Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: DoctorFez1988    09/10/2014    2 recensioni
La storia che state per leggere non è solo una rivisitazione del capolavoro originale di R.L. Stevenson (lo Strano del Dottor Jekyll e del Signor Hyde), ma anche della recente versione fumettistica creata dai maestri del settimanale Topolino (Lo Strano Caso del Dottor Ratkyll e Mister Hyde), insomma è quasi un insieme delle due versioni, ma con la mia aggiunta personale e i personaggi sono tutti provenienti dai più famosi classici film Disney, a cominciare da Frozen - Il regno di Ghiaccio, la Bella e La Bestia, Tarzan, Rapunzel e tanti altri. Il bello è che sarà quasi tutto al femminile, come noterete leggendo il racconto, quindi non meravigliatevi troppo se nell'epoca vittoriana di londra troverete giovani, romantiche e intriganti donne che fanno mestieri come quelo di medico, naturalista, avvocato e persino... poliziotto. Spero che questo racconto vi faccia emozionare e vi piaccia! Buona lettura!
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Una Porta Sfondata...
 
Durante una scura e nebbiosa notte di Londra del XIX Secolo un laboratorio, racchiuso in una specie di cantina, fu pervaso da un frenetico terrore e da una feroce inquietudine, a causa di certi fattori che avevano il potere di trasfigurare un tempio votato a scienza e logica in uno che era pervaso da paura e ansia. Tra questi fattori, la lampada appesa al soffitto sostenuto da robuste travi di legno e l’umile caminetto scolpito in una delle pareti, il cui fuoco scoppiettava come il riso di un diavoletto, illuminavano entrambi il locale, facendolo sembrare simile all’antro di una strega. C’erano banchi di lavoro, sgabelli, armadi, cassapanche e persino le nicchie a volta delle pareti erano invase da artefatti usati da scienziati, dottori e alchimisti. Erano perlopiù boccette, manoscritti scientifici, provette, sacchetti con dentro polveri, alambicchi, bilance e altri oggetti dediti alla ricerca del sapere. Molti di quegli oggetti di vetro erano ricolmi di sostanze chimiche, spesso dai nomi impronunciabili per chi non era dotto, i cui colori sfumavano in tonalità di verde, ambra, porpora, viola e altri ancora. Alcuni degli oggetti di vetro, come provette e beute, erano posti sopra i becchi di bunsen, la cui fiamma nata dal gas ne faceva ribollire e gorgogliare il liquido contenuto, esalando così nebbie contorte, che salivano verso il soffitto con la funesta grazia dei fantasmi. Quei fumi chimici erano intensi e il loro olezzo era un insieme di miasmi indescrivibili, che potevano tenere lontano i più viscidi parassiti da quel laboratorio, come ratti e scarafaggi. La maleodorante foschia riusciva persino a infiltrarsi tra le fessure dei mattoni grigi dei muri, mettendo in risalto, negli angoli più elevati del soffitto, le scintillanti ragnatele tessute dai piccoli, neri e affusolati figli di Aracne. Sparsi per la dura, grigia, fredda e ruvida superfice del pavimento c’erano fogli con appunti scientifici, altri libri di sapere, scatole vuote di fiammiferi, con i medesimi ormai neri e consumati, e altri oggetti di piccole/medie dimensioni. Tutti questi elementi rendevano l’ambiente del luogo il più angosciante e terribile che si potesse immaginare, ma non erano niente in confronto al fattore catalizzatore per eccellenza, in altre parole un’ombra. Un’ombra sinuosa, affusolata, alta e statuaria. Si muoveva per il laboratorio con la frenesia di un lupo messo alle strette, mantenendo però anche la calma e la fierezza di una tigre che era pronta a tutto. La caratteristica più insolita della misteriosa figura era l’aura di gelo che emanava da ogni parte del suo essere, un freddo capace di superare persino il calore del fuoco nel caminetto e delle fiammelle scaturite dai becchi di bunsen messe tutte assieme. La gelida creatura stringeva nella propria mano sinistra l’oggetto che gli avrebbe permesso di mettere finalmente un freno a tutte le sciagure che lei aveva scatenato e dove agire in fretta, prima che fosse troppo tardi… prima che quella gente ostile potesse entrare nel laboratorio. Esistevano solo due ingessi che davano accesso a quel luogo avvolto dal sinistro freddo intenso della misteriosa ombra. La prima porta era stata sbarrata da un mobile rovesciato di lato, rendendola impraticabile. Dalla parte opposta del laboratorio, la seconda porta era stata chiusa a chiave con doppia mandata, e non c’erano mobili abbastanza vicini con i quali sbarrarla e non c’era ormai più tempo per spostarli. La misteriosa entità, che era stata lei a chiudere quella porta, sapeva che fuori dalla soglia i suoi aggressori erano pronti a sfondarla per di entrare. Lei lo sapeva soprattutto dopo aver sentito le dure, seppur leali, parole di uno di essi, una cosa che gli faceva deprimere e allo stesso tempo infiammare il cuore di risentimento, nonostante riuscisse a non tradire alcun cambiamento nella sua imperscrutabile espressione sul suo viso, duro e freddo come i ghiacci di Jotunnheim. Un colpo poderoso fece vibrare la seconda porta dall’esterno, facendo sollazzare i cardini e la serratura dal loro ancoraggio. Il suono di quel frenetico colpo pervase come un sinistro eco in tutto il laboratorio. L’inquietante e solenne figura, anche se sorpresa, non trasalì più di tanto e non si lasciò sfuggire alcuna minima esclamazione e/o imprecazione, solo un lieve e mesto sospiro di rassegnazione. I suoi aggressori avrebbero sfondato quella porta da un momento all’altro, e sarebbero entrati nel laboratorio con il proposito di prendere quell’essere e rinchiuderlo in qualche lurida gattabuia. Doveva fare in fretta, ma anche molta attenzione! Il piccolo oggetto di vetro che stringeva nella sua mano sinistra poteva rappresentare la sua la sua salvezza, ma, al contempo, il suo totale annientamento, nel caso avesse commesso il più piccolo errore. Il secondo tumultuoso colpo si abbatte sulla porta, facendo di nuovo vibrare cardini e serratura. L’ombra del gelo dovette prepararsi al peggio! Corse verso un angolo del laboratorio, lontano da quella porta che, presto o tardi, sarebbe stata demolita sotto i colpi dei suoi aggressori, nascondendosi tra i nebbiosi effluvi prodotti da provette e beute in ebollizione. Un terzo colpo sulla porta, che iniziò a deformarsi verso l’interno del laboratorio, con cardini e serratura sul punto di essere sradicati dal legno, come un dentista cava un dente avariato dalla bocca del proprio paziente. L’inquietante figura guardava la porta, prossima alla distruzione, con i suoi gelidi occhi che non tradivano alcun segno d’insicurezza o paura, solo una forte tensione e una severa determinazione. Nella sua mano sinistra stringeva il piccolo e prezioso oggetto, nell’altra un altro manufatto, più lungo, affusolato, elegante e, soprattutto, pericoloso e, probabilmente, non avrebbe esitato a usarlo, pur di compiere il suo ultimo e disperato atto. Era pronta a tutto, anche di affrontare gli aggressori che prima erano amici suoi. Forse non lo avrebbe mai ammesso, soprattutto in una notte così tumultuosa come questa, però gli dispiaceva quello che stava accadendo, ma ormai ogni tassello di tutta questa vicenda stava per avere il suo epilogo ed era scoccata l’ora della resa dei conti. Finalmente giungeva la fine di tutte le terribili vicende che lei stessa aveva provocato, che si fosse risolta male o bene. Un altro feroce colpo e la porta si deformò ancora di più verso l’interno, e i cardini e la serratura erano ormai prossimi ad essere spazzati via dal furore degli aggressori. La figura misteriosa era ormai pronta a riceverli, inginocchiata nell’angolo in cui si celava. Il quinto colpo fu quello definitivo. Il fendente, infatti, fece saltare cardini e serratura, infrangendo l’intelaiatura di legno all’interno del locale spettrale. Sulla soglia ormai aperta, si stagliò allora una figura femminile, che stringeva tra l’oggetto con il quale aveva trapassato e devastato la porta del laboratorio, un’ascia, la cui lama ricurva e lucente faceva ricordare la dimora di Artemide, che s’innalzava nel cielo notturno, che era velato dalle nebbie londinesi, che spesso nascondono i più oscuri, e spesso atroci, enigmi della città. Era una giovane donna dalla corporatura snella, vestita con abiti scuri che creavano un visibile contrasto tra essi e la pelle chiara del suo viso. Le guance e le labbra, di solito di un tenero color rosato, erano divenute in quella notte di un febbrile rosso. I suoi lunghi e castani capelli erano legati una coda di cavallo. Si trattava di Belle Joan Utterson, che era avvocata e moglie di uno dei più famosi legali londinesi, Walt Louis Utterson. Belle, normalmente, era una persona gentile, saggia, austera, amabile e ragionevole, di solito più incline a perdonare che a condannare. Di solito, per l’appunto, ma non quella notte, nella quale avrebbe affrontato la sua nemica. Stringendo con fervore l’ascia, Belle varcò l’uscio che aveva demolito ed entrò in quello che ormai era diventato il covo del mostro, che da parecchio tempo aveva terrorizzato la città di Londra con le sue azioni fredde e terribili. I suoi occhi, il cui colore ricordava le ghiande dei boschi selvatici, scrutavano con determinata e furente intensità il laboratorio, cercando di penetrare con essi la nebbia di fumi chimici. Il suo volto, che di solito ricordava la bellezza di una pungente rosa rossa, era solo leggermente accigliato, ma il suo cuore era pieno di rabbia carnefice verso la sua nemica, una furia che poteva essere paragonata solo a quella di una… bestia! Lei continuò ad avanzare con sfrenata decisione e risoluta collera, seguita da altre persone dietro di lei, e poi gridò, pronta a usare l’ascia contro il suo nemico, l’ombra che si nascondeva in agguato nei recessi del laboratorio:
 
“Dove ti stai nascondendo Elsa Hyde? Che cosa ne hai fatto alla nostra beneamata Anna Jekyll?” I rintocchi del Big Ben, che segnavano la mezzanotte, risuonarono lugubri e solenni, come per fare da eco al grido di Belle…
  
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