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Autore: _ayachan_    08/10/2008    22 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 10
Capitolo decimo

Spiati




Correvano da ormai cinque giorni, calcolò Jin. Ansimando dietro la schiena di Kakashi, che per la sua età si muoveva con un’agilità impressionante, per la prima volta il ragazzino letale si sentiva solo un figlio che segue le orme del padre, e ne fu orgoglioso.
Fino ad allora avevano viaggiato coperti dai mantelli mimetici e percorrendo i sentieri meno battuti, ma sembrava che nessuno fosse stato mandato alla loro ricerca. Naruto doveva aver fatto un ottimo lavoro a Konoha, pensò Kakashi spiegando a Jin quale fosse la loro copertura.
Le notti precedenti le avevano trascorse accampati nella foresta. Jin aveva visto il nobile Hokage piazzare trappole, controllare il circondario e tornare sporco di fango, e invece di pensare che fosse meno nobile aveva pensato che non aveva nulla da invidiare ai Jonin che uscivano in missione ogni giorno. Più gli stava vicino e più si rendeva conto che Kakashi poteva insegnargli molte cose. Non era solo un burocrate seduto dietro la sua scrivania: le storie sul suo passato e sul suo talento, prima tanto difficili da accettare, ora ricevevano continue conferme.
Viaggiando insieme si erano abituati subito l’uno all’altro, come se avessero fatto parte dello stesso gruppo per anni. Sapevano quando fermarsi, quando mangiare, persino cosa pescare dal sacco delle provviste; ogni volta che Kakashi estraeva il pacchetto a cui lui stava pensando, Jin si illuminava e gioiva segretamente per lo strano senso di comunione che per la prima volta sperimentava con un altro shinobi. Era così appagato che per il momento riusciva a resistere alla tentazione di fare domande.
Nei pressi di un villaggio di confine si fermarono per studiare la mappa. Nel Paese del Fuoco avevano evitato i centri abitati, per questo Jin rimase molto colpito dallo scarto tra il paese che si intravedeva tra le fronde e la rigogliosa Konoha: le case erano poco più che baracche di legno tra cui razzolavano pochi polli; non c’erano viali né fontane, non c’erano nemmeno strade degne di questo nome. Davanti al varco che probabilmente fungeva da via principale due uomini camminavano con indolenza, scambiandosi informazioni e sigarette.
«Mercenari» mormorò Kakashi indicandoli. «La Roccia sta cercando di rimpolpare le sua fila.»
«A cosa pensi che facciano la guardia?» domandò Jin mentre Kakashi riponeva la mappa.
«Questo è uno dei valichi più comodi per oltrepassare il confine: il villaggio davanti a noi è per metà nel Paese del Fuoco e per metà in quello della Roccia.»
«Quindi quegli uomini sono ancora nel nostro territorio?»
«Sono certo che se lo chiedessi a loro direbbero che il villaggio è proprietà della Roccia.»
«Li uccidiamo?»
«No. Li oltrepassiamo senza che ci vedano» sospirò Kakashi. «Cerca sempre di evitare di uccidere, Jin: crea molti più problemi di quanti ne risolva.»
Jin non ne era molto convinto, ma non ribatté. Invece studiò quel che vedeva dal loro nascondiglio e indicò al padre un gruppo di baracche sul limitare della foresta. «Passando di lì non ci noteranno.»
«Aspettiamo il buio» suggerì Kakashi gettando un’occhiata al sole che si avviava verso il tramonto. «Nel frattempo mangiamo qualcosa.»
Dopo cinque giorni le scatolette di zuppa fredda sarebbero diventate disgustose per chiunque, ma Kakashi era abituato a cose ben peggiori e Jin era troppo abituato ad obbedire per sollevare obiezioni. Mentre consumavano il magro pasto osservarono quel che accadeva nel villaggio.
Con il tramonto gli uomini tornarono dal lavoro, sporchi e affamati. Dalle finestre socchiuse iniziarono a farsi avanti i profumi delle verdure e del riso, che fecero contrarre dolorosamente lo stomaco di Jin. Alcuni bambini furono mandati a radunare le galline prime che calasse l’oscurità. Uno dei mercenari finì il suo turno di guardia e venne sostituito da un uomo più grosso.
«Le città della Roccia sono come Konoha?» chiese Jin meditabondo. Durante le sue missioni era sempre stato mandato in luoghi sperduti a rintracciare informazioni nascoste, mai nelle grandi città del centro.
«Non proprio» rispose Kakashi. «Konoha è il Villaggio più ricco di tutti.»
«Posso capire perché ce l’abbiano con noi, allora.»
«Le guerre non hanno mai un’unica causa. Spesso le origini di un conflitto vanno ricercate nel passato, il più delle volte in eventi che al tempo sembravano la mossa giusta da fare. Uno dei motivi fondamentali per cui le Cinque Grandi Terre continuano a litigare sono i Bijuu, lo sapevi? Un Bijuu costituisce un enorme potenziale bellico, se si riesce a controllarlo. Chi ne controlla di più ha più possibilità di schiacciare gli altri.»
«E dopo che li ha schiacciati?»
«Dopo che li ha schiacciati si prende le loro risorse, il loro denaro, il potere e tutto il corredo. E ottiene la pace, in teoria.»
«E’ per questo che stiamo combattendo?»
«Non solo. Non più, almeno... Akatsuki aveva dato il via agli scontri con la sua ossessione per i Bijuu, ma dopo siamo stati bravissimi a trovare altre mille ragioni per combattere. Come vedi le cosiddette assicurazioni di pace non funzionano.»
«Forse perché i Bijuu sono un’arma a doppio taglio: dominarli è quasi impossibile.»
«Certo, lo sanno tutti. Anche noi del Fuoco lo sappiamo benissimo, eppure...» Kakashi scrutò Jin per un lungo momento. «Tu sai di Kyuubi, non è vero?»
«Papà, lavorare con gli Anbu ha i suoi vantaggi...»
«Hai ragione» Kakashi sospirò. Non si poteva impedire alla gente di spettegolare, dopotutto. «Naruto è il Jinchuuriki di Kyuubi dal giorno in cui è nato, e noi lo lasciamo vivere libero anche se sappiamo che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Perché ci fidiamo di lui, certo, ma anche perché abbiamo un enorme bisogno della forza di Kyuubi. E’ la nostra assicurazione contro i Bijuu degli altri.»
«Cinque anni fa, durante la battaglia con la Roccia...» ricordò Jin. All’epoca aveva provato invidia per la forza spropositata di Naruto. «Ogni tanto Naruto perde un po’ il controllo, per caso?» domandò esitante.
«Più spesso di quanto sarebbe auspicabile» ammise Kakashi. «Nonostante ciò resta sempre più utile averlo dalla nostra parte che non averlo.»
Jin soffocò una smorfia. Se le cose stavano così aveva poche probabilità di eguagliare il livello di Naruto, obiettivo che si era prefissato il giorno in cui lo aveva visto alla prova. Certo questo significava che si sarebbe infilato sul gradino appena sotto, non un centimetro più in basso.
«Ma se nessuno avesse i Bijuu...» iniziò, e subito Kakashi lo stroncò.
«Se nessuno avesse i Bijuu troveremmo altro per cui ammazzarci. Fa parte della natura umana, credo: essere sempre sull’orlo dell’equilibrio e sforzarsi di sbilanciarlo a proprio favore prima che lo facciano gli altri. Alla fine tutto si riduce a questo.»
Quando ebbero terminato il pasto i due shinobi si spostarono verso le baracche indicate da Jin. Kakashi richiamò Pak perché annusasse la strada davanti a loro, e al suo via libera uscirono dalla foresta per inoltrarsi in un vicolo sudicio. Le guardie chiacchieravano poco più in là, abbastanza vicine perché brandelli di conversazione li raggiungessero. La luce non era ancora scomparsa del tutto, ma l’aria aveva quell’ombra grigia in cui è difficile distinguere i contorni.
Jin e Kakashi scivolarono silenziosamente contro le pareti delle case, abbassandosi quando incrociavano una finestra illuminata e bloccandosi se si apriva una porta. Il resto del villaggio non era molto diverso dal suo ingresso: ovunque c’erano fango, rifiuti e sporcizia, e i cani randagi venivano allontanati dalle minacce di Pak prima di poter abbaiare contro di loro.
In pochi minuti furono dall’altra parte del villaggio, ma anche lì trovarono due guardie sedute attorno a un falò. Kakashi fece un cenno a Pak, che sparì per qualche minuto. Si udì un latrare feroce di cani e le guardie si voltarono a guardare. I due shinobi colsero l’attimo per correre rapidamente fino alla macchia di arbusti dove iniziava la vegetazione. Quando la raggiunsero, tra i rovi trovarono un cartello annerito dalla muffa che dava il benvenuto nel villaggio di Izano.
Avevano superato il confine.


*


Naruto fissava la macchia sul soffitto da almeno venti minuti, con i piedi incrociati sulla scrivania dell’Hokage. Era una chiazza leggermente più scura dell’intonaco e aveva due specie di protuberanze; assomigliava un po’ alle guance di Choji quand’erano ancora ragazzini. O al seno di Tsunade, prima che prendesse tutti gli anni che aveva. Non che lui l’avesse guardato poi così attentamente, eh. Cioè, forse tra i sedici e i diciotto anni, un pochino...
La porta dell’ufficio si spalancò bruscamente, Naruto trasalì, le due gambe della sedia su cui si reggeva scivolarono stridendo e lui sbatté una gran testata contro il pavimento dello studio.
«Adesso che hai fatto?» chiese Sakura dalla soglia.
«Io? Niente!» si affrettò a negare lui, alzandosi in ginocchio con un gemito. Okay, forse aveva guardato il seno di Tsunade anche mentre stava con Sakura... Ma insomma, non poteva ignorarlo! Era così evidente!
«Se non è niente di grave alzati» sospirò Sakura, attraversando la stanza e lasciando cadere sulla scrivania un plico di fogli. Aggirò il mobile e gli tese una mano, che lui prese per tirarsi su.
«Ho il bernoccolo?» piagnucolò Naruto permettendole di controllargli la nuca. Chinò appena il capo e lei si sollevò in punta di piedi, scostando le ciocche bionde alla ricerca di lividi.
«Niente di rotto» commentò con uno scappellotto leggero. «Puoi ancora regnare indisturbato, nobile Hokage!»
Naruto ridacchiò nonostante il dolore, tirò su la sedia e ci si accomodò. «Qual’è il programma di oggi, cara assistente?» chiese pomposo.
«Che ti alzi immediatamente per lasciarmi mettere un centinaio di timbri» rispose lei. «Devo completare i documenti per l'Archivio sulla missione di Suna, e già è abbastanza seccante essere arrivata a farlo il giorno dopo la partenza del gruppo.»
Naruto fece una smorfia. «Se tu sei qui per la burocrazia e Shikamaru per la strategia, io cosa faccio di preciso?»
«Ti glori del tuo titolo» fu la risposta di Sakura. «E poi fai quello che noi non facciamo abbastanza: ami il villaggio.»
«Oh, sono proprio fondamentale!» biascico Naruto incrociando le braccia sul petto. «Mi sento più utile quando Hinata pettina Hanako.»
Sakura rise e lo raggiunse accanto alla sedia dell’Hokage. «In piedi, forza. Non ho tempo da perdere. Ah, e Neji ha detto che stasera devi invitarlo a cena.»
«Neji?» fece Naruto alzandosi. «Senza preavviso? Hinata avrà un colpo.»
«Che vuoi che ne sappia? Forza, fuori, devo lavorare!»
Con uno sbuffo risoluto Sakura appoggiò le mani contro il petto di Naruto e lo spinse indietro, smuovendolo di qualcosa come due centimetri.
In quel momento sentirono un bussare sommesso alla porta aperta e, voltandosi, entrambi videro Sasuke che li osservava.
Per una frazione di secondo la scena fu di una chiarezza disarmante: Sakura che rideva con le mani sul petto di Naruto e lui che sorrideva di rimando, le dita strette attorno ai suoi polsi.
Buffo. Se non fossero stati assolutamente certi di essere sposati e felici da anni avrebbero detto che l’atmosfera si era come congelata.
Naruto lasciò Sakura e lei si tirò indietro.
«Qual buon vento, mio caro assistente!» esordì il biondo Jonin, rompendo l’attimo di tensione.
«Non direi» replicò Sasuke freddo. Distolse lo sguardo da Naruto e Sakura e avanzò fino alla scrivania. «Ho qualche problema con Morino, mi sta facendo a pezzi i prigionieri. Visto che se gli parlo io fa orecchie da mercante, sono qui per un esposto ufficiale.»
«Ah, Ibiki...» mormorò Naruto, rabbrividendo al ricordo dell’esame per Chunin. «Ultimamente mi hanno detto che ha perso un po’ il senso della misura. Forse è il momento di consigliargli la pensione e reclutare qualcuno di nuovo.»
«C’è da chiedere a Koichi» rispose Sakura. «Ha lui i moduli. Aspetta, vengo con te.»
Sasuke girò sui tacchi e si avviò verso il corridoio, seguito a ruota dalla moglie.
«E la burocrazia?» chiese Naruto, fissando allarmato la pila di fogli sulla scrivania.
«Dopo» rispose lei senza guardarlo.
Sakura uscì dall’Ufficio e si chiuse la porta alle spalle. Una volta fuori raggiunse Sasuke davanti alla scrivania di Koichi.
«Credo di non averne più» stava mormorando il segretario in quel momento. «Solo un istante, vado a prenderli in archivio.»
Il ragazzo si alzò con un cenno di scuse e si allontanò schivando offeso lo sguardo di Sakura, che gli aveva revocato le ferie dopo un solo giorno per farlo sfacchinare su un quintale di scartoffie. Lei rimase accanto a Sasuke, studiando un portapenne finché i passi di Koichi non furono scomparsi.
«Hai intenzione di fare altre scene del genere?» sussurrò a quel punto.
«Che scene?» replicò lui con voce incolore. «Mi sembra di essere stato impeccabile mentre tu giocavi con Naruto.»
«Giocavo in che senso?» sorrise lei, sarcastica, ma i suoi occhi rimasero taglienti.
«Stai cercando di litigare?»
«Forse.»
Cadde un attimo di silenzio.
«Sakura. Io mi fido di Naruto.»
Altro silenzio.
«Solo di lui?»
Una pausa.
«No.»
«Ce ne hai messo per dirlo» Sakura lo fissò amareggiata. «Quello che ho fatto a Naruto... Eravamo in due a farlo, non ero sola» colpì, incapace di trattenersi.
«Me lo ricordo» Sasuke ricambiò lo sguardo amaramente. «Non ho mai detto di fidarmi di me.»
Sakura trasalì spalancando gli occhi. Sbatté le palpebre, confusa, e il suo cuore accelerò nel petto.
«Allora non sono solo paranoica?» sussurrò con un filo di voce. «Quella volta, non mi sono immaginata tutto...»
Sasuke le rilanciò un’occhiata perplessa. «Di che stai parlando?»
«Sto parlando di quella donna» Sakura strinse un pugno sulla scrivania. «Quella con cui prendi sempre il tuo maledetto tè.»
A quell’accenno Sasuke si irrigidì visibilmente, ma solo per un istante. L’attimo successivo sbuffò e guardò Sakura con un misto di compassione e incredulità. «Non dire sciocchezze» sospirò irritato. «Non riesco a capire come diavolo possa anche solo venirti in mente.»
«Come?» negli occhi di Sakura brillò un lampo. «Te lo dico io come! Quattro mesi fa sono venuta in dipartimento. Volevo salutarti, avevo un attimo libero, e mi hanno lasciata passare... Sai cosa ho visto lungo il corridoio?»
Prima che potesse rivelare cosa aveva visto Koichi fece il suo baldanzoso ingresso, trasportando un corposo plico di fogli prestampati. «Li ho trovati!» esclamò sbattendoli sulla scrivania. «Quanti gliene servono?»
Solo allora notò l’atmosfera tesa e l’aria che sfrigolava tra Sasuke e Sakura.
«Uno basterà» mormorò lui asciutto, tendendo una mano e prendendo il primo in cima. «Lo compilo da solo, grazie.»
Lo piegò, e senza salutare si allontanò sotto lo sguardo confuso di Koichi.
Sakura fissò la sua schiena finché non fu scomparsa oltre la porta. Strinse i pugni con un orribile nodo in gola. Non si sentiva così da tanti, tanti anni. Da quando Kiba, in un corridoio di ospedale, aveva insinuato che tra Hinata e Naruto ci fosse qualcosa.
Quando tornò nell’ufficio dell’Hokage ignorò le domande di Naruto e lo spinse fuori dalla porta. Poi si sedette alla scrivania un tempo occupata da Tsunade e si prese la testa tra le mani.


I capelli neri creavano un contrasto netto con il panna delle lenzuola. Lisci, sinuosi, lucenti, si snodavano lungo la stoffa come strade che nessuno avrebbe mai percorso, dalle punte fino alle radici sulla fronte di Neji Hyuuga. Fermo, sveglio e nudo nel letto, il capo del clan più potente della Foglia fissava il soffitto di una stanza non sua e corrugava la fronte.
«Cosa c’è?»
Una voce roca, il sospiro di chi si è appena svegliato. Dita affusolate che accarezzano i capelli e arrivano fino al suo braccio.
«Sei sveglia?» Neji si voltò su un fianco e guardò la donna dai ricci neri distesa accanto a lui. Lei gli sorrise, assonnata, e si trascinò più vicino posandogli un bacio sulla spalla fredda.
«Da qualche minuto. Sono rimasta a guardarti per un po’. E’ una vista per la quale molte pagherebbero, sai?» confessò, gli occhi verdi ridenti.
Neji sbuffò piano, infilando una mano sotto il collo. «Quante volte avrai intenzione di ripeterlo ancora?»
«Finché non sarai rugoso e cadente.»
«Stai aspettando che io dica qualcosa come ‘tu sei molto più bella’?»
«Forse» la donna rise e rotolò contro il suo fianco. «Ma tanto tu non lo dici.»
Cadde un attimo di silenzio, durante il quale le dita affusolate di lei percorsero gli addominali di lui, delicate, e poi risalirono lungo il petto e il collo fino alle labbra. «Allora? Cosa c’è?» ripeté con un sorriso meno marcato.
Lui fece una smorfia. «Problemi...»
«Pane per i miei denti» replicò lei sorniona. «Ricordi? Sono nella squadra speciale del prode Uchiha, siamo noi che ci occupiamo di tenere Konoha al sicuro. E come unica donna, per guadagnarmi il posto ho dovuto dimostrare di essere più brava di tutti gli altri uomini, il che significa che posso affrontare qualunque problema. A meno che non riguardi il tuo clan...» la sua voce si abbassò, il sorriso scomparve del tutto.
Neji sospirò. «Per ora puoi fare finta di niente.»
Lei smise di accarezzargli il mento e posò la testa sul suo petto.
«Fanno tante pressioni?»
«Abbastanza.»
«E’ normale. Hai trentotto anni...»
«Smettila, Fay.»
«Scusa.»
Di nuovo silenzio. Fay sentiva il battito del cuore di Neji sotto l’orecchio, ed era un battito lento e regolare, che non tradiva il minimo nervosismo. Forse quell’argomento non lo turbava. Forse aveva già un piano... O, forse, era la sua presenza che ormai non aveva più alcun effetto.
Per un attimo fu tentata di chiedergli se l’amava. In quasi cinque anni non lo aveva mai fatto, e lui non aveva mai preso l’iniziativa; ma da qualche tempo pensava che le sarebbe piaciuto sentirgli dire: ti amo. Sposami. O qualcosa del genere. Naturalmente erano speranze senza alcun senso.
«Sei stanco?» mormorò piano.
«No. Ma tra un’ora devo essere a casa perché c’è una riunione del clan, e stasera ho un invito a cena da Naruto, anche se lui non lo sa ancora.»
«Un’ora» Fay alzò la testa e gli sorrise. «Mi sembra più che sufficiente.»
Gli sfiorò il collo con le dita e si chinò a baciarlo. Neji non si oppose. Posò le mani sui suoi fianchi quando la sentì spostarsi su di lui, entrambi già nudi, entrambi già freddi, entrambi ormai disillusi.
Sarebbe stata una cosa rapida, il tempo di stordirsi per un istante e poi quello di vestirsi e tornare nel mondo. Il loro piccolo limbo era un lusso che potevano permettersi sempre meno, di quei tempi.
Eppure, mentre i loro corpi si scaldavano e i capelli si mescolavano sulle lenzuola color panna, Fay sentì il cuore di Neji accelerare sotto la pelle. E desiderò più che mai sentirlo dire ‘ti amo. Sposami’.


Cinque ore e una riunione più tardi Neji si presentò a casa Uzumaki vestito come per una cena di gala. Naruto lo squadrò dalla testa ai piedi con una smorfia disgustata.
«Pensi di essere dagli Uchiha?» chiese mentre raggiungevano la sala da pranzo. «Guarda che a noi non devi dimostrare niente.»
Lui si limitò a scrutarlo impassibile, sistemando dignitosamente il kimono ricamato. Dopotutto era nell’abitazione dell’attuale Hokage e capoclan Uzumaki, ma a queste cose Naruto non arrivava mai. Per fortuna sua moglie manteneva un minimo di decoro, pensò quando la vide avvolta in un kimono blu e argento, abbigliata come si conviene a una signora di rango.
«I bambini?» si informò Neji, accomodandosi a un lato del tavolo sorprendentemente deserto.
«Hanno cenato prima, sono già a letto» rispose Hinata versandogli da bere. «Abbiamo pensato a una serata tranquilla.»
Neji annuì, ringraziando per il saké. Non che avesse problemi con i figli di Naruto, ma trovava difficile concentrarsi su un discorso mentre Minato creava bastioni e fossati con le carote nel piatto.
«Allora, quando ti sposi?» se ne uscì Naruto con un sorriso a trentadue denti, mentre Neji sorseggiava dalla sua coppetta.
Il capoclan degli Hyuuga si strozzò di colpo e rischiò di ripetere la scena di cinque anni prima, quando Choji aveva annunciato la gravidanza di Ino e lui aveva sputato il tè addosso a tutti.
«Argomento caldo?» Naruto gli strizzò un occhio.
«Potremmo...» iniziò Neji, schiarendosi la voce. «Potresti evitare di menzionare quel lato della mia vita che non ho interesse a rendere pubblico?»
«E perché?» Naruto si stupì. «Insomma, siamo praticamente parenti. Voglio solo sapere se finalmente pensi di accasarti o cosa.»
«Naruto...» mormorò Hinata, posandogli una mano sul braccio. «Non credo che Neji sia qui per questo.»
«No, infatti» annuì lui, rizzando fieramente la schiena. «A dire il vero non porto buone notizie.»
«Ehi, ancor prima di iniziare? Non facciamo neanche un po’ di conversazione distensiva?» si lamentò Naruto.
«Se la conversazione distensiva riguarda il mio matrimonio, no.»
Il padrone di casa borbottò contrariato, giocherellando immusonito con le bacchette. Neji lo ignorò e continuò senza esitazioni.
«Qualche tempo fa, prima delle dimissioni del sesto Hokage, i miei uomini si stavano addestrando con il byakugan in cima alla parete di Konoha» disse. «Come sapete, da quella posizione si ha un’ottima visuale sull’intero villaggio, e alcuni dei miei hanno notato movimenti sospetti attorno alla finestra dello studio dell’Hokage.»
Naruto si irrigidì. Hinata gli lanciò un’occhiata preoccupata.
«Proprio quella finestra?»
«Ne sono certo» annuì Neji. «Ma non abbiamo voluto allarmarvi prima di avere conferme, così ho disposto che un uomo controllasse la zona giorno e notte per avere delle prove; in questo modo abbiamo scoperto che le visite si ripetevano a cadenza irregolare. In poco più di due settimane abbiamo registrato movimenti sospetti almeno cinque volte.»
«Cinque! E le guardie che facevano?» esclamò Naruto indignato.
Hinata gli posò una mano sul braccio, mentre Neji scuoteva la testa. «Non è così semplice» riprese intrecciando le dita sul tavolo. «Nonostante il byakugan non siamo riusciti a individuare esattamente la posizione dell’intruso. Sapevamo che era lì, ma non capivamo dove. E’ la prima volta che ci troviamo davanti a una cosa del genere.»
Naruto si accigliò, rimuginando rapidamente. Qualcuno poteva aver saputo in anticipo della partenza di Kakashi? Era in pericolo? No, Kakashi era venuto a casa per informarlo, e lì Naruto aveva preso tutta una serie di precauzioni dopo gli eventi di cinque anni prima. Qualunque discussione su quella faccenda era avvenuta lontano dall’ufficio dell’Hokage, tranne quella avuta con Shikamaru, Sakura e Sasuke quando però Kakashi era già partito. Naruto si rilassò impercettibilmente. Appurato che Kakashi non correva pericoli, restava la domanda più importante: chi li stava spiando e perché?
Hinata si rivolse a Neji. «E’ per questo che hai voluto parlarne a cena?»
«Sì. Temo che ormai l’ufficio dell’Hokage non sia sicuro.»



  
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