso un ranch di sua proprietà con una mano
sfavorevole.”-
sorrise tra sé, sorseggiando il suo Martini.
-“Perché mi stai raccontando tutto
questo?”- gli
chiese, cercando di capire dove volesse andare a parare con tutte
quelle
storielle indecenti.
-“Solo per dimostrarti
che non devi
temere questa gente. Anche loro hanno dei segreti e delle
debolezze.”- le
sussurrò in un orecchio.
Il suo fiato caldo, contro la
pelle
delicata del collo, le fece correre un brivido lungo la schiena:
“Io non ho
paura di queste persone.”- disse in un soffio, guardandolo
negli occhi.
-“I tuoi occhi dicono
il contrario,
cara Elsa. La paura è una cosa che non si può
nascondere. Affiora in superficie
senza che tu possa far nulla, con piccoli segni evidenti: le mani che
tremano,
le pupille che si dilatano.”- le disse posandole una mano,
sopra le sue, chiuse
attorno al bicchiere, fermandone il tremito-“ Chi
è, che ti fa tanta paura qui
dentro?”- le accarezzò una guancia con il dorso
della mano, libera dal Martini.
Lei si fermò a
fissarlo in quegli
occhi di un verde innaturale, per capire cosa si nascondesse dietro
tanto
interesse, mentre tratteneva il respiro. Si scostò brusca,
facendo un passo indietro:
“I-io devo andare, è stato un piacere fare la sua
conoscenza signor
Westerguard.”- si affrettò a dire, prima di essere
bloccata da un braccio
attorno alla vita.
-“Els, vedo che hai
conosciuto il
figlio del capo di tutta la baracca.”- le sorrise il nuovo
arrivato-“Come va
West?”- chiese porgendogli una mano.
Lei tirò un sospiro di
sollievo,
nello specchiarsi negli occhi chiari del suo amico Jack.
-“Bene, prima che
arrivassi tu,
North.”- Hans strinse la mano dell’amico di
controvoglia, dato che gli aveva
appena rubato il suo passatempo.
-“Di che stavate
parlando? Spero
non di me, mi offenderei a morte.”- fece fintamente offeso.
-“In realtà,
me ne stavo andando.”-
puntualizzò Elsa.
-“Direi che ritirata
strategica, si
addice di più a quello che stai facendo.”- la
provocò Hans, scoccandole uno
sguardo divertito.
-“Bene allora, che ne
dici se ti
accompagno io a casa?”- le chiese Jack, ignorando il commento
dell’altro.
-“Si. Portami a
casa.”- lo supplicò
quasi lei, stringendosi al suo braccio, non staccando lo sguardo dagli
occhi
magnetici di Hans.
-“Come desidera mia
regina.”-
scherzò Jack-“West, è stato un piacere
rivederti. Dovremmo vederci qualche
volta, per una partitella o che ne so.”- gli disse sorridendo.
-“Si,
certo.”- lo liquidò Hans
recuperando il suo Martini e svuotando il bicchiere in un sorso, mentre
li
guardava allontanarsi verso l’uscita.
Quando Elsa
si voltò a guardarlo un'ultima volta, prima di varcare la
porta, decise che
sarebbe stata sua, in un modo o nell’altro. Al diavolo tutto
il resto: se
poteva averla Jack North, di certo poteva farcela anche lui.
-“Grazie.”-
gli sussurrò una volta
che furono da soli.
-“Elsa, non devi
ringraziarmi.
Finché potrò salvarti da certe situazioni, lo
farò sempre.”- Jack fissava la
strada davanti a lui, tenendo una mano sul volante e l’altra
stretta a quella
di lei.
-“Spero tanto che
finisca tutto e
in fretta.”- si lamentò nel buio della macchina.
-“Lo spero tanto
anch’io. Tooth non
vorrebbe vederti in questo stato, le si spezzerebbe il cuore se fosse
qui.”-
Silenzio. Solo silenzio, pesante
come un macigno.
-“Credi che ce la
farò?”- una
lacrima le scese lungo la guancia, mentre guardava fuori dal finestrino.
-“Non ho dubbi. Sei
più forte di
quanto tu creda.”-
Ancora silenzio.
-“Credo che
tutti voi riponiate troppa fiducia in me.”-
La macchina inchiodò
all’improvviso, riscuotendola dal suo improvviso attacco di
narcolessia, e
facendole rivoltare lo stomaco. Spalancò gli occhi di botto,
portandosi una
mano alla bocca.
-“Siamo
arrivati.”- disse con calma
Kristoff, voltandosi verso di lei e cominciando ad agitarsi alla vista
della
sua faccia pallida e delle mani saldamente premute sulle sue
labbra-“Qualcosa
non va?” le chiese, sperando che lei non gli rispondesse
quello che temeva.
-“Sto per
vomitare.”- Anna confermò
le sue paure, mugugnando in disappunto.
-“Non pensarci nemmeno
per sogno!”-
sbottò lui-“Ho appena finito di
pagarla.”- cominciò ad agitarsi sul seggiolino
mentre combatteva contro la cintura, per togliersela.
-“Avresti dovuto
pensarci prima di
inchiodare a quel modo! Un aereo che atterra, frena con meno forza di
te!”- gli
rispose stizzita, portandosi una mano allo stomaco, sentendo che
l’attacco di
nausea cominciava a scemare. Scese con non poca fatica dalla macchina,
mantenendosi allo sportello chiuso.
Si voltò a guardare
l’enorme
palazzone grigio dove abitava e una domanda le sfuggì dalla
bocca: “Come facevi
a sapere dove abito?”- spalancò gli occhi, colta
da una nuova rivelazione-“ Oh
mio dio, sei uno stolker. Stai indietro sono cintura nera di
shiatsu.”- gli
intimò portando i pugni chiusi davanti alla faccia. Che
strano, vedeva quattro
delle sue mani.
Kristoff sospirò
sfinito dal suo
modo di fare: “Se vuoi stendermi a colpi di massaggi, fa
pure.”- ridacchiò
della sua espressione contrariata- “Sta tranquilla, me
l’ha detto Olaf.”- la
rassicurò, voltandole le spalle e avviandosi verso
l’entrata -“E poi non sei il
mio tipo.”- blaterò sottovoce.
Anna abbassò la
guardia e lo seguì
verso l’entrata. Una volta dentro l’ascensore, si
lasciò scivolare vicino alla
parete di metallo: “Guarda che non c’era bisogno di
accompagnarmi fino alla
porta.”- gli disse senza alzare lo sguardo dalla punta dei
suoi stivali.
-“Io sto salendo al mio
piano.”-
replicò con poco entusiasmo, stropicciandosi gli occhi. Era
stata un giornata
davvero pesante e non vedeva l’ora di buttarsi con la testa
sul cuscino, per
dormire fino al mattino successivo.
-“Abiti anche tu
qui?”- gli chiese
sorpresa, mettendosi dritta.
Lui annuì
semplicemente, mentre le
porte dell’ascensore si aprivano sul pianerottolo
illuminato:“Allora,
buonanotte.”- la salutò.
-“Cosa? No, questo
è il mio piano,
non esiste al mondo che tu possa abitare qui e che io non me ne sia mai
accorta!”- uscì in fretta, prima che le porte
dell’ascensore si
richiudessero-“Com’è possibile?- chiese
al nulla, avvicinandosi alla porta del
suo appartamento.
-“I misteri della
vita.”- borbottò
lui, mentre infilava le chiavi nella toppa della sua porta.
Anna intanto cercava di fare lo
stesso, con miseri risultati: fece cadere le chiavi e abbassandosi a
raccoglierle, un capogiro fece capitolare anche lei. Si tirò
su a sedere, con
la schiena rivolta verso la soglia, sbuffando. Ok, era così
tanto ubriaca che
non riusciva ad aprire la porta e a rimanere in equilibrio per
più di tre
secondi, e allora?
-“Serve
aiuto?”- la sua voce,troppo
vicina, la fece
trasalire. Lei lo
guardò, mentre le tendeva una mano per rialzarsi. La
tirò su e lei gli mise le
sue chiavi in mano: “So che avevo detto che ce la facevo, ma
ti
dispiacerebbe…”- gesticolò verso la
porta ancora chiusa, mentre vi si poggiava
con tutto il suo peso.
Kristoff rovistò tra
le varie
chiavi e ne provò alcune, mentre Anna chiudeva gli occhi per
l’ennesima volta,
senza che lei potesse fare nulla per evitarlo. Quando sentì
la serratura
scattare ne fu sollevata, e fece un passo dentro il piccolo
appartamento.
-“Da qui in poi ce la
faccio da
sola, grazie. Non credo serva che tu mi porti a letto.”-
biascicò, mentre lanciava
la sua borsa da qualche parte al buio, ignara di quello che aveva
appena detto.
La faccia di Kristoff
cambiò
cinquanta sfumature di rosso in pochi secondi: “Oh,
beh…okay. C-ci vediamo.”-
fece per andarsene, sollevato che il suo compito fosse finito, ma un
tonfo e
parolacce dette a denti stretti, lo fecero tornare sui suoi passi.
-“Sto bene, s-to bene.
Sono solo
inciampata.”- cercò di difendersi.
Sospirò demoralizzato,
mentre
l’aiutava per la seconda volta a mettersi in piedi:
perché lo faceva? Ormai era
arrivata a casa, era un problema suo se cadeva e ci rimaneva secca sul
pavimento. Avrebbe potuto tranquillamente chiudere la porta del suo
appartamento
dietro di sé e scivolare nel mondo dei sogni, senza doversi
preoccupare della
sorte di quella svampita.
-“Sto bene, davvero,
ma…”- si voltò
per ringraziarlo, ed incrociò il suo sguardo caldo e
rassicurante, così diverso
da quello che gli aveva visto nella metro o quello che le aveva rivolto
quella
stessa sera al pub. Trattenne il fiato, mentre lui la guardava di
rimando,
tenendola ancora stretta per…quale motivo?
-“Lasciala
immediatamente o per
quanto è vero che gli scozzesi indossano il kilt, ti ficco
questa su per il…”-
Merida sostava sulla porta della camera, imbracciando l’arco
armato, puntandolo
verso Kristoff.
-“Woah! Mai sei
pazza.”- esclamò
lasciando andare Anna, che barcollò all’indietro
presa alla sprovvista,
cercando di recuperare l’equilibrio.
-“Mer!”-
scattò verso l’amica,
facendole abbassare l’arco, che sembrava molto fuori luogo
tra le quattro mura
di un appartamento per collegiali-“Ti sembra il
modo?”- la rimproverò.
-“Anna, ma quanto hai
bevuto?”-
Merida si scostò dall’amica.
-“Un
po’.”-
-“Un po’
quanto? E lui chi diavolo
è?”- protestò, indicandolo bruscamente.
-“Ehm, io sono quello
che toglie le
tende e se ne va a dormire.”- Kristoff uscì alla
svelta, evitando di guardare
l’invasata con l’arco.
-“No, tu non vai da
nessuna parte!
Ora mi dici perché Anna è in queste condizioni
e…”- cercò di seguirlo.
-“Mer! Lascialo stare,
mi ha solo
riaccompagnata a casa.”- la rabbonì, mettendosi a
sedere sul divano.
-“Ma
come…?”-
-“Chiudi la porta, la
luce mi fa
male agli occhi.”- si lamentò, lanciandole un
cuscino-“Christofer, ti devo un
favore!”- urlò poi, indirizzata al ragazzo che
aveva battuto in ritirata,
barricandosi nel su appartamento.
-“Anna!”-
Merida chiuse di scatto
la porta, facendo sobbalzare la coinquilina per il rumore, che nelle
sue orecchie
ubriache rimbombava come il motore di un jumbojet.
-“Shhh!”- la
zittì-“Ne parliamo
domani.”- Anna si stese sul divano, premendosi un braccio
sugli occhi, troppo
pesanti per tenerli aperti.
-“Non
finisce qui.”- l’avvertì la
scozzese.
NdA: come butta bella gente? Ho
aggiornato alla velocità della luce secondo i miei
standard…spero siate felici
almeno la metà di quanto sono felice io d’aver
postato ;)
Allora non ho nulla da dire,
perché
tipo questo capitolo è la continuazione del precedente.
Spero solo vi sia
piaciuto.
Ho alcune cose da chiarire: non
conosco il football americano e per descrivere un’azione mi
sono dovuta
documentare su Wikipedia, quindi se ho detto cavolate lasciatemele
passare XD I
Denver Broncos sono la squadra di Denver appunto, la capitale del
Colorado, lo
Stato da dove viene Anna nella mia ff, per questo lei tifa questa
squadra.
Inoltre i Broncos sono stati per davvero alla finale del Super Bowl
quest’anno,
che poi abbiano perso contro i Seattle Seahawks è un altro
discorso XD
Anna dice che Olaf è
un concentrato
di “zucchero, cannella e ogni cosa bella” e il
tizio molesto ride, dicendo che
non sapeva che lui fosse una Power Puff Girl. Spiegazione: le PPG sono
le
Superchicche, non so se qualcuno di voi se le ricorda e la sigla diceva
che il
loro creatore aveva usato zucchero, cannella e ogni cosa bella, per
realizzarle. Forse spiegata non fa più ridere, ma
tant’è…XD
La macchina di Kristoff,
l’Impala
del ’67, è la macchina dei fratelli Winchester di
Supernatural e mi piaceva per
lui.Ora avete capito che mi piacciono i riferimenti a telefilm e
cartoni di
vario genere? Spero li apprezziate :)
Se
qualcos'altro non è chiaro
fatemelo sapere :) Credo d’aver detto tutto…
Anzi NO! Rullo di tamburi…c’è una sorpresa, o almeno per me lo è stata ;) La dolcissima e talentuosissima Laura, alias weepingangel qui su efp, mi ha inviato dei bellissimi disegni ispirati da questa ff eccoli qui: Grazie mille!