Capitolo V
Jared
si sentiva come se stesse per svenire. Il calore
strisciava nella parte posteriore del suo collo, puntini ballavano di
fronte ai
suoi occhi e l’unica ragione per cui non stava cadendo a
terra, era perché non
poteva distogliere gli occhi dall’uomo che aveva di fronte.
Non osava muoversi,
nemmeno battere le palpebre, troppo spaventato che tutto quello non
fosse
reale, che fosse solo un sogno e che non lo avrebbe mai più
rivisto.
“Cosa
diavolo hai fatto, Sam?” Chiese Jensen, e il nome che
uscì dalla sua bocca suonò giusto questa volta;
un sottile cambiamento, niente
che nessun altro avrebbe potuto notare. Ma il petto di Jared si strinse
e la
sua gola si chiuse attorno ad un groppo dopo aver sentito il nome, dopo
aver
sentito Dean
pronunciarlo.
“Sei
tu, Sam, vero?” Chiese Jensen.
Solo
allora Jared sentì l’incertezza dietro di essa, la
paura. Prese un respiro tremante, voleva rispondere ma non riusciva ad
emettere
alcun suono.
La
risposta era sulla punta della sua lingua, era rimasta lì
per quasi tutta la sua vita. “Si.”
Voleva dirlo. “Si, io sono
Sam
e
io sono
tuo
fratello, Dean, ma tu non sei stato il mio per
tutti questi anni.” Jared
tremò a quel pensiero. La consapevolezza
che aveva celato per tutto quel tempo, l’aver fatto finta di
non ricordare chi
fosse davvero, distrusse i muri che aveva eretto dentro di
sé.
Jared
annuì lentamente e sentì tutto il suo mondo
crollare
intorno sé.
“Bene.”
L’altro lasciò andare il respiro, i suoi occhi si
chiusero tremando per un secondo e fu Jensen a farlo, lasciando che le
emozioni
trasparissero sul suo volto.
Era
Jensen.
Ed
era Dean.
Jared
si stava sentendo male, il suo stomaco si stava
ribellando contro il suo corpo.
“Allora,
cosa hai fatto, Sam? Cosa è successo?” Jensen non
lo guardò, il più giovane rimase ad osservarlo
mentre fissava un punto nel
vuoto. Le sue spalle erano in tensione, come se si stesse preparando
per il
peggio.
“Hai
fatto un altro patto?” Il maggiore rise, una risata
priva di umorismo che suonava così tanto da Dean, da suo
fratello, che ferì
Jared fin nel profondo. “Cosa diavolo hai venduto questa
volta? Perché questo
deve essere stato un grosso patto del cazzo.”
“Nessun
patto.” Sussurrò Jared e fu tutto quello che fu in
grado di dire.
“Quindi
cosa? Cos’è questo, Sam?”
“Cosa
ricordi?”
“Ricordo
te che salti in quel buco con Adam; Lucifer e
Michael ancora dentro di voi. Mi ricordo di essermi presentato davanti
alla
porta di Lisa.” Deglutì pesantemente. “E
poi io… io ricordo quando mia madre
uscì dall’ospedale, con MacKenzie tra le braccia,
così piccola, aveva solo due
giorni. Josh era seduto vicino a lei sul sedile posteriore. Era la
prima volta
che mi era permesso di sedere davanti vicino a mio padre.”
Jared
annuì, i ricordi di Jensen non erano molto differenti
dai suoi. Ricordava di aver saltato, la caduta... e poi suo fratello
maggiore
Jeff e come avessero ricevuto gli stessi giocattoli per Natale; piccoli
camioncini rossi con le luci lampeggianti; ci avevano giocato per
giorni.
Jared
tossì, tirandosi fuori da quei ricordi.
“Io… sono
stato liberato. Dall’Inferno, voglio dire. Non so chi mi
abbia tirato fuori
esattamente, ma ero fuori.” Guardò suo fratello,
lasciando andare un respiro tremante, non poteva credere che stesse
succedendo.
Non
sarebbe dovuto accadere. Jensen non avrebbe dovuto ricordare.
“Poi
lui è venuto da me, mi ha detto che potevo esprimere un
desiderio. Ed ora… eccoci qui.” Fece un gesto
vuoto, improvvisamente
spaventato, improvvisamente di nuovo il fratellino di Dean.
Gli
occhi di Jensen scattarono. “Chi è
venuto?” Chiese.
Jared
esitò, mordendosi le labbra. “Gabriel.”
Lanciò
all’altro un sorriso diffidente. “Sembra che a Dio
piaccia avere i suoi angeli
vivi.”
Jensen
assorbì quell’informazione aggrottando solamente
le
sopracciglia. “E che cosa hai desiderato?”
“Una
seconda chance.” Jared deglutì. “Per
tutti noi.”
“Wow.”
Jensen abbaiò una risata che fece gelare le ossa del
più giovane. “Quindi questo è quello
che abbiamo ottenuto? Per tutti noi?
Perfino per i demoni e i cazzo di angeli? Ti suona giusto?”
Jared
scosse la testa. “Vessel, ricordi? Sono i loro vessel
che hanno avuto una seconda possibilità. Questo mondo non ha
nulla di
soprannaturale.”
“Sei
sicuro? Nemmeno l’ultimo mondo era molto avvezzo a
tutta quella roba, da quello che ricordo.”
Jared
sospirò, emise un lamento. Questo era troppo, troppo
presto, troppo inaspettato. “Ho controllato. Appena sono
stato grande
abbastanza per capire, ho controllato. Non c’è
nulla si innaturale qui. Te lo
giuro.”
Jensen
continuò a guardarlo severamente. “Quindi abbiamo
ottenuto questo perfetto piccolo mondo? Questa è la nostra
ricompensa?”
“Non
è perfetto. La gente resta la gente. È solo
un’altra
vita. Una chance di normalità.”
Jensen
annuì tremante, i suoi occhi fluttuarono.
“Dio.”
Sospirò. “Non so nemmeno… non so
nemmeno da dove cominciare.” Si alzò,
passandosi le mani sul viso ripetutamente.
Jared
poté solo rimanere lì e guardarlo, continuava a
sentirsi come se stesse per svenire da un momento all’altro.
Voleva toccarlo,
voleva… accertarsi che fosse reale, che lui
fosse reale, perché questo… questo non poteva
stare accadendo. Non così
all’improvviso, in quel modo, non dopo tutti quegli anni.
“Ho
bisogno di uscire.” Jensen lo annunciò
improvvisamente,
si diresse direttamente verso la porta e questo scosse Jared dal suo
stordimento.
“No,
aspetta.” Disse, un po’ troppo forte.
Ma
Jensen continuò a camminare, si mise le scarpe e
afferrò
la sua giacca; la porta di ingresso fu aperta ancora prima che Jared
potesse
processare quello che stava accadendo.
Che
l’altro se ne stava andando.
“Jensen,
aspetta, dove stai andando?” Jared lo supplicò,
mentre veniva attraversato dalla paura.
L’altro
uomo non rispose, non mostrò nemmeno di averlo
sentito.
“Jensen?”
Jared gli corse dietro oltre il loro prato, solo
per riuscire ad afferrare in tempo la portiera del SUV, prima che il
suo amico
potesse chiuderla con un tonfo.
“Andiamo
amico... Dean, aspetta, ok?” Lo pregò
più
silenziosamente questa volta, vagamente consapevole dello spettacolo
che avrebbero
dato ai vicini se qualcuno li avesse visti.
Jensen
in effetti si fermò, rivolse a Jared un sorriso vuoto
e accese la macchina. “Vedi? Siamo in due. Nemmeno io so chi
sono.”
E
con questo Jensen tirò la portiera via dalle mani del
più
giovane, la chiuse e se ne andò.
“Dean!
Dean!” Jared gli urlò dietro, ma era stupido e
inutile, e lui era assolutamente perso.
“Dean...”
Continuò a dirlo, silenziosamente a se stesso,
assaporando quel nome, permettendosi di sentirlo davvero per la prima
volta
dopo un lungo, lungo tempo.
****
Quando
Jared aprì gli occhi il soffitto sopra di lui gli
sembrò famigliare. Il divano su cui era sdraiato sembrava
esattamente lo stesso
di quando lo avevano comprato, il soffice russare dei suoi cani di
fronte a lui
non era nulla di nuovo. Ma il mondo… il mondo era cambiato.
La
schiena gli mandò una fitta dolorosa quando fece
scivolare le gambe sul pavimento. I suoi occhi andarono per prima cosa
al
cellulare; vide l’orario – le otto e mezza
– e la mancanza di messaggi o
chiamate.
Aveva
speso quasi l’intera notte mandando messaggi e chiamando
Jensen, Dean,
e la batteria del suo
cellulare era quasi morta, ma l’altro non aveva risposto e
non era tornato a
casa.
Jared
sospirò e si nascose la testa tra le mani.
C’era
un dolore nel suo cuore che derivava sia dal sollievo
che dalla paura. Dall’improvvisa assenza della parte mancante
dentro di sé e dalla
presenza della stessa cosa che aveva desiderato per poterla riempire:
Dean.
Tutto
e niente, sempre e per sempre, si riduceva a
quell’unico nome, quell’unica persona.
Dean.
Jared,
Sam,
non
poteva credere che fosse lì, che avesse riavuto suo fratello
completamente,
dopo così tanto tempo. E per quanta voglia avesse di
scoppiare di felicità, di
versare lacrime di gioia per averlo finalmente avuto indietro, Jared
era
spaventato fin nel profondo da chi avrebbe potuto perdere come
conseguenza.
Ora
era tutto aperto, le carte in tavola erano nuove.
E
il risultato era ignoto.
Un
breve abbaio catturò la sua attenzione e quando Jared si
guardò intorno, poté vedere Harley e Sadie seduti
pazientemente davanti alla
porta della cucina, agitando le loro code.
“Cazzo,
mi dispiace tanto.” Saltò su, con la colpa che lo
attraversava. Si sentì solo peggio quando riempì
le loro ciotole fino all’orlo
e li guardò divorare il cibo in un attimo.
Dopo
li lasciò uscire nel giardino posteriore, non era
disposto a lasciare la casa nemmeno per una breve uscita con loro, in
caso
Jensen fosse tornato.
Questa
cosa lo colpì di nuovo. La consapevolezza che Jensen
non era più solo Jensen. La sua mente continuava a
dimenticarlo, continuava a
respingerlo e farlo scivolare indietro in onde. Jared non sapeva se vi
si
sarebbe mai abituato. Guardare negli occhi di Jensen e vedere anche suo
fratello, che finalmente rispondeva al suo sguardo.
Il
dolore era caldo e tagliente nel suo cuore – e troppo, troppo
fresco – non avrebbe nemmeno saputo dire se fosse buono o
cattivo, se fosse
felice o triste. Sapeva solo che non era pronto per processare
l’intera cosa in
quel momento.
Sapeva
che non era questo che aveva voluto allora. Che il
patto era stato differente. Che aveva scelto qualcosa d’altro.
Jared
spese la maggior parte della giornata aspettando con
il cellulare in mano, sperando di avere notizie da Jensen, fuori con i
suoi
cani, cercando di intrattenerli. Niente funzionò. Jensen, Dean,
non chiamò, non mandò un messaggio e ora della
fine della giornata, Jared
avrebbe potuto giurare che i suoi cani fossero davvero incazzati con
lui per la
mancanza di attenzioni; lo dimostrarono, quando li trovò che
occupavano tutto
il suo letto, dormendo rumorosamente con la schiena rivolta verso di
lui.
Jared
lasciò che gli rubassero il letto e tornò a
fissare il
suo telefono; raccolse i cocci del vaso rotto dal pavimento della sala
e poi
tornò a fissare l’orologio sulla parete della
cucina. Cercò di fermare la sua
mente dall’andare al ‘e se…’
E
se Jensen non fosse tornato a casa? E se lo odiasse per
non avergli detto chi era davvero, chi erano loro? E se avesse lasciato
lo
show, o avesse lasciato Vancouver o la sua vita per sempre?
Jared
sentì la rabbia strattonare il suo cuore, la
sentì
bruciare nelle vene. Succedeva ancora in quel modo. La rabbia lo
raggiungeva
sempre per prima, ma aveva imparato come trattare con essa, aveva
imparato a
strapparla via e a guardare a quello che davvero stava provando.
Tristezza,
delusione, debolezza.
Ma
era differente, oggi.
Questa
volta lasciò che la rabbia lo prendesse, invece che
lavorare per superarla; una vecchia sensazione, ancora famigliare,
restava
stantia e dolorosa, ma di sollievo molto più di quanto
ricordasse.
“Gabriel!”
Urlò alla stanza vuota, la sua voce era forte ed
esigente. Rimbalzò sui muri, risuonò nelle sue
orecchie. Aveva fatto una cosa
del genere solo una manciata di volte. Tempo addietro, quando tutto era
diventato improvvisamente chiaro. Quando aveva tenuto il primo script
di
Supernatural tra le mani, quando si era reso immediatamente conto di
non essere
pazzo, che tutto stava prendendo una sorta di significato perverso. La
sua voce
era stata terrorizzata allora, ma Gabriel venne.
Un’altra
volta, fuori di sé dalla rabbia come in quel
momento, quando aveva visto Jensen passare attraverso quello che Dean
aveva già
sofferto, quando aveva visto suo fratello fatto a pezzi di nuovo. Anche
se si
era trattato solo di sangue finto e di effetti speciali, lo aveva quasi
spezzato. Jared aveva urlato all’arcangelo e lui era venuto.
“Gabriel!
Porta il tuo fottuto culo qui! Gabriel!”
Continuò
ad urlare quando vide che non accadeva nulla e
divenne sempre più rabbioso. “So che puoi
sentirmi!”
“Gesù,
se qualche paparazzo si fermasse da queste parti,
dovresti spiegargli perché sono in casa tua,
amico.”
Jared
ruotò su se stesso per trovarsi di fronte Richard, Gabriel,
seduto al tavolo della sua cucina
a sghignazzare verso di lui.
“Perché
diavolo lo hai fatto? Pensi che sia divertente?” Lo
attaccò direttamente, voleva solo far sparire quel ghigno
dalla faccia
dell’altro.
Richard
alzò le mani in difesa. “Whoa, hey, hey! Che
succede
con tutta questa ira, Sam? Non pensi che sia un po’ troppo
della tua vita
passata?”
“Smettila
di fare la sceneggiata e dimmi perché lo hai
fatto?” Jared incombeva su di lui, ma il sorriso
dell’angelo si ridusse solo di
poco.
“Fatto
cosa, esattamente?”
“Jensen
lo sa.” Ringhiò, riusciva a malapena a mantenere
il
controllo sul suo corpo. Allora, nell’altra vita, perdere il
controllo avrebbe
significato fare molti più danni rispetto ad oggi, ma
ancora… il ragazzo
continuava a combattere se stesso.
“Lui
sa cosa?” A quel punto Richard si accigliò e i
muri
dell’ira di Jared si creparono, solo un po’.
“Chi
è. Chi era.”
Richard lo guardò con occhi spalancati, pallido, ma lui
continuava a non
credergli.
“Perché
lo hai fatto? Questo non era parte del nostro
accordo.” Sputò fuori. “Avevamo detto
nessun ricordo. Niente. Non il suo nome,
non la sua vita, non l’Inferno, non me.”
“Lui
ricorda tutto?” Sussurrò Richard, abbassando lo
sguardo
sul tavolo, come se stesse pensando attentamente.
“Si.”
“Non
sono stato io.”
“Stronzate.”
Sibilò Jared, perché non poteva credergli, non
voleva farlo. Non quando era così arrabbiato e aveva bisogno
di qualcuno da
incolpare, non quando tutto era andato a puttane e il suo migliore
amico, suo fratello,
ora era scappato da lui.
“Non
sono stato io, te lo giuro, ok?” Richard incontrò
ugualmente il suo sguardo. “Forse il potere si è
solo esaurito, d’accordo? Non
sono esattamente Dio, perfino i miei poteri hanno dei limiti!”
Rimasero
a fissarsi l’un l’altro in un silenzio carico di
rabbia. Jared non voleva dargliela vinta, ma già sentiva di
credergli, sentiva
la delizia della furia lasciarlo. Ma fu qualcos’altro a far
andare via
completamente la sua rabbia.
“Wow.
Ed eccoci di nuovo qui.” Disse una voce dietro di lui,
delusa e ferita, che lo fece voltare con gli occhi spalancati.
“Ovviamente la
storia si ripete.”
“Dean.”
Boccheggiò Jared, perché era del tutto Dean
quello
che lo stava guardando ora, e quel momento sembrò fin troppo
come uno di quelli
che avevano condiviso in passato. Non aveva bisogno di chiedere per
sapere che
Jensen aveva sentito tutto.
“Sembra
tanto un déjà-vu, non credi, Sammy?”
Disse Jensen
con voce roca e usò le esatte parole che erano nella testa
di Jared. “Non stai
esorcizzando un demone con la mente, ma la cosa del ‘dietro
le spalle’ e del
mentire e del fingere, resta sempre la stessa.”
“Dean...”
Disse di nuovo Jared, la sua bocca si era
asciugata e il suo cuore batteva forte per il senso di colpa.
“Niente
di soprannaturale, huh? Avrei dovuto sapere che
stavi mentendo.”
“In
realtà…” Intervenne Richard, mettendosi
tra di loro.
“Sono solo io.”
“Gabriel.”
Dean annuì e Richard rispose a modo.
“Dean.”
Rimasero
a guardarsi l’un l’altro, come vecchi nemici che si
incontrano di nuovo dopo una guerra che è finita da tempo,
ma ancora non pronti
a superare i confini che essi stessi hanno disegnato.
“Quindi
questo è divertente per te?” Lo pressò
Jensen, la
sua espressione era tutta Dean: una maschera di rabbia e furia. Jared
deglutì e
pensò che il maggiore non aveva nemmeno idea di citarlo.
Questa
volta, però, la risposta del Trickster fu differente.
“Non
sono stato io. Lo giuro. Non ti ho svegliato io.”
Suonava molto di più come Richard in quel momento, come il
ragazzo che entrambi
conoscevano.
“Che
tipo di malato del cazzo sei, huh? Lasciare che
riviviamo le nostre vite in un fottuto TV show?”
“Jensen.”
Jared si intromise facendo un passo verso suo
fratello.
“Non
ti azzardare a difenderlo.” Lo mise in guardia Jensen,
le sue narici si dilatarono. “O era parte del tuo accordo? Io
dovevo
dimenticare ma tu ricordavi ogni piccolo dettaglio, così
potevi vedermi
percorrere la mia vita, completamente ignaro? Così potevi
guardarmi commettere
gli stessi errori di nuovo, in modo che potessi vedere quanto fossi nel
giusto,
ancora e ancora?”
“Dean.”
Jared sussurrò e avrebbe voluto piangere perché
non
era giusto, questo non era quello che voleva. Questo non era per niente
quello
che era stato per lui.
“Woah,
woah, aspetta un secondo, okay?” Richard cercò di
salvarlo, una seconda volta. “Primo: il mio mondo, le mie
regole. È divertente
vedervi contorcere mentre passate attraverso la vostra vita passata,
facendo di
nuovo gli stessi errori e avere persone che curano il tutto come un
cavolo di
TV show? Si, lo è. Voglio dire, sono il Trickster dopotutto
e ho bisogno di
tenermi occupato con qualcosa quando non mi è permesso di
fare troppe cose
soprannaturali, giusto?”
Jared
rimase in silenzio, tenendo sotto controllo la sua
rabbia. Avevano già avuto questa conversazione prima.
“E
secondo: Sammy qui non è completamente umano. E non sta
usando un vessel. Quindi il mio potere non ha esattamente funzionato
con il
piccolo ragazzo.”
Il
suo tono divenne sempre più serio ad ogni parola.
“Ascoltate. Voi ragazzi avete impedito che
l’apocalisse accadesse, avete chiuso
i miei fratelli in una gabbia e il mondo è rimasto intatto.
Questa qui è la
vostra ricompensa. La vostra seconda possibilità. Ed
è il meglio che io potessi
fare, quindi prendere o lasciare.”
Guardò
severamente il maggiore per un’ultima volta, poi i
suoi occhi tonarono su Jared; annuì e svanì nel
nulla.
Jensen
si voltò verso Jared, i suoi occhi erano così
pieni
di senso di tradimento che il più giovane li
sentì come un pugno nello stomaco.
“Come hai potuto non dirmi chi ero?” Chiese. La sua
voce era rabbiosa, quasi
feroce, come se l’altro gli avesse piantato un coltello nella
schiena.
“Stavo
cercando di proteggerti!” Urlò Jared, stanco di
fare
la parte del cattivo, di dover difendere se stesso.
Jensen
buttò in aria le mani, furioso. “Da
cosa?”
“Da
te stesso!”
Il
maggiore rimase in silenzio, stordito per un secondo, e
Jared ne approfittò per dirgli esattamente cosa aveva voluto
dire rinunciare a
suo fratello per sempre. Portare via a Dean tutti i ricordi del
fratellino che
aveva una volta, della persona che una volta aveva amato più
di qualsiasi altra
cosa, quello per cui era morto, più e più volte.
“Pensi
davvero che io non abbia sentito quello che Carestia
ti ha detto?” Sbottò Jared, urlò e
sentì la sua gola chiudersi. “A proposito di
quanto vuoto tu fossi, di come fossi già morto? Questo ha
continuato a gridare
nella mia testa per più di vent’anni! E non
c’è stata una settimana in cui non
ci abbia pensato, o che non mi sia svegliato sudato dopo un incubo in
cui non
avevamo vinto. Dove Gabriel non era mai venuto a farmi
quell’offerta.”
Sussultò,
sentendo la sua voce che incespicava. “Stavo per
perderti, Dean. E non per qualche demone, o mostro o
l’apocalisse. Ma per te.
Per quanto saresti andato avanti? Con o senza di me? L’ho
fatto per salvare
la tua vita! Proprio come ho sempre
fatto. Come abbiamo sempre fatto.”
Jensen
continuava a non reagire, continuava a guardarlo con
occhi vuoti.
“Non
pensare, nemmeno per un secondo, che questo sia stato
semplice per me.” Disse Jared. “Ma ho dovuto
farlo.”
“Cosa?”
Disse finalmente Jensen e la sua voce quasi ferì il
minore. “Così potevi avere la tua apple-pie-life?
Nessun fratello danneggiato?
Così avresti potuto essere normale? Avere quel fottuto
cancello bianco che hai
sempre sognato?”
“No,
Dean!” Esplose l’altro, facendo un passo verso suo
fratello, cercando disperatamente di fargli capire.
“Così che potessi averla tu!”
“Eri…
finito, Dean. Bruciato. Da lungo tempo.” Cercò di
spiegare, abbassando il livello della sua voce, come se
l’aria nella stanza
avesse cominciato ad essere troppo spessa, troppo pesante
perché si potesse
respirare. “Non potevo rischiare. Non potevo rischiare di
perdere tutto di te.”
Jared
prese un respiro tremante. “Ho solo cercato di fare la
cosa giusta.”
“Si,
beh, questo è quello che facciamo sempre e guarda dove
ci ha portato.” Rispose freddamente suo fratello e questo lo
ammutolì.
La
sentenza bruciava, le parole erano un colpo basso,
perfino per Dean, e poteva vedere che anche Jensen lo sapeva. Ma anche
se i
suoi occhi sembravano colpevoli, non si scusò.
“Non
ho la minima idea di come dovrei fare ad essere di
nuovo lui.” Ammise il maggiore, la voce ruvida come carta
vetrata, e fu l’unico
segno che diede, del fatto che anche lui stesse soffrendo.
Jared
chiuse gli occhi per un attimo, inghiottì il dolore e
la rabbia meglio che poté. Lui aveva avuto
un’intera vita per abituarsi a
questo, suo fratello aveva avuto solo ventiquattro ore. Aveva bisogno
di lui
adesso.
“Tu
sei tu,
Dean. Tu sei
Jensen. Sei stato lui per gli ultimi trent’anni, tutto questo
eri sempre tu.
Stessa anima, stessa cosa.”
Jensen
sbuffò. “Non puoi aspettarti che io lo accetti e
basta.”
“Devi
farlo! Altrimenti butterai via gli ultimi trent’anni
della tua vita. Cosa farai, un salto indietro nel tempo per essere
quella
persona ancora una volta? Tornerai a come stavi allora? E per
cosa?”
“Sam.”
Lo mise in guardia Jensen e gli lanciò uno sguardo
tagliente, con l’intenzione di farlo fermare.
“No,
Dean. Per favore. Quello che hai ora è fantastico.
È
quello che volevi. Se solo potessi accettare che questo è un
altro passo nella
tua vita, solo un'altra parte di essa, potresti avere tutto. Una vita
normale,
un lavoro, amici, famiglia.”
“Mia
madre è morta in un incendio provocato da un
demone!”
Urlò Jensen, come se qualcosa si fosse spezzato dentro di
lui, come se fosse
infine scattato. “Mio padre è morto facendo un
patto per la mia anima! Mio
fratello è morto chiudendo Lucifer in una gabbia! Questo
è quello che è reale
per me!”
Jared
prese un respiro profondo e poi un altro. Si calmò
cercando di controllare l’adrenalina che gli scorreva dentro.
Si spostò verso
un altro lato della stanza, prese il telefono e lo offrì a
suo fratello.
“Cos’è?”
Chiese Jensen irritato.
“Allora
chiamala.” Suggerì Jared e la sua voce era calma
come voleva che fosse. “Chiama tua mamma e dille che non sei
più suo figlio.
Che non vuoi avere più niente a che fare con lei o con la
sua famiglia.
Andiamo, fallo!”
Vide
gli occhi dell’altro dilatarsi, vide il suo viso
impallidire ed era esattamente quello che voleva da Jensen, voleva
vederlo
reagire, voleva fargli comprendere cosa stava per perdere.
“E
già che ci sei, chiama Jason. E Chris... e Steve e tutti
gli altri amici e dì loro che non puoi più essere
loro amico. Perché non sei
più Jensen. E poi chiama Danneel. Dille che non lo ami
più.”
“Vaffanculo,
smettila.” Sussurrò Jensen. Aveva chiuso gli
occhi, ma stava vibrando di rabbia. Jared poteva quasi sentire la
tempesta che
stava imperversando dentro di lui.
Sembrava
così perso, così abbandonato, piccolo e debole.
Questo toccò dei tasti profondi dentro Jared.
‘È
mio fratello’
Pensò il più giovane e lo aveva pensato molte
volte nell’arco degli anni, ma
mai come questa volta. Non era mai stato così vero come
questa volta.
Per
un momento tutto quello che Jared voleva era avvolgere
le braccia intorno a suo fratello, tenerlo stretto e vicino, sentire il
suo
solido calore, la realtà di lui tra le sue braccia. Un
promemoria fisico che
quello fosse veramente lui. Completamente, con tutti i ricordi del
fratellino che
aveva una volta, l’unica cosa che davvero lo rendeva
differente dall’uomo che
era stato fino a due notti prima.
Jared
attese. Attese perché Jensen dicesse qualcosa, facesse
qualcosa; cercò di essere pronto a reagire in ogni modo. Ma
tutto quello che
l’altro fece fu di passarsi una mano sulla bocca, stanco e
prosciugato, e
girarsi diretto alla sua camera.
“Jensen!”
Jared lo seguì, incapace ancora di lasciarlo
andare.
“Non
c’è nient’altro di cui
parlare.”
C’era
già una risposta sulla punta della lingua di Jared, ma
si fermò, vedendo l’espressione sul viso di Jensen
e capendo che l’altro sapeva
comunque quello che gli avrebbe detto.
Jensen
si voltò un’ultima volta, aveva un sorriso vuoto
sulle labbra. “Vuoi dirmi ancora come non sono Dean,
huh?”
Jared
ignorò le sue parole, doveva farlo. “Cosa
farai?” Chiese
invece, preoccupato che Jensen facesse la valigia e se ne andasse,
preoccupato
che scappasse da tutto quello, dalla sua vita, da lui.
Jensen
si mosse volutamente per chiudere la porta alle sue
spalle. “Vai a dormire. Abbiamo una chiamata presto
domani.”
Jared
rimase senza parole e senza fiato di fronte alla porta
chiusa della stanza del maggiore.
La
sua mente era chiusa, vuota e silenziosa, come se avesse
deciso che le ultime ore fossero state troppo per lui da assimilare e
avesse
dovuto spegnersi.
Ci
fu un rumore che sorprese Jared e lo fece voltare, non
aveva idea di quanto tempo sarebbe rimasto davanti a quella porta, se
il suo
telefono non avesse squillato.
Lo
trovò sul tavolo, sullo schermo lampeggiava il nome di
Genevieve. Jared non rispose.
Non
avrebbe voluto altro che essere capace di rispondere e chiacchierare
della sua normale ed eccitante giornata, ma il mondo era cambiato dalla
sera
precedente, profondamente e completamente, e lui non aveva nemmeno le
energie
per raggiungere il telefono e fare finta che tutto fosse normale.
Si
girò invece, per salire al piano superiore, lasciando
squillare il telefono sul tavolo.
N.d.T.
Come promesso ecco il nuovo capitolo ed eccoci
alla grande rivelazione e alle conseguenti
spiegazioni di quello che è successo. Jensen è
Dean e Dean è Jensen, così come
Jared è Sam, in un altro mondo, con un ‘altra
vita. Uniti eppure separati.
Per
Jensen questo è davvero un duro colpo da digerire, Jared
ha potuto convivere con quella consapevolezza per anni, Jensen solo
poche ore. Non
sarà così semplice per nessuno dei due tenere in
piedi un mondo che pare
crollare intorno e dentro di loro.
Spero
che questa svolta vi sia piaciuta, io l’ho trovata una
cosa geniale, soprattutto nel modo in cui l’autrice gestisce
le emozioni e le
reazioni di entrambi i ragazzi.
Vi aspetto al prossimo
capitolo :)