Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Acinorev    07/10/2014    16 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

Capitolo cinque - Photograph
 
 

La superficie della sua scrivania era stata trasformata in un mosaico di fotografie, incastrate secondo un filo logico, ma comunque apparentemente disordinate: illuminate dalla fioca luce proveniente dall'esterno, si offrivano ad Emma come sprazzi di vita catturati contro la propria volontà.
Era sabato sei Settembre, il giorno della mostra d'arte che l'avrebbe vista come co-protagonista.  La sua sarebbe stata un'esposizione introspettiva, dedita ad illustrarla indirettamente: nessuna delle sue fotografie la ritraeva, perché erano state studiate appositamente per lasciarla sottintesa, per raccontarla tramite altre immagini. Non sapeva se sarebbe stata apprezzata, compresa o guardata con una smorfia di insoddisfazione, ma era impaziente ed elettrizzata al pensiero di scoprirlo.
Sospirando sonoramente, Emma si abbandonò contro lo schienale della sedia girevole. Si sentiva vagamente in colpa per non aver concesso alla sua famiglia di visitare la mostra: non che se ne vergognasse, ma essendo la prima esperienza simile, temeva che una reazione negativa da parte del pubblico potesse incrinare la sua sicurezza ancora di più, se di fronte alle persone alle quali più teneva. Preferiva affrontare da sola quella sfida contro la quale si stava dirigendo.
Cercando una piccola fuga dai propri pensieri e tentando di smorzare la tensione, afferrò il telefono e curiosò in varie cartelle, controllò Facebook e si divertì con qualche gioco imbranato per Android: infine decise di scrivere a Pete, che quella sera non avrebbe potuto raggiungerla per problemi con il lavoro. Aprì la cartella dei messaggi e, cercando la conversazione che le serviva, i suoi occhi si posarono su quella con qualcun altro, risalente ormai ad una settimana prima: "Forse non sei cambiata così tanto" c'era scritto, come a ricordarle quella verità.
Non aveva risposto ad Harry, perché non voleva dargli ragione: era inevitabile che una parte di sé fosse rimasta la stessa, immutabile perché quanto di più vicino poteva esserci alla sua essenza. Se mille piccoli frammenti si erano smussati e trasformati, durante quegli anni, qualcosa era rimasto illeso e si era rinforzato: le doleva ammetterlo, eppure Harry aveva conosciuto proprio quella parte, arrivando a comprenderla più di chiunque altro e a poterla riconoscere anche se travestita da ventidue cicli di stagioni ed un corpo maturato.
Pensandoci bene ed osservando le fotografie sulla propria scrivania, si accorse di non esser riuscita a catturare nessun istante che potesse essere un degno rappresentante della Emma immutabile che era ancora così forte: nessun particolare era soddisfacente, nessun colore abbastanza intenso. E fu allora che capì che forse, per una volta, avrebbe dovuto lasciare che qualcun altro contribuisse alla sua descrizione, con una visione esterna ma intima, sincera e semplice.
Aprì il secondo cassetto della scrivania e accarezzò un vecchio quaderno di ricordi, come indecisa sul da farsi, poi lo scostò e chiuse gli occhi quando percepì sotto le proprie dita il vetro della cornice che stava cercando. Ne percorse i bordi e gli spigoli, la figura che racchiudeva e che lei poteva ricostruire senza alcun problema nella propria mente.
Subito dopo, con una nuova determinazione a farle da incoraggiamento, cercò il numero di Seth ed avviò la chiamata, sperando che non fosse troppo tardi.
«Seth, so che la mostra è tra meno di quattro ore e che sei più impegnato di me, ma ho un favore da chiederti.»
 

♦♦


Miles continuava a camminare avanti ed indietro, giocherellando con il primo bottone della camicia bianca che indossava, incastrandolo nell'asola solo per poi cambiare idea e liberarlo. Aveva tagliato di poco i capelli biondo cenere ed era di un'eleganza fine, nei pantaloni neri che fasciavano accuratamente le sue gambe magre e nelle scarpe lucide comprate appositamente per l'occasione: le iridi di pece vagavano nervose su ogni oggetto della piccola stanza nella quale si trovava con Emma. L'arredamento era spoglio, essenziale.
«Sei pronta?» Le domandò senza guardarla e senza arrestare i suoi movimenti frenetici. «Perché io non lo sono affatto.»
Emma sorrise ed inspirò profondamente prima di avvicinarsi lentamente a lui e posargli le mani sulle spalle, osservandolo attentamente. «È pieno di gente là dentro e sono tutti qui perché sanno che ne varrà la pena» cercò di incoraggiarlo. «Quindi respira e calmati, perché non hai nulla di cui preoccuparti» continuò, accarezzandogli il collo e baciandolo delicatamente.
«Tu mi farai sfigurare» sussurrò lui sulla sua bocca, ammorbidendo le labbra in un sorriso.
«Come?» Domandò Emma, curiosa. Sentiva le mani di Miles percorrerle la schiena, su e giù, leggere e possessive.
«Hai un talento assurdo» le spiegò lui, respirandole sul viso. «E hai un vestito più bello del mio» scherzò poi, facendola ridere liberamente. Emma indossava un tubino blu spento, che si modellava fedelmente sul suo corpo, arrivandole sin sopra il ginocchio: nella sua semplicità, riusciva ad essere sobrio ed elegante. I capelli raccolti in una veloce acconciatura lasciavano libero il suo collo sottile, mentre il viso poco truccato era macchiato da leggere tracce di rossetto e mascara. Le lentiggini erano più di quelle che in altri tempi avrebbe sopportato.
«Vuoi fare cambio?» Ribatté lei, cercando di sciogliere i nodi di tensione che lo stavano torturando e fingendo che i propri non esistessero. «Sono sicura che faresti una gran bella figura con questo addosso.»
Miles rise e scosse la testa, prendendosi ancora qualche minuto per trovare conforto nel corpo che stava stringendo, nelle labbra delle quali si stava saziando. Condividevano gli stessi timori e la stessa impazienza, cose che non potevano non affrontare insieme.
«Andiamo, ci stanno aspettando» esclamò infine Emma, accarezzandolo un'ultima volta ed intrecciando la mano nella sua, per ricavarne un po' di coraggio in uno scambio equo e spontaneo. Miles annuì e sospirò sonoramente, prima di aprire la porta: percorsero un breve corridoio nella penombra ed inspirarono profondamente quando arrivarono alla fine.
Il grande magazzino era stato riverniciato con pittura bianca, che dava l'impressione che gli spazi fossero ancora più ampi e luminosi: avevano scelto di posizionare delle pareti in cartongesso chiaro che potessero creare un percorso che gli ospiti avrebbero seguito. In una piccola area all'angolo della sala più grande, vi era un modesto buffet di intrattenimento, mentre diverse casse nascoste in vari punti trasmettevano musica a basso volume.
Quando Emma e Miles si affacciarono nella prima tappa della mostra, era gremita di persone intente ad osservare i vari quadri esposti, che portavano la firma incerta del ragazzo venticinquenne che le stava camminando accanto: quando il pubblico si accorse di loro, si diffuse un chiacchiericcio estasiato e soddisfatto, pronto ad accoglierli e forse anche ad imbarazzarli. Emma sentì le fibre che la componevano tendersi fino al punto di rottura e, quando le percepì cedere, sembrò assorbirne ogni briciola di determinazione e di sicurezza.
Seth fu il primo che si avvicinò loro, con un largo sorriso sulle labbra: i capelli corvini e lunghi fino alle spalle erano racchiusi in una coda bassa, mentre gli occhi piccoli e furbi li guardavano con calore, superando gli occhiali dalla montatura sottile.
«Amico, ancora grazie di tutto» esordì Miles, con una mano dietro la schiena di Emma e l'altra sulla spalla di Seth, in una stretta fraterna.
«Non dirlo nemmeno per scherzo» rispose lui con la sua voce placida e profonda. «Ah, Emma, ho fatto le modifiche che mi avevi chiesto, quindi è tutto in ordine.»
«Perfetto, grazie infinite. E scusa se ti ho avvertito con così poco preavviso, è stata una scelta dell'ultimo minuto» spiegò, mentre Miles veniva rapito dall'entusiasmo di un altro suo conoscente.
«Non preoccuparti, e goditi da serata» la incoraggiò sorridendo.
Lei annuì e si guardò intorno, mentre lui si allontanava. C'era ancora più gente di quanta se ne aspettasse ed in qualche modo si sentiva gli occhi puntati addosso: non solo per le ovvie ragioni, ma perché chiunque spiasse le sue fotografie anche da lontano arrivava fino a lei. Era come essere sotto una lente di ingrandimento, pronta ad essere studiata e sezionata, ma non era affatto una sensazione spiacevole.
«Avete fatto proprio un bel lavoro» esordì qualcuno alle sue spalle.
Emma trattenne il respiro e chiuse per un attimo gli occhi, voltandosi con la certezza di chi si sarebbe ritrovata di fronte. Harry le stava sorridendo con la furbizia che lo caratterizzava, tenendo un bicchiere di spumante nella mano destra e l'altra mano in tasca. Aveva i capelli sciolti, ribelli in ogni loro onda spontanea, ed il viso rilassato di chi crede di avere il gioco nelle proprie mani: indossava uno dei suoi soliti pantaloni neri ed un maglione a trama larga dello stesso colore, che gli cadeva addosso come se fosse stato di taglie più grandi.
«Cosa ci fai qui?» Domandò subito Emma, senza dar voce all'istinto di indietreggiare. Miles stava ancora chiacchierando al suo fianco e udire la sua voce spensierata serviva a darle un controllo.
Harry alzò un sopracciglio e schioccò la lingua contro il palato. «Speravo in un'altra accoglienza» esclamò lentamente, bevendo un sorso e leccandosi le labbra umide. «Avete fatto dei volantini per questa cosa, no? Ho letto uno di quelli che avete lasciato da Ty.»
Emma si trovò a maledirsi per l'idea di quegli stupidi volantini, ma non lo diede a vedere. Non avrebbe mai immaginato di vederlo lì, né l'avrebbe sperato. «Già…» commentò soltanto, distogliendo lo sguardo e disperdendolo distrattamente nella sala.
«È esattamente per questo che non ti ho chiesto se ti avrebbe fatto piacere che io venissi» si spiegò Harry, indurendo appena il tono di voce e ottenendo di nuovo la sua attenzione. Proprio come lei non aveva voluto avvertirlo quando si era presentata a casa sua, lui aveva deciso di evitare un rifiuto e di imporre la propria presenza.
Emma aprì la bocca per rispondere qualcosa di tagliente, ma venne preceduta da Miles.
«Henry, giusto?» Domandò, avvicinandosi a loro e porgendo la mano al ragazzo che stranamente aveva riconosciuto.
«Harry, in realtà» lo corresse lui, afferrando la sua mano con tranquillità. «E tu sei...?»
Ad Emma venne da ridere e poi da sospirare, ma si trattenne dal fare entrambe le cose: se poteva facilmente immaginare che Miles davvero non ricordasse il nome del suo interlocutore, sapeva perfettamente che non era lo stesso per Harry ed era assurdo rivederlo nelle vesti del diciannovenne che aveva conosciuto, provocatorio e falsamente innocente.
«Miles, Miles Webb» disse lentamente, piccato dal suo gioco e dalla sottile presa in giro.
Emma guardò un'ultima volta Harry e si soffermò sul contatto visivo che lui e Miles stavano condividendo. «Noi dobbiamo andare, scusaci» si congedò, osservandolo mentre sorrideva ancora con malizia, e si voltò senza esitazioni per allontanarsi da tutto ciò che rappresentava: la mano di nuovo stretta a quella di Miles.
«Non mi avevi detto che sarebbe venuto anche lui.»
«Perché non lo sapevo» sospirò Emma.
«Va tutto bene tra di voi?» Le domandò, voltandosi per osservarla con attenzione.
Lei si irrigidì appena, sperando che non se ne accorgesse. «Sì, perché?»
Temeva che avesse notato una particolare inclinazione nella sua voce, uno sguardo troppo esplicito o chissà quale altro particolare. Temeva di essere stata scoperta nel suo disagio.
Miles si strinse nelle spalle e non rispose. «Vieni, dobbiamo salutare un po' di persone.»
 
In quel momento voleva sfilarsi uno dei tacchi alti e lanciarlo proprio contro la testa di Harry Styles. Non sopportava più la sua presenza, non sopportava i suoi silenzi ed i suoi sguardi apparentemente indifferenti. Non sopportava il fatto che fosse sparito per gran parte della serata e che fosse magicamente ricomparso proprio quando lei aveva iniziato ad introdurre le proprie fotografie. Non sopportava il fatto che la seguisse senza commentare, restando quasi in disparte ma rendendo evidente la propria presenza senza alcuno sforzo. Non sopportava il fatto che non lo sopportasse.
Cercava di non guardarlo, di fingere che nemmeno esistesse: si concentrava sugli occhi del restante pubblico e sui loro commenti, sperando di intercettare qualsiasi critica ed ogni più piccolo apprezzamento. Ciascun timore riguardo la propria esposizione era svanito, rimpiazzato dalla soddisfazione derivante dai complimenti che continuava a ricevere, e questo poteva distrarla quanto bastava.
C'erano cinque o sei persone, in quel momento, ad osservare la penultima fotografia esposta, ma mancava qualcuno.  Emma controllò che Miles fosse ancora al suo fianco e lo trovò intento ad ammirare un particolare dell'opera, insieme ad un'amica comune: il suo sorriso fiero la nutriva di coraggio. Contro il proprio buon senso, allora, controllò che anche Harry fosse ancora con loro, ma non lo era.
Si era spostato più avanti, fermandosi dinanzi all'ultima fotografia del suo percorso di esposizione: immobile, con le mani giunte dietro la schiena, teneva gli occhi fissi su quella figura ingrandita e non ritoccata. Emma si agitò improvvisamente: assorta dalla situazione, aveva dimenticato della modifica che aveva apportato alla mostra.
Quando dovette guidare le altre persone verso la tappa finale, camminò come se stesse andando incontro a morte certa, ma si decise a non lasciarsi intimorire: per un attimo le sue iridi si posarono sulla figura di Harry, captando la mascella serrata e l'espressione nervosa. Non sapeva cosa stesse provando in quel momento, né voleva provare ad indovinare o a sperare.
Schiarendosi la voce, osservò gli altri presenti e le loro espressioni stupite. Ciascuno di loro era intento a comprendere ciò che era stato offerto loro: cercavano di percorrere e distinguere le linee che contornava la schiena morbida che era ritratta, macchiata da lentiggini ed accarezzata da lenzuola stropicciate. Il profilo confuso del volto che affondava nel cuscino e che era mascherato dai capelli disordinati. La qualità dell'immagine sgranata, sia a causa del parziale ingrandimento sia a causa del telefono con il quale era stata immortalata.
Per Emma quello era ciò che più si avvicinava alla definizione di se stessa, anche dopo tutto quel tempo: era un modo per ricordarsi che la vita non era riuscita a smorzare l'ardore con cui era solita affrontarla.
«Questa non l'ho mai vista» le sussurrò Miles all'orecchio, scostandosi subito dopo per prendere posto di fronte a lei, nel semicerchio che restava in attesa.
Emma si inumidì le labbra e ricercò un certo contegno. «Siamo arrivati alla fine, a quanto pare» esordì, insoddisfatta del suo tono di voce compromesso. «Come potrete notare, questa fotografia si discosta dalle altre: innanzitutto, non è stata scattata da me, né…»
«Chi è l'autore?» Fu la domanda che la interruppe e che riuscì subito a ricondurre ad Harry. Spostò il proprio sguardo nel suo con un certo sforzo, ma non gli diede la soddisfazione di vacillare: dalla sua espressione sembrava carico di furia, di quella stessa furia che talvolta amava mascherare con della malizia o con del sarcasmo. In quel momento, per esempio, aveva tutte le intenzioni di metterla in difficoltà, ma in un modo subdolo che poteva essere compreso solo da lei.
«Vuole rimanere anonimo» rispose decisa, stringendosi le mani l'una con l'altra. Era una menzogna, ma questo non lo sapeva nessun altro.
Harry sorrise appena. «È una bella fotografia, perché dovrebbe volere una cosa del genere?»
Non avrebbe vinto.
«Me l'ha dimostrato» ribatté. «Inoltre, chi l'ha scattata non è importante ai fini di questa mostra» continuò, consapevole del colpo che avrebbe sferzato, ma anche della propria sincerità. E proprio come tante volte lei aveva dovuto sopportare quella di Harry, lui avrebbe dovuto fare i conti con la sua.
Harry serrò la mascella e sembrò respirare con un po' più di tensione, anche se probabilmente agli occhi degli altri erano dettagli invisibili. «Deve essere una persona abbastanza vicina a te, dato che ha potuto ritrarti in queste vesti» insistette sfidandola apertamente, mentre gli altri seguivano lo scambio di battute con interesse, ma senza cogliere i sottintesi che li stavano schiacciando.
Emma vide Miles inasprire lo sguardo, prima di spostarlo nel suo. «Lo era» precisò lei.
Non ricevette risposta, ma gli occhi di Harry le riversarono contro ogni più piccolo significato che stessero celando. L'attimo dopo, le stava dando le spalle e si stava allontanando.
 
«Ancora complimenti» esclamò cordialmente una signora di mezza età, stringendole calorosamente la mano e provocando in lei un sorriso sincero e soddisfatto.
Era così felice dei risultati ottenuti, da aver voglia di gridare a pieni polmoni e di ridere fino allo sfinimento: sentiva il suo modesto sogno sfiorare la realizzazione, nonostante le difficoltà passate e i vari ostacoli che avevano cercato di allontanarla dai suoi obiettivi.
«L'avevo detto, che mi avresti fatto sfigurare» esordì Miles, afferrandole con delicatezza la mano e baciandole il dorso.
«Grazie per avermi dato questa possibilità» sussurrò Emma. «È tutto merito tuo ed io…»
«Zitta e dammi un bacio» la interruppe lui. «Ho bisogno di un incentivo per continuare la serata» scherzò, attirandola contro il suo corpo per avvicinare le loro labbra.
Emma appoggiò il viso sulla sua spalla e lo strinse per assorbirne il profumo ed il tepore. Quel contatto poteva ristabilire un certo equilibrio dentro di lei ed era intenzionata a reclamarlo e ad ottenerlo senza alcuna esitazione. Lasciò un bacio leggero sul suo collo e ritornò alla sua precedente posizione, guardandosi intorno.
A metri di distanza, distinse Harry mescolarsi tra la folla.
«Miles, scusa» esclamò, ponendo delle riluttanti distanze tra di loro. «Devo andare a parlare con una persona, prima che se ne vada.»
«Certo» annuì lui. «Ci vediamo dopo, così mi racconti di quella fotografia. Non credere che me ne sia dimenticato» le promise con un sorriso, facendola rabbrividire: le sue parole mostravano la sua ignara ingenuità e la sua pura curiosità macchiate da un sospetto.
Emma impiegò pochi secondi a raggiungere con passo deciso Harry. Lo afferrò per un braccio, stupendolo, e lo trascinò all'interno della stanza nella quale si era preparata con Miles prima di comparire alla mostra.
«Si può sapere che diavolo ti passa per la testa?» Gli urlò contro, gesticolando. Non sapeva perché lo stesse aggredendo in quel modo, ma aveva detto addio a qualsiasi freno si fosse mai imposta, a qualsiasi cautela avesse cercato di sfruttare: era arrivato il momento di fare i conti con il passato, perché non avrebbe resistito oltre. «Con che diritto ti presenti qu-»
«Non sapevo ci fosse bisogno di un invito» la interruppe lui, a voce alta e su una linea di difesa con la quale voleva anche attaccarla. Entrambi non erano intenzionati a trattenersi, questa volta. «E non azzardarti a puntarmi il dito contro, quando sei tu ad aver esposto quella fotografia davanti a decine di persone!»
Emma sbatté più volte le palpebre, con il petto che si agitava per i respiri accelerati. Non credeva possibile che per lui potesse essere un problema. «Questi non sono affari tuoi! Tu non dovresti nemmeno essere qui!»
«Non sono affari miei?!» Ribatté Harry, avvicinandosi di un passo. «Te l'ho scattata io, quella maledetta foto, e non hai nessuno diritto di sbandierarla ai quattro venti senza nemmeno avere il coraggio di dire a tutti che significato abbia per te! Ma forse nemmeno ce l'ha un significato, altrimenti avresti avuto almeno un po' di ritegno e non ne avresti fatto u-»
«Ti è mai passato per la mente che se ho deciso di esporla deve avere un significato?!» Lo contraddisse. Ringraziava il fatto che la stanza nella quale si trovavano fosse appartata, rispetto alla sala della mostra, altrimenti tutti li avrebbero sentiti senza alcun problema. «E poi come osi metterlo in dubbio?! Chi ti credi di essere?!»
«Quindi tu puoi insinuare che a me non importi niente di te, ma io non posso fare altrettanto?!» Replicò, rimarcando il messaggio con il quale lei aveva risposto a quello riguardante il suo eventuale cambiamento.
«Tu non puoi farlo dopo sei anni!» Gridò, con la voce che le bruciava ed il cuore che aveva perso ogni contegno. «Non puoi giudicarmi e non puoi insinuare un bel niente, se per sei anni sei sparito!»
«E tu cosa hai fatto, invece? Visto che ti piace tanto sputare sentenze, dimmi che cazzo hai fatto durante tutto questo tempo!» Le inveì contro con aria di sfida.
«Non ti azzardare» lo ammonì Emma, puntandogli un dito contro e assottigliando gli occhi. «Tu hai disattivato il tuo numero di telefono. Mi hai tagliata fuori, impedendomi qualsiasi contatto! Quindi non venirmi a fare la predica!»
«Scusami se ho aspettato per due fottuti mesi che tu mi chiamassi o che facessi qualsiasi cosa! E scusami se alla fine mi sono stancato di aspettarti! O devo ricordarti che sei stata tu a lasciarmi?» Le sue iridi erano così turbate e accanite da essere quasi insopportabili.
«E sei stato tu a trasferirti a tre ore da qui! Direi che forse non hai mai avuto voglia di aspettare!» Lo accusò ancora, ormai ad un passo da lui. Entrambi ansimavano il rancore che li animava, finalmente venuto allo scoperto e finalmente urlato fuori.
Harry strinse i pugni e soffocò un respiro carico di ira, trattenendosi dall'urlare chissà quale pensiero. «Proprio tu parli di aspettare?» Quasi sussurrò.
Lei colse subito il riferimento a quel passato tanto lontano, alla sua impossibilità di sperare che il suo amore potesse essere ricambiato: ripercorse ciascun istante e ciascuna emozione, tutte cose che credeva di non dover mai più affrontare e che invece si stavano ripresentando al suo cospetto in una maledizione ricorrente.
Serrando la mascella, si impose una maschera di durezza. «Che cosa fai ancora qui?» Gli chiese a bassa voce, con una tale nota di ribrezzo e stanchezza da risultare sgradevole persino a se stessa. Non voleva più averlo di fronte, né doversi confrontare con il suo sguardo attento o le sue parole taglienti. Voleva solo che se ne andasse, lasciandole la possibilità di ricostituire le forze che le aveva prosciugato in una manciata di minuti: aveva dimenticato quanto fosse estenuante relazionarsi con lui.
Harry si inumidì le labbra e la osservò per interminabili secondi, poi le diede le spalle e si allontanò a passi svelti e nervosi, sbattendo la porta dietro di sé quando uscì dalla stanza.
Rimasta sola, Emma si riempì i polmoni d'aria e chiuse gli occhi. Doveva affrontare una valanga irrequieta di sensazioni familiari ed improvvise per le quali non si era preparata: aveva bisogno di ristabilire l'equilibrio che si era frammentato e di trovare un modo per accettare il fatto che Harry l'avesse frastornata ancora una volta. Il litigio che si era appena tenuto non era diverso dagli innumerevoli altri che avevano caratterizzato la loro storia, anzi, era così simile a loro da bloccarle il fiato in gola: eppure c'era comunque qualcosa a distinguerlo, perché era stato cosparso di rancori e convinzioni, ma isolato dai sentimenti. Non avevano discusso su ciò che sentivano, forse perché non erano mai stati bravi a farlo, e si erano limitati all'aspetto pratico e concreto del loro rapporto, concentrandosi su gesti mancati o esasperati e tralasciando le loro motivazioni.
Quando la porta si riaprì, Emma si stupì nell'accorgersi di aver sperato anche solo per un istante che fosse Harry.
Miles aveva una mano sulla maniglia della porta e lo sguardo ricco di interrogativi: la osservava per cogliere tutti i dettagli che gli stava offrendo inconsapevolmente e che contribuivano a fondare le sue supposizioni. Lei deglutì via le emozioni di troppo, pur senza riuscirci del tutto, e cercò di regolarizzare il proprio respiro: non sapeva se le mani le stessero ancora tremando.
Lui respirò piano, con arrendevolezza, e chiuse la porta dietro di sé avvicinandosi a lei di un paio di passi. I suoi occhi erano colmi di una nuova consapevolezza, ma anche di attesa: Emma lo conosceva abbastanza bene da sapere che non l'avrebbe forzata a parlare, che non avrebbe chiesto ciò che lei non era ancora pronta a dargli, ma che avrebbe comunque fatto presente la pretesa di sapere. Era evidente che Miles li avesse visti allontanarsi insieme e che magari avesse anche notato Harry che se ne andava con il nervosismo ad esasperargli i movimenti, cosa che l'aveva portato a raggiungerla: gli era bastata quella prova indubbia, unita a tutti gli altri particolari che aveva raccolto silenziosamente, per arrivare ad una conclusione.
Emma si passò una mano sul viso e poi sull'acconciatura, si sistemò il vestito con gesti controllati e rialzò lo sguardo in quello che la stava ancora aspettando. Sospirando silenziosamente, si avvicinò a lui e si prese qualche istante per ringraziarlo stancamente, semplicemente specchiandosi nelle sue iridi pronte a concedere, ma anche a riscuotere. Miles le prese la mano e la strinse nella propria, permettendole di concentrarsi su sentimenti presenti e non frutto di un ricordo sbiadito.
Uscirono dalla stanza in silenzio, rimandando tacitamente qualsiasi parola stessero nascondendo.

 

♦♦♦
 

La camera di Miles era confusa dal buio della notte inoltrata: l'afa avvolgeva i corpi animati o meno, vincendo sull'aria che entrava placidamente da una finestra aperta.
Emma aveva il viso struccato ed i capelli umidi per la doccia che l'aveva rilassata poco prima: seduta contro la testiera del letto, teneva le gambe nude piegate contro il petto, circondandole con le braccia esili, ed il mento appoggiato sulle ginocchia ossute. Sentiva i respiri di Miles scandire il trascorrere dei secondi e non sapeva come interpretarli al meglio: le stava imponendo una certa distanza, sdraiato sul fianco destro e con il viso schiacciato sul cuscino, con gli occhi che non la guardavano e lei che ne sentiva il bisogno.
La gola secca ed il cuore agitato erano il risultato delle infinite parole che le avevano lasciato il corpo: aveva appena terminato di raccontare la sua storia con Harry. Mossa da un dovere che percepiva, adesso più forte del disagio che ne sarebbe conseguito, spinta dal diritto che Miles reclamava implicitamente, incoraggiata dalla necessità di lasciar andare almeno una parte di ciò che sentiva, si era completamente sciolta dai propri limiti: era partita dall'inizio, prima con estrema difficoltà e poi priva di qualsiasi forza per continuare ad averne. Con la voce bassa e resistente che non venne mai interrotta, era arrivata ad animarsi per quei nodi che ancora la facevano innervosire e a trattenersi su quelli che non voleva ripercorrere apertamente.
Miles spezzò il silenzio dopo diversi minuti.
«Mi hai mentito» commentò piano.
«No» lo contraddisse piano. «Ma ti ho nascosto tutte queste cose e so che non avrei dovuto farlo.»
Aveva buoni motivi per accusarla e lei non sarebbe stata così ipocrita da contestarli.
«Esatto» confermò lui, inasprendo il tono e alzando il viso per cercare i suoi occhi blu nell'oscurità che li divideva. «Perché così mi spingi a pensare ch-»
«Che è qualcosa di cui non mi piace parlare» lo precedette, prima che lui potesse dire qualcosa di errato - o di troppo giusto. «Che non voglio che Harry possa essere un danno per me o per noi.»
«Se non ne hai parlato è perché hai paura che possa farlo» le fece presente. E forse in fondo aveva ragione. Emma serrò le labbra e rifletté in silenzio: la principale motivazione che l'aveva spinta a non precisare ciò che Harry aveva rappresentato per lei, era di certo egoistica, perché stava solo cercando di evitare ricordi dolorosi che non riteneva potessero risalire in superficie. Eppure, era anche vero che in un angolo della propria coscienza risiedeva il timore di sfiorare qualcosa che credeva di aver annientato, con il dubbio che potesse essersi solo assopito.
«Ora l'ho fatto» si giustificò osservando il suo viso, ora sulla mano destra mentre si teneva appoggiato con il gomito puntato al centro del cuscino.
«Non prendermi in giro» la ammonì Miles, incredibilmente serio.
Lei sospirò e nascose il volto contro le ginocchia per qualche istante. Quando tornò a guardarlo, lo trovò nella medesima posizione. «Vuoi sentirti dire che hai ragione?» Gli domandò retorica, in un'ammissione implicita e fiera che quasi la faceva vergognare: non voleva sentirsi minacciata da Harry o da qualsiasi cosa lo riguardasse, eppure una parte di lei non poteva farne a meno. «Lui è... Qualcosa che non so gestire» confessò dopo aver scelto con cura i vocaboli da usare, abbassando la voce ed il proprio orgoglio.
Miles respirò più profondamente, ma non si scompose in modo evidente. «Pensavi che da sola ci saresti riuscita meglio?» La rimproverò, rinfacciandole la verità nascosta.
«No, pensavo che non ci sarebbe stato niente da gestire» precisò piano. Come aveva fatto a sperarlo? Come aveva fatto a dimenticare quanto Harry potesse essere presente, anche se distante?
Quando non ricevette risposta, Emma sentì il cuore stritolarsi con le stesse vene che lo nutrivano: allungò le gambe sul materasso e si distese al fianco di Miles, mentre lui tornava a supino e con lo sguardo rivolto verso il soffitto all'apparenza inesistente. Lo osservò attentamente, notando la stizza nei tratti del suo viso stanco, e gli si avvicinò fino a poggiare la guancia sulla sua spalla destra. Aveva un buon profumo.
Sapeva di doversi aspettare un'accusa che avrebbe avuto anche delle giustificazioni, perché sapeva di aver inevitabilmente instillato il dubbio in lui con il proprio comportamento: non avrebbe potuto biasimarlo.
«Non mi piace che tu mi nasconda le cose» esordì lui poi, con la voce che aveva accumulato tutta la rabbia che provava. «Non mi piace che tu mi escluda da quello che ti disturba, perché non era questo che ci eravamo ripromessi» continuò, andando a toccare il loro passato, quello che la minacciava ancora di più di mille altri. Quella promessa sigillata da entrambi e che avrebbe dovuto proteggere il loro rapporto da screzi futuri, da errori già commessi.
«Lo so» respirò lei. «Infatti ti ho raccontato tutto e-»
«L'hai fatto solo perché ti ho vista in quello stato, altrimenti saresti tornata nella sala e avresti finto che non fosse successo nulla» affermò con sicurezza. Continuava a non guardarla ed era snervante.
«Questo non è vero» ribatté Emma, pur non essendone certa. «E poi di quale stato parli? Avevamo appena litigato, era normale che fossi nervosa.»
Miles distese le labbra in un sorriso incredulo, amaro. «Dimentichi che ti conosco» esclamò lentamente. «E ho già visto quegli occhi un paio di volte.»
Quando sono stato io a ferirti, intendeva dire.
«Non puoi davvero paragonare le due cose. Stai esagerando» replicò stizzita. «Con te è stato diverso, con te è stato...»
Peggio.
Non terminò la frase, ma il suo significato fu abbastanza chiaro da ferire entrambi ancora una volta.
«Ma credo sia normale» riprese Miles dopo pochi istanti, sorvolando sulle ultime parole come per evitare qualcosa. «In fondo è stata una persona importante per te e avete troppe cose in sospeso per potervi parlare senza urlarvi contro. Dovreste vedervi e chiarire».
Emma sbatté più volte le palpebre e attese qualcos'altro, che non arrivò. «Non ti darebbe fastidio?» Domandò stranita. Sapeva di dover seguire il suo consiglio, lo doveva a se stessa e alla stabilità della propria salute mentale, ma non voleva che il suo proposito potesse circondarsi di sospetti.
Miles si voltò finalmente verso di lei, guardandola intensamente. «No» rispose rigido. «Dovrebbe?» La provocò, sicuro dell'effetto che avrebbe prodotto.
Lei infatti sbuffò sonoramente, cogliendo il tentativo di infastidirla solo per dispetto. «Sei davvero l'unico ragazzo sulla faccia della Terra che non ha niente da dire se la sua fidanzata ha ancora a che fare con il suo ex. Dopo sei anni» lo sbeffeggiò seriamente. Se fosse accaduto il contrario, lei non l'avrebbe tollerato: la gelosia l'avrebbe logorata fino a non lasciare nient'altro ad ammansirla.
«Forse sono l'unico che preferisce sopportare e permettere alla propria fidanzata di chiudere un capitolo della propria vita. Dopo sei anni» precisò sicuro di sé. Nelle sue parole vagava l'ombra della pretesa che come sempre non aveva espresso direttamente: si aspettava che chiudesse con Harry, che se lo lasciasse alle spalle in modo da non concedergli più il potere di disturbarla. E lei sperava con tutta se stessa che potesse accadere senza alcuna difficoltà e senza ostacoli.
Emma, come poche volte in precedenza, si sentì rincuorata dal suo tono di voce e dall'assenza di malizia: Miles non temeva la sua infedeltà, perché non era contemplata tra le varie possibilità, era certo dei suoi sentimenti e questo le permetteva di sentirsi più coraggiosa. Senza accorgersene, stava traendo forza da quella sicurezza che sentiva riposta in sé: percepì una bella sensazione al pensiero di non essere messa in dubbio, forse perché lei non era in grado di fare lo stesso.
«Ti amo» gli sussurrò sulla spalla, avvicinandosi ancora di più al suo corpo.
Lui le cinse le spalle e se la premette contro il petto nudo, baciandole la fronte con delicatezza e brama, come a manifestare una velata preoccupazione: bastò quel gesto così intimo a far insospettire Emma. Si accorse che probabilmente tutta quella ostentata sicurezza avrebbe potuto essere un tentativo di scacciare i sospetti che l'avevano colpito. In fondo, aveva parlato dei suoi occhi. Li aveva visti. E per quanto non potessero essere simili a quelli con i quali l'aveva guardato quella volta, dovevano aver manifestato più di quanto lei avrebbe voluto.
«Ti amo anche io» mormorò lui sulla sua pelle. «Anche quando te ne freghi di esporre una foto post-sesso ad una mostra» continuò, facendola sorridere. «E anche se quel sesso non l'hai fatto con me» aggiunse un po' più serio, mostrando il possesso che sentiva di dover dimostrare almeno in quella occasione. Quando avevano parlato della modifica effettuata alla mostra, di quella fotografia improvvisa, Miles si era risentito e poi rilassato: aveva compreso il significato che lei attribuiva a quella figura rannicchiata in un letto disfatto e aveva accettato il fatto che fosse svincolato dalla persona con cui l'aveva condiviso, dal ricordo.
«Rimediamo?» Gli propose Emma, con un sorriso ad incresparle le labbra maliziose.
Lui alzò un sopracciglio. «Mi stai proponendo di fare delle foto ment-»
«Idiota» lo rimproverò ridendo e baciandogli le labbra, mentre Miles le percorreva la schiena con le mani giocose e finalmente libere dalla tensione. Si era sdraiata sul suo corpo, appoggiandosi con le ginocchia sul materasso a lato dei suoi fianchi magri: i capelli gli solleticavano il torace e le dita gli torturavano il collo sottile. Emma sentiva il sollievo riempirle lo stomaco, il calore offuscarle la mente esausta e sentiva il respiro di Miles a ricordarle chi volesse essere.

 





 


Buongiorno bella gente!
Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo e sono anche in tempo, quindi sono fiera di me ahhaha In questi giorni sono stata parecchio impegnata e lo sarò anche durante questa settimana, quindi abbiate pietà di me!
Passando al capitolo in sé, EH:
1. Emma/Harry: finalmente si rivedono ahahha Stavo aspettando da molto questo momento, perché volevo scrivere della fotografia e del loro litigio. Direi che non c'è bisogno di commentare, dato che è tutto abbastanza chiaro: ad Harry ha dato parecchio fastidio il fatto che lei abbia esposto la foto, qualcosa di tanto intimo, e da lì si scatena tutto. Ovviamente il loro relazionarsi è fatto solo di accuse e rancori, che non portano assolutamente a nessun chiarimento, anzi, ad un peggioramento della situazione! Voi che commenti avete da fare? Che ne pensate?
2. Emma/Miles: spero di esser riuscita a far trasparire i sospetti di Miles già da quando vede Harry alla mostra, nonostante non gli piaccia molto darlo a vedere. Forse Emma non si rende conto di quanto lei ed Harry siano cristallini, insieme. However, spero che questo capitolo ve lo abbia fatto apprezzare un po' di più: come vedete, è una persona molto razionale, quando ce n'è la necessità, e non si lascia sconvolgere dagli impulsi se non sono sufficientemente fondati. Ma lascio a voi i commenti, anche riguardo la sua reazione al comportamento di Emma: vorrei sapere cosa pensate del loro modo di relazionarsi, consolidato da due anni passati insieme.
Insomma, direi che ora posso smettere di blaterare! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per tutto :)



Vi lascio tutti i miei contatti: ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

 
  
  
Leggi le 16 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Acinorev