Nome autrice: Tomocchi
Titolo: La stella nel cuore
Rating: Giallo
Avvertimenti: nessuno
Coppie: Slash
Note dell’autrice: Questa storia
partecipa al contest “Dal passato al presente”, indetto sul forum di EFP, e
tratta il mito di Dioniso e Ampelo in chiave moderna. La storia è ambientata ai
giorni nostri e mi sono divertita molto a scriverla, spero di aver centrato
l’obiettivo >.<
A Dioniso ho cambiato il nome in Dennis, che appunto significa “figlio di
Zeus”; ad Ampelo ho dato il nome di Ashwin, che in inglese significa “stella” e
“amico degli dei”(siccome secondo un’altra versione il giovane satiro sarebbe
stato trasformato in stella proprio dallo stesso Dioniso, ed è questa la
versione che ho adottato per la storia); alla dea Ate, l’errore, ho voluto
lasciare il nome originale come nickname, mentre Era e Zeus si chiamano
rispettivamente Maia ed Edward King: la prima perché il nome, di origine
greco-latina, significa madre, mentre al secondo il nome di un famoso re
inglese (che ho appunto usato come cognome xD).
Mi sono documentata molto e ho cercato di renderla realistica quanto possibile.
Spero che questa interpretazione possa piacere!
LA STELLA NEL CUORE
“Dennis,
siediti composto.”
Un ragazzo di circa diciotto anni dai capelli scuri e leggermente riccioluti
lanciò uno sguardo infastidito all’uomo
imponente che gli stava di fianco e che lo stava fissando con rimprovero, ma
soprattutto alla donna che gli stava seduta di fronte.
Il terzetto si trovava accomodato ad una elegante tavola al centro di una
stanza molto grande e lussuosa.
Erano passati molti anni da quando la sua madre naturale era morta e suo padre,
Edward King, uno degli uomini più influenti e ricchi degli Stati Uniti, lo
aveva riconosciuto e preso con sé come ultimo desiderio della sua amante.
Già, sua madre era stata l’amante di quell’uomo che definire padre era
un’esagerazione.
Lo vedeva di rado, era sempre al lavoro o da qualche altra donna, lasciandolo
solo a casa con la sua legittima moglie, Maia.
Maia che era a conoscenza dei tradimenti del marito, ma che lasciava correre
solo per poi ordire tremende vendette nei confronti di quelle povere
sventurate.
Era una donna potente, carismatica e molto bella, a capo di una rivista di moda
di proprietà di Edward stesso.
Dennis non ci andava particolarmente d’accordo e aveva imparato ad evitarla,
ricambiato dalla stessa Maia.
Lo sguardo di superiorità e disgusto che gli rivolgeva ogni volta quella signora
era avvilente.
Il ragazzo sospirò e si sedette composto come ordinatogli dal padre, che
approvò con un cenno di assenso.
“Più tardi esco con Ashwin, torno entro mezzanotte, promesso.” mugugnò, dopo
aver mandato giù l’ultimo pezzo di carne ed essersi pulito con il bordo della
tovaglia.
“Edward, digli qualcosa. Ha il tovagliolo, deve usare quello! Non può pulirsi
la bocca su questa tovaglia, sai quanto è costata?” sibilò Maia al marito,
stringendo con forza le posate come se avesse voluto trafiggerli con esse. Era
parecchio inquietante.
L’uomo si lisciò la curata barba bianca e annuì.
“Ha ragione Maia, Dennis. Abbi più riguardo per le cose, non ci si comporta
così. Sono stato chiaro?”
Il figlio annuì e la donna sorrise soddisfatta.
Si alzò da tavola e con grazia lasciò la stanza, subito circondata dalle
proprie cameriere personali.
Come aveva fatto suo padre a sposare una signora del genere? Proprio non
riusciva a concepirlo.
Lo consolava sapere di non essere l’unico maltrattato in quella maniera: dalle
sue numerose amanti, Edward aveva avuto altri figli, ovvero suoi fratellastri e
sorellastre, fortunatamente già fuori di casa e con una carriera a cui potersi
dedicare.
Una pacca sulla schiena lo riportò alla realtà.
“Fai attenzione quando esci, mi raccomando. E cerca di fare attenzione a come
ti comporti con Maia, che poi a pagarne le conseguenze sono io!” gli disse
l’uomo, strizzando un occhio con fare complice, evidentemente divertito.
Dennis sorrise appena.
Si alzò da tavola a sua volta e salutò Edward con un cenno della mano.
Non era poi così male. Come padre lasciava a desiderare, ma almeno poteva contare
su di lui in certi e rari momenti.
“A dopo!”
“Ma quanto
ci hai messo? Sei in ritardo di mezz’ora!” sussurrò un ragazzino dai lunghi
capelli biondi decisamente infreddolito, con una sciarpa beige attorno al collo
e un cappotto scuro.
“Scusa, Ashwin, quella megera della mia matrigna mi ha fatto un sacco di lagne!
E bla bla bla qui, bla bla bla là… Diamine, non sai quanto vorrei essere più
libero! Preferirei vivere nei boschi che in quella casa con lei!” si lamentò
Dennis, infilando le mani nel proprio soprabito.
“So io cosa ci faresti nella natura… con me, magari.” Sghignazzò il giovane,
dando una gomitata all’amico.
“Smettila, per una volta che non ci penso!” Dennis rise, gettando il capo
all’indietro e facendo ondeggiare i capelli ondulati, prima di continuare: “La
cosa più divertente è stata vedere Maia dire quei rimproveri a mio padre e poi
mi padre dirli scocciato a me.”
Si schiarì la voce, prima di scimmiottare la matrigna con un tono acuto: “Non
vedi come è seduto? Digli qualcosa! E guarda come mangia! Sembra un bisonte del
Nebraska. Ah, guarda cosa ha fatto alla mia tovaglia nuova a cui nessuno
importa!”
I due ragazzi scoppiarono a ridere, incuranti degli sguardi curiosi della gente
per strada.
Dennis e Ashwin si erano conosciuti al liceo.
Fin dal primo anno di scuola avevano seguito gli stessi corsi; inizialmente Dennis
era entrato nel gruppo degli amici del biondo, poi, dopo un paio di mesi, i due
avevano legato sempre di più, finché la loro amicizia non era sfociata in una
relazione.
Dennis amava Ashwin più di ogni altra cosa al mondo.
Ne era terribilmente geloso, tanto che perfino in quel momento, mentre camminavano
per strada, lo teneva stretto a sé con un braccio attorno alla vita, adducendo
come scusa il freddo.
Quando stava vicino a quel ragazzo sentiva un profondo calore nascergli nel
petto…
Sorrise, nel sentire il rumore dei loro passi sul marciapiede all’unisono.
Quella sera sarebbero andati ad una piccola gara di go-cart, però solo come
spettatori.
Una cosa che lui e il biondo avevano in comune era l’amore per i giochi e gli
sport.
Iscritti entrambi al club di atletica, erano gli assi del gruppo: nessuno era
più veloce di loro e Dennis doveva ammettere che in certe occasioni aveva
lasciato vincere Ashwin apposta, solo per vedere la sua espressione felice e
vittoriosa che amava alla follia.
“Dennis…”
“Dimmi.”
“E se… passassi da casa mia, a fine gara? I miei sono fuori.” Sussurrò il
ragazzino all’orecchio del moro, con un tono da far rabbrividire anche il più
frigido degli esseri umani.
“Se me lo chiedi così… come posso rifiutare? Però avevo promesso al vecchio di
rientrare per mezzanotte…”
“Si tratta di rimanere un paio di ore in più… oppure di avvisare direttamente
che non tornerai. Rimani con me, gioca con me…”
Lo stava evidentemente seducendo, non vi era alcun dubbio.
Purtroppo Dennis non era capace di dirgli di no. Ashwin era il suo punto debole,
il suo tesoro. Avrebbe fatto di tutto per renderlo felice e tutto pur di
passare più tempo con lui.
Sentì lo stomaco chiudersi al pensiero: molti suoi fratellastri avevano perso i
loro amanti in sfortunati incidenti e sperava con tutto il cuore di non essere
la prossima vittima.
La sua era una famiglia particolare, niente male in fondo, ma Ashwin era tutto
ciò che aveva, una cosa a cui non voleva rinunciare. Lui era tutto!
Lo avrebbe protetto quanto possibile, al massimo delle proprie capacità.
Strinse forte la mano del ragazzo, con una determinazione più forte che mai.
Erano
passati sei mesi da quella sera e finalmente diplomati, Dennis aveva
organizzato un viaggio in Arizona con il proprio ragazzo.
Arrivati nell’hotel dove avevano pernottato, posarono le valige e si
sistemarono, rinunciando ad uscire a causa dell’ora tarda e della stanchezza
per giungere lì.
“Tanto abbiamo due settimane per divertirci, per una sera possiamo anche
rilassarci.” Soffiò Dennis, abbracciando il suo amante sotto le lenzuola.
“Sono d’accordo.” Sussurrò Ashwin, andando a posare le proprie labbra su quelle
del compagno per un bacio colmo d’affetto.
Il moro strinse a sé il ragazzo, prima di chiudere gli occhi e scivolare nel
mondo dei sogni.
Al centro di una radura, un drago
cornuto e possente ruggiva in tutto il suo splendore, mostrando la propria
forza.
Sul dorso dell’essere era adagiato un cerbiatto, che il mostro, alla fine della
dimostrazione, scagliò con violenza contro un altare, uccidendo il povero
animale.
Dennis sentì una dolorosa stretta al petto, osservando la scena ai margini di
quel luogo a lui sconosciuto eppure tanto familiare, prima di vedere il sangue
rossastro scorrere lungo le pareti della pietra.
Una follia indescrivibile si impossessò di lui, scoppiando in una risata che
sembrava non appartenergli.
La vista gli si offuscò, sentendo il proprio corpo rinvigorito di una allegra
ebrezza…
Dennis
spalancò gli occhi, ansante e col cuore che gli batteva forte nel petto.
Si mise seduto, si voltò verso Ashwin e, con la mano tremante, lo toccò,
stringendogli forte il braccio.
Era reale. Era ancora lì.
Quando recuperò un po’ di lucidità, si rese conto di non ricordare molto del
sogno, o dell’incubo, a parte una sgradevole sensazione alla bocca dello
stomaco e all’altezza del petto.
“Ehi… tutto bene…?” mormorò assonnato il biondino, sfregandosi un occhio per
capire cosa avesse svegliato il compagno.
“Più o meno… non preoccuparti, solo un sogno strano.” Soffiò, accarezzandogli
la testa con dolcezza.
L’altro, troppo stanco per indagare oltre, si limitò ad un leggero cenno
d’assenso e riprese a dormire.
Dennis, dal canto proprio, rimase sveglio ancora un po’, prima di riuscire a
calmarsi e addormentarsi.
Doveva essere solo uno stupido sogno, nient’altro.
***
Quella
stessa notte, dall’altra parte del paese, il telefono squillò e Maia schiacciò
il tasto verde per rispondere.
“Pronto.”
“Sono †Ate-The-Error†, del forum Destroy the pair… La signora Maia, giusto?”
“Esattamente. Lei è capace di rovinare qualunque coppia, giusto?”
“Beh, non mi limito solo a rovinare coppie… diciamo che mi piace combinare
casini leggeri.”
Maia increspò le labbra in un sorriso, andando verso l’enorme finestra del
salotto.
“Vede, non sopporto vedere il mio figliastro felice e per di più con un uomo;
rovina l’immagine di questa famiglia che è già abbastanza piena di esseri
inutili.” Sibilò, stringendo con forza l’apparecchio.
Ogni volta che vedeva uno di quei ragazzi spuntare dietro a quelle sgualdrine
che suo marito si portava a letto, provava una rabbia e una umiliazione tale da
mandarla su tutte le furie.
Ogni singolo ragazzino era la prova che lei era una stupida, una donna debole
che non sapeva tenere al guinzaglio il proprio uomo o incapace di dargli
abbastanza.
“Sarà fatto signora. Dove posso trovare… Dennis King?”
“In Arizona, è là con il suo amichetto. Le mando l’indirizzo esatto tramite
e-mail. Mi raccomando la discrezione, li stuzzichi in modo da far venire dubbi
o provocare una qualche lite… Se poi succede qualcosa di peggio, ancora
meglio.”
“Non si preoccupi… è la mia specialità.”
Con un sorriso sempre più ampio, Maia chiuse la chiamata e si concentrò sul
cielo fuori.
Avrebbe distrutto anche quel ragazzo.
***
Qualche
giorno dopo, Dennis e Ashwin andarono a mangiare al Saddle Ranch Chop House, la
più famosa catena di ristoranti in stile western degli Stati Uniti d’America,
per divertirsi un po’ e staccare dalla solita routine; inoltre si sarebbero
divertiti ad osservare i giovani temerari affrontare il favoloso toro meccanico
presente al centro dell’enorme sala.
Dennis aveva deciso di lasciarsi alle spalle quella sgradevole sensazione dell’incubo
e di godersi quel momento al meglio, senza pensieri.
La coppia, seduta al banco, ordinò un aperitivo analcolico.
“Io vado un attimo al cesso.” Riferì il castano, a bassa voce.
“Sempre fine, non ti smentisci mai! Vai, vai!” ridacchiò il biondino, dandogli
una pacca sulla schiena e sorridendo alla vista del bicchiere colmo di liquido
rosso chiaro davanti a sé.
“Aspettami prima di cominciare a bere!”
“Va bene, va bene!”
***
Ashwin
dondolò le gambe sullo sgabello in avanti e indietro, guardandosi attorno per
ammazzare il tempo.
Il locale era grande, colmo di gente e soprattutto ben fatto: le decorazioni in
stile western erano talmente precise da sembrare vere, non si stupiva affatto
del successo che aveva.
Perso nei propri pensieri, non si accorse dell’arrivo di una ragazza poco più
grande di lui, che si sedette al suo fianco e ordinò una birra.
“Certo che quel toro è proprio bello. Tu l’hai cavalcato?” domandò al biondino,
senza farsi riguardi.
Ashwin si voltò a guardarla, prima di spostare l’attenzione verso l’imponente
toro meccanico al centro della sala.
“No, no. Diciamo che è un po’ pericoloso. Un mio amico me lo ha sconsigliato.”
Mormorò, prendendo il bicchiere tra le mani e stringendolo con forza.
Desiderava cavalcarlo, mettere alla prova la propria destrezza e abilità, ma
Dennis, preoccupato, gli aveva chiesto di lasciar perdere.
Non aveva capito il perché, ma aveva deciso di rispettare la sua richiesta.
“Pericoloso? Andiamo, è solo una macchina, non è un toro vero. Dovresti
provarlo e far vedere al tuo amico quanto sei bravo e forte.” Sussurrò la
donna, accarezzando il bordo del proprio boccale con lentezza. “Magari vuole
cavalcarlo lui e avere tutta la gloria per sé!”
Mentre la ragazza scoppiava a ridere, Ashwin riportò lo sguardo sul toro.
In effetti, che male c’era?
Avrebbe dimostrato a Dennis di che pasta era fatto.
Lui era bravo, poteva essere forte quanto lui.
“Hai proprio ragione.”
Risoluto, il biondino allungò tre dollari all’addetto e montò in sella al toro
a testa alta.
***
Dennis finì
di lavarsi le mani e se le asciugò pigramente sotto l’asciugamano ad aria
calda, sfregando i palmi tra di loro per fare in fretta.
Tranquillo, uscì dalla porta dei bagni e notò subito una grande folla riunita
al centro della sala intenta ad incitare un ragazzo che probabilmente stava
cavalcando il toro meccanico.
Il sangue gli si gelò nelle vene quando si rese conto che Ashwin non era più al
bancone ma bensì in sella a quell’ordigno di ferro.
“Incredibile! È già a quattro secondi, quasi cinque!” esclamò un signore con la
voce colma di ammirazione, mentre Dennis tentava di farsi largo e raggiungere
il compagno.
“Ashwin!” chiamò, terribilmente in ansia, ma il ragazzo era troppo impegnato
per potergli prestare attenzione.
“Sei secondi…!”
“È un portento!”
Purtroppo un colpo decisamente più vigoroso dei precedenti fece volar via il
ragazzo, che si schiantò contro la parete più vicina.
Il violento colpo alla testa gli fece perdere i sensi, lasciandolo accasciato a
terra.
“Ashwin!”
Dennis si fiondò subito al fianco del compagno, prendendolo tra le braccia.
“Ashwin, Ashwin! Rispondimi, ti prego…” chiamò ancora, con la voce sempre più
pregna di ansia e paura. Paura per ciò che temeva.
Come in un flashback, gli tornò in mente il drago cornuto e il cerbiatto. Il
terribile incubo della sera prima si era avverato…
La folla di gente si era spostata attorno a lui.
“Chiamate un’ambulanza!”
“C’è un medico in sala?”
“Fate largo, largo!”
Dennis strinse ancora più a sé il giovane amante, mentre le lacrime sgorgavano
dai suoi occhi, incapace di fermarle.
“Qualcuno lo salvi!” gridò, disperato.
Era sera
tardi e il cielo scuro brulicava di puntini luminosi, ben visibili nella sua
casa di campagna.
Suo padre Edward gliela aveva comprata per poter stare tranquillo e riprendersi
dallo shock.
Ashwin era spirato un paio di ore dopo, in ospedale.
Avevano provato di tutto, ma il colpo subìto gli aveva provocato un trauma
cranico e infine la morte.
Il cinquanta per cento dei traumi cranici portavano alla morte. Doveva
aspettarselo. Eppure ci era stato dannatamente e maledettamente male.
Dennis prese un bicchiere e lo riempì fino all’orlo di vino rosso, corposo e di
una buona annata.
Se lo portò alle labbra e ne bevve qualche sorso, sentendosi subito meglio.
Quel liquido era capace di lenirgli il dolore e di ottenebrargli la mente,
l’unica cosa che poteva fargli dimenticare ciò che era accaduto quella fatidica
sera.
Solo il vino gli permetteva di andare avanti in quella vita che ora gli
sembrava eterna e sfiancante.
I suoi amici gli avevano dato del codardo, che rifugiarsi nell’alcool e nella
solitudine non portava a nulla, che doveva affrontare la cosa a viso aperto e
vivere anche per colui che aveva amato.
Ma non ci era riuscito. Non ci riusciva.
Si sedette su una sedia, afferrò alcune carte e, dopo aver appoggiato il
bicchiere sulla scrivania, regolò il telescopio puntandolo verso quel manto
stellato, seguendo le coordinate indicate.
In onore di Ashwin aveva comprato simbolicamente una stella, la Vindemiatrix,
la “vendemmiatrice”, della costellazione della Vergine.
Aveva scelto quella stella dopo aver iniziato a bere vino, in seguito alla
morte del suo amato; quel corpo celeste racchiudeva tutto ciò che lo aveva
distrutto, tutto ciò che amava e che aveva amato.
La osservò brillare in tutto il suo splendore, mentre un sorriso triste gli
increspava le labbra.
“Buonanotte, Ashwin… Stella nel mio cuore.”