CAPITOLO
4
COLLABORAZIONE
CON Angelo_Nero
Quattro
mesi.
Quattro
mesi erano passati da quando
Duncan aveva accolto Trent in casa sua per la prima volta.
Erano
passati quattro mesi da quando si
erano baciati.
Quattro
mesi in cui il nazista stava
mettendo in dubbio le sue certezze.
Quattro
mesi in cui il chitarrista
straniero lo osservava da lontano.
Un’eternità
da quando non si toccavano.
Trent
era sempre in quell’angolo di
strada, con la sua chitarra –migliore amica di viaggi- tra le
mani e la sua
voce melodiosa, dolce e calda.
Duncan
tal volta si fermava, sempre
lontano, per fissarlo pensando che lui non se ne accorgesse. Ebbene era
solo un
povero illuso. Il suo Angelo era
particolarmente attento allo svolgersi frenetico della vita di tutti i
tedeschi
e cosa gli privava di riservare più attenzione a un uomo in
particolare? Se
quell’uomo poi si bloccava in lontananza, vergognandosi quasi
di ciò che era
diventato, dell’attenzione quasi morbosa che riservava nei
suoi confronti,
spiccava ancora di più. Alle volte Duncan abbassava lo
sguardo e arrossiva,
cosa per nulla da lui. Ma quando si è innamorati si cambia
totalmente. Più guardava
Trent e più si convinceva che il suo posto non fosse tra la
polvere e le
indifferenze delle persone. Più lo contemplava e
più capiva che fosse troppo
celestiale per non splendere al posto del sole. E invece lui
rappresentava
proprio le ingiustizie della vita. Così perfetto
all’apparenza, ma non ariano.
Duncan
dentro di se sapeva che tutto
quello non era giusto. Provare amore per un uomo? Giammai! Era scritto
su
carta, nero su bianco: nessun uomo poteva essere coinvolto in
situazioni
amorose con una persona del suo stesso sesso. Il nazista era a
conoscenza della
pena che entrambi avrebbero dovuto scontare. Lui conosceva
l’esistenza dei
campi di concentramento e soprattutto ciò che si svolgeva
all’interno. Adesso
questa consapevolezza lo stava divorando e Trent invece era ancora
ignorante di
tutto e così doveva essere. Infondo chi mai avrebbe
sospettato che lui, figlio
di nobile famiglia, perfetto ariano, potesse condurre una relazione con
un
uomo? Beh, purtroppo chiamare quel bacio “inizio di una
relazione” era troppo.
Poteva anche essere classificato come “momento di assurda
follia”. A Duncan
sarebbe bastata una sola parola, qualche firma forse, per far finire
Trent in
uno di quegli inferni dimenticati da Dio.
Il
nazista avrebbe voluto dimenticare
il ragazzo angelico e dagli occhi splendenti di raggi di sole, ma
questo, si
poteva dire che fosse crudelmente dolce.
Crudele
perché stava lì, imperterrito,
a ricordargli quanto fosse meraviglioso.
Dolce
perché quest’aggettivo faceva
sempre parte di lui, del suo sorriso di fossette e denti bianchi e dei
suoi
capelli lisci e morbidi al tatto.
Il
germanico non ce la faceva più a
sopportarlo e, dopo quattro lunghissimi –eterni- mesi, retti
su sguardi teneri
e su parole svelte, ebbe di nuovo occasione di potarlo con se, lontano
da tutti
e da tutto.
Finalmente
i suoi genitori avevano
ricevuto un ennesimo invito a una festa e avevano accettato. Per
fortuna lui
non era stato contemplato! Era un ricevimento importante, al quale
partecipavano solo persone di una certa età, con le loro
rispettive signore e
lui non era ancora da classificare un uomo! Era un ragazzo, giovane,
ancora
troppo immaturo e per opera di quel Dio in cui tanto credeva, fu
lasciato a
casa.
Ma
lui, l’intenzione di stare lì fermo
non ce l’aveva proprio. Finalmente lontano dagli occhi dei
suoi familiari
sarebbe potuto uscire e riappropriarsi di
Trent per una sera. Ah, non gli importava. Si sarebbe bellamente
sputtanato,
per dirla con i suoi modi volgari, bastava che il signor
Angelo-dagli-occhi-verdi ritornasse da lui. Per questo un paio
d’ore dopo che
suo padre gli disse –Buona notte!- aveva preso il suo
cappotto ed era uscito,
incurante di tutto, diretto lì, tra la polvere di uno
specifico angolo di strada.
Avrebbe raccolto i granelli che più gli interessavano.
Quelli verde smeraldo,
quelli ammucchiati da tempo, quelli più soffici ma insidiosi.
Per
questo, sotto le finestre della
stessa casa che era diventata il posto in cui rivolgeva i suoi sguardi
attenti
e vigili, per vedere se lui era
ancora lì, lo abbracciò. Non gli disse proprio
nulla. Aveva camminato per quel
poco che serviva, ringraziando il cielo che la fonte della sua gioia si
trovasse pochi passi più in là di casa sua, poi
lo aveva visto. Seduto, con la
testa appoggiata al muro e le palpebre leggermente gonfie abbassate, le
guance
bagnate, le labbra contratte, il respiro irregolare… stava
piangendo? Il suo
angelo aveva pianto? Quale essere vile avrebbe potuto recare sconforto
a un
tale dono della natura? Non gli diede molto da pensare, quando il
ragazzo lo
strinse dolcemente, passando un braccio dietro la sua schiena e
facendolo
stupire per la stretta ferrea.
Quell’abbraccio
sapeva di “non mi
lasciare”.
Trent
si staccò appena, guardandolo
negli occhi azzurri.
Duncan
notò le sue lacrime e senza
conoscerne la motivazione, come un vero fidanzato, le
asciugò in una carezza che
trasmetteva un semplice “Non lo farò”.
Poi un respiro quasi affranto da parte
dell’angelo e un bacio lieve, approfondito più in
là.
Aveva
il gusto di “Non ti scordar di me”.
Erano
un continuo sapore da saggiare.
Duncan in bocca aveva l’amaro delle giornate passate a
rimuginare, la dolcezza
dell’unico bacio che gli aveva dato, il profumo del tabacco.
La saliva andò a
unirsi pian piano a quella del giovane cantautore. Lui sapeva di
fragilità e
insicurezze, di pane stantio e di polvere.
Non
si salutarono neppure con qualche
stupido “Ciao” messo lì, per rendere
più formali le cose.
Il
nazista era uscito solo per quello;
per baciarlo, per toccarlo, per accarezzarlo, per vedere i propri occhi
riflettersi nei suoi.
Non
gli interessava il fatto che fosse
sbagliato, che andasse contro a tutte le regole che si era imposto per
quei
duri anni di rigidezza e fedeltà a Hitler.
Oh,
che lo stato si andasse a far
fottere, che le regole si sciogliessero e che Trent lo baciasse
così, per
sempre.
Stretti
l’un l’altro, intenti a farsi
piacere. Duncan era un po’aggressivo: gli mordeva le labbra
per indurlo ad
aprire la bocca, gli stringeva il busto verso il suo fino a fargli male
e gli
premeva le mani sui fianchi, lì dove forse, il giorno dopo
sarebbero comparsi dei
grandi lividi violacei. Ma al chitarrista non importava, apprezzava
quel suo
affetto comunicato in malo modo, quindi lo lasciava fare, rassegnandosi
alla
sua forza e cercando solo di imprimere di più nella mente
quel momento. Nella
sua bocca c’era la lingua di un tedesco e non poté
far a meno di sorridere per
ciò che gli era concesso dal trasporto dell’altro.
Un nazista! Stava baciando
un nazista! Che gli piacessero gli uomini per Trent non era
più un segreto, ma
spingersi così in là… ma che cosa
voleva? Infondo non era stato lui ad andare a
bussare alla sua porta. Però lui aveva dato inizio a tutto,
con un bacio timido
e incerto. Quando il più piccolo gemette per il dolore
provocato da una nuova
stretta più violenta, Duncan si allontanò,
pulendosi le labbra con il dorso
della mano e sospirando, forse felice, forse triste… e chi
poteva saperlo? Chi
poteva decifrare quel mare di emozioni contrastanti che affogavano
nelle sue
iridi cerule? Nessuno e Trent era quel nessuno.
Gli
passò una mano sul viso, abbassando
gli occhi verdi e calciando un sassolino vicino alle sue scarpe
–Mi dispiace,
non volevo accoglierti con le lacrime, ma non posso far a meno di
piangere. La
sera mi viene una grande tristezza e non so, francamente, il
perché- disse tutto
con una tale naturalezza che il nazista non pensò a nulla se
non a quella
frase, dimenticandosi delle sue scelleratezze. Trent era un bravo
ammaliatore,
dopotutto –No, insomma… non preoccuparti, va bene
così... anche io non sono
molto allegro in questi giorni. Praticamente sono quattro mesi che ho
la
vitalità di un tapiro assopito- mormorò
passandosi una mano dietro la nuca e
accennando un sorriso –Ah ah, non mi pareva-
cantilenò l’altro, riferendosi in
modo allusivo al bacio che gli aveva impresso sul viso –Dai!-
giocò con la voce
Duncan, assottigliando gli occhi e spingendolo verso il muro
–Vuoi picchiarmi
di nuovo?- Duncan scosse la testa convinto, senza cogliere
l’ironia nella voce
del cantautore –No, non lo farò più-
-Ah,
bene… quindi posso permettermi
questo?- gli premette le mani sul torace, gettandolo indietro e
facendolo
cadere con la schiena per terra, sulla strada sudicia di una delle vie
di
Berlino. Di quella Berlino di cui il nazista non ne poteva
più. Poi anche
l’autore dello scherzo fu buttato giù dalle mani
dell’altro, che lo afferrarono
per la caviglia –Tu non ti arrendi mai?- scherzò
spingendolo in là
-Chi?
Io? Ti sembro il tipo che si
lascia battere da uno come te?- Trent mise su un’adorabile
espressione
imbronciata. Sembravano amici da secoli, una tale complicità
quegli occhi
azzurri non l’avevano trovata mai neppure in Scott
–E scusa, perché no? Sono
quattro mesi che vinco sempre io!- BAM. Colpito e affondato. Duncan
spalancò la
bocca –Che cosa? Lo facevi a posta a guardarmi
così? Sai che mi hai fatto
perdere la testa? Che cosa… oh, ma vai! Idiota-
sentenziò incrociando le
braccia. No, Trent non avrebbe mai avuto la finezza per una simile
strategia,
ma fece comunque finta –Scusa, ma ognuno ha i suoi mezzi, non
trovi? A te la
forza e a me la bellezza- alzò un sopracciglio
–Ora ti faccio male, ma sul
serio!-
Magicamente
Duncan riacquistò
l’allegria che un comune ventenne poteva avere. Quella
naturalezza della quale
non aveva potuto usufruire stava fuoriuscendo come un fiume in piena,
Trent
aveva forse rotto le dighe. Si alzò prendendolo per la
maglia e sollevandolo,
senza trovare ostacoli nel suo peso inferiore –Quindi, adesso
giochiamo a
qualche cosa da bambini perché il signor Ruschtmann
ne ha voglia?-
-Oh,
poca
confidenza, ricordati chi sono- di tutta risposta una linguaccia e un
sorriso
dolce, come solo lui sapeva essere
-Dai,
sul
serio, sei venuto fin qua solo per baciarmi e poi andartene? Guarda che
sono
troppo irresistibile!- Duncan si sporse, soffocandolo con la giacca che
si era
tolto. Dopo aver finito il suo lavoro, Trent annaspava e lo guardava
malissimo
ma era contento del fatto di aver potuto annusare il suo odore ancora
per un
po’. Se ne sarebbe andato davvero? –Mettitela che
prendi freddo- non faceva
freddo, che stupidaggini! Ma accettò lo stesso, riconoscendo
lo strano senso di
protezione che il nazista covava per lui
–Allooora…- dopo aver eseguito
l’ordine dell’uomo, Trent incrociò le
mani dietro la schiena, alzandosi sulle
punte e dondolandosi avanti e indietro –Duncan Ruschtmann, ha
voglia di andare
in giro? Con me?- chiese poi, puntandosi in modo infantile il dito
indice sul
petto e mettendo in fuori il labbro inferiore –Devo ancora
decidere se ti amo o
se ti odio- era sincero. Insomma, come poteva amarlo se
l’aveva messo difronte
a una realtà tristissima? Come poteva provare un sentimento
simile per colui
che aveva scoperto ciò che era veramente e che, inoltre, gli
stava facendo
odiare i principi per i quali si era battuto ciecamente. E poi, come
poteva
detestarlo? Come si poteva allontanare una creatura così
perfetta, dolce e
allegra? Era come dire di chiudersi per sempre in casa per non far
assorbire
mai alla propria pelle un po’di sole. Trent era il caldo
delle coperte al
mattino. Accogliente e caloroso. E, diamine, suo. Suo, solo suo, per
sempre suo
e di nessun altro.
Se
ne fregava
altamente del fatto che lo conoscesse da così poco. Come si
dice? Amore a prima
vista. E così sarebbe stato.
Il
cantautore
gli baciò una guancia, appoggiando il mento sulla sua spalla
e beandosi del suo
profumo –Va bene, se la metti così, può
darsi e ripeto, può darsi, che io provi
qualcosina-ina per te. Ma proprio “ina”- e mise
l’indice e il pollice della
stessa mano a qualche millimetro di distanza –Io invece ti
amo. Non ci sono
Santi, Duncan Ruschtmann, ti ho amato dalla prima volta in cui ti ho
visto.
Solo che non lo sapevo- la repentina dichiarazione di Trent fece
sobbalzare il
nazista, che arcuò le sopracciglia e sentì il
mondo girare così forte da
sballare completamente la visuale delle cose. Strizzò gli
occhi e –D-Dunc…- non
voleva carezze da lui, gli facevano male, lo deviavano –No,
è tutto a posto.
Comunque se la tua proposta di andare in giro è ancora
valida, io un pensierino
ce lo farei…- compiaciuto Trent batté le mani tra
loro –Ah! Ma tu non eri il
signor
“Non-passo-il-mio-tempo-con-un-poveraccio-come-te”?-
lo riprese un’occhiataccia
e allora rise, prendendogli la mano e ammiccandogli.
Inutile
descrivere: i fuochi d’artificio, le esplosioni, i colpi di
cannone i serpenti,
le urla, i brividi, e la sensazione di completezza le mille ballerine
che
ballarono il Can Can quando sentì le sue dita intrecciate a
quelle del gran,
bel ragazzo difronte a se –Dove andiamo?- sussurrò
–Che ne so? Sei tu quello
che conosce bene le strade di Berlino! Dove vuoi che ti porti, uno come
me?-
-Ma
non hai sempre
detto di essere attento a ogni particolare, quelli che i tedeschi si
perdono?
Senti, Trent…-
-Dai,
okay!
Basta che non ti alteri, se no non andiamo né avanti e
né indietro-
***
Oh,
seguirlo
era stata una delle sue più grandi pazzie.
Stupida
stradina.
Stupidi
sassolini.
Stupido
buio.
Stupidi
alberi.
Stupide
scarpe
inadatte.
Stupido
Trent.
Il
ragazzo
Angelo l’aveva condotto in un posto ancora sconosciuto per
lui che poteva
giurare di conoscere la sua Berlino dentro e fuori, meglio delle sue
tasche!
Eppure adesso, appoggiato precariamente alle spalle di “occhi
da favola”, si
trovava difronte a un immenso prato spoglio da qualunque cosa, se non
fosse
stato per un esile alberello da melo, parecchio sciupato e triste.
Duncan si
asciugò la fronte dal sudore. Chissà come doveva
stare Trent, in quella sua
giacca enorme! Per un momento gli venne in mente di levargliela, ma lui
non era
una “mamma chioccia”, quindi accantonò
l’idea e gli chiese solo –Dove mi hai
portato?- in un sussurro, perché quel posto era talmente
immerso nella pace che
si sentiva in colpa a spezzare il silenzio fitto e rilassante, degno di
un
monastero –In un posto che i germani non notano mai- rispose
criptico, però con
il suo solito tono di voce. Forse, lui si poteva permettere di essere
naturale,
visto che il suo timbro era così soave. Il continuo rumore
delle cicale non
faceva altro che assordarlo e avrebbe voluto prendere il suo fucile per
spararle a una a una, tuttavia, il comportamento rilassato di Trent gli
trasmetteva buon umore e dopo un po’sciolse i suoi muscoli
testi. Socchiuse gli
occhi e sospirò vinto –Ora?-
-Vieni
con me!-
Era
speciale,
di una specialità unica. Quella sua purezza mischiata a una
semplicità che non
faceva altro che ingarbugliare i suoi pensieri. Riusciva a
trasmettergli la sua
tranquillità –Fidati di me-gli soffiò
all’orecchio per poi allungare gli angoli
della bocca in un sorriso tenero. Il nazista annuì irritato
e tornò a guardare
il paesaggio, sforzandosi di scorgere l’orizzonte segnato da
una linea scura.
La luna calante che sembrava affogare in un canale lontanissimo e le
stelle
splendenti, pronte ad abbellire la volta celeste con il tipico
luccichio. Poi
Trent, l’elemento che spiccava di più con quella
sua armonia naturale. Gli
occhi color del prato dove poggiava i piedi, fresco, bagnato dalla
rugiada
mattutina, tagliato dal vento e colorato da mille pagliuzze dorate. Le
labbra
sottili e rosa, come il petalo di qualche rosa appena sbocciata. La
pelle
pallida, andava quasi sul diafano, come la luna piena ed enorme, degna
di ogni
film romantico.
Era
improvvisamente diventato tutto: la terra sulla quale camminava, il
cielo che
fissava in cerca di qualche risposta, la pioggia rassicuratrice, che
lavava via
ogni pensiero, il vento rinfrescante, la bufera inaspettata. Trent era
il suo
elemento. Poteva girarsi da tutte le parti ma le sue iridi riflettevano
solo
l’immagine dell’angelo dagli occhi smeraldini,
furbi, vispi e coperti da una
leggera malinconia
-Ti
piaccio?-
domandò così, a bruciapelo, raccogliendo a due
mani tutto il coraggio che
aveva. Oh! Ma come poteva chiederglielo in quel modo? Duncan non poteva
rispondergli, certo che no! Si era mai chiesto quanto fosse bello?
Nell’animo
del nazista vi era un disagio profondo, nascosto bene dietro una parete
agitata
di emozioni forti, inconcludenti e false. Cinismo che copriva il suo
amore
istantaneo e Trent non doveva far altro che indurlo ad abbracciare la
vita. Cosa
sarebbero diventati? Ma certo, due spiriti di menzogne inconfessabili!
Avrebbero smesso di vivere e allora? Il chitarrista lo voleva
fortemente.
Eppure Duncan ci teneva troppo, sapeva che tutto quello andava contro
alla
fermezza del rigido governo. Cosa fare? Provarci, sapere di fallire
dall’inizio
o per paura rinunciarci? Abbandonare tutto. Non poteva, non lui che era
così
fedele! Si strinse le tempie con una mano e ancora –Ti
piaccio?- dannato,
perché doveva parlare così tanto?
Va
bene, voleva
davvero lasciarlo? Correre via? Urlargli contro di sparire dalla sua
vita e di
non riapparire come un fantasma? Sì, avrebbe potuto farlo.
Ma
avrebbe
potuto anche girarsi, prendergli la maglietta in un pugno e baciarlo
fino allo
sfinimento.
Non
ci poté
fare nulla, l’ultima opzione era davvero quella
più accattivante.
Quindi
sì, lo
baciò. Lasciò che le sue labbra si muovessero da
sole (tanto ormai il cervello
si era bellamente andato a farsi un viaggio senza ritorno per la
città dei pazzi)
su quelle del cantautore, che apprezzò la dolcezza che
tentava d’ostentare,
seppur non ne aveva mai donato un briciolo. Forse ci voleva qualcuno
che facesse
uscire il suo lato buono, quello stipato con gelosia. Duncan
segnò il contorno
delle due mezze lune di Trent con la lingua, arrivando al quello
inferiore per
morderlo lentamente, senza fargli male,
per poi lasciarlo. Le sue mani avevano già pensato a
posizionarsi sulla vita
sottile che tanto gli ricordava quella di una ragazza. Solo che era
centomila
volte meglio di una donna! Fece scendere il palmo destro su una delle
sue
natiche, stringendo appena e facendolo sorridere. Unì le
loro fronti e lasciò
ansimare in pace il più piccolo, che intanto aveva messo le
braccia sulle sue
spalle e si lasciava accarezzare lascivamente la schiena lunga
–Ti amo- spalancò
gli occhi; glielo aveva detto davvero? –A-anche
io… sì, D-Duncan… i-io…
t-ti
p-prego… non voglio separarmi da te… ti
prego… non ancora… per favore…-
parlava
senza connettere la bocca al cervello, ma che faceva infondo?
–Shhh, zitto un
po’…-
Gli
ghignò difronte
agli occhi mettendo una mano nei suoi capelli corvini e tirandoli
all’indietro
così da mettere in vista il Pomo D’Adamo che
marcò con la lingua –Sono un
ragazzo- fece ovvio –Ma dai?- non voleva pensarci, basta.
“È
un ragazzo.
Non
sei un frocio.
Perché
non puoi comportarti come Dio
comanda?
Non
farlo.
Non
desiderarlo.
Finiscila.
Perché
non sei normale?
Perché
proprio a te?
Sei
sbagliato, tutto questo è sbagliato.
Non farlo, te ne pentirai!”
Oh,
sì, il
punto era che Duncan se ne voleva pentire eccome
-Non
t’importa?-
-Certo.
Ma
nessuno è perfetto-
-Per
me lo sei-
“Allora
zitto, smettila di parlare”
Gli
lasciò dei
segni umidi sul collo, schioccando tal volta con la lingua e rendendolo
inerme
nelle sue mani. Lo spinse all’indietro, quasi con la violenza
che usò il giorno
in cui lo picchiò, poi gli lasciò realizzare la
cosa e si mise letteralmente
seduto su di lui. Trent gemette: gli pesava troppo sullo stomaco!
Allora il
nazista si mise in ginocchio, accarezzandogli una guancia e buttandosi
in
avanti per toccare con la fronte il suo petto che intanto si muoveva su
e giù,
su e giù, con un’agitazione mai vista, che nessun
essere umano poteva avere! Si
guardò e notò che quell’agitazione ce
l’aveva anche lui ma non solo il petto
cominciava a muoversi.
Trent
aveva
risvegliato tutti i suoi sensi che per molto tempo con le donne erano
rimasti
assopiti e abbandonata la sua purezza dopo tante indecisioni
portò
istintivamente la mano sul cavallo dei pantaloni, stringendo appena per
poi
cercare alla ceca il bottone che nascondeva la zip –Aspetta-
il nazista gli
prese il polso –Cosa?- rivolse uno sguardo disperato alla
luna, sbuffando –Io
non ho mai… con un uomo…- il corvino gli sorrise
complice –Ti guiderò io, non
preoccuparti-
Cosa?
Essere…
dominati da un ragazzo così dolce e tenero? Non ebbe neppure
il tempo di
pensarci che tra un morso e l’altro la personalità
aggressiva di Trent era
fuoriuscita e adesso nei suoi occhi si leggeva non solo amore, ma anche
una
lussuriosa passione –Sì, va bene-
Il
chitarrista
gli sorrise, bacandogli l’orecchio per poi infilarci dentro
la lingua e far
sobbalzare Duncan. Davvero, non lo immaginava
così… abile… -Levati i pantaloni-
ordinò il più giovane, cominciando a slacciarsi
la cintura con estrema
naturalezza, senza ripensamenti alcuni. Purtroppo il nazista non
collaborava.
Si teneva sollevato per i gomiti, piegando il busto in avanti e
rifiutandosi di
togliere gli occhi da Trent che si era già calato i
pantaloni e lo guardava,
aspettando con pazienza –Ehi, amore…- A-amore? Ma
cosa…
Non
lo seppe
neppure lui come successe, sta di fatto che il cantautore gli
finì sopra, ad
accarezzargli i fianchi con tenerezza lasciva e a sbottonargli la
camicia
bianca, per poi seguire con piccoli baci -che nulla avevano a che fare
con
l’erotismo- i suoi pettorali –Va tutto bene-
continuò con il suo tono mieloso,
mordicchiandogli una spalla ora nuda –Ah, certamente. Mi
dispiace Trent, io ti
amo, ma non posso lasciarti fare-
Trent
ridacchiò, ammettendo la sconfitta quando Duncan si
levò da dosso la camicia,
prendendogli i polsi e legandoli tra loro –Guarda che non
c’è bisogno che fai
così. Ho capito-
-Bravo-
Ghignò,
ridiventando il solito, vecchio Duncan. Il nazista bastardo. Ormai il
cantautore aveva perso l’uso delle mani, immobilizzate dalla
stoffa pregiata
che apparteneva al suo “amico” e la cosa, doveva
ammettere che sotto sotto lo
faceva impazzire. Lo tenne stretto ancora per un po’,
decidendo che alla fine
voleva una notte d’amore con chi più amava, e la
voleva pura, lontano dai suoi
giochi di malizia.
Quindi
lo slegò,
facendolo ridere di gusto –Cosa c’è?-
-È
che non hai
la minima idea di cosa fare… non è
così?-
-Io…
NO! Cioè…
sì… Insomma!-
-Duncan,
lascia
che ti guidi io per questa prima volta, perché ce ne saranno
altre, vero?- e
neppure se ne accorse! Trent gli aveva tirato giù i boxer e
allora –Pessima
idea quella di slegarti-
-Concordo-
risero
in modo cristallino e il cantautore fece fuori anche la giacca e la
sua, di
camicia –Girati adesso- (…)
E
– Ti amo- mormorò poi, nell’estasi
del momento.
La
notte Trent
si addormentò sul petto di Duncan, ancora incredulo di aver
partecipato
passivamente a un rapporto ma cosciente del fatto che in futuro lui
avrebbe guidato
l’amore della sua vita che tanto gli stava insegnando.
Ancora
–Ti amo-
mormorò, senza farsi sentire, secondo lui.
Ma
come diceva
sempre il cantautore: i tedeschi erano sempre troppo presi dalle loro
convinzioni. Perché quelle paroline sincere gli arrivarono
chiare e tonde,
facendolo sorridere piacevolmente.
Allora
la luna, il vento, la pioggia e l’erba erano
diventate più belle per il nazista, che aveva qualcuno con
cui condividerle.
Writen
By Stella_2000
#Chepoiavetevistoladedica?
Eh
sì, lo scorso capitolo era tuuuutto dedicato a me, quindi
soffritemi,
gente. Skerzo, dai ❤sono
contenta che ci siano persone che
stanno aggiungendo la nostra storia tra le ricordate\\preferite e
soprattutto seguite,
siete un amore *-* (e oggi sono dolce, perché qualcuno
ieri mi ha detto che ho una voce tenera) Ma dico io, non
avete ancora visto niente :3 Cioè, non che i miei capitoli
siano spettacolari
(?) ma quelli di Angelo (potete dire che sì, le ho attaccato
un pochino-ino di
crudeltà.)! Insomma, dai… yeeeee, tanto Yaoi.
Sono incoerente con i miei
angoli, quindi boh, che dire? Lasciate una recensione se vi va, se non
vi va morirà
un cucciolo di cane non fa nulla, grazie per aver letto salva
un
cucciolo di cane, con una recensione puoi.
Vi
mando un bacio e ricordate il cucciolo di cane XD ,
Bye
P.s avete notato le (...) ebbene, ciò
che c'era dentro è top secret, Angelo si è
divertita, prutroppo voi no (e ditelo al rating, gente)