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Autore: ELE106    30/09/2014    13 recensioni
È possibile psicanalizzare un Winchester?
(...) Il dottor William Holmes era un uomo onesto e preciso. Un professionista serio, stimato, uno di quelli che amano il proprio lavoro e lo onorano svolgendolo con la giusta combinazione di cuore e mente, buon senso e competenza. Era sempre stato un ottimo osservatore, con straordinarie doti deduttive e l’indole buona di chi desidera davvero aiutare le persone, senza alcun secondo fine. (...) L’osservazione diretta era il suo punto di forza. Il corpo parlava più di quanto si credesse comunemente, bastava saperlo leggere, bastava non farsi sfuggire i dettagli. E quello di Dean Winchester era particolarmente loquace. (...) ‘Possibile comparsa di impulsi sessuali per il fratello minore. Li reprime. Frustrazione e aggressività derivate. Indagare.’ (...) Buona lettura ;)
[wincest]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio
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Capitolo 10.



 
Dicembre 1998 – Baltimore, Maryland



‘Risponde la segreteria d’emergenza di John Winchester. Lasciate il vostro messaggio dopo il segnale acustico.’
*bip*

“Papà? Sono sempre Dean, io... non credo che risponderai più a questo punto. Ho... io e Sam siamo... papà, cazzo ti conviene essere sparito per una cosa dannatamente importante, perché qui è un fottuto casino!”

Dean appese il ricevitore con rabbia. Nella cabina telefonica di fronte al liceo, vicino a dove lui e Sam si erano sistemati, c’era puzza di sudore e metallo condensato.
Si appoggiò al telefono con un braccio, vi seppellì la faccia e soffocò un lamento di frustrazione.
Non sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto dire a suo padre.

Io e Sammy abbiamo quasi fatto sesso, ieri notte? Avevamo paura? Avevamo freddo? Tu non c’eri...

Palle, erano un mare di stronzate!
Che cazzo era successo quella notte con Sam? E perché, dannazione al mondo intero, non riusciva a farsi schifo?

Dean uscì dalla cabina e sospirò, notando lo sbuffo bianco del suo fiato di fronte a sé e accorgendosi che aveva iniziato a nevicare.
Era già quasi buio, era tardi, si alzò il colletto della giacca troppo leggera e si incamminò verso la stanza di motel appena affittata, pensando che avrebbe dovuto trovare in fretta il modo di guadagnare un po’ di soldi e fare compere, perché faceva un freddo atroce in quella dannata città.

Diede un calcio ad una lattina vuota abbandonata per terra e rallentò il passo.

E ora che accidenti faccio?

Fino a quel momento avevano avuto un sacco di cose da fare, non c’era stato modo di parlarne. Ma adesso? Sarebbe tornato da Sam e che avrebbe fatto? Cosa gli avrebbe detto?
Sarebbe bastato solo che suo fratello non riprendesse mai più il discorso e tutto si sarebbe risolto. Tutto finito.
Cristo, allora perché il pensiero gli faceva pungere gli occhi neanche fosse una stupida ragazzina piagnucolosa?
Dean tirò su la testa e proseguì a passo più spedito.


*

Fu tutto molto semplice, a dire il vero. E dolce. Oh, e così bello che Dean non lo avrebbe mai creduto possibile.
Tornato in stanza, Sam aveva già unito i due letti singoli e sedeva a gambe incrociate al centro, con quell’espressione un po’ spaventata e nervosa, ma paziente e gentile al tempo stesso.
Gli sorrideva, gli occhi erano quasi liquidi, e sembrava così imbarazzato, emozionato, così gracile dentro quella tuta larga e comoda.
A Dean quasi cedettero le gambe, perché Oh mio Dio, improvvisamente fu consapevole di cosa avevano davvero fatto, di cosa lui gli aveva effettivamente fatto.

Sono stato il primo.

Un colpo al cuore e una rivelazione, al tempo stesso.
Si sentì esplodere di gioia e insieme di terrore e stette in piedi a guardarlo fisso, come un idiota, finché non fu Sam ad alzarsi e avvicinarsi a lui.
Sembrava tremare un po’, ma era sempre stato lui il più coraggioso in certe cose, Dean lo sapeva ormai meglio di chiunque altro.
Si sentiva un imbecille totale, imbambolato e rigido come un palo, ad occhi sgranati; una parte di lui avrebbe voluto fuggire a gambe levate.
Ma Sam aveva le labbra più dolci e buone del mondo.
E quando si sporse per baciarlo, Dean non ebbe più assolutamente nulla da dire. Sentì solo il cuore (il suo e quello di suo fratello) sfondargli la cassa toracica.


*


Le coperte erano un buon modo per nascondere ciò che avveniva sotto.
Anche se si attorcigliavano ai piedi e qualche volta gli sembrava di soffocarci dentro, erano calde e protettive, erano una casa dentro le cui mura si consumavano i segreti più intimi.

Sam era tutto attorno a lui, gli avvolgeva le braccia al collo e le gambe intorno ai fianchi; gli respirava veloce addosso, mormorava il suo nome.
A Dean piaceva sentire come la sua voce si scioglieva man mano che lui lo toccava un po’ più veloce; gli piaceva come soffocava i gemiti quando stava per venire contro il suo stomaco; gli piaceva da impazzire che non fosse capace di ricambiare, perché a Dean bastava sentirlo contorcersi e avvinghiarsi a lui, per farselo diventare duro.
A Dean non dispiaceva per niente venire per ultimo, perché scoprì presto che, se Sam non ci sapeva fare con le mani, durante, era invece piuttosto bravo con la bocca, dopo.
A Dean non dispiaceva neppure ricambiare anche questo.


*


Fu tutto così semplice che finse persino di non notare il fatto che Sammy, durante il giorno, non parlava quasi mai, dopo l’incidente di Chicago (così lo chiamava).
Non importava poi molto, perché di notte invece, parlava eccome.

E finse anche di non dare importanza alle numerose telefonate ricevute dalla professoressa Watson, che insisteva per parlare con il padre di Sam per discutere con lui del preoccupante mutismo di suo figlio e del suo completo disinteresse verso l’interazione con gli altri compagni di liceo.
Dean si inventava scuse, liquidava la zelante maestrina con una battuta, e non ci pensava più.


*


‘Risponde la segreteria d’emergenza di John Winchester. Lasciate il vostro messaggio dopo il segnale acustico.’
*bip*

“Stiamo bene, papà. Io... sto facendo del mio meglio, lo sai vero?”

Certe volte il groppo che gli si formava in gola non ne voleva sapere di scendere, a Dean sembrava di ingoiare biglie di vetro; erano sensi di colpa, ma ormai era abituato e ingoiava anche quelli.

“Papà... dove sei?”

*bip*

E il groppo andava giù.


*


Fu tutto troppo semplice e bello, Dean non lasciava nemmeno più messaggi a John.
Ad un certo punto pensò addirittura che quella fosse la vita che avevano sempre voluto, che lui e Sam si fossero incontrati lì, a Baltimore, come due estranei che si fermano dopo un lungo viaggio e si trovano in fondo alla strada del destino.
Sarebbero rimasti loro due per sempre, così, e nessuno lo avrebbe mai saputo.


*


Fu una cosa stupida, in tutto e per tutto. Una sera lo disse persino a Sam.

“Pensi mai che stiamo facendo la cosa più assurdamente sbagliata del mondo?”

Non erano esattamente i discorsi più adeguati da fare, ancora meno se (come loro in quel momento) ci si trovava a rotolarsi insieme tra le lenzuola.
Ma gli uscì spontaneo, ed era davvero curioso di sapere cosa frullava nella zucca scura di Sam, da quando avevano iniziato a... beh, non proprio a fare l’amore perché fino in fondo non c’erano mai andati (e Dean sapeva benissimo di essere un vigliacco per questo, ma si sentiva meno in colpa per non averlo mai fatto e tanto bastava a fermarlo dall’oltrepassare anche quel limite), ma qualcosa del genere.
Sam lo guardò a lungo, un’espressione indecifrabile che lo mise quasi in soggezione.
Era sdraiato sotto di lui, Dean lo schiacciava col proprio peso sul letto. Aveva i capelli tutti spettinati e sparsi sul cuscino, le labbra gonfie e la pelle arrossata, era la cosa più bella che avesse mai visto.

“Non guardarmi così, che ho detto?”

Riuscì a chiederli deglutendo.
Suo fratello rimase zitto, gli solleticò le labbra con le dita di una mano, prima sopra e poi sotto, gli occhi sempre inchiodati ai suoi. Dean a quel punto ebbe solo voglia di baciarlo come se non ci fosse un domani, e quasi si era già scordato il discorso.
Mentre il suo Sam gli sbottonava i jeans e intrufolava la mano all’interno, gli disse che un giorno, forse tra molti anni, magari l’avrebbe vista così.

“Per ora... tu sei l’unica cosa bella della mia vita.”

Gli bisbigliò sul collo.
Dean pensò che fosse un’ottima risposta.







 
Febbraio 1999 - Studio privato del Dottor William Holmes, Baltimore, Maryland



Sei l’unica cosa bella della mia vita...

A Dean sembrò un pugno in pieno stomaco; improvviso, veloce, crudele, di quelli che non sei per nulla preparato ad incassare, che ti piegano in due, se sei fortunato e non ti spezzano del tutto.
Sentì quelle parole in testa, come se Sammy le avesse dette in quel momento, sentì le sue mani sulla pelle, come le avesse ancora addosso.
Si sentì morire.

Sei l’unica cosa bella della mia vita...
No, Sammy, non lo sono. Non devo esserlo.


*


Non passò che un attimo, dopo che il dottor Holmes ebbe lasciato lo studio.
Dean aspettò che la porta si chiudesse alla loro spalle e scattò in piedi. Prese Sam per le braccia e se lo strinse contro come volesse farselo passare attraverso.

“Sammy, scusami... scusami.”

Gli ripeteva, stringendolo più forte.

“Smettila!”

Rispondeva suo fratello, avvolto, quasi nascosto tra le sue braccia, e per Dean fu troppo; quel groppo di sensi di colpa che ingoiava da settimane, gli risalì la gola e prese forma in parole.

“Non eri in te, non stavi bene... io dovevo capirlo, io...”

Sammy gli colpì la spalla con un pugno, poi con due, poi nascose ancora di più il volto contro il suo petto.

“Lo sai che non è così!”

E allora Dean attese, non disse più nulla. Aspettò paziente che Sammy smettesse di singhiozzare, che il suo corpo si rilassasse pian piano, che riuscisse quantomeno a reggersi in piedi da solo, perché sembrava tanto fragile da frantumarsi nel suo abbraccio.

Dio ti prego, ti prego, non voglio che soffra così... Dio aiutaci.

Si ritrovò a maledire e poi pregare e pregare ancora, senza fiato, che il cuore di Sam non si spezzasse assieme al suo.

“Dì qualcosa...” Supplicò Sam e nemmeno seppe come riuscì a parlare in mezzo a tanto dolore.

“Io ti amo, Sammy.”

Gli disse infine, perché era vero, perché quello non sarebbe mai cambiato, perché prima di dire addio ai baci e alle carezze, Dean voleva che Sam sapesse.
Suo fratello smise di piangere e d’un tratto lo guardò come solo lui sapeva fare, come prima di fare l’amore stretti in un letto già sfatto, con quei due pozzi liquidi così simili ai suoi, il colore che si perdeva in onde umide, lacrime che cadevano pesanti come macigni.
La mano di Sam era sul suo petto e, a quelle parole, si strinse aggrappandosi alla sua felpa; Sam poggiò la fronte sulla spalla di Dean e respirò forte, tentando di controllare il tremore del proprio corpo.

Sono tuo, lo sarò sempre.

C’erano così tante cose che non gli aveva mai detto e mai lo avrebbe fatto.
Sam ingoiò lacrime e dolore, alzò di nuovo la testa, insicuro e delicato come una foglia che cade, gli accarezzò le labbra con le dita di una mano, come aveva fatto mille altre volte, e poggiò poi lieve le proprie su quelle di Dean.
Il maggiore chiuse gli occhi e lasciò che fosse il loro ultimo bacio a fare il resto; si concesse di socchiudere appena le labbra e assaporare quelle di Sam, perché da quel momento in poi avrebbe solo potuto ricordarle.
Sentì il sapore delle sue lacrime e capì che insieme, vi erano mischiate anche le proprie.

Un addio è un addio. Per quanto dolce, riesci sempre a sentirne il salato in sottofondo.

Le fronti unite, le mani strette, poggiate proprio sul cuore di Dean, rimasero a lungo in silenzio.
Quando il maggiore recuperò le forze per fare qualcosa, allontanò Sam con gentilezza, continuando a tenergli la mano; con l’altra, gli asciugò le lacrime e si prese del tempo per imprimersi nella mente ogni dettaglio del viso di Sam così vicino, proprio come lo vedeva in quel momento.
Prese un profondo respiro e si raddrizzò.
Entrambi capirono che era il momento.
Che i Sam e Dean di Baltimore si erano detti addio. Che ora si tornava alla realtà.

Avrebbero potuto parlare ancora e ancora. Scelsero invece di non farlo, scelsero di posare nel silenzio il primo mattone della loro nuova esistenza da fratelli.
Non sarebbero mai tornati come prima, non erano più bambini. Non erano colpevoli, ma non erano nemmeno innocenti, erano adulti e dolorosamente consapevoli di quanto rischiavano di perdere.
E dovevano sopravvivere.


*


Uscirono insieme, spalla contro spalla, la devastazione di un lungo pianto che rigava loro i volti e segnava di rosso gli occhi.
Holmes li attendeva seduto alla scrivania con Clarisse, ma si alzò appena li vide e si avvicinò loro per salutarli.

“Fate buon viaggio.”

Strinse la mano di Dean che gli regalò un occhiolino furbo ma finto, e poi passò a Sam che gli rivolte un sorriso talmente triste, da stringere il cuore persino alla sua implacabile segretaria.
William Holmes li guardò uscire dal suo studio più vicini di quanto avrebbero dovuto essere, senza che ci fosse alcun contatto tra loro.

“Buona fortuna... “

Guardò la schiena di uno e dell’altro e sentì che Sam e Dean erano questo: un nucleo irraggiungibile, impenetrabile per chiunque fuorché loro stessi; l’abbaglio fugace di un contatto che finisce inesorabilmente con loro due, inseparabili, che abbandonano un campo di battaglia alla ricerca del prossimo. Due schiene, unite, da guardare un’ultima volta andar via.


*


Nome paziente: Dean Winchester
Stato valutazione: Terminata
Conclusione: Idoneo al rilascio
Osservazioni aggiuntive: relazione incestuosa e problematiche relative volontariamente represse dal paziente.




 
Ҩ Ҩ Ҩ Ҩ Ҩ Ҩ Ҩ




 
Ottobre 2005, Notte di Halloween
Appartamento di Sam Winchester e Jessica Moore - Palo Alto, California




C’erano poche cose di cui Dean Winchester era certo nella sua vita.

A ventisei anni sapeva che i demoni esistevano e che uno di loro aveva assassinato sua madre.
Sapeva che, col tempo, lui li avrebbe uccisi tutti.
Sapeva che Sam, un bel giorno, se n’era andato al college perché voleva abbandonare quella vita (e lui).
Sapeva fottutamente bene di essere molto arrabbiato per questo.
Sapeva che sarebbe morto pur di proteggerlo e che, nel profondo, la sua scelta di andarsene era stata più che giusta.
Sapeva che lo amava come allora, come quell’inverno di sei anni prima a Baltimore, quando faceva un freddo del diavolo ma lui non aveva mai sentito più caldo di quando lo toccava tra le gambe, sotto le coperte del loro letto, in una pidocchiosa stanza di motel, a pochi metri dal liceo cittadino.
Sapeva che si erano detti addio già molte volte.

Sapeva tutte queste cose, mentre forzava la serratura dell’ingresso al suo appartamento, che da qualche tempo divideva con una bella ragazza bionda e formosa.
Era, senza ombra di dubbio, la peggiore scelta della sua vita. Avrebbe dovuto tenere fuori Sam, come lui aveva scelto, rispettare la sua decisione e cavarsela da solo.
Ma quello che sapeva più di tutto, era che suo padre non si faceva vivo da tre settimane e, che se fosse morto anche lui, il suo cuore non avrebbe retto.

Dean aveva dato fondo alle alternative e di John nessuna traccia.
Si sarebbe ripreso Sam e si sarebbe fatto bastare quel che aveva da dargli.
E se avesse dovuto riaprire la ferita sanguinante del loro vecchio e mai morto peccato, che Dean fosse dannato in eterno, lo avrebbe fatto.


*


“Dean? Che accidenti ci fai qui?”

Sammy ansima quando lo atterra, gli sta sopra a cavalcioni e Dean quasi non ci vede più, quasi gli prende un colpo al cuore per quanto il suo odore gli arriva forte, si infila sotto la pelle, nelle ossa e Dio, mi sei mancato da morire, Sammy.
Picchia ancora duro il suo fratellino, Dean ne è fiero, come quando se le davano di santa ragione da piccoli, quando ancora sapeva dove e quando fermarsi con lui.

Lo vede. C’è buio e fa un caldo del cazzo, Dean è stanco più di quanto ammetterà mai, ma i sensi gli funzionano perfettamente; è un dannato cacciatore e non si sbaglia mai, lo sente quando la sua preda ha paura, quando l’eccitazione manda brividi al cervello e pompa vita nelle vene.
Il viso di Sam è vicino al suo come quando si baciavano di nascosto, come quando la sua lingua arrivava a toccargli i punti giusti; ha la pelle d’oca sulle braccia, gli tremano le mani e la voce è malferma.
Dean lo capisce, lo riconosce nello scintillio terrorizzato dei suoi occhi.

Non è cambiato niente. È ancora mio.

Gli verrebbe da ridere, non fosse che ce l’ha quasi duro ed è tutto talmente sbagliato e tragico che ci sarebbe da strapparsi i capelli e piangere fino alla fine dei suoi giorni.
Quando si rialzano e accendono la luce, è esattamente tutto come deve essere.

È ancora mio.

“Papà è andato a caccia e manca ormai da qualche giorno.”

Vieni con me, Sammy. Perché sei tu... sei sempre stato tu l’unica cosa bella della mia vita.

C’è solo un attimo, un momento di debolezza, di esitazione, un istante in cui Dean ripensa a quel dottore dall’aria furba e intelligente, con quegli occhi di ghiaccio che sembravano lame affilate. Ripensa a tutto quello che fece per loro, ripensa ai modi in cui aveva tentato di salvarli e, in parte, ci era persino quasi riuscito.

Chissà che direbbe Doc, se mi vedesse adesso.

Pensa.

Fanculo.

Dopo tutto, riflettendoci meglio, il fottuto universo quella fottuta tregua ancora gliela deve. L’universo è fottutamente in debito con lui.

Forse aveva ragione quel tale, non si ricorda nemmeno chi accidenti fosse.



Gli amori impossibili non finisco mai. Sono quelli che durano per sempre.









Fine


 
A Marzia... lei sa perché <3
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Nda: Pipol del fandom! Vi rubo un secondo per ringraziare con tutto il mio cuoricino wincestoso le tante persone meravigliose che ho incontrato da che pubblico e recensisco su questo sito.
 
Grazie
 
Mi avete sempre incoraggiata, fatto un mucchio di complimenti e trasmesso una voglia matta di continuare a scrivere. In questa storia in particolare, ho messo tanto cuore, tanta passione e il massimo delle mie capacità. Sono contenta... massì, tutto sommato mi sembra di aver chiuso il cerchio, per così dire.
Il resto è storia.

Un ultimo ringraziamento alla beta, Thinias, per la pazienza infinita che ha con me. Se ancora non lo avete fatto, vi invito a leggere la storia che sta traducendo, Under falling leaves, perché ne vale davvero la pena. FIDATEVI!


Niente, detto questo, vi abbraccio forte forte!
Ele106 (@orsettobiondo)
#off
   
 
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