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Autore: seeyouthen    27/09/2014    4 recensioni
Dean e Sam Winchester stanno cercando di mettere fine all'Apocalisse con l'aiuto di Castiel. Il Dottore e Clara Oswald vengono coinvolti per colpa di un noto demone che lavora per Lucifero. Amelia Pond è ancora viva, e sta per incontrare nuovamente il suo vecchio compagno di disavventure. Sherlock Holmes e John Watson vivono la loro vita "tranquilla" a Londra, lontani - non solo nella comune accezione del termine - dai disordini. Ma non passa molto tempo prima che la fine del mondo e una crepa nello spazio e nel tempo diventino anche un loro problema. [superwholock] [destiel|johnlock accennata][death|angst] [SPN: dopo la 5x16|DW: dopo the Day of the Doctor|SH: dopo la 3x03]
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Dal secondo capitolo: «Sono coordinate», commentò Sam. «Hai intenzione di seguirle?». Il Dottore si lasciò scappare un breve sorriso. Sembrava che tutta la paura fosse semplicemente svanita. «Ovviamente».
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Lucifero, Sam Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
Capitoli:
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capitolo uno
hollywood, hollywood
 
 
 
 
 
Era un pigro pomeriggio di metà settimana a Londra e Clara dormiva pesantemente sulla poltrona blu del salotto, la tazza di tè ormai freddo ancora posata sul tavolino di legno di fronte a lei.
Si era addormentata mezz'ora prima, mentre guardava distrattamente la tv.
Aveva viaggiato con il Dottore un'altra volta, solo un'altra volta dopo aver salvato Gallifrey dalla distruzione totale. Era passata una settimana – Clara non ne era sicura, forse contando il tempo passato nel TARDIS erano due – e lei sognava quelle immagini in maniera così nitida che durante il sonno ancora le capitava di trattenere il fiato, o di risvegliarsi con il respiro affannoso.
Quel pomeriggio stava sognando il fuoco che divampava nella città, alto e spaventoso, i bambini che gridavano, i Dalek che uccidevano il popolo.
Udì il suono del TARDIS, ormai familiare e piacevole quanto la voce di un caro amico, ma con gli occhi non trovava la cabina tra la devastazione di Arcadia.
«Clara. Clara, sono io», mormorò la voce del Dottore. Una mano si posò sui suoi capelli. Clara spalancò gli occhi e il potente blu del TARDIS la fece trasalire. Il Dottore, che si era seduto sul bracciolo della poltrona, sorseggiava il suo tè.
«Cosa succede?», gli domandò sfregandosi gli occhi assonnata.
«Niente, sono solo venuto a trovarti», rispose lui con un sorriso. Clara lo osservò sottecchi, non troppo convinta, e ridacchiò.
«Allora, dove vuoi andare?», chiese il Dottore ignorando le sue occhiate. Si alzò e le tese una mano, per aiutarla ad alzarsi. Clara la afferrò e si lasciò tirare su, ancora intontita dal sonno.
«In un posto tranquillo», biascicò lei.
«Bene, cosa ne dici di, uhm...». Il Dottore ci pensò su, ma sembrò non riuscire a trovare nulla di adatto. Non conosceva posti tranquilli, Clara lo sapeva.
«Voglio andare in America», gli disse allora aprendo le porte del TARDIS.
«America?», domandò il Dottore con disapprovazione, «Hai tutto il tempo e lo spazio a disposizione e scegli l'America?».
Lei entrò nella cabina, facendo finta di nulla. «Allora, perché sei venuto ora?».
Il Dottore la seguì, portandosi dietro la tazza di tè. «Te l'ho detto, è una visita di cortesia».
Clara, che prima era di spalle, si voltò di scatto piantando i suoi occhi castani in quelli di lui. «Per quanto tempo sei stato via, Dottore?».
«Ho solo fatto una visita su Marte...», mormorò lui, la voce che si spegneva pian piano, «Okay, hai vinto, mi mancavi. È passato qualche mese, qui dentro».
Clara si avvicinò e gli stampò un rapido bacio sulla guancia. Dal giorno in cui i tre Dottori si erano incontrati il Dottore aveva un unico pensiero fisso: Gallifrey. Lei capiva come tutta quella situazione lo avesse sconvolto, tuttavia vederlo in quelle condizioni – sempre alla disperata ricerca di casa, confuso, in preda agli affanni – la rendeva triste.
«America, allora? Magari Hollywood. Possiamo essere due star, per oggi, e semplicemente divertirci un po'», esclamò appoggiandosi alla consolle del TARDIS.
Il Dottore annuì e le sorrise, iniziando ad impostare le coordinate.
Clara osservò i propri vestiti e sbuffò. «Dovrò cambiarmi, non posso andare a Hollywood con i pantaloni del pigiama», commentò avviandosi verso il guardaroba.
Indossò un abitino casual, rosso, trovato in un angolo sperduto della stanza.
Era felice. Felice che il Dottore fosse tornato e che lei gli fosse mancata.
Canticchiava tra sé allegramente quando il Dottore gridò dalla sala comandi. La voce dell'uomo arrivò lontanissima alle sue orecchie.
«CLARA! NON MUOVERTI DA QUELLA STANZA, QUALSIASI COSA ACCADA!».
La ragazza trattenne il fiato, in attesa di altri rumori. Non udì più nulla, se non le porte del TARDIS chiudersi per lasciare spazio al silenziò più pensante che avesse mai udito. Era così denso che poteva quasi sentirlo tra le dita. Il cuore le batteva all'impazzata nel petto.
Incanalò tutta l'aria che poteva nei polmoni cercando di calmarsi.
Il più silenziosamente possibile, camminò fino alla sala comandi, dove la consolle brillava della solita luce, senza emettere alcun suono.
Osservò lo schermo che mostrava l'esterno, ma era tutto nero. Non si azzardò a toccare alcun tasto, ma si avvicinò alle porte. Non seguì l'ordine del Dottore, naturalmente.
Con calma, sospirando, aprì la porta. Lo spettacolo che le si stagliò davanti agli occhi era terrificante.
Si trovava in un grosso magazzino in disuso, scuro, dalle pareti alte e imponenti. Era macabro, là dentro. La figura di un uomo si intravedeva in un angolo. Non era molto alto – sicuramente più di lei, ma questo accadeva con pressoché qualsiasi essere dell'universo – e sembrava stare sussurrando da solo. Clara avanzò esitando.
«Hello, Clara», disse la figura ad alta voce.
Sobbalzò, spaventata. Sapeva il suo nome. Lui conosceva lei ma lei non conosceva lui. Un ingrediente fondamentale e inquietante di una brutta avventura.
«Chi sei?», domandò la ragazza cercando con tutte le sue forze di controllare il tono di voce. Quando era agitata diventava sempre troppo acuto e le parole si susseguivano troppo velocemente una con l'altra.
«Crowley, re degli incroci, demone», le rispose l'uomo voltandosi verso di lei con un sorriso. Sembrava quasi amichevole. In maniera terrificante, ma amichevole. Forse non era un punto a favore per salire di grado nella scala di persone amichevoli essersi appena definito demone come se fosse la cosa più naturale del mondo, ma Clara non aveva recepito la parola, quindi il pensiero non la sfiorò nemmeno.
«Come?», si lasciò sfuggire, interdetta.
«Oh, non dirmi che hai viaggiato nello spazio e nel tempo e non hai mai visto un demone», domandò l'uomo con strafottenza. «No? Mai?», aggiunse vedendo lo sguardo perso di Clara. Fece un passo avanti e la flebile luce di una lampadina gli illuminò chiaramente il viso arrogante. Ora che poteva vederlo bene in faccia, Clara notò gli occhi attenti, guizzanti, e la piega delle labbra sempre ironica, quel completo nero che voleva farlo sembrare importante.
Sospirò, prendendo coraggio. Quell'uomo non poteva davvero essere un demone. Era solo un qualche idiota di turno, doveva essere così. O almeno doveva far finta di crederci, per affrontarlo.
«Dov'è il Dottore?».
Crowley sorrise, sfilando le mani dalle tasche dei pantaloni.
«Proprio qui», annunciò spostandosi di lato e indicando una sedia alla quale il Dottore era stato legato. Teneva la testa bassa, ma Clara sapeva che era stato imbavagliato, altrimenti in quel momento avrebbe parlato a dismisura, tirando fuori entrambi da quello sporco magazzino. Non voleva nemmeno prendere in considerazione l'idea che potesse essere svenuto o morto.
Clara fece per corrergli incontro, ma Crowley la bloccò, afferrandola per le spalle, e la trattenne. Il suo viso era troppo vicino a quello della ragazza, che rabbrividì.
«Non puoi andare da lui, è contro le regole del gioco», mormorò alzando le sopracciglia scure.
«E quali sono le regole, allora?», sputò allora lei tra i denti, trattenendo l'urlo che cercava di nascere con prepotenza dal fondo della sua gola.
«Tu ancora non credi che io sia un demone, vero?», domandò Crowley allontanando il viso dal suo e mollando la presa su di lei. Sembrava divertito.
Clara portò le mani alla bocca quando gli occhi dell'uomo diventarono due pozze profonde di sangue, completamente rossi. Sentì la forza prosciugarsi in ogni muscolo del suo corpo, ma si costrinse di stare ferma.
«Sei così adorabile», commentò Crowley quando i suoi occhi furono tornati castani, «Capisco perché il Dottore ti porta in giro con lui. Diventi tutta occhi1 quando vedi qualcosa di nuovo. Sei divertente».
«Come, scusa?», esclamò la ragazza, l'orgoglio che si arrampicava su per la cassa toracica e la trachea, dominandola come sempre.
Crowley rise.
«Ora basta, tigre, è ora di iniziare a lavorare seriamente». Clara tese tutti i muscoli del suo corpo cercando di ribellarsi quando le mani del demone si strinsero con forza su di lei, trascinandola su una sedia a fianco del Dottore.
Ogni tentativo di liberarsi fu inutile e venne imprigionata.
Crowley, nei minuti successivi, si perse in un teatrale discorso nel quale voleva spiegare per quale motivo lei e il Dottore fossero lì. In sostanza, non disse nulla. Passeggiava avanti e indietro per la stanza, a volte sfiorando un tavolino che Clara prima non aveva notato sul quale erano posati oggetti di dubbia provenienza dall'aria spaventosa.
La farsa andò avanti per troppo tempo, fino a quando il Dottore non parlò.
«Hai parlato abbastanza, Fergus. Sai bene che non rivelerò nulla».
Crowley sorrise maligno. «Dottore, io non voglio farti del male, ma capisci che non posso tornare dal capo a mani vuote. Se voglio informazioni, io le ottengo. Sai per cosa sono famoso, ai piani bassi, oltre che per le mie eccezionali capacità organizzatrici degne del migliore dei re? Per la tortura. È il mio secondo hobby, oltre a stringere patti con idioti umani. Di solito mi dedico alla tortura il venerdì sera, ma per questa settimana potrei fare un'eccezione e spostarlo al mercoledì pomeriggio».
Il Dottore non fece una piega, sembrava una statua. Clara, in tutte le sue vite, non l'aveva mai visto così inespressivo. Tuttavia riusciva a cogliere sotto quella maschera di pietra una forte impronta di rabbia.
«Io non dirò nulla a Lucifero».
Clara sentì la sua mascella staccarsi dal resto del viso per finire a terra, mentre il cuore iniziava a pompare a velocità tripla il sangue nelle vene.
«A chi-?», domandò con voce rotta, che moriva in gola mentre deglutiva a fatica.
«Maledizione, Dottore, la tua ragazza è un po' stupida. Sei sicuro che sia quella giusta?», commentò aspramente il demone prima di rivolgersi a Clara, «Sai chi c'è a capo dell'Inferno, tigre? Il Diavolo. Che sorpresa, eh?».
«E cosa vorrebbe il Diavolo da noi?», chiese la ragazza, che pian piano cercava di riprendere il controllo di sé.
«Alt, alt, da lui, non da te», la corresse Crowley. «Hai presente quelle grosse crepe luminose che si porta in giro per l'universo da qualche anno? Ecco, stanno creando un po' di casini, qua in giro. Sembra che da quando la sua ex dai capelli rossi è morta due universi paralleli si stiano fondendo. Lucifero vuole sapere come far funzionare questa altalena tra i due mondi, fine della storia».
«Io non dirò nulla a Lucifero», ripeté il Dottore, gelidamente.
Crowley rise ancora.
La mezz'ora successiva fu la peggiore dell'intera vita di Clara. Non era mai stata torturata e non aveva mai visto il Dottore subire tutti quei colpi, uno dietro l'altro, senza reagire, senza sorridere e cavare tutti fuori dalla situazione.
Era così che finiva allora? Sarebbero davvero morti in un vecchio magazzino, lentamente, per mano di un demone degli incroci che prendeva ordini da Lucifero?
Il TARDIS, blu, sfavillante in quello spettacolo di desolazione, sembrava piangere insieme a lei. Sì, Clara piangeva. Non per il dolore, non per la consapevolezza di stare per morire. Piangeva perché l'uomo migliore che avesse mai conosciuto, quello per cui aveva dato la vita così tante volte da non sapere nemmeno lei quante, stesse morendo a un soffio da lei, senza che potesse farci nulla. Era disperata.
«Basta», disse con voce ferma a Crowley, raccogliendo le forze rimaste, «basta».
«Clara, cosa sta-» iniziò il Dottore, spalancando gli occhi, il primo barlume di emozione nei suoi occhi che faceva capolino. Crowley lo zittì con prepotenza, uno schiaffo in pieno viso che lasciò il segno.
«Continua, tigre, ti ascolto».
«Lascialo andare e ti dirò tutto». Era l'unica soluzione, o sarebbero morti entrambi. Era sempre stato così, in fondo. Era sempre morta per dare al Dottore una speranza, l'avrebbe fatto anche quella volta.
«Tutto cosa? Credi di essere preziosa quanto lui?».
«Ho viaggiato nel tempo. Mi sono gettata nella sua linea temporale, ho vissuto migliaia di vite accanto a lui. Ho visto anche io cosa accade là fuori». Non stava pianamente dicendo la verità, ma era l'unica possibilità che aveva. Non ricordava tutto ciò che aveva visto, ma quello che sapeva sarebbe stato abbastanza per fermare tutto, forse.
«Allora, ragazza, cosa mi dici della crepa? Come funziona?».
«La crepa non funziona. La crepa esiste perché due parti dello spazio e del tempo che non dovrebbero mai incontrarsi si stanno avvicinando sempre di più. Se salti nella crepa, vieni spazzato via dall'universo. Sarà come se non fossi mai esistito».
«Clara...», soffiò il Dottore, con tanta tristezza nella voce che una parte di Clara morì per averlo deluso.
«Devo sapere altro. Perché i mondi si mischiano?».
«Io- io non lo so. Dev'esserci qualcosa di più grosso, sotto. Dev'esserci un portale per il Vuoto, da qualche parte».
«Il Vuoto?», la incalzò il demone. Si era proteso verso di lei, immagazzinando ogni parola dentro di lui.
«Lo spazio tra i mondi paralleli è il Vuoto. Il nulla. Il portale è in un luogo dove c'è una grande concentrazione di energia», spiegò la ragazza.
Crowley sorrise e le accarezzò il viso. Clara si impose di non rabbrividire e chiuse gli occhi, mentre un'ultima lacrima le bagnò la guancia.
«Sei stata brava. Aspettatemi qui».
Il re degli incroci sparì con uno schiocco di dita.
 
* * *
 
Dean Winchester sfrecciava tra le strade di una piccola cittadina sconosciuta a bordo della sua Chevrolet Impala del '67 mentre fuori il cielo iniziava a scurirsi. Sam, suo fratello, guardava nervosamente fuori dal finestrino.
Avevano perso le tracce di Pestilenza, uno dei quattro Cavalieri dell'Apocalisse, da giorni ormai, ma avevano trovato quelle di Crowley grazie a Bobby. Quell'uomo trovava qualsiasi fottuto ago in qualsiasi pagliaio. Dean se ne rendeva conto sempre di più in quel periodo.
E così i Winchester erano partiti alla volta di un magazzino abbandonato, per dare una lezione a quel figlio di puttana che li aveva illusi raccontando tutta la favola sul fatto che la Colt avrebbe ucciso Lucifero. Come no. Dean si era ritrovato mezzo morto ai piedi di un albero e se non fosse stato per Castiel sia lui che suo fratello sarebbero ormai un mucchietto di cenere disperso nell'aria.
«Ecco, è in quel magazzino», annunciò Dean, indicando un punto distante. Sam annuì.
«Conviene parcheggiare a distanza, sarà pieno di demoni».
«No, in realtà no», rivelò la voce di Castiel, appena apparso sul sedile posteriore con quel familiare battito d'ali che Dean ormai sentiva dappertutto.
«Cas, cazzo!», gridò Dean inchiodando, «Sai, inizio a credere che morirò qui, in questa macchina, per colpa di una tua apparizione inquietante stile Harry Potter. Altro che morire in battaglia».
Castiel piegò la testa di lato, confuso.
«Di cosa stai parlando, Dean? Non voglio che tu muoia. E chi è Har-».
«Cas, è tutto okay, davvero», tagliò corto Sam, alzando gli occhi al cielo esasperato.
Dean ghignò nel buio e parcheggiò la macchina. «Cosa dicevi dei demoni?», domandò poi a Castiel.
«L'edificio è protetto solamente da due demoni e da alcuni simboli per non far entrare gli angeli, ma con qualcuna di queste», spiegò l'angelo tirando fuori dal trench con aria soddisfatta due bombolette spray, «dovreste riuscire a eliminarne l'effetto».
Dean annuì, afferrando una bomboletta. Sorrise guardando l'aria compiaciuta di Castiel, che a quanto pare era riuscito ad entrare in un negozio per prendere delle bombolette spray di sua spontanea volontà. Aveva inserito oggetti umani nel suo piano, senza suggerimenti. Davvero da 10+.
In pochi minuti, lui e Sam modificarono tutti i sigilli enochiani lasciando libero accesso a Castiel nel magazzino.
Il primo pensiero di Dean entrando in quel luogo fu che era davvero disgustoso. Buio, sporco e disgustoso. Peggio delle solite location scelte da Crowley.
«Non è qui», lo informò Castiel, posando una mano sulla sua spalla, che Dean osservò di sbieco per un attimo prima di ricominciare a guardarsi intorno. Non era il momento di giocare ai migliori amici.
«Dov'è, il bastardo?», mormorò fra i denti.
Il magazzino era immerso nel silenzio assoluto. Forse era solo una trappola o una stramaledetta presa per il culo. Dean propendeva di più per la seconda, ed era molto irritante.
«Dean! Cas!», esclamò la voce di Sam, scomparso nel buio pesto una manciata di minuti prima, «Venite qui».
Sam, nella desolazione di quel magazzino, aveva trovato due ostaggi. Uno dei due era il soggetto più strano che Dean avesse mai visto – dopo Cas, ovviamente. Indossava una camicia bianca, una giacca di tweed e un orribile farfallino rosso. In più, era praticamente senza sopracciglia e i suoi capelli erano la versione più corta e piastrata di quelli di suo fratello. La ragazza, invece, era una tipa minuta, dal viso pieno incorniciato da lunghi capelli castani nel quale splendevano un paio d'occhi grandi.
Entrambi erano coperti di sangue. Le labbra dell'uomo erano rotte, la sua guancia destra percorsa da un sottile e lungo taglio, il naso probabilmente rotto. Era molto vicino allo svenimento. La ragazza sembrava in migliori condizioni, ma non doveva cavarsela troppo bene nemmeno lei.
Sam la sollevò, prendendola in braccio, nonostante le sue numerose proteste, mentre Dean e Cas si occuparono dell'uomo.
«Il TARDIS, dobbiamo tornare nel TARDIS», mormorava quello come una litania.
«Cosa?», domandò Castiel.
«La cabina blu, dobbiamo tornare lì dentro... è più grande all'interno».
«Sta tornando... Crowley sta tornando», soffiò la mora.
Aveva ragione. Crowley apparve in un attimo, da solo. Dean non esitò e sfoderò il coltello di Ruby, pronto all'attacco, lasciando l'uomo nelle mani di Castiel.
«Hello, boys», salutò il demone con tranquillità, «Avete portato anche faccino d'angelo, oggi».
«Oh, sta' zitto, Crowley. Abbiamo cose più importanti da fare che stare ai tuoi giochetti», ringhiò il cacciatore. La rabbia montava dentro come una belva, dal petto fino alla gola.
«Afferrato, calmati. Non ho intenzione di combattere. Verrò con voi. Sono ufficialmente un vostro prigioniero, squirrel», disse velocemente Crowley alzando le mani in segno di resa. Sam alzò un sopracciglio, non troppo convinto. Dean non abbassò l'arma.
«Moose, dai, non fare quella faccia. Su, ragazzi, non siate melodrammatici, mi sto arrendendo. Visto?». Con un movimento della testa accennò alle mani alzate e sorrise.
«Dammi un buon motivo per non ucciderti, Crowley, davvero», ringhiò Dean stringendo la presa intorno all'impugnatura del coltello, fino ad avere le dita bianche e doloranti.
«Senti, se avessi voluto farvi eliminare dai miei demoni ne avrei piazzati due in più un po' più svegli e sareste morti. Invece vi ho lasciato l'ingresso libero. In più ho appena parlato con il vostro angelo caduto preferito e quindi potreste avere bisogno di informazioni. Ma sto solo ipotizzando».
Dean sbuffò.
«Bravo ragazzo, sai che da morto sono molto meno utile», esclamò il demone.
Il cacciatore, seccato, si voltò verso Castiel e vide che non stava più sorreggendo l'uomo con il farfallino. Quello, infatti, stava camminando a passi incerti verso una cabina blu della polizia che prima di allora nessuno aveva notato. Era del blu più blu sulla faccia della terra, aka lo stesso colore degli occhi di Cas.
L'uomo tirò fuori una chiave dalla tasca della sua giacca e aprì le porte.
«Hey, dove credi di andare?», lo chiamò il Winchester raggiungendolo con un paio di falcate.
«Nel mio TARDIS. Portate dentro Clara, devo assicurarmi che non sia ferita gravemente», annunciò prima di entrare in quel buco di cabina. Dean lo afferrò per la giacca, credendo che fosse solamente un pazzo, con qualche problema causato dalle torture del caro re degli incroci.
«Senti, amico...».
«Sono il Dottore», lo corresse l'uomo quando ormai erano entrambi dentro il TARDIS.
Dapprima Dean vide solo di sfuggita l'interno della cabina e credette di avere le allucinazioni. Poi, dopo aver mollato la giacca di tweed del Dottore – poi, Dottore chi? - si guardò intorno esitando, con più attenzione, e ciò che vide fu lo spettacolo più bello della sua vita.
Si trovava in un'enorme astronave. Proprio come nei film. Continuò ad andare dentro e fuori con la testa, passando una mano sul legno blu della cabina, senza coglierne tuttavia il profondo mistero.
«Cazzo, Sam, è più grande all'interno».



 
1Semi-citazione di Twelve in Listen.




NdA: hello, boys! okay, forse non è il caso di fare il crowley della situazione.
eccoci al primo capitolo, dove la situazione inizia a farsi abbastanza complicata. si accettano scommesse su cosa succederà in seguito, hehe. 
grazie a tutti quelli che hanno aggiunto le storie nelle seguite, nelle preferite e a coloro che hanno recensito. sono commossa, aw. e non dimentichiamoci la mia fantastica beta danae98, che legge tutti questi scleri, sempre, e mi sopporta ogni giorno. 
ci si rivede tra qualche giorno, bye xxx
   
 
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