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Autore: Elle Douglas    26/09/2014    4 recensioni
Cosa succederebbe se nella vita di Killian Jones, d’improvviso, tornasse il suo vero primo amore?
No, non Milah, ma qualcuno di ancora più profondo, celato, intimo e nascosto che sapeva fosse morto per sempre? Come reagirebbe Killian? Ed Emma, che ormai sembra aver trovato l’amore? Chi sceglierebbe arrivato a quel punto?
Come cambierà la storia? E quanto scopriremo di più su quest’uomo?
Scopriremo che c’è ben altro dietro Killian Jones, c’è un'altra storia nascosta e non ancora raccontata di un uomo che ha perso tutto e che più di tutti ha perso qualcosa di profondo che credeva irrecuperabile.
-
‘I suoi occhi verdi, verdissimi come lo smeraldo sono dentro ai suoi, e per un attimo una lacrima gli scorre su quel viso etereo.
Quante volte aveva pianto credendola persa? Quante volte si era pentito di averle dato quella scelta? Quante volte avrebbe voluto tornare indietro e cercarla, salvarla?
Ed ora era lì davanti a lui.
Vera, viva ma prigioniera.’
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La storia inizia con gli avvenimenti della 3x17, tutto il resto è una mia idea.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I thought I'd lost you forever'
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NOTE AUTRICE: 

Da questo capitolo in poi vedrete come tutto è iniziato e come le vite di questi due personaggi si sono incastrati e amalgamati nella mia mente. 
Per rendere un po' più visiva la cosa, ho voluto creare un video di pochissimi secondi che, se volete, potete visionare. 
Premetto che il video non è chissà cosa, è la prima volta che mi cimento in cose del genere, ma ho voluto provarci e spero potrete apprezzare. 
Fatemi sapere cosa ne pensate. ♡

- Elle.


--

    Il vento soffiava leggero quella mattina sulla Foresta Incantata.
La fanciulla contemplava il cielo azzurro pieno di nuvole che la sovrastava, puntando gli occhi smeraldo al cielo, e cercando di dar forma a quello che le nuvole parevano raccontarle.
Un drago, una donna, e un uomo si realizzarono ai suoi occhi, e altre dalla forma più incerta prendevano piede nella sua mente cercando di trovare un nome adatto, qualcosa a cui farle assomigliare.
Le nuvole, che cosa strana erano, assumevano la forma più incerta e meno probabile, bastava guardarle e si materializzava l’immagine dopo poco. Erano capaci di raccontarti storie mai colte, e mai scritte da nessuno che prendevano vita nella sua testa.
Era così che ella fuggiva. Fuggiva da ciò che era, e da ciò che faceva.
Era così che ella si immaginava un mondo tutto suo in cui andare, contemplava il cielo azzurro su di lei, immaginando cosa ci fosse oltre, immaginando un mondo diverso da quello che viveva.
Chissà quante terre lontane c’erano al di fuori di lì? Chissà cosa c’era in quei posti? Chissà quanta gente aspettava un incontro.
 
E allora pensava alla sua famiglia. Ce l’avrebbe mai fatta ad abbandonarli? A guardare avanti, ad andare per la sua strada senza sentirne la mancanza?
Ad andare via senza una garanzia di ritorno o con la consapevolezza che non li avrebbe più visti?
E suo padre come l’avrebbe presa?
Di certo bene, sarebbe stata una bocca in meno da sfamare, e un corpo in meno da vestire.
Suo padre era la persona più avara che lei conoscesse, e in tutto il regno la cosa era risaputa. Forse, appunto per questo la cosa non gli sarebbe poi tanto dispiaciuta.
Ma sua madre? E i suoi fratelli? Poteva lasciarli soli in quella vita che stava diventando miseria a causa del padre? E se se li fosse portati con sé? Potevano trovare un posto da qualche altra parte e farsi un nuovo nome e una nuova ricchezza.
Si, ma con quali soldi?
Esmeralda continuava a dar adito a quelle speranze che quasi le sembravano vere.
‘Hai solo vent’anni’ diceva la madre. ‘e vedi ancora il mondo con i rimasugli di un’adolescenza infranta a causa di tuo padre, ma presto crescerai e presto capirai qual è il ruolo delle donne in questo mondo’.
Ma Esmeralda non l’accettava, non voleva piegarsi a quel mondo, piegare la sua vita, i suoi sogni, non voleva che gli altri decidessero per lei e dibatteva con la madre, che benevole e paziente l’ascoltava filando la lana, sorridendo a quella figlia che voleva inseguire i propri sogni.
Quei pensieri più che mai ora le venivano in mente e quel posto le stava stretto come il corsetto che da anni le attanagliava il petto.
 
E quel punto, quella roccia su cui sedeva tutti i pomeriggi all’ombra di quei peschi era una via di fuga.
Solo lei conosceva quel sentiero e quel posto. L’aveva scoperto da piccola, mentre con i fratelli giocava.
Era un posto sicuro, fuori dal mondo quasi dove nessuno l’aveva mai vista o incontrata, e per certi versi andava bene così.
Sembrava più magico della Foresta Incantata stessa, in un certo senso.
Un posto intagliato tra ramificazioni e arbusti, dietro una fitta vegetazione a cui si aveva accesso attraverso un arco fatto di rami che sembrava quasi la invitasse ad entrare al suo interno.
Un sole fitto e filtrato dai rami scendeva giù e creava uno strano gioco di luci calde tra i rami.
Non c’era null’altro vicino se non una grande roccia nel mezzo in ella si riposava e si abbandonava ai pensieri e al silenzio assoluto.
Non amava molto la compagnia, amava stare sola a contemplare il mondo.
 
Era sempre stato un tipo solitario, Esmeralda. Una ragazza timida ma con un forza d’animo incredibile.
Era sicura di sé nelle sue decisioni, nei suoi sogni e con se stessa, si era sempre definita caparbia. Ciò che voleva cercava sempre di ottenerlo, pur sempre nei limiti della legalità, non era mai stata sfiorata dall’adrenalina che ti percorre l’animo.
Era una ragazza a posto, quelle di cui potevi fidarti a primo impatto, e che se si apriva a te, eri certo di aver trovato una buona amica e un mondo intero a cui aggrapparti.
Era molto diversa dalla sua famiglia, in tutto, a cominciare dall’aspetto fisico.
Molti si stupivano, quando da piccolina si presentava come la figlia di quell’assurdo uomo che aveva contribuito alla sua nascita.
Era di un’eleganza estrema, quasi non appartenesse a quel rango di gente che la circondava, da lì il dubbio se fosse davvero figlia a chi si decantava tanto di averla.
I suoi lunghi capelli mossi neri le scendevano sulle spalle come la seta più lucente e pregiata.
E al posto degli occhi pareva avere due smeraldi incastonati che andavano in contrasto con la sua pelle scura.
Il suo sorriso poi, era uno dei più luminosi e belli che si vedesse in quella miseria, e lei aveva l’abitudine di regalarne in quantità.
Da piccola bambina dal corpo infantile e puro il suo corpo cambiò in qualcosa che era un piacere per gli occhi.
Negli anni, com’è giusto che sia, il suo corpo era cambiato e si era trasformato.
La sua figura da morbida era diventata longilinea e delicata, e le sue forme sul davanti erano lievitate nel modo giusto.
Era quella che si poteva definire una bellezza mediterranea.
 
Il padre, perciò, aveva cercato più volte di darla in sposa per dote e per ricchezza ma la figlia, abilmente astuta, aveva più volte declinato le offerte aizzando le ire del padre.
E ogni volta che succedeva, lei scappava e si rifugiava in quel posto segreto lontano da tutto e tutti, e in cui nessuno fino ad allora, era mai arrivato.
Ma quel giorno qualcosa cambiò, quel giorno non andò come sempre.
 
Sentii qualcosa provenire da dietro i cespugli, quasi un bisbiglio celato dal flebile vento.
Si alzò di scatto da quella roccia e interruppe i suoi pensieri.
“Chi va là?” domandò al nulla, atterrita.
Ma non udì nessuno.
Pensava di essere stata scoperta, possibile che qualcuno l’avesse seguita?
Doveva essere il vento, doveva per forza essere lui.
Era troppo presa dai suoi pensieri per questo non aveva udito il vento passare tra i rami.
Si, doveva essere il vento, cercò di convincersi per farsi forza.
Tentò un altro passo.
Quant’era tardi poi? E se ci fosse qualcuno che era venuto a cercarla? Cercò di guardare la sua ombra per capire quanto fosse stata lì quel giorno.
Un altro rumore. Questa volta più vicino del precedente.
Aguzzò gli occhi in cerca di qualcosa, qualcuno che non riusciva a intravedere nell’erba troppo fitta, e con voce traballante rinnovò la domanda di poco prima.
‘C’è qualcuno?’.
Si guardò intorno, cercando un qualcosa, magari un piccolo animaletto che tra l’erba, ma nulla.
Poi un sussurro di fronte a lei si fece ancora più chiaro.
Deglutì nervosa. C’era davvero qualcuno.
Pian piano si avvicinò a quel cespuglio dietro cui qualcuno sembrava spiarla, ma il suo vestito s’impiglio tra i rami e il rumore di uno squarcio ebbe la meglio sulla sua attenzione.
‘Maledizione!’ esclamò chinandosi ad esaminare il danno.
Sapeva già quanto il padre la avrebbe sgridata per quel nonnulla agli occhi di altri.
 
Un altro rumore, questa volta qualcosa di più simile a un ramo spezzato arrivò da dietro di lei.
Esmeralda si voltò di scatto e poi il buio.
 
-
 
Si ritrovò poche ore, giorni, o chissà quanto altro tempo era passato con un gran mal di testa su di un letto in una stanza semibuia in un cui si sentiva un forte odore salmastro a cui storse il naso, non le era mai piaciuto. Aprii piano gli occhi cercando di abituarsi all’oscurità in cui si trovava, senza capire dove e come ci fosse finita.
Solo una debole luce entrava da una finestra a forma di oblò dalla quale non avrebbe potuto nemmeno fuggire.
Cercò di massaggiarsi la testa ma si accorse di avere le mani legate dietro la schiena e si domandò come fosse successo.
Poi ricordò i rumori che aveva udito nella vegetazione, lei che si avvicinava, e il buio oltre la quale non sapeva andare con i ricordi.
Cerco di rammentare, un volto, una voce, un colore, una parola, ma nulla.
Anzi no, una parola, una frase c’era lì in quella oscurità: Non fatele del male.
La voce era quasi un sussurro sbiadito a cui non sapeva dare un timbro, tantomeno un volto.
Almeno non uno che conoscesse.
Chi era? A chi interessava non farle del male?
Nella sua mente non c’era nient’altro che la potesse aiutare, era tutto lì. Tutto dietro quelle parole, tutto dietro quella porta.
Cercò di mettersi seduta sul letto cercando di evitare che le girasse la testa.
Si assestò per un attimo e vide che i piedi erano liberi, senza nessuna corda o altro. Poteva camminare.
Che razza di gente era quella che l’aveva rapita, perché di quello si trattava, dato che non l’avevano nemmeno legata per bene?
Nel mentre che cercò di alzarsi, la porta che aveva di fronte si aprì.
 
‘La nostra principessa si è svegliata!’. Gridò sorridente un uomo entrando a braccia aperte.
Indossava vestiti di pelle nera ed Esmeralda a prima vista lo considerò strano.
Si ricompose sul letto seduta, cercando di non muoversi e tantomeno di fiatare.
‘Mi dispiace per le cattive maniere a cui è sottoposta, ma non posso fare altrimenti. Lei capisce che vale una fortuna. In compenso le permetto di girovagare nella stanza come meglio crede, lo so che non è molto, ma si accontenti’.
Esmeralda, non capiva cosa intendesse con il fatto che valesse una fortuna.
‘Se suo padre pagherà per il suo riscatto entro tre giorni avrà di nuovo la sua libertà, e potrà tornare in quel luogo che tanto le aggrada, altrimenti girerà il mondo con me e la mia ciurma’, disse quello indicando i due marinai di fianco la porta.
Esmeralda cercava di non fissarlo, di non avere nessun contatto con quell’uomo, nemmeno visivo.
Una parola le rimbombò in mente Riscatto.
L’uomo di sicuro non conosceva suo padre, per azzardare una richiesta simile.
Suo padre non avrebbe pagato neanche una moneta per lei, ne per nessun altro.
Nessuno valeva un soldo, e la figlia pur essendo un vanto, un valore e una gioia per gli occhi non era da meno a quell’idea.
L’avarizia che lo contraddistingueva era nota, era per questo che ogni volta si dannava peggio della madre per uno strappo sulla vesta.
Era sempre stato così, non se lo ricordava diverso.
Ma nonostante tutto, nonostante ciò che sapeva e conosceva, nutriva in cuor suo, la speranza che forse, quel rapimento, quell’amore che provava verso la propria figlia avrebbe avuto il sopravvento sui soldi una buona volta e l’avesse salvata, e allora, in un certo senso, quel rapimento assunse per un po’ un valore diverso ai suoi occhi, pur avendo paura, non le sembrava affatto male.
Pagare il suo riscatto, avrebbe voluto dire che ci teneva più dei soldi a lei, e che era una sua stupida impressione che non l’amasse affatto.
 
L’uomo si avvicino a lei e le sedette accanto.
Esmeralda si ritrasse di rimando a quel possibile contatto non voluto, rannicchiandosi in un angolo del letto.
Era impaurita, non poteva e non sapeva nasconderlo, anche da piccola, quando i rami degli alberi al di fuori della sua finestra assumevano forme incomprensibili iniziava a tremare per poi immobilizzarsi e diventare come pietra. Così come ora, non sapeva cosa quell’uomo volesse dal padre, e tanto meno da lei, ed era giusto mantenere una certa distanza tra i due.
‘Non devi avere paura’, le disse il pirata in tono gentile e quasi le sembrava davvero sincero. ‘Non ti farò del male’. La rassicurò.
Di colpo quella voce, quella frase Non fatele del male le ripiombò in testa.
Era stato lui a dirlo all’inizio e anche ora continuava a ripeterlo nello stesso tono che rimembrava.
Lo guardò di sottecchi e cercò di metterlo a fuoco.
In quel momento i suoi occhi incontrarono i suoi e si persero in un cielo fitto e calmo. Privo di nuvole, di quell’azzurro pieno e rassicurante.
Lo stesso cielo che fissava per ore dinanzi a sé quando si sdraiava sulla sua roccia e pensava a tutto ciò che le passava per la mente: le gioie, le avventure, le sue giornate, i suoi sogni, le sue collere.
Era tutto lì in quel cielo, che la rassicurava e le dava un monito per andare avanti anche quando non ce la faceva più.
Ed ora quel cielo in cui aveva tanto riposto, tanto raccontato pareva averlo di fronte, ed era tutto nei suoi occhi.
Era affascinante, non poteva negarlo.
Era l’uomo più bello che avesse mai visto.
‘Per dimostrarti che l’atto che stai subendo non è esplicitamente nei tuoi confronti mi presento, il mio nome è Killian Jones. Benvenuta a bordo’. E le sorrise di un sorriso mozzafiato, e quasi lei arrossì violentemente.
Interruppe nuovamente lo sguardo, e abbasso’ la testa.
La sua pelle scura, e la penombra in cui si trovava celarono il rossore.
Come aveva potuto pensare tutto questo? Il suo cielo? Bah!
Qualcuno l’aveva davvero colpita forte pensò.
Killian intanto la fissava attendendo una risposta.
‘E voi siete…’ la aiutò protraendo una mano in avanti.
Cosa avrebbe dovuto fare? Rispondergli? E se fosse stato un inganno? Di che genere poi?
Combatteva dentro di sé nel non rispondere a quella voce sincera.
Killian rise di gusto voltandosi verso i suoi marinai che risero di rimando.
‘Ce l’avrete pure un nome, credo. Non penso che vostro padre sia stato anche tanto spilorcio da negarvelo’.
Allora conosceva bene il padre.
Esmeralda alzo nuovamente lo sguardo per scrutarlo meglio su quando, dove e se l’avesse visto qualche volta, ma quegli occhi color del cielo erano una trappola e lei restò di nuovo imprigionata.
‘Esmeralda…’ le sgusciò fuori senza preavviso.
Sgranò gli occhi scioccata da ciò che le era accaduto e le venne l’istinto di tapparsi la bocca, ma non poteva.
Se ne pentì.
 
Killian sorrise, di nuovo.
‘Avete uno splendido nome, milady. Suppongo ve lo abbia dato vostra madre per i vostri occhi che sono a dir poco incantevoli’.
La fanciulla arrossì di nuovo, ora più esposta.
‘S’incastonano bene con la vostra carnagione, che cela assai bene le vostre emozioni’.
Le venne un colpo, l’aveva vista.
‘Se avete bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa non esitate a farmi chiamare’, disse prima di congedarsi. ‘Ora vogliate scusarmi ’, e fece un inchino a mo’ di cavaliere.
Ed Esmeralda restò esterrefatta da quel gesto, così lontano e così strano per un pirata.
Arrivò a domandarsi se davvero fosse un pirata o fingesse di esserlo.
La porta di fronte a sé si chiusa, ed ella restò di nuovo sola.
Chi era quell’uomo e cosa mai aveva fatto suo padre per destare un gesto del genere nei suoi confronti.
 
 
‘Allora Capitano, che si fa?’ chiese il marinaio Knifenose, entrando dopo di lui nella sua stanza, lontano da quella di Esmeralda.
‘Che si fa a proposito di cosa?’, domandò Killian confuso.
‘A proposito della donzella. Dobbiamo aspettare per davvero tre giorni prima di spassarcela e gettarla con le altre?’
‘Deciderò io cosa farne della prigioniera. Siamo sulla mia nave e qui decido io cosa farne delle persone che vi porto’. Disse Killian quasi adirato. ‘E ora va!’, gli ordinò.
Quello si spaurì di cotanta foga e si congedò in battibaleno, pentendosi della sua domanda.
Killian restò solo, nei suoi pensieri.
Era come affaticato, combattuto.
C’era qualcosa in quella ragazza, in quella fanciulla che lo colpiva.
Qualcosa che non sapeva spiegare a se stesso, ma c’era qualcosa dentro di lui, qualcosa di profondo e irraggiungibile che gli ribadiva di non farle del male.
E non solo per il riscatto che aveva mandato al padre, che altrimenti non sarebbe avvenuto, ma per se stesso.
 
Si sedette al tavolo e si massaggiò le membra.
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QUI trovate un blog Tumblr dedicato alla mia fan fiction con anteprime e stralci della storia, le canzoni e musiche che mi hanno ispirato nel scrivere, se vi va di seguirlo.
   
 
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