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Autore: darkrin    14/10/2014    1 recensioni
Klaus per l’ennesima volta si chiese cosa avesse fatto per meritarsi tutto quello: nessuno sterminio di massa, nessun genocidio potevano giustificare una cosa del genere. / O di Klaus, Caroline e del mostro sotto al suo letto.
(Established Klaroline - Future!fic - Fluff ma che più fluff non si può - NOW A THREE-SHOT BECAUSE I SAID SO)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Caroline\Klaus, Klaus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Terza Parte
 
 
 
C’era una volta una giovane principessa – con i capelli biondi e gli occhi azzurri più brillanti che si fossero mai visti in quel reame – che fu vittima della maledizione di una strega cattiva e invidiosa della sua bellezza e della sua felicità. Sarà imprigionata in un corpo diverso dal suo, fino a quando non riceverà il bacio del vero amore.
Nella favola, la principessa veniva trasformata in un cigno e la maledizione spezzata dal principe che la baciava, dopo che era stata colpita da un freccia per salvarlo – perché è questo che succede nelle favole: i principi baciano i cigni e le principesse i rospi ed è tutto un po’ più promiscuo che nella realtà.
Nella realtà, Caroline Forbes fu salvata dalla maledizione da Bonnie Bennet che si presentò alla sua porta, due giorni dopo aver ricevuto la piacevole visita di Klaus Mikaelson (che ghignò, quando aprì la porta e se la trovò davanti con il volto imbronciato di chi ha appena trovato la soluzione per salvare la sua migliore amica e ha perso contro il suo peggior nemico).
- Cosa la porta qui, Miss Bennett? Non avrà già trovato la soluzione per il problema di Caroline? In soli due giorni? Sembra proprio che avessi ragione, hmmm. -
Bonnie sibilò un insulto e si fece strada oltre l’ibrido con una gomitata, illudendosi che avrebbe potuto causare all’uomo più di un leggero solletico.
Kol, giunto saltellando per le scale in tempo per assistere alla scena, esclamò:
- Ma guarda chi c’è qui.  La mia strega preferita! Sempre così tagliente! –
Bonnie alzò gli occhi al cielo e gli voltò le spalle con un gesto sprezzante. Non valeva neanche la pena di dargli un aneurisma.
- Dov’è Caroline? –
Prima che Klaus potesse rispondere, una vocina, proveniente dal basso, li interruppe.
- Sono qui – pigolò, sollevando la mano, in piedi sull’ultimo gradino delle scale.
Klaus le sorrise e Bonnie annuì, professionalmente.
- Bene – affermò. – Quindi possiamo iniziare subito. – Lanciò un’occhiata di fuoco ai due Mikaelson ancora fermi accanto all’ingresso: non aveva alcuna intenzione di rimanere in quella casa un minuto più del necessario. Lei e Caroline avrebbero avuto tempo per vedersi e parlare altrove e con altra compagnia.
Il volto di Caroline si piegò in un sorriso che sembrò illuminare la stanza intera e Klaus sentì qualcosa sciogliersi da qualche parte dietro al suo sterno e allegerirgli la cassa toracica.
 
 
 
Bonnie accese le candele e le dispose sul tavolo e a costituire un invisibile cerchio intorno a Caroline – che non tremò per l’improvvisa vicinanza del fuoco -, con gesti bruschi e precisi. Poi mise delle erbe, che aveva tratto dalla borsa, nel mortaio e le pestò fino a formare una pasta verdastra e maleodorante, a cui aggiunse un liquido trasparente che le fece sfrigolare come foglie autunnali pestate dai bambini.
Solo a quel punto aprì il grimorio e iniziò a leggere da una pagina consumata e ripiena di appunti ed annotazioni.
Caroline sentì un brivido correrle lungo la schiena e strinse le mani intorno all’orlo del vestito: non aveva mai smesso di sospettare delle stregonerie, anche se era Bonnie a praticarle. Come poteva non farlo? Era qualcosa di assolutamente fuori dal suo controllo e se una strega aveva sbagliato, perché non poteva accadere anche a Bonnie? E se le fossero spuntate due orecchie da coniglio? O fosse diventata ancora più piccola? Se fosse diventata una neonata? O una vecchia, come in quel film che avevano visto con Klaus qualche giorno prima?
Inconsciamente alzò gli occhi verso l’ibrido, che era fermo, appoggiato allo stipite della porta, e non faceva altro che guardarla. Caroline gli lanciò un sorriso tremulo a cui lui rispose con un leggero cenno del capo.
Se avesse potuto, Caroline avrebbe voluto stringergli la mano, avrebbe voluto nascondersi dietro di lui, mentre Bonnie praticava il controincantesimo, ma sapeva che la magia non funzionava così, quindi aveva stretto i denti e si era seduta compostamente – e sola – dove Bonnie le aveva indicato.
Improvvisamente, i suoi pensieri furono interrotti da un formicolio che, dalla punta dei piedi, iniziò a risalirle lungo le gambe, le anche, l’addome e più risaliva, più sembrava un bruciore. Caroline abbassò di scatto lo sguardo con un verso strozzato. Era come avere i piedi poggiati su carboni ardenti.
- Bon… - pigolò, alzando il capo terrorizzata.
Non aveva fatto male, quando era stata trasformata in una bambina, perché ora…?
Bonnie si limitò a fissarla con uno sguardo ferreo, senza interrompere la cantilena. Non sembrava turbata dal suo malessere, quindi forse era normale, forse…
Un gemito di dolore le lasciò le labbra, subito seguito da un ruggito d’avvertimento di Klaus. Con la coda dell’occhio lo vide muoversi: scostarsi dalla parete e flettere leggermente le gambe, come un felino pronto ad attaccare. Scosse furiosamente il capo, sperando che la vedesse, che capisse, che gli importasse abbastanza da non ferire la sua migliore amica. A metà del movimento si sentì mancare ed esalò un altro verso, mentre si accartocciava su sé stessa: il dolore le era risalito sin dentro le ossa, che ora sembravano bruciarle dall’interno ed era troppo, era –
Lanciò un urlo strozzato e fu vagamente consapevole di Klaus che si lanciava verso di lei, prima che tutto diventasse un’immensa matassa nera e avvolgente.
 
 
- Cosa ti aspettavi? – sentì sibilare da qualche parte al limite della sua coscienza. – Le ossa e gli organi dovevano crescere era normale che facesse male. –
- Non così tanto. Dovevi avvisarla. Dovevi avvisarmi. –
La seconda voce era più vicina.
- E cosa avrebbe cambiato? Pensi che mi sia divertita a vedere soffrire la mia migliore amica? Non c’era altra scelta. Non con il poco tempo che mi hai dato. Forse se mi avessi dato più tempo, avrei potuto anche ideare un incantesimo anestetizzante – concluse con sprezzò.
Qualcuno ruggì vicino al suo orecchio.
- Non dare la colpa a me – gridò un uomo.
- E di chi credi sia? A causa di chi è stata trasformata, in primo luogo? –
In lontananza qualcuno mormorò:
- Fratello, devi ammettere che ha ragione! -
Caroline percepì di essere avvolta da qualcosa di caldo e, con quella sensazione, sembrò riacquistare anche la coscienza di avere un corpo, composto di arti che le dolevano come se avesse corso per chilometri e sollevato pesi per ore. Esalò un grugnito infastidito e sentì qualcuno trattenere il fiato sopra di lei.
- Caroline? – chiesero quasi in coro.
La sincronia la fece ridere, ma dalla gola le uscì un verso strozzato, che somigliava più a una tosse stizzosa e che la fece sollevare e piegare su sé stessa. Delle mani corsero a sostenerla e ad accarezzarle la schiena.
- Caroline? – senti di nuovo la sua voce incerta chiamarla, vicina al suo orecchio.
Solo in quel momento si rese conto che il corpo caldo in cui si era sentita avvolta era quello di Klaus, che ora era chino su di lei e la stringeva con un tocco che avrebbe riconosciuto ovunque e una delicatezza eccessiva, come se fosse di nuovo una bambina. Il solo pensiero che non avesse funzionato, che tutto quel dolore fosse stato inutile, le fece rivoltare lo stomaco e accapponare la pelle. Serrò gli occhi: non voleva vedere quel corpo minuscolo, che le avrebbe ricordato con uno schiaffo che non era cambiato niente, che -
- Care – Bonnie la chiamò con voce morbida, mentre la presa di Klaus si serrava intorno a lei. – Care, apri gli occhi. Ha funzionato. Hai di nuovo diciassette anni. –
Caroline spalancò gli occhi ed improvvisamente erano lì, di fronte ai suoi occhi, le sue gambe lunghe come le ricordava quando piroettava sul campo d’allenamento. Si portò le mani davanti al volto e osservò le lunghe dita e i polsi sottili, le braccia toniche e le cosce da adolescente. Si ripiegò su sé stessa, squassata da una risata che le risalì dall’addome fino alla bocca e che finalmente le fiorì giusta, adulta, sulle labbra secche.
Le mani di Klaus non si allontanarono mai dalle sue spalle e Bonnie continuava ad osservarla dall’alto con occhi gentili e stanchi.
 
 
 
- Non c’è bisogno che tu te ne vada così presto – affermò Caroline, cercando di raddrizzarsi il più possibile sul divano su cui Klaus l’aveva depositata, prima di lasciare la stanza e lasciare le due amiche da sole. Caroline non dubitava che stesse ascoltando ogni parola che si dicevano e fosse pronto a intervenire, se fosse stato necessario. Perché avrebbe dovuto esserlo era un mistero che solo una paranoia nutrita da secoli di fuga dal proprio padre avrebbero mai potuto far comprendere appieno.
Ogni centimetro del suo corpo le lanciava stilettate di dolore ad ogni minimo movimento e contrarre i muscoli per stare seduta o in piedi sembrava un’impresa impossibile.
- Non ho intenzione di rimanere in questa casa un minuto più del necessario – Bonnie addolcì l’espressione, quando vide Caroline rabbuiarsi. – Care, lo sai, non sei tu è che… Non posso. E comunque devo tornare a casa. Oggi Maggie viene a trovarci e devo finire di preparare tutto e mi devo riposare – concluse con un mormorio, passandosi una mano sul volto tirato. Con il passare degli anni, Bonnie si era resa conto che il suo corpo impiegava e un tempo sempre maggiore a riprendersi, dopo un incantesimo.
- Mi ero dimenticata che Maggie sarebbe venuta in città. Immagino avessi mille cose da organizzare e Klaus ti ha costretto a… mi dispiace, Bon – mormorò, con il capo chino.
- Care, non è colpa tua. Era una cosa che dovevo fare. Che volevo fare, ma ora devo proprio andare. Mia suocera non mi perdonerà mai se la costringerò ad andare a cena al Grill. Lo sai che non sopporta gli abitanti delle piccole città di provincia e gli hamburger e la birra e… - affermò con una smorfia.
Caroline rise, scuotendo il capo.
- Un giorno dovrai spiegarmi come hai fatto a imparentarti con una donna capace di far sembrare amabile persino Esther – notò con un sorriso, che si trasformò in una smorfia, quando una fitta di dolore più forte delle altre le risalì lungo il fianco.
Bonnie si chinò verso di lei, preoccupata.
- L’indolenzimento durerà per un paio di giorni, ma è normale, Care, non devi preoccuparti. –
Caroline cercò di piegare le labbra in un sorriso incoraggiante.
- Lo so, me l’hai ripetuto un infinità di volte. Starò bene, Bon. Vai pure ad occuparti di Maggie, ora. –
Bonnie annuì, prima di salutare l’amica e ordinarle di chiamarla per qualsiasi motivo ed uscire come un tornado dalla casa, liquidando, con un’occhiata di fuoco e un ringhio strozzato, Kol che indugiava nell’ingresso dell’ampio maniero e che esclamò: Scappi già, strega? Un giorno dovrai affrontare la paura di essere sedotta dal mio fascino. È una cosa normale, quando la vide.
 
- Indolenzimento, lo chiama - mormorò Caroline non appena lo sentì di nuovo al suo fianco.
Si lasciò ricadere con un gemito contro il suo corpo, quando le si sedette accanto. Klaus le scostò una ciocca di capelli che le era ricaduta davanti agli occhi e le accarezzò il braccio con le nocche della mano.
- Io direi che è come se avessero dato fuoco a tutto il mio corpo e ne rimanessero solo le braci – bofonchiò, rannicchiandosi contro di lui.
Klaus serrò la mascella: non c’era più niente che potesse fare per darle sollievo e, aveva ben presto scoperto quando Caroline era diventata una bambina, non c’era niente che odiasse più di quel senso d’impotenza. L’unica cosa che sperava è che tutto finisse presto.
- Puoi prendermi del sangue? Mi sembra di non bere da secoli – gli chiese lei con un borbottio proveniente da qualche parte contro il suo petto e lui annuì.
La sostenne mentre si alzava di nuovo e la fece nuovamente distendere sul divano prima di volatilizzarsi dalla stanza.
 
 
 
Il dolore durò per giorni.
Ogni movimento le causava fitte lancinanti che le scivolavano lungo le ossa doloranti e i muscoli stanchi e, anche quando non si muoveva, l’indolenzimento permaneva e le turbava il riposo.
Una sera, mentre guardava l’ennesimo cartone per bambini e mangiava gelato, Caroline aveva deciso che quando Bonnie sarebbe riuscita finalmente a farla tornare adulta, avrebbe dato una grande festa per celebrare la recuperata lunghezza delle sue gambe. E delle tette. Le tette erano sempre un ottimo motivo per festeggiare, aveva stabilito ingoiando un immenso cucchiaio che le aveva deformato le guance e gelato i denti e il cervello.
All’epoca non l’aveva detto a Rebekah perché la donna avrebbe trasformato il suo festeggiamento in un party in onore di Rebekah Mikaelson o del suo nuovo ragazzo e - no grazie.
Ora che si trovava relegata a letto con l’unica compagnia della sua noia e del dolore che le occupava le ossa, Caroline era grata di non aver chiesto aiuto della vampira originale o l’avrebbe costretta a organizzare tutto senza curarsi delle sue condizioni.
Caroline mugolò qualcosa e si nascose sotto i cuscini dell’ampio letto.
Quando era una bambina – entrambe le volte - , Caroline aveva pensato che una volta adulta, tutto sarebbe tornato al suo posto e lei sarebbe stata felice, ma ora era tutt’altro che felice.
- Tesoro? – la voce di Klaus le giunse da qualche parte sopra la sua testa e l’ammasso di cuscini e coperte in cui si era trasformata.
Borbottò qualcosa d’indistinto e attutito dalla stoffa e le piume; in tutta risposta le giunse la risata dell’uomo.
Caroline balzò fuori in un esplosione di coperte:
- Non c’è nulla da ridere – esclamò oltraggiata.
Klaus si morse le labbra per tentare di trattenere l’ilarità, ma le labbra gli si distesero comunque e gli deformarono il volto in una smorfia allegra.
- Hai ragione, hai ragione. –
- E allora smettila di ridere – gridò, lanciandogli un cuscino e voltandosi a dargli le spalle.
Le labbra dell’uomo si piegarono in un ghignò.
- Direi, tesoro – affermò sedendosi sul letto accanto alla donna e passandole una mano sulla schiena. – Che ti senti meglio. –
Caroline chiuse gli occhi, lasciando che la pressione delle dita calde dell’uomo scacciasse il dolore sordo che le riempiva il corpo e la mente.
Pensò: ora sì e borbottò qualcosa d’indistinto.
 
 
 
Una mattina, giorni dopo, Caroline si rigirò nel letto e andò a sbattere contro il corpo dell’uomo che le dormiva a fianco e che grugnì qualcosa e le accarezzò i capelli scompigliati dal sonno.
C’era stato un tempo in cui, ogni minimo movimento di Caroline era in grado di farlo balzare seduto nel letto, con i muscoli tesi, pronti a dilaniare la carne di chiunque fosse venuto ad approfittare del suo sonno per tentare di ucciderlo o immobilizzarlo o torturarlo. Con il tempo, però, sembrava che almeno parte del suo inconscio si fosse abituato alla presenza della donna: ogni minimo rumore, ogni minimo gesto o spostamento d’aria continuavano a svegliarlo, a meno che non fosse Caroline a compierli.
Fu solo quando si decise ad aprire gli occhi, tenendo il volto tra il braccio e il petto di Klaus per schermarsi dalla luce, che si rese conto di cosa mancava: la sensazione di avere il corpo dilaniato da mille aghi che le laceravano la carne e le ossa era improvvisamente scomparsa. Un sorriso immenso si fece strada sul suo volto e Caroline dovette trattenersi a forza per non mettersi a saltare e ballare sul letto perché quello avrebbe sicuramente svegliato Klaus e aveva tutto il tempo del mondo e una festa intera per farlo – e doveva iniziare a ordinare gli addobbi e chiamare il catering e… - e c’era qualcosa che le era mancato più dello scuotere il suo corpo sulle note di una musica inesistente.
Un risolino sottile le straripò dalle labbra piegate all’insù, mentre si chinava a baciare il petto dell’uomo addormentato, per poi risalire lentamente lungo il collo e giungere al volto.
- Caroline… - mormorò, svegliato dalle labbra della donna e dai capelli biondi che gli solleticavano la cute.
Caroline ingoiò ogni altra parola, ogni altro sussurro, ogni altro gemito e sospiro esalato dalla bocca dell’uomo.
 
 
 
Quando, dopo, Klaus affermò con un sorriso sincero: Direi che ti sei ripresa completamente, Caroline scoppiò a ridere e gli diede uno schiaffo contro la spalla, prima di posare la fronte contro quella dell’uomo e soffiare: Non mi sono mai sentita meglio.







 

Note:
- Lo so, è passata un'eternità e ormai mi davate per morta (l'ho fatto anche io), ma ho avuto mille+ impegni e un blocco a metà del capitolo e quindi - But ECCOLO.
- A questo proposito devo ringraziare Blackcat27 per avermi aiutata a superare il blocco, dopo aver borbottato per dieci minuti: che ne so io, faaai tu, ma che ne so blablabla.
- Nella storia c'è un riferimento al Castello errante di Howl (guardatelo, se non l'avete mai fatto, perché è tipo uno dei film più belli e poetici del mondo) e ho trascritto uno dei dialoghi di Caroline e Klaus in TVD. <3
- Nel mentre ho scritto uno spin-off che si trova qui e si chiama: "Al lupo, al lupo" ed è un po' scemo, ma spero faccia anche ridere.
- Sono stata per un sacco di tempo incerta su come finire perché c'era una scena che volevo inserire, ma significava dover alzare di parecchio il ratings e non ne avevo voglia, quindi potrei scrivere in un futuro (prossimo o lontano) un secondo spin-off a rating rosso perché sì e perché posso.
- Grazie a tutti coloro che hanno seguito/preferito/ricordato/letto e commentato questa storia, siete molto di più di quanto mi sarei mai potuta aspettare (e quando me ne sono accorta è stato tutto un "wow! Ma sul serio siete così tanti? Ma grazie, ma wow!"). Spero che la parte conclusiva sia stata all'altezza delle vostre aspettative e dei capitoli precedenti. 

Alla prossima,
Livia
   
 
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