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Autore: Angelo_Stella    12/10/2014    2 recensioni
1941, Berlino.
Duncan, un ventiduenne tedesco particolarmente fedele al Fuhrer, è un nazista perfetto. "Deutschland, uber alles!" è la frase che ripete al mattino, quando si alza per mirarsi allo specchio e crede fermamente nel suo significato. Ma le convinzioni che gli sono state trasmesse con tanta foga andranno a infrangersi.
È Trent che, tra un soffio di voce e una nota di una chitarra malandata, gli insegna la bellezza dell’amore.
Tratto dal testo
“Cosa ci sarebbe di sbagliato? Che ne sappiamo noi di che cosa sia o cosa debba essere l'amore? Solo perché il matrimonio è tra uomo e donna diamo per scontato sia così sempre? O è perché ci hanno abituato? Perché siamo ancora giovani per capire o perché semplicemente il pensiero … ci fa schifo?"
“Io … Insomma … E' così che va avanti il mondo, o no? Con l'amore di un uomo e una donna."
-
Siamo nel 1941 e Hitler trova in Ernst Röhm una minaccia.
Siamo nel 1941 e: “ [...] Tutto ciò richiede l'adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali. “
Siamo nel 1941 e: "Dobbiamo sterminare la radice e i rami di questa gente... gli omosessuali devono essere eliminati!".
....................................
Baci, Angelo e Stella
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Duncan, Sorpresa, Trent
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale
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 Our Love is a  mistake

CAPITOLO 4

COLLABORAZIONE CON Angelo_Nero

 

Quattro mesi.

Quattro mesi erano passati da quando Duncan aveva accolto Trent in casa sua per la prima volta.

Erano passati quattro mesi da quando si erano baciati.

Quattro mesi in cui il nazista stava mettendo in dubbio le sue certezze.

Quattro mesi in cui il chitarrista straniero lo osservava da lontano.

Un’eternità da quando non si toccavano.

Trent era sempre in quell’angolo di strada, con la sua chitarra –migliore amica di viaggi- tra le mani e la sua voce melodiosa, dolce e calda.

Duncan tal volta si fermava, sempre lontano, per fissarlo pensando che lui non se ne accorgesse. Ebbene era solo un povero illuso. Il suo Angelo era particolarmente attento allo svolgersi frenetico della vita di tutti i tedeschi e cosa gli privava di riservare più attenzione a un uomo in particolare? Se quell’uomo poi si bloccava in lontananza, vergognandosi quasi di ciò che era diventato, dell’attenzione quasi morbosa che riservava nei suoi confronti, spiccava ancora di più. Alle volte Duncan abbassava lo sguardo e arrossiva, cosa per nulla da lui. Ma quando si è innamorati si cambia totalmente. Più guardava Trent e più si convinceva che il suo posto non fosse tra la polvere e le indifferenze delle persone. Più lo contemplava e più capiva che fosse troppo celestiale per non splendere al posto del sole. E invece lui rappresentava proprio le ingiustizie della vita. Così perfetto all’apparenza, ma non ariano.

Duncan dentro di se sapeva che tutto quello non era giusto. Provare amore per un uomo? Giammai! Era scritto su carta, nero su bianco: nessun uomo poteva essere coinvolto in situazioni amorose con una persona del suo stesso sesso. Il nazista era a conoscenza della pena che entrambi avrebbero dovuto scontare. Lui conosceva l’esistenza dei campi di concentramento e soprattutto ciò che si svolgeva all’interno. Adesso questa consapevolezza lo stava divorando e Trent invece era ancora ignorante di tutto e così doveva essere. Infondo chi mai avrebbe sospettato che lui, figlio di nobile famiglia, perfetto ariano, potesse condurre una relazione con un uomo? Beh, purtroppo chiamare quel bacio “inizio di una relazione” era troppo. Poteva anche essere classificato come “momento di assurda follia”. A Duncan sarebbe bastata una sola parola, qualche firma forse, per far finire Trent in uno di quegli inferni dimenticati da Dio.

Il nazista avrebbe voluto dimenticare il ragazzo angelico e dagli occhi splendenti di raggi di sole, ma questo, si poteva dire che fosse crudelmente dolce.

Crudele perché stava lì, imperterrito, a ricordargli quanto fosse meraviglioso.

Dolce perché quest’aggettivo faceva sempre parte di lui, del suo sorriso di fossette e denti bianchi e dei suoi capelli lisci e morbidi al tatto.

Il germanico non ce la faceva più a sopportarlo e, dopo quattro lunghissimi –eterni- mesi, retti su sguardi teneri e su parole svelte, ebbe di nuovo occasione di potarlo con se, lontano da tutti e da tutto.

Finalmente i suoi genitori avevano ricevuto un ennesimo invito a una festa e avevano accettato. Per fortuna lui non era stato contemplato! Era un ricevimento importante, al quale partecipavano solo persone di una certa età, con le loro rispettive signore e lui non era ancora da classificare un uomo! Era un ragazzo, giovane, ancora troppo immaturo e per opera di quel Dio in cui tanto credeva, fu lasciato a casa.

Ma lui, l’intenzione di stare lì fermo non ce l’aveva proprio. Finalmente lontano dagli occhi dei suoi familiari sarebbe potuto uscire e riappropriarsi di Trent per una sera. Ah, non gli importava. Si sarebbe bellamente sputtanato, per dirla con i suoi modi volgari, bastava che il signor Angelo-dagli-occhi-verdi ritornasse da lui. Per questo un paio d’ore dopo che suo padre gli disse –Buona notte!- aveva preso il suo cappotto ed era uscito, incurante di tutto, diretto lì, tra la polvere di uno specifico angolo di strada. Avrebbe raccolto i granelli che più gli interessavano. Quelli verde smeraldo, quelli ammucchiati da tempo, quelli più soffici ma insidiosi.

Per questo, sotto le finestre della stessa casa che era diventata il posto in cui rivolgeva i suoi sguardi attenti e vigili, per vedere se lui era ancora lì, lo abbracciò. Non gli disse proprio nulla. Aveva camminato per quel poco che serviva, ringraziando il cielo che la fonte della sua gioia si trovasse pochi passi più in là di casa sua, poi lo aveva visto. Seduto, con la testa appoggiata al muro e le palpebre leggermente gonfie abbassate, le guance bagnate, le labbra contratte, il respiro irregolare… stava piangendo? Il suo angelo aveva pianto? Quale essere vile avrebbe potuto recare sconforto a un tale dono della natura? Non gli diede molto da pensare, quando il ragazzo lo strinse dolcemente, passando un braccio dietro la sua schiena e facendolo stupire per la stretta ferrea.

Quell’abbraccio sapeva di “non mi lasciare”.

Trent si staccò appena, guardandolo negli occhi azzurri.

Duncan notò le sue lacrime e senza conoscerne la motivazione, come un vero fidanzato, le asciugò in una carezza che trasmetteva un semplice “Non lo farò”. Poi un respiro quasi affranto da parte dell’angelo e un bacio lieve, approfondito più in là.

Aveva il gusto di “Non ti scordar di me”.

Erano un continuo sapore da saggiare. Duncan in bocca aveva l’amaro delle giornate passate a rimuginare, la dolcezza dell’unico bacio che gli aveva dato, il profumo del tabacco. La saliva andò a unirsi pian piano a quella del giovane cantautore. Lui sapeva di fragilità e insicurezze, di pane stantio e di polvere.

Non si salutarono neppure con qualche stupido “Ciao” messo lì, per rendere più formali le cose.

Il nazista era uscito solo per quello; per baciarlo, per toccarlo, per accarezzarlo, per vedere i propri occhi riflettersi nei suoi.

Non gli interessava il fatto che fosse sbagliato, che andasse contro a tutte le regole che si era imposto per quei duri anni di rigidezza e fedeltà a Hitler.

Oh, che lo stato si andasse a far fottere, che le regole si sciogliessero e che Trent lo baciasse così, per sempre.

Stretti l’un l’altro, intenti a farsi piacere. Duncan era un po’aggressivo: gli mordeva le labbra per indurlo ad aprire la bocca, gli stringeva il busto verso il suo fino a fargli male e gli premeva le mani sui fianchi, lì dove forse, il giorno dopo sarebbero comparsi dei grandi lividi violacei. Ma al chitarrista non importava, apprezzava quel suo affetto comunicato in malo modo, quindi lo lasciava fare, rassegnandosi alla sua forza e cercando solo di imprimere di più nella mente quel momento. Nella sua bocca c’era la lingua di un tedesco e non poté far a meno di sorridere per ciò che gli era concesso dal trasporto dell’altro. Un nazista! Stava baciando un nazista! Che gli piacessero gli uomini per Trent non era più un segreto, ma spingersi così in là… ma che cosa voleva? Infondo non era stato lui ad andare a bussare alla sua porta. Però lui aveva dato inizio a tutto, con un bacio timido e incerto. Quando il più piccolo gemette per il dolore provocato da una nuova stretta più violenta, Duncan si allontanò, pulendosi le labbra con il dorso della mano e sospirando, forse felice, forse triste… e chi poteva saperlo? Chi poteva decifrare quel mare di emozioni contrastanti che affogavano nelle sue iridi cerule? Nessuno e Trent era quel nessuno.

Gli passò una mano sul viso, abbassando gli occhi verdi e calciando un sassolino vicino alle sue scarpe –Mi dispiace, non volevo accoglierti con le lacrime, ma non posso far a meno di piangere. La sera mi viene una grande tristezza e non so, francamente, il perché- disse tutto con una tale naturalezza che il nazista non pensò a nulla se non a quella frase, dimenticandosi delle sue scelleratezze. Trent era un bravo ammaliatore, dopotutto –No, insomma… non preoccuparti, va bene così... anche io non sono molto allegro in questi giorni. Praticamente sono quattro mesi che ho la vitalità di un tapiro assopito- mormorò passandosi una mano dietro la nuca e accennando un sorriso –Ah ah, non mi pareva- cantilenò l’altro, riferendosi in modo allusivo al bacio che gli aveva impresso sul viso –Dai!- giocò con la voce Duncan, assottigliando gli occhi e spingendolo verso il muro –Vuoi picchiarmi di nuovo?- Duncan scosse la testa convinto, senza cogliere l’ironia nella voce del cantautore –No, non lo farò più-

-Ah, bene… quindi posso permettermi questo?- gli premette le mani sul torace, gettandolo indietro e facendolo cadere con la schiena per terra, sulla strada sudicia di una delle vie di Berlino. Di quella Berlino di cui il nazista non ne poteva più. Poi anche l’autore dello scherzo fu buttato giù dalle mani dell’altro, che lo afferrarono per la caviglia –Tu non ti arrendi mai?- scherzò spingendolo in là

-Chi? Io? Ti sembro il tipo che si lascia battere da uno come te?- Trent mise su un’adorabile espressione imbronciata. Sembravano amici da secoli, una tale complicità quegli occhi azzurri non l’avevano trovata mai neppure in Scott –E scusa, perché no? Sono quattro mesi che vinco sempre io!- BAM. Colpito e affondato. Duncan spalancò la bocca –Che cosa? Lo facevi a posta a guardarmi così? Sai che mi hai fatto perdere la testa? Che cosa… oh, ma vai! Idiota- sentenziò incrociando le braccia. No, Trent non avrebbe mai avuto la finezza per una simile strategia, ma fece comunque finta –Scusa, ma ognuno ha i suoi mezzi, non trovi? A te la forza e a me la bellezza- alzò un sopracciglio –Ora ti faccio male, ma sul serio!-

Magicamente Duncan riacquistò l’allegria che un comune ventenne poteva avere. Quella naturalezza della quale non aveva potuto usufruire stava fuoriuscendo come un fiume in piena, Trent aveva forse rotto le dighe. Si alzò prendendolo per la maglia e sollevandolo, senza trovare ostacoli nel suo peso inferiore –Quindi, adesso giochiamo a qualche cosa da bambini perché il signor Ruschtmann ne ha voglia?-

-Oh, poca confidenza, ricordati chi sono- di tutta risposta una linguaccia e un sorriso dolce, come solo lui sapeva essere

-Dai, sul serio, sei venuto fin qua solo per baciarmi e poi andartene? Guarda che sono troppo irresistibile!- Duncan si sporse, soffocandolo con la giacca che si era tolto. Dopo aver finito il suo lavoro, Trent annaspava e lo guardava malissimo ma era contento del fatto di aver potuto annusare il suo odore ancora per un po’. Se ne sarebbe andato davvero? –Mettitela che prendi freddo- non faceva freddo, che stupidaggini! Ma accettò lo stesso, riconoscendo lo strano senso di protezione che il nazista covava per lui –Allooora…- dopo aver eseguito l’ordine dell’uomo, Trent incrociò le mani dietro la schiena, alzandosi sulle punte e dondolandosi avanti e indietro –Duncan Ruschtmann, ha voglia di andare in giro? Con me?- chiese poi, puntandosi in modo infantile il dito indice sul petto e mettendo in fuori il labbro inferiore –Devo ancora decidere se ti amo o se ti odio- era sincero. Insomma, come poteva amarlo se l’aveva messo difronte a una realtà tristissima? Come poteva provare un sentimento simile per colui che aveva scoperto ciò che era veramente e che, inoltre, gli stava facendo odiare i principi per i quali si era battuto ciecamente. E poi, come poteva detestarlo? Come si poteva allontanare una creatura così perfetta, dolce e allegra? Era come dire di chiudersi per sempre in casa per non far assorbire mai alla propria pelle un po’di sole. Trent era il caldo delle coperte al mattino. Accogliente e caloroso. E, diamine, suo. Suo, solo suo, per sempre suo e di nessun altro.

Se ne fregava altamente del fatto che lo conoscesse da così poco. Come si dice? Amore a prima vista. E così sarebbe stato.

Il cantautore gli baciò una guancia, appoggiando il mento sulla sua spalla e beandosi del suo profumo –Va bene, se la metti così, può darsi e ripeto, può darsi, che io provi qualcosina-ina per te. Ma proprio “ina”- e mise l’indice e il pollice della stessa mano a qualche millimetro di distanza –Io invece ti amo. Non ci sono Santi, Duncan Ruschtmann, ti ho amato dalla prima volta in cui ti ho visto. Solo che non lo sapevo- la repentina dichiarazione di Trent fece sobbalzare il nazista, che arcuò le sopracciglia e sentì il mondo girare così forte da sballare completamente la visuale delle cose. Strizzò gli occhi e –D-Dunc…- non voleva carezze da lui, gli facevano male, lo deviavano –No, è tutto a posto. Comunque se la tua proposta di andare in giro è ancora valida, io un pensierino ce lo farei…- compiaciuto Trent batté le mani tra loro –Ah! Ma tu non eri il signor “Non-passo-il-mio-tempo-con-un-poveraccio-come-te”?- lo riprese un’occhiataccia e allora rise, prendendogli la mano e ammiccandogli.

Inutile descrivere: i fuochi d’artificio, le esplosioni, i colpi di cannone i serpenti, le urla, i brividi, e la sensazione di completezza le mille ballerine che ballarono il Can Can quando sentì le sue dita intrecciate a quelle del gran, bel ragazzo difronte a se –Dove andiamo?- sussurrò –Che ne so? Sei tu quello che conosce bene le strade di Berlino! Dove vuoi che ti porti, uno come me?-

-Ma non hai sempre detto di essere attento a ogni particolare, quelli che i tedeschi si perdono? Senti, Trent…-

-Dai, okay! Basta che non ti alteri, se no non andiamo né avanti e né indietro-

 

***

Oh, seguirlo era stata una delle sue più grandi pazzie.

Stupida stradina.

Stupidi sassolini.

Stupido buio.

Stupidi alberi.

Stupide scarpe inadatte.

Stupido Trent.

Il ragazzo Angelo l’aveva condotto in un posto ancora sconosciuto per lui che poteva giurare di conoscere la sua Berlino dentro e fuori, meglio delle sue tasche! Eppure adesso, appoggiato precariamente alle spalle di “occhi da favola”, si trovava difronte a un immenso prato spoglio da qualunque cosa, se non fosse stato per un esile alberello da melo, parecchio sciupato e triste. Duncan si asciugò la fronte dal sudore. Chissà come doveva stare Trent, in quella sua giacca enorme! Per un momento gli venne in mente di levargliela, ma lui non era una “mamma chioccia”, quindi accantonò l’idea e gli chiese solo –Dove mi hai portato?- in un sussurro, perché quel posto era talmente immerso nella pace che si sentiva in colpa a spezzare il silenzio fitto e rilassante, degno di un monastero –In un posto che i germani non notano mai- rispose criptico, però con il suo solito tono di voce. Forse, lui si poteva permettere di essere naturale, visto che il suo timbro era così soave. Il continuo rumore delle cicale non faceva altro che assordarlo e avrebbe voluto prendere il suo fucile per spararle a una a una, tuttavia, il comportamento rilassato di Trent gli trasmetteva buon umore e dopo un po’sciolse i suoi muscoli testi. Socchiuse gli occhi e sospirò vinto –Ora?-

-Vieni con me!-

Era speciale, di una specialità unica. Quella sua purezza mischiata a una semplicità che non faceva altro che ingarbugliare i suoi pensieri. Riusciva a trasmettergli la sua tranquillità –Fidati di me-gli soffiò all’orecchio per poi allungare gli angoli della bocca in un sorriso tenero. Il nazista annuì irritato e tornò a guardare il paesaggio, sforzandosi di scorgere l’orizzonte segnato da una linea scura. La luna calante che sembrava affogare in un canale lontanissimo e le stelle splendenti, pronte ad abbellire la volta celeste con il tipico luccichio. Poi Trent, l’elemento che spiccava di più con quella sua armonia naturale. Gli occhi color del prato dove poggiava i piedi, fresco, bagnato dalla rugiada mattutina, tagliato dal vento e colorato da mille pagliuzze dorate. Le labbra sottili e rosa, come il petalo di qualche rosa appena sbocciata. La pelle pallida, andava quasi sul diafano, come la luna piena ed enorme, degna di ogni film romantico.

Era improvvisamente diventato tutto: la terra sulla quale camminava, il cielo che fissava in cerca di qualche risposta, la pioggia rassicuratrice, che lavava via ogni pensiero, il vento rinfrescante, la bufera inaspettata. Trent era il suo elemento. Poteva girarsi da tutte le parti ma le sue iridi riflettevano solo l’immagine dell’angelo dagli occhi smeraldini, furbi, vispi e coperti da una leggera malinconia

-Ti piaccio?- domandò così, a bruciapelo, raccogliendo a due mani tutto il coraggio che aveva. Oh! Ma come poteva chiederglielo in quel modo? Duncan non poteva rispondergli, certo che no! Si era mai chiesto quanto fosse bello? Nell’animo del nazista vi era un disagio profondo, nascosto bene dietro una parete agitata di emozioni forti, inconcludenti e false. Cinismo che copriva il suo amore istantaneo e Trent non doveva far altro che indurlo ad abbracciare la vita. Cosa sarebbero diventati? Ma certo, due spiriti di menzogne inconfessabili! Avrebbero smesso di vivere e allora? Il chitarrista lo voleva fortemente. Eppure Duncan ci teneva troppo, sapeva che tutto quello andava contro alla fermezza del rigido governo. Cosa fare? Provarci, sapere di fallire dall’inizio o per paura rinunciarci? Abbandonare tutto. Non poteva, non lui che era così fedele! Si strinse le tempie con una mano e ancora –Ti piaccio?- dannato, perché doveva parlare così tanto?

Va bene, voleva davvero lasciarlo? Correre via? Urlargli contro di sparire dalla sua vita e di non riapparire come un fantasma? Sì, avrebbe potuto farlo.

Ma avrebbe potuto anche girarsi, prendergli la maglietta in un pugno e baciarlo fino allo sfinimento.

Non ci poté fare nulla, l’ultima opzione era davvero quella più accattivante.

Quindi sì, lo baciò. Lasciò che le sue labbra si muovessero da sole (tanto ormai il cervello si era bellamente andato a farsi un viaggio senza ritorno per la città dei pazzi) su quelle del cantautore, che apprezzò la dolcezza che tentava d’ostentare, seppur non ne aveva mai donato un briciolo. Forse ci voleva qualcuno che facesse uscire il suo lato buono, quello stipato con gelosia. Duncan segnò il contorno delle due mezze lune di Trent con la lingua, arrivando al quello inferiore  per morderlo lentamente, senza fargli male, per poi lasciarlo. Le sue mani avevano già pensato a posizionarsi sulla vita sottile che tanto gli ricordava quella di una ragazza. Solo che era centomila volte meglio di una donna! Fece scendere il palmo destro su una delle sue natiche, stringendo appena e facendolo sorridere. Unì le loro fronti e lasciò ansimare in pace il più piccolo, che intanto aveva messo le braccia sulle sue spalle e si lasciava accarezzare lascivamente la schiena lunga –Ti amo- spalancò gli occhi; glielo aveva detto davvero? –A-anche io… sì, D-Duncan… i-io… t-ti p-prego… non voglio separarmi da te… ti prego… non ancora… per favore…- parlava senza connettere la bocca al cervello, ma che faceva infondo? –Shhh, zitto un po’…-

Gli ghignò difronte agli occhi mettendo una mano nei suoi capelli corvini e tirandoli all’indietro così da mettere in vista il Pomo D’Adamo che marcò con la lingua –Sono un ragazzo- fece ovvio –Ma dai?- non voleva pensarci, basta.

“È un ragazzo.

Non sei un frocio.

Perché non puoi comportarti come Dio comanda?

Non farlo.

Non desiderarlo.

Finiscila.

Perché non sei normale?

Perché proprio a te?

Sei sbagliato, tutto questo è sbagliato. Non farlo, te ne pentirai!”

Oh, sì, il punto era che Duncan se ne voleva pentire eccome

-Non t’importa?-

-Certo. Ma nessuno è perfetto-

-Per me lo sei-

“Allora zitto, smettila di parlare”

Gli lasciò dei segni umidi sul collo, schioccando tal volta con la lingua e rendendolo inerme nelle sue mani. Lo spinse all’indietro, quasi con la violenza che usò il giorno in cui lo picchiò, poi gli lasciò realizzare la cosa e si mise letteralmente seduto su di lui. Trent gemette: gli pesava troppo sullo stomaco! Allora il nazista si mise in ginocchio, accarezzandogli una guancia e buttandosi in avanti per toccare con la fronte il suo petto che intanto si muoveva su e giù, su e giù, con un’agitazione mai vista, che nessun essere umano poteva avere! Si guardò e notò che quell’agitazione ce l’aveva anche lui ma non solo il petto cominciava a muoversi.

Trent aveva risvegliato tutti i suoi sensi che per molto tempo con le donne erano rimasti assopiti e abbandonata la sua purezza dopo tante indecisioni portò istintivamente la mano sul cavallo dei pantaloni, stringendo appena per poi cercare alla ceca il bottone che nascondeva la zip –Aspetta- il nazista gli prese il polso –Cosa?- rivolse uno sguardo disperato alla luna, sbuffando –Io non ho mai… con un uomo…- il corvino gli sorrise complice –Ti guiderò io, non preoccuparti-

Cosa? Essere… dominati da un ragazzo così dolce e tenero? Non ebbe neppure il tempo di pensarci che tra un morso e l’altro la personalità aggressiva di Trent era fuoriuscita e adesso nei suoi occhi si leggeva non solo amore, ma anche una lussuriosa passione –Sì, va bene-

 

Il chitarrista gli sorrise, bacandogli l’orecchio per poi infilarci dentro la lingua e far sobbalzare Duncan. Davvero, non lo immaginava così… abile… -Levati i pantaloni- ordinò il più giovane, cominciando a slacciarsi la cintura con estrema naturalezza, senza ripensamenti alcuni. Purtroppo il nazista non collaborava. Si teneva sollevato per i gomiti, piegando il busto in avanti e rifiutandosi di togliere gli occhi da Trent che si era già calato i pantaloni e lo guardava, aspettando con pazienza –Ehi, amore…- A-amore? Ma cosa…

Non lo seppe neppure lui come successe, sta di fatto che il cantautore gli finì sopra, ad accarezzargli i fianchi con tenerezza lasciva e a sbottonargli la camicia bianca, per poi seguire con piccoli baci -che nulla avevano a che fare con l’erotismo- i suoi pettorali –Va tutto bene- continuò con il suo tono mieloso, mordicchiandogli una spalla ora nuda –Ah, certamente. Mi dispiace Trent, io ti amo, ma non posso lasciarti fare-

Trent ridacchiò, ammettendo la sconfitta quando Duncan si levò da dosso la camicia, prendendogli i polsi e legandoli tra loro –Guarda che non c’è bisogno che fai così. Ho capito-

-Bravo-

Ghignò, ridiventando il solito, vecchio Duncan. Il nazista bastardo. Ormai il cantautore aveva perso l’uso delle mani, immobilizzate dalla stoffa pregiata che apparteneva al suo “amico” e la cosa, doveva ammettere che sotto sotto lo faceva impazzire. Lo tenne stretto ancora per un po’, decidendo che alla fine voleva una notte d’amore con chi più amava, e la voleva pura, lontano dai suoi giochi di malizia.

Quindi lo slegò, facendolo ridere di gusto –Cosa c’è?-

-È che non hai la minima idea di cosa fare… non è così?-

-Io… NO! Cioè… sì… Insomma!-

-Duncan, lascia che ti guidi io per questa prima volta, perché ce ne saranno altre, vero?- e neppure se ne accorse! Trent gli aveva tirato giù i boxer e allora –Pessima idea quella di slegarti-

-Concordo- risero in modo cristallino e il cantautore fece fuori anche la giacca e la sua, di camicia –Girati adesso- (…)

 

E – Ti amo- mormorò poi, nell’estasi del momento.

 

La notte Trent si addormentò sul petto di Duncan, ancora incredulo di aver partecipato passivamente a un rapporto ma cosciente del fatto che in futuro lui avrebbe guidato l’amore della sua vita che tanto gli stava insegnando.

Ancora –Ti amo- mormorò, senza farsi sentire, secondo lui.

Ma come diceva sempre il cantautore: i tedeschi erano sempre troppo presi dalle loro convinzioni. Perché quelle paroline sincere gli arrivarono chiare e tonde, facendolo sorridere piacevolmente.

Allora la luna, il vento, la pioggia e l’erba erano diventate più belle per il nazista, che aveva qualcuno con cui condividerle.

 

Writen By Stella_2000

 

 

 

#Chepoiavetevistoladedica?

Eh sì, lo scorso capitolo era tuuuutto dedicato a me, quindi soffritemi, gente. Skerzo, dai sono contenta che ci siano persone che stanno aggiungendo la nostra storia tra le ricordate\\preferite e soprattutto seguite, siete un amore *-* (e oggi sono dolce, perché qualcuno ieri mi ha detto che ho una voce tenera) Ma dico io, non avete ancora visto niente :3 Cioè, non che i miei capitoli siano spettacolari (?) ma quelli di Angelo (potete dire che sì, le ho attaccato un pochino-ino di crudeltà.)! Insomma, dai… yeeeee, tanto Yaoi. Sono incoerente con i miei angoli, quindi boh, che dire? Lasciate una recensione se vi va, se non vi va morirà un cucciolo di cane non fa nulla, grazie per aver letto salva un cucciolo di cane, con una recensione puoi.

Vi mando un bacio e ricordate il cucciolo di cane XD , Bye

P.s avete notato le (...) ebbene, ciò che c'era dentro è top secret, Angelo si è divertita, prutroppo voi no (e ditelo al rating, gente)    

   
 
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