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Autore: Acinorev    30/09/2014    24 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo quattro - Scars
 
 

La domenica mattina, a Bradford, era dedicata al mercato: numerose vie e diversi vicoli venivano chiusi al traffico e farciti di bancarelle più o meno pittoresche, che offrivano ai passanti qualsiasi genere di prodotto a prezzi scontati.
Emma stava passeggiando lentamente in una delle strade principali del mercato, alla ricerca di una collana che potesse soddisfare un suo capriccio e di una borsa vintage per la sua macchina fotografica: con gli occhiali da sole a ripararle le iridi, si sventolava il viso con una rivista comprata poco prima, sperando di contrastare l'afa.
Louis Tomlinson, alla sua destra, evitava in modo più o meno efficace le altre persone senza alzare lo sguardo dal proprio telefono. Potevano considerarsi amici da quattro anni: lui era il famoso Louis che aveva ospitato Zayn a Londra durante la sua fuga da Bradford, in seguito all'irruzione di Harry in casa del signor Dumbel. Di tanto in tanto tornava in città, per far visita al suo amico e a Melanie e per altre faccende personali, come gli piaceva chiamarle, ma Emma non ci aveva avuto direttamente a che fare se non dopo circa due anni. 
«Che cazzo di caldo», sbuffò all'improvviso, riponendo l'iPhone nella tasca dei suoi blue jeans stretti e passandosi una mano tra i capelli castani. Si massaggiò anche il collo ricoperto di tatuaggi, quelli che aumentavano ogni volta di più e che gli ricoprivano anche il braccio sinistro.
«La tua finezza mi ha sempre affascinata», lo prese in giro Emma, sorridendo senza guardarlo.
«Tutto di me ti ha sempre affascinata», la corresse lui, con il tono saccente che lo accompagnava in quasi ogni scambio di battute: prese a giocherellare con il piercing che gli decorava il lato destro del labbro inferiore - unico superstite dei due originari -  e poi con quello sulla lingua.
«Forse mi hai scambiata per Aaron», ribatté Emma: la prima volta che aveva visto Louis, tutto avrebbe pensato meno che fosse omosessuale fino alla punta dei capelli. La notizia l'aveva visibilmente sconvolta, perché un tale ben di Dio non poteva andare sprecato e perché, nonostante sapesse già di Aaron, lo storico migliore amico di Melanie, non avrebbe mai immaginato che i due potessero avere una qualche relazione.
«Sei sempre più simpatica, hun», fu la risposta che ricevette, compresa di nomignolo del quale probabilmente non si sarebbe mai sbarazzata.
«A proposito, come vanno le cose tra di voi?» gli domandò allora, incuriosita. Louis non era un tipo molto sentimentale, anzi, era completamente l'opposto, quindi era raro sentirlo parlare spontaneamente di ciò che più si avvicinava ad un rapporto duraturo per i suoi standard, anche se non del tutto esclusivo.
Lui distese le labbra sottili in un sorriso soddisfatto. «Scopiamo», disse semplicemente. «Scopiamo parecchio. E ti dirò, credo sia anche una delle migliori scopate della mia promiscua vita».
Emma rise scuotendo la testa, lasciando spazio ad una signora anziana che doveva passare con due enormi buste piene di prodotti appena comprati. «È il tuo modo per dire che-»
«Emma, hun, è il mio modo per dire quello che ho detto», la interruppe, voltandosi a guardarla con un sopracciglio alzato. Gli occhi, del colore del cielo sereno di quella mattina, non lasciavano spazio ad alcuna replica.
Lei assunse un'espressione contrariata. «Andate avanti così da anni: perché non puoi semplicemente ammettere di tenere parecchio a lui? O magari anche di amarlo?»
«Sai benissimo che non credo a stronzate del genere», ribatté lui, corrugando la fronte. «Sono un convinto difensore dell'amore verso se stessi: quello per gli altri fa schifo e rovina tutto, è scomodo, porta ad un sacco di problemi e dopo un po' diventa semplice abitudine».
Emma non lo contraddisse, perché sapeva di non avere speranze nel convincerlo: quella di Louis era una credenza connaturata e ben salda, che non poteva essere corrotta dai tentativi esterni di qualcun altro. Aaron non ci era riuscito, quindi nessun altro avrebbe potuto avere maggiori possibilità.
«Però lui a queste stronzate crede eccome», riprese per citarlo. «Farebbe di tutto per te». In un certo senso le dispiaceva per Aaron e per i suoi sentimenti costretti in un limite imposto da chi li scatenava: pur di stare accanto a Louis, aveva rinunciato a qualsiasi definizione avesse mai dato all'amore e allo stare insieme, adattandosi alla sua visione delle cose e reprimendo parte delle proprie intenzioni. E avevano litigato, avevano discusso notte e giorno, poi avevano fatto pace ed erano scomparsi per un po', erano tornati separati e avevano ripreso a litigare, solo per poi trovarsi di nuovo nella camera di uno dei due. Tutto questo, per cinque anni.
«Hey, lo so, ok?» rispose Louis, con la voce un po' più stridula. «Ma anche io faccio molto per lui: un paio di volte gli ho persino permesso di fare l'attivo, non so se ti rendi conto di cosa significhi».
Emma si abbandonò ad una risata e gli riservò una gomitata scherzosa nel fianco. «Sei davvero impossibile: guarda che il tuo sedere non vale così tanto».
«Lo dici solo perché non l'hai mai provato», le assicurò, vanitoso. «Comunque, parliamo di cose di minor importanza: tu e Miles come ve la cavate? State sopravvivendo al ritorno del famigerato Harry Styles?»
Lei spalancò gli occhi e lo osservò allibita. «Come fai a saperlo, se sei tornato solo ieri?»
«Me ne ha parlato Zayn, quando ha saputo che sarebbe ricomparso sulla scena», le spiegò, avvicinandosi ad un venditore di frutta, ma senza trovare qualcosa di accattivante.
«Quindi fammi capire, ero l'unica stupida ad ignorare il fatto che Harry sarebbe tornato da un momento all'altro?» esclamò indignata. Zayn lo aveva saputo dal diretto interessato, ma l'aveva detto a Louis, a chilometri di distanza e senza un motivo preciso, al posto di dirlo a lei, che ne avrebbe avuto tutto il diritto. E a sua volta, nemmeno Tomlinson aveva accennato alla cosa.
«Sì, a quanto pare», rispose lui con tranquillità e scrollando le spalle.
«Che amici del cazzo che ho», si lamentò Emma, incrociando le braccia al petto ed irrigidendosi. Perché, al posto di fare i pettegoli, non avevano pensato che forse sarebbe stata un'idea carina avvertirla? E perché, soprattutto, credeva di avere il diritto di essere avvertita?
«Ora che voi due non vi... Intrattenete più, insomma, ora che tu hai anche un altro di cui occuparti, pensi che potrei provare a farlo diventare gay?» domandò Louis, con una tale nonchalance da essere irreale. Aveva visto Harry per la prima volta quando lui era già impegnato con Emma, e aveva sperato con tutto se stesso di potergli mettere le mani addosso, ovviamente in senso positivo: non avevano mai avuto l'occasione di conoscersi davvero, ma sapeva di lui grazie ai racconti della sua amica e di Zayn, racconti che ai suoi occhi lo avevano reso ancora più affascinante.
«Anche se non credo che mi darebbe molte soddisfazioni», ragionò ancora, come dialogando con se stesso.
Emma sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «No, ma puoi sempre provare a farlo innamorare con il tuo culo», lo prese in giro, facendolo ridere.
«Credo proprio che ci proverò, e poi verrò a vantarmi da te», le assicurò Louis. «Però non mi hai risposto, come va con Miles?» continuò, ripescando il telefono dalla tasca e scrivendo velocemente un messaggio.
Lei respirò profondamente e aspettò qualche istante, prima di usare la sincerità che gli doveva. Era doloroso doverlo ripetere ad alta voce, quando per così tanto tempo era rimasto solo un pensiero nella sua mente, qualcosa che gli altri non osavano più menzionare e che era diventato un suo demone personale.
«Mi ha tradita».
Louis si immobilizzò all'istante, alzando lo sguardo su di lei con una fermezza disarmante. «Ma che cazzo stai dicendo?»



«Emma, il tuo ragazzo ti s-»
La voce della signora Grace Winsor si disperse nei pochi e silenziosi metri quadri dell'appartamento, mentre Emma entrava in salotto a passo svelto, cercando di allacciare il braccialetto fine intorno al proprio polso.
«Ah, vedo che sei già pronta», sorrise poi la padrona di casa, dando una frettolosa occhiata a quella che non considerava solo come la baby-sitter delle sue figlie.
«Le bambine stanno già dormendo, quindi ho pensato di approfittarne», si giustificò, stringendosi nelle spalle. Non voleva pensasse di aver a che fare con una negligente: erano le nove e mezza di sera, Miles probabilmente la stava aspettando da più di tre quarti d'ora chiuso nella sua auto fuori dal portone, ma non aveva potuto liberarsi prima, perché aveva dovuto aspettare che la signora Winsor facesse ritorno.
«Come ci riesci?» sospirò la donna, togliendosi i tacchi da ufficio e sciogliendosi i capelli ramati sulle spalle. Gli occhi stanchi riflettevano gli sforzi compiuti durante la giornata lavorativa, che le impediva di passare il tempo necessario con le figlie di appena sette anni. «Io dovrei corromperle per farle andare a dormire a quest'ora».
Emma abbozzò una risata e le si avvicinò. «Il segreto è farle stancare il più possibile», le confessò.
Grace annuì divertita e la osservò calorosamente. «Grazie di tutto», esclamò dolcemente. «Ma ora vai: quel giovanotto mi ha guardata con un certo rimprovero quando sono arrivata. Chiedigli scusa da parte mia per il ritardo», continuò scherzando, mentre Emma poteva immaginare nella propria mentre l'espressione spazientita di Miles, probabilmente intento a tamburellare le dita nervose sul volante dell'auto.
«Lo farò», le assicurò lei, infilandosi la giacca nera. «Buona serata», salutò, prima di aprire la porta e percorrere velocemente le scale. Le decolleté blu che indossava erano alquanto rumorose sul marmo dei gradini, ma lo stomaco le brontolava così tanto per la fame che non avrebbe rallentato per nessun motivo.
Quando uscì dal portone dell'edificio, sbirciò in strada per individuare la macchina di Miles: era parcheggiata un paio di metri più avanti e si poteva udire della blanda musica provenire dall'interno. Emma sorrise e si ravvivò i capelli mossi, forse un po' disordinati per la fretta, ma piuttosto soddisfacenti: aveva dovuto portare con sé uno zaino con tutto l'occorrente, perché sapeva che non avrebbe avuto tempo per tornare a casa e prepararsi.
Aprì lo sportello dell'auto e si sedette al posto del passeggero, mentre il motore si accendeva senza esitazioni, a manifestare la fretta del proprietario.
«Grace mi ha chiesto di porti le sue scuse», esordì con un tono divertito, mentre osservava il viso imbronciato di Miles: un bambino capriccioso sarebbe stato meno determinato.
«Sì, be', spero per lei che le sue scuse bastino a non farci cancellare la prenotazione», borbottò in risposta, senza ingranare la marcia ma ostinandosi a guardare dritto di fronte a sé.
Emma ridacchiò silenziosamente e si sporse verso di lui, appropriandosi del profumo della sua pelle: gli baciò delicatamente il collo e lo sentì rilassarsi con un sospiro trattenuto.
«Sei sleale», la rimproverò a bassa voce, portando una mano tra i suoi capelli.
«Molto», confermò lei, percorrendo la sua mascella con le proprie labbra, fino ad arrivare a quelle che la attendevano increspate e nervose.
«E siamo in ritardo, quindi allontanati o rischiamo di non arrivarci nemmeno, al ristorante», la ammonì riluttante, nonostante la sua mano si fosse posata possessivamente sulla gamba nuda di Emma. Sapeva quanto gli piacesse quella gonna e si divertiva nel provocarlo.
«Come vuoi», rispose maliziosa, generando in lui una leggera risata di tensione, esplicita prova di quello che era un conflitto d'interessi.
Impiegarono quindici minuti ad arrivare all'Oak, un locale vicino al centro di Bradford: il proprietario non si fece problemi a dimostrare la sua stizza per il loro clamoroso ritardo, ma fortunatamente era una serata tranquilla ed il ristorante non era pieno, quindi riuscirono a recuperare la loro prenotazione non senza una buona dose di occhiate di rimprovero.



«Ordiniamo il dolce?» domandò Miles, appoggiando i gomiti sul tavolo quadrato e al centro della sala: la tovaglia color crema era macchiata in qualche punto, ma conservava la sua eleganza. «So che qui fanno un'ottima panna cotta».
Emma prese tra le mani il menù che il cameriere aveva lasciato loro e lo sfogliò distrattamente. «Non so, sento di star per esplodere», ammise arricciando il naso.
«Possiamo prenderne una in due», propose lui, alzando le spalle.
Lei annuì e ripose il cartoncino sul tavolo, osservando Miles con il cuore che le batteva ancora un po' più forte per ciò che le aveva sussurrato all'orecchio solo pochi minuti prima. Una promessa ed un inganno, qualcosa che non le lasciava diritto di scelta, perché corrispondeva anche alla sua volontà.
Si riscosse dall'analisi attenta del suo fisico racchiuso in una camicia leggera e pallida, quando udì il telefono squillare per l'arrivo di un messaggio. Lo recuperò dalla borsa e si ritrovò a trattenere il fiato.

Un nuovo messaggio: ore 23.42
Da: Harry

"Non riesco a capire se tu sia cambiata"

Sbatté le palpebre e rilesse quelle parole inaspettate, prima di stringere un po' più forte il cellulare in una mano e bloccare lo schermo senza ulteriori indugi. 
«Che c'è?» chiese Miles, probabilmente dopo aver colto il cambiamento della sua espressione.
Emma alzò velocemente lo sguardo su di lui e respirò profondamente, scuotendo la testa. «Una collega vuole un cambio di turno, l'ennesimo», spiegò, con un velato senso di colpa a macchiarle il timbro di voce. No le piaceva mentirgli, ma le sarebbe piaciuto ancora meno raccontargli di Harry e di tutto ciò che implicava: in qualche modo, avrebbe voluto che quella storia potesse essere semplicemente dimenticata e cancellata.
Il commento di Miles fu arrestato dall'arrivo del cameriere, che era venuto a prendere le ultime ordinazioni: Emma ebbe il tempo di riflettere frettolosamente sul messaggio ricevuto e sul suo significato, ma non riuscì nemmeno ad arrivare ad una conclusione.
«Quel ragazzo ti sta guardando da quando abbiamo messo piede in questo posto», esclamò il suo fidanzato, con un tono divertito ed un sorriso sulle labbra. Lei si voltò per capire di chi stesse parlando e, due tavoli più a destra, incontrò lo sguardo di un ragazzo che avrebbe potuto avere la sua età: era di bell'aspetto, grazie al viso proporzionato e cosparso di lentiggini simili alle sue, gli occhi grandi e chiari, i capelli di un biondo chiarissimo. La guardava senza alcun timore e senza alcuna riserva, come se avesse avuto il diritto di sorriderle con tanta malizia.
Emma tornò con le iridi in quelle di Miles e corrugò la fronte. «Non l'avevo nemmeno visto», commentò soltanto.
«Mi fa ridere, perché è come se io non ci fossi», continuò lui, sorseggiando l'ultimo bicchiere di vino bianco. «Mi aspetto che da un momento all'altro venga qui a chiederti di raggiungerlo al suo tavolo», scherzò ancora, aprendo le labbra sottili nell'accenno di una risata.
Lei sorrise appena, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni.
Era arrivata al limite di sopportazione: non riusciva più a tollerare l'assoluta ed imperturbabile tranquillità di Miles, l'ostentata sicurezza che mostrava in ogni occasione. Non che si lamentasse dalla fiducia che riponeva in lei, ma avrebbe semplicemente voluto sentirsi desiderata anche in quelle occasioni. Era pura vanità, un semplice bisogno da donna, ma c'era ed era insistente.
«Vado un attimo in bagno», esclamò a bassa voce, afferrando istintivamente anche il proprio cellulare. Forse perché era anche colpa sua se era diventata così reattiva e nervosa, tanto da poter scattare da un momento all'altro per qualcosa di poco conto. Forse perché le era venuto spontaneo pensare a quando Harry non la lasciava appartenere allo sguardo di qualcun altro. Forse perché quel pensiero non si sarebbe dovuto nemmeno formare. Forse perché non aveva nessun diritto di chiedersi se fosse cambiata dopo sei anni.
Entrata all'interno del bagno, si appoggiò con la schiena ad una delle porte chiuse e sospirò profondamente, guardando la propria immagine riflessa nella parete di specchi che le stava di fronte: il cipiglio che marchiava la sua espressione era più eloquente di qualsiasi ragionamento avesse potuto tentare.
A ventidue anni, ormai, aveva una buona capacità di controllo sui propri pensieri e sulle proprie emozioni, o almeno il più delle volte: per questo si fermò a riflettere sfruttando la logica ed una visione obiettiva delle cose. Ripromettendosi di occuparsi di Miles non appena tornata al tavolo, stanca di dover mettere da parte le proprie richieste solo per non compromettere anche solo temporaneamente il loro rapporto, si dedicò ad Harry.
La infastidiva il fatto che potesse ancora farla innervosire con un mucchio di parole, che potesse avere ancora qualche sorta di potere su di lei, che potesse avere delle pretese. Perché voleva sapere se fosse cambiata? Perché avrebbe dovuto interessargli? Se così fosse stato, la curiosità l'avrebbe sicuramente dovuto colpire in uno qualsiasi dei momenti che avevano composto i sei anni trascorsi lontani. Se così fosse stato, non le avrebbe imposto una lontananza assoluta.

Messaggio inviato: ore 23. 51
A: Harry

"Ti importa davvero?"

Quando uscì dal bagno, trovò il ragazzo di poco prima appoggiato contro il muro. Alzò gli occhi al cielo e lo ignorò, ma lui reclamò la sua attenzione.
«Scusa?» la richiamò infatti, obbligandola a fermarsi a qualche passo di distanza.
Emma si inumidì le labbra e si voltò, cercando di sfoggiare tutta la cordialità che le era concessa in quel momento. La lusingava il fatto di ottenere delle attenzioni, ma non le piaceva chi non mostrava un minimo di decenza, chi non era in grado di scegliere le occasioni adatte.
«Sono Brett», esclamò lui, allungando una mano verso di lei e sorridendole bonariamente. «Piacere».
«Emma», rispose, stringendogli la mano per qualche istante, ma ritraendola subito dopo. Voleva tornare velocemente al tavolo, perché voleva mettere le cose in chiaro con Miles e perché aveva bisogno dei suoi occhi su di sé.
«Ti ho vista di là e-»
«Sì, me ne sono accorta», lo interruppe. 
Brett non sembrò cogliere la nota pungente nella sua voce, quindi abbozzò un sorriso imbarazzato e continuò. «Sei davvero molto bella», disse.
Emma incassò il complimento e addolcì spontaneamente la propria espressione. «Ti ringrazio».
«Pensavo che magari potresti darmi il tuo numero, sai, per fare due chiacchiere qualche volta».
Lei sbatté le palpebre più volte e sentì il nervosismo che già la padroneggiava infiammarsi ancor di più. «Brett, sei molto gentile, davvero», iniziò, avvicinandosi di un passo. «Ma non credo che tu sia così stupido da non aver capito che quello al tavolo con me sia il mio ragazzo, quindi no, preferisco non darti il mio numero e fare con lui le due chiacchiere delle quali parlavi».
Si voltò subito dopo, senza aspettare una risposta che nemmeno arrivò, e per un attimo si sentì in colpa per i suoi modi duri e distanti: forse avrebbe dovuto utilizzare una maggiore gentilezza, ma non era da lei fingersi propensa ad una nuova conoscenza quando il suo corpo era scosso dalla tensione. E poi, magari sarebbe servito a Brett di lezione.
Tornata al tavolo, si sedette compostamente e osservò Miles che prendeva un cucchiaino di panna montata, porgendogliela subito dopo.
«Il ragazzo di cui parlavi mi ha appena chiesto il numero di telefono», esordì, ignorando il piatto di dolce davanti a sé e appoggiando i gomiti sul tavolo. Il tono di voce fermo, gli occhi fissi nei suoi.
Lui rise con la bocca piena. «È coraggioso», commentò.
Ed Emma attese qualsiasi altra parola, attese persino una piccola ruga sulla sua fronte che potesse manifestare un filo di fastidio, ma niente.
«Tutto qui?» chiese incredula.
Miles alzò lo sguardo su di lei e si fece immediatamente più serio. «Come?»
«Questo è quello che hai da dire? Che è stato coraggioso
«Devi esserlo per provarci con qualcuno mentre è con il suo fidanzato», le spiegò, mantenendo un certo grado di tranquillità.
«Sì, e in teoria il suddetto fidanzato dovrebbe essere almeno un po' infastidito da questo. O sbaglio?» Emma sperava in una risposta soddisfacente, in qualcosa che potesse evitare la discussione che aveva ricercato ma che avrebbe voluto evitare, eppure sapeva di non doversi aspettare molto.
Lui la osservò immobile per qualche istante, poi sospirò e posò il cucchiaino nel piatto. «Non farmi domande retoriche, dimmi direttamente cosa non ti sta bene».
«Sei assurdo», sussurrò Emma a denti stretti, abbandonandosi sullo schienale della sedia. Le mani le fremevano per il nervosismo: non si capacitava di come Miles non riuscisse a capire il suo punto di vista.
«Ti stai incazzando perché non ho fatto una scenata di gelosia?» chiese lui, con un evidente tono allibito.
«No. Mi sto incazzando perché per te va sempre tutto bene», lo contraddisse, cercando di regolare la voce in modo da non urlare. «Gli altri possono guardarmi fino a consumarmi, possono farmi i complimenti che vogliono e possono chiedermi il numero mentre ci sei anche tu, ma va sempre tutto bene».
«Stai esagerando», la ammonì Miles. «Lo sai bene».
«Non sto esagerando, è solo la verità».
Lui si inumidì le labbra e aspettò una manciata di secondi prima di rispondere. Si sporse leggermente in avanti, con gli avambracci sul tavolo. «Mi conosci, sai come la penso su queste cose», cominciò. «Se non reagisco è semplicemente perché so che non ho nulla di cui preoccuparmi. È perché mi fido di te: so che sei abbastanza matura da rifiutare qualcuno quando questo oltrepassa il limite, come sono certo del fatto che tu non abbia dato il tuo numero».
«Sì, ma perché ne sei così sicuro?» sbottò Emma, pentendosi subito dopo di aver alzato la voce.
«Non dovrei esserlo?» ribatté lui, corrugando la fronte. «Te lo giuro, Emma: dimostrami che non dovrei esserlo ed io ti dimostrerò che posso essere schifosamente geloso».
Lei restò a fissare le sue iridi scure e terribilmente serie: sapeva quanto potesse essere possessivo, perché all'inizio della loro storia, quando i sentimenti erano ancora in forse ed in fase di accrescimento, il suo comportamento era diverso e così anche la sua tolleranza. Eppure, non riusciva ad accettare il suo attuale atteggiamento, forse solo a causa di ciò che li aveva divisi.
«A prescindere da me, dovrebbe farti innervosire che qualcuno possa pensare certe cose sulla tua ragazza, che possa farlo in maniera così evidente davanti ai tuoi occhi. Invece non te ne importa un cazzo, quindi forse non è fiducia, ma semplice menefreghismo». Emma si morse un labbro dopo aver pronunciato l'ultima parola: aveva esagerato e ne era consapevole. Conoscendolo, sapeva quanto odiasse che qualcuno mettesse in dubbio i suoi sentimenti, anche quando ne aveva tutti i motivi: voleva essere l'unico a poterli interpretare, anche perché non mancava mai di esporli sinceramente o di interpretarli al meglio.
Miles assottigliò gli occhi e serrò la mascella. «Senti, tra i due sei tu quella con i problemi di fiducia, quindi non venire a sfogarti su di me per qualcosa che non esiste».
Lei trattenne il respiro per qualche istante, immobile nella sua incredulità, mentre anche lui si pentiva della risposta data dalla rabbia: aveva davvero osato rinfacciarle qualcosa del genere e lei non l'avrebbe accettato.
«Sai, io sarò anche quella con i problemi di fiducia, ma tu tra i due sei sicuramente il coglione», sibilò nervosa, alzandosi subito dopo dalla sedia per allontanarsi dal lui e dal locale e da qualsiasi altra cosa. Sentì il proprio nome esser chiamato un paio di volte, ma poi sentì solo il tepore della notte di Bradford.
Camminando velocemente lungo il marciapiede, i tacchi le si incastravano nelle fughe dei ciottoli irregolari, facendola innervosire ancora di più e ritardando le sue intenzioni. Era allibita, furiosa, ferita ed una decina di altre cose: ognuna di esse si dimenava in ogni suo angolo fino ad estenuarla. Ecco perché nessuno parlava mai di ciò che era successo, ecco perché lei cercava di sopportare e stringere i denti e far finta di non aver voglia di litigare fino a farsi male. Entrambi finivano per esagerare, per dar spazio al loro istinto che spesso era guidato solo dalla rabbia e perdeva di sincerità. Entrambi finivano per ferirsi.
«Emma, fermati», udì dopo qualche minuto: era la voce di Miles, ma non riusciva a sentire i suoi passi, né poteva sentirlo correre per raggiungerla.
«Vattene», ordinò aspramente, accelerando il passo per quanto possibile. Non ricevette risposta, né si preoccupò di captarne una: percorse ancora qualche decina di metri, in silenzio e con le braccia incrociate sul petto come per contenere il terremoto che lo scuoteva, fin quando non arrivò di fronte ad un pub nel quale era stata un paio di volte.
Senza ulteriori indugi, vi entrò e camminò svelta verso il bancone. Si sedette su uno degli sgabelli alti e morbidi, aspettando che qualcuno la degnasse di attenzione e abituandosi alla musica alta e frenetica. Ordinò una birra doppio malto, senza preoccuparsi di risultare cortese e senza rilassare le spalle rigide, che riflettevano la sua tensione. Aveva solo voglia di bere.
Era stanca di quella situazione, di quella macchia nel passato della quale non riusciva a sbarazzarsi: avrebbe voluto essere in grado di andare avanti, avrebbe voluto che Miles fosse diverso per certi aspetti e avrebbe voluto essere la prima a cambiare in qualche modo. Eppure sembrava non essere forte abbastanza per fare delle sue intenzioni qualcosa di concreto, nonostante tutti i suoi sforzi. I loro sforzi.
Dopo un paio di minuti, sentì qualcuno spostare uno sgabello accanto al suo e sedersi su di esso. Non si voltò a guardare chi fosse, perché aveva riconosciuto il profumo e perché conosceva a memoria ogni spostamento d'aria provocato dai suoi più piccoli movimenti.
Strinse tra le mani il bicchiere di birra già mezzo vuoto e sentì il gomito sinistro di Miles sfiorare il proprio. Lui ordinò del Whiskey, ma non le rivolse la parola, perché non ce n'era bisogno: entrambi seduti a quel bancone, covavano silenziosamente la consapevolezza della propria storia. Non avevano domande da porsi, perché conoscevano già le risposte. Non avevano scuse da esplicitare, perché si erano già perdonati. Non avevano sillabe da sprecare, perché erano troppo stanchi per ripeterle. Avevano solo il silenzio ricco di significati che potevano condividere, il sottinteso desiderio di riprovarci fino allo sfinimento, nonostante non fossero bravi e nonostante i fallimenti fossero più delle vittorie.
Emma non voleva inveirgli contro, perché non si sentiva in diritto di farlo: lui aveva sbagliato a ricordarle la sua mancanza di fiducia, ma lei aveva messo in dubbio i suoi sentimenti, nonostante si stesse sforzando di confermarli giorno dopo giorno e nonostante ci stesse riuscendo, anche con i suoi dubbi a fargli da ostacolo. Sapeva che quei conflitti frequenti fossero dettati da un danno più profondo, difficile da riparare: ognuno aveva le sue colpe ed i suoi meriti, ognuno conosceva quelli dell'altro.
Miles avvicinò un po' di più il gomito al suo, facendola rabbrividire: quella semplice reazione le bastava a confermare quanto bisogno avesse di averlo accanto e sulla pelle, le bastava a placare il suo animo senza ragione. Emma deglutì a vuoto e si mosse impercettibilmente: lasciò che le sue labbra si posassero sul proprio braccio destro, in un bacio lento e delicato tramite la stoffa sottile della giacca nera.
Miles posò la mano sinistra sulla sua schiena, con cautela per testare le sue eventuali reazioni, e la accarezzò con leggerezza: sapeva toccarla nei punti giusti, sapeva smuoverla con la giusta intensità e sapeva trattenerla con la giusta fermezza. Per questo Emma chiuse gli occhi, quando sentì la sua mano incastrarsi tra i capelli e la sua fronte appoggiarsi contro la sua tempia: lo sentiva così vicino, non solo fisicamente, da avere l'impressione di non aver più spazio per se stessa.
Percependo il suo respiro regolare sulla propria pelle, si voltò in modo da avere le iridi nelle sue: i loro visi erano ad una distanza inutile ed intima, di quelle che è come se nemmeno esistessero, perché sono comunque piene di tutto ciò che sottintendono.
«Non lo fare più», sussurrò lei, con un tono tra il supplichevole e l'imprescindibile.
Miles scosse piano la testa. «No», le assicurò, prima di sporgersi quanto bastava per sfiorarle le labbra in un respiro trattenuto: la baciò lentamente come per prometterle qualcosa, come per baciare anche la ferita che le aveva procurato e che ogni tanto si riapriva in piccoli ma dolorosi punti.



Un nuovo messaggio: ore 01.15
Da: Harry

"A quanto pare non sei cambiata così tanto"





 


Buooooooooongiorno :)
È meraviglioso poter aggiornare con puntualità: è uno dei vantaggi dell'essere in vacanza hahah
Ma comunque, passiamo a questo capitolo:
1. LOUIS: io sono innamorata di lui, che vi devo dire? hahah Chi l'aveva conosciuto in "It feels..." sapeva già dei suoi modi vanitosi, volgari ed egocentrici, e sapeva già di Aaron: come avrete capito, i due sono in una sorta di "relazione" ancora da definire, proprio perché Louis ha una visione abbastanza distorta dell'amore. Vi avverto, non vi aspettate grandi discorsi sentimentali o un finale in cui lui corre da Aaron per dichiararsi suo a vita, perché siete fuori strada hahaha
Chi invece ha avuto a che fare con lui per la prima volta, spero l'abbia apprezzato :) È un personaggio molto particolare, con la sua visione delle cose e con i suoi modi di fare! È gay fino al midollo, come lo aveva definito Zayn in "It feels...", ma non vi aspettate modi da effeminato o cose del genere, perché è proprio il contrario! Detto questo, ribadisco che lui è stato quello che ha ospitato Zayn a Londra durante il suo allontanamento da Bradford: visto che non avete letto "It feels..." posso dirvi che i due si sono conosciuti lì, quando in un pub Louis gli si è avvicinato per provarci spudoratamente hahaha
Quindi, per chi se lo chiedeva, Louis ed Emma si sono conosciuti due anni dopo la fine di "Little girl", grazie alle sue visite a Bradford. Ah, e ci saranno delle scene anche con Aaron.
2. Miles/Emma: ho voluto dedicare questo capitolo a loro, se così si può dire, per fare chiarezza su alcuni punti che per ora vi avevano lasciate abbastanza basite. Innanzitutto, si scopre che Miles l'ha tradita, anche se non viene specificato come/quando/perché/dove (presto capirete): alcuni l'avevano già ipotizzato, ma io non potevo dire nulla! Sono curiosa di scoprire i vostri commenti, soprattutto su Emma, che sta ancora insieme a lui nonostante tutto: vi do un aiuto, aspettate a condannarla per stupidità e non datela per scontata.
Esce di nuovo fuori il problema della gelosia: io spero che ora sia più chiaro il ragionamento di Miles, il motivo per cui non si agita se qualcuno si avvicina ad Emma. E può essere strano, ma è più logico di quanto sembri, infatti vi accorgerete di quanto lui sia sincero su questo :) 
Spero anche che dalle loro scene si possa percepire la stanchezza che li caratterizza: ho cercato di farla emergere al meglio, nel loro modo di litigare e nel loro modo di riavvicinarsi, ma se avete qualche dubbio scrivetemi pure :)
3. Harry/Emma: lui non poteva certo mancare hahah Come interpretate i suoi messaggi? Cosa pensate della reazione di Emma? 
Bene, direi che ho parlato davvero troppo, quindi la smetto! Vi ringrazio infinitamente per tutto, come sempre! E spero vi farete sentire :)
Posso anticiparvi che nel prossimo capitolo ci sarà un bel litigio, di quelli che piacciono a mmmme ahhaha
A presto!!

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Un bacione,
Vero.

 





       
    
  
  
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