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Autore: _ayachan_    13/10/2008    25 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 11
Capitolo undicesimo

Spioni




Il sole rovente oltrepassò le mura gettando la sua luce cruda contro le pareti di pietra del palazzo del Kazekage. All'interno i condizionatori ronzavano e le striscioline di carta attaccate ai bocchettoni ondeggiavano a pochi centimetri dal soffitto.
Nel suo studio Gaara era già al lavoro su un complicato schema di gestione degli interventi. La ragione ufficiale per cui le due squadre di Konoha erano arrivate a Suna il giorno prima era che un'ennesima tempesta di sabbia aveva raso al suolo mezzo Villaggio, costringendo il Kazekage a chiedere aiuto ai vicini del Fuoco. Gaara cercava di organizzare i due gruppi in modo che i ragazzi sembrassero sparpagliati ma riuscissero a tenersi in contatto, ed era un compito piuttosto difficile, con l’occhio di falco di Loria che scrutava il foglio.
«La ragazza spostala a sud, dove è crollato quel magazzino. E’ troppo vicina a sua madre» commentò la donna additando l’ultima posizione di Chiharu.
Gaara trattenne un’imprecazione e cancellò un nome, riscrivendolo altrove. Al momento la disposizione sulla cartina prevedeva che i sei shinobi della Foglia fossero dislocati ai sei vertici di un immaginario esagono disegnato sul villaggio della Sabbia.
«Così possono dare il massimo dell’aiuto» sorrise Loria dolcemente.
Gaara odiò ogni falsa goccia di zucchero che colava da quel sorriso. «Tra poco saranno qui» sibilò caustico. «C’è altro?»
«No, ora la disposizione mi piace» Loria sistemò gli occhiali sul naso e controllò che i capelli fossero a posto nella loro crocchia. «Sono in ordine?» chiese a Gaara con finta apprensione.
Lui le scoccò un’occhiata arida. Lei arricciò il naso e lo scrutò abbastanza a lungo da spingerlo a distogliere lo sguardo.
«Sei più arrogante» gli fece notare meditabonda. «Stai...»
In quel momento sentirono bussare alla porta dell’ufficio e la donna si interruppe bruscamente.
All’invito di Gaara si fecero avanti Temari, Chiharu, Hitoshi, Kotaro, Rock Lee e Gai. Una notte di riposo li aveva ristorati dalle fatiche di un viaggio durato tre giorni, ma Chiharu non faceva che sbadigliare borbottando per la sistemazione: non le era gradito condividere la stanza con Temari, a quanto pareva.
Furono rivolti i convenevoli di rito, il benvenuto, le felicitazioni tra parenti. Tutti e sei gli shinobi di Konoha furono impeccabili nel non tradire il minimo segno di nervosismo di fronte a Loria, e di questo Gaara fu interiormente soddisfatto.
Poi venne il momento di assegnare le posizioni, e fu allora che Chiharu fece sudare freddo un bel po’ di gente.
«Perché sono così lontana dagli altri?» chiese in tono insofferente.
Kotaro le gettò un’occhiata allarmata, Gaara si irrigidì per un istante, così come Temari e gli altri Jonin. Cercò di elaborare in fretta una risposta. Ma Loria intervenne prima che potesse parlare.
«Il nobile Kazekage vuole distribuire il vostro aiuto lungo tutto il perimetro» spiegò con voce vellutata. «Avete percorso molta strada per raggiungerci: sono certa che vorrete fare tutto il possibile per aiutarci... Cosa di cui vi siamo infinitamente grati» il suo sorriso si allargò. «So che hai qualche... lieve problema di salute. Ho fatto in modo che fossi vicina a una piccola clinica, per ogni evenienza.»
Chiharu fece il muso lungo. «Buffo come tutti cerchino di ricordarmi che sono in fin di vita» bisbigliò tra i denti.
«Siete pronti per partire?» intervenne Gaara prima che la sua allarmante nipote facesse qualche altro commento. Gli shinobi annuirono senza protestare. Con un sospiro di sollievo il Kazekage li vide uscire dal suo ufficio.
«Che cavolo ti è saltato in mente?» sibilò Kotaro non appena furono due piani sotto Loria.
Chiharu gli scoccò un’occhiata altezzosa. «Eravamo di plastica!» si giustificò. «Tutti a dire sì, tutti bravi manichini che annuiscono mentre quella ci ficcava agli estremi del villaggio. Andiamo, nessuno ci avrebbe creduto! Qualcuno doveva sollevare un’obiezione!»
«Ti è andata bene che quella Loria ha pensato che fossi soltanto rognosa» brontolò Kotaro.
«No. Sapevo quel che facevo!» ribatté Chiharu stizzita.
«Finitela» intervenne Temari, accennando all’ingresso del palazzo. «L’importante è che sia andata bene, adesso basta parlarne.»
Chiharu serrò le labbra e incassò la testa tra le spalle. Gli ultimi tre giorni di viaggio con sua madre erano stati tra i più lunghi della sua vita, ma forse le avevano finalmente insegnato che ribattere era morte certa quando si trattava di Temari.
Oltre al fatto che la signora Nara aveva insistito costantemente per rallentare l'andatura a causa del suo cuore, mettendola in serio imbarazzo con i Jonin esperti del gruppo, Chiharu aveva dovuto sopportare anche le occhiate astiose di Hitoshi. Lo aveva beccato più volte a fissarla come se avesse voluto pugnalarla nel sonno, ma senza mai intavolare un discorso. Il che, in fin dei conti, era meglio che rivangare la spiacevole discussione avuta alla partenza. Chiharu aveva scelto di relegare i suoi orribili flash alla categoria incubi che nessuno vorrebbe mai fare, e l'idea di riprenderli in mano la riempiva di orrore quasi quanto l'immagine di Sai che rideva di lei e Hitoshi.
Era stata talmente concentrata sui suoi problemi da non accorgersi per niente del gelo che era sceso tra gli altri due membri del gruppo sette. Era stato relativamente facile nasconderlo con l'entusiasmo di Kotaro per la missione con il padre e Gai Maito, ma se Chiharu avesse prestato più attenzione si sarebbe accorta che c'era qualcosa che non andava tra lui e Hitoshi.
Se Tenten avesse saputo come si erano evoluti i rapporti tra i ragazzi, altro che una ramanzina sul senso di squadra prima di una missione: li avrebbe rispediti a casa alla velocità della luce.

La tempesta di sabbia – vera, per una volta – aveva fatto danni notevoli. Nonostante le mura di arenaria attorno a Suna, nessuna parte del villaggio era stata risparmiata e i segni della violenza del vento erano ben visibili ovunque.
A nord e ad ovest Rock Lee e Hitoshi si trovarono davanti vere e proprie distese di macerie, caseggiati abbattuti come fuscelli di legno e travi che spuntavano dalle pareti di calce. Quelli erano i quartieri più colpiti e, per ironia della sorte, anche i più poveri del villaggio. Ad est Temari si trovò a dirigere una squadra di carpentieri che doveva apportare rapidi accorgimenti agli edifici più importanti, e, dal momento che il suo ricordo era ancora ben vivo nella memoria di Suna, non ebbe alcuna difficoltà a far rispettare i suoi ordini. A sud est e a sud ovest Gai e Kotaro decisero di prendere attivamente parte ai lavori, liberandosi in fretta degli abiti e mettendosi a trasportare travi e blocchi di pietra con un entusiasmo persino ridicolo, quando non avvilente, ma a sud Chiharu si guardò un po’ attorno, disse a tutti che stavano lavorando magnificamente e poi si appollaiò sotto una tettoia per tirare fuori un rotolo sulle evocazioni. Ogni trecento righe circa gettava un’occhiata ai lavoratori, approvandoli distrattamente.
Tra una riga del suo libro – che si era rivelato ben più noioso e inutile del previsto – e un pensiero sull’ubriachezza, fece passare il tempo sprecando la minor quantità di energie possibile. Quando vide il bordo inferiore del sole sfiorare a malapena le mura attorno a Suna chiuse il rotolo, si alzò, si stiracchiò e salutò gli uomini che lavoravano con un cenno stanco. Loro si chiesero chi diavolo fosse e perché avesse passato tutto il giorno a guardarli.
Tornò al palazzo del Kazekage, scoprendo ovviamente che sua madre non si era ancora fatta vedere, si fece una doccia, infilò con una smorfia gli abiti ampi di Suna che cinque anni prima l’avevano fatta sentire nuda, e raccolse i capelli nella solita coda un attimo prima che Temari rientrasse, stanca e sudata.
«Da quanto sei tornata?» le chiese corrucciandosi.
«Oh, un paio di minuti» mentì lei con disinvoltura. «Giornata pesante, eh?»
«Non strapazzarti» le ricordò Temari con uno sguardo severo, poi, intravedendo nello specchio l’espressione più innocente e falsa di Chiharu, si rese conto che la figlia di Shikamaru Nara probabilmente quel giorno aveva sorseggiato un analcolico mentre guardava gli altri lavorare. Filò in bagno sbuffando ma senza aprire bocca. Era decisamente troppo accaldata per iniziare una discussione in quel momento.
Un’ora e mezza più tardi, dopo cena, Gaara le fece chiamare per il famoso tè in famiglia.


*


Già da quattro giorni Chiharu, Hitoshi e Kotaro erano stati spediti a Suna in missione top secret insieme a tre Jonin di tutto rispetto. Naturalmente lui non provava nessun tipo di invidia per loro. Nessuna. Era forte. Era un Anbu. Aveva missioni rischiose come noccioline.
Però, porca miseria, perché loro erano stati mandati in una missione così segreta che nemmeno un Anbu poteva conoscerla?
«Sono! Un! Anbu!» sbottò per la trecentesima volta, le mani premute sul ripiano della scrivania dell’Hokage e le vene del collo che minacciavano di scoppiare da un momento all’altro. Se avesse saputo quanto assomigliava all’Hitoshi di pochi giorni prima si sarebbe picchiato, ma non lo sapeva. «Non ho tradito nessuno, non tradirò nessuno, mi avete accordato la vostra fiducia per cose ben più gravi! Perché non posso sapere qual è la stramaledetta missione di quei tre?» esclamò riversando rabbiose goccioline di saliva sulla scrivania.
Naruto lo fissò con un misto di rabbia e insofferenza. «Sei più stupido di quel che pensassi, Stupido!» ringhiò, le mani sulla scrivania in posizione perfettamente speculare a quella di Baka. «Ti ho detto già dieci volte che non! Te! Lo! Posso! Dire! Cos’ha di tanto difficile questa frase, eh?»
«Non c’è un perché!» esclamò Akeru battendo ferocemente la mano sul ripiano. «Non sento la parolina magica!»
«E io invece sento che hai una gran voglia di prendere un pugno in faccia!»
«L’Hokage non prende a pugni nessuno!» strillò Koichi superando le voci di entrambi, e lasciò cadere dodici chili di carta sulle loro mani.
Sia Naruto che Akeru si fecero indietro precipitosamente, le nocche contuse e doloranti. Il segretario sbuffò sistemando gli occhiali sul naso sudato. Scoccò occhiatacce all’uno e all’altro. «Rimpiango amaramente il giorno in cui il sesto Hokage se n’è andato!» sibilò stizzito.
Akeru fissò torvo Naruto. «Perché non posso saperlo?» brontolò cupo.
Naruto sbuffò e roteò gli occhi. Non poteva certo spiegargli gentilmente che l’ufficio era controllato. E se gli avesse detto ‘vieni un istante, facciamoci un giro’, avrebbe corso il rischio di insospettire chiunque li spiasse. Purtroppo per Stupido, questa volta avrebbe fatto bene a mollare l’osso o a cercarlo altrove.
«Top secret» sillabò Naruto, come se avesse a che fare con un minorato mentale. «Sai cosa vuol dire?»
«E allora al diavolo questa cazzo di missione!» esclamò Baka arrossendo rabbioso. «Che si arrangi!»
«Non è così che la conquisterai, Stupido!» gli gridò dietro Naruto, sospirando esasperato. Mentre la porta dell’ufficio sbatteva contro lo stipite lui si lasciò cadere sulla sedia dietro la montagna di carta depositata da Koichi, che colse la palla al balzo e gli piazzò sotto il naso i primi fogli. Naruto li prese distrattamente, chiedendosi che fine avesse fatto Sakura, e subito si rese conto che era troppo nervoso per leggere.
Perché nessuno riusciva a capire chi teneva sotto controllo l’ufficio?
E perché Stupido era così maledettamente stupido?

Una volta fuori dal palazzo dell’Hokage Akeru non pensò nemmeno lontanamente a sbollire la rabbia. Sì, Chiharu lo aveva scaricato senza mezzi termini. Sì, lui si era ripromesso di ignorarla da quel momento in avanti. Sì, ci era riuscito piuttosto egregiamente, a parte la leggera ricaduta al momento della partenza. Ma no, non sarebbe rimasto impassibile se le fosse successo qualcosa. Per quanto stronza, insensibile e disumana fosse Chiharu Nara, certi sentimenti non si cancellano dalla sera alla mattina. Certi sentimenti, malgrado tutto, durano. E quando ci pensava Akeru non poteva fare a meno di trovarsi Stupido come tutti dicevano.
Decise che non aveva voglia di sorbirsi le occhiate inquiete di chi lo incrociava per strada. Procedeva a passo marziale, probabilmente rosso in viso e con qualche vena in rilievo, e a mente lucida avrebbe pensato anche lui di fare una certa impressione. Ma in quel momento era troppo nervoso per pensare a mente lucida e optò per una via traversa. Balzò su un balcone e da lì a un tetto. Avrebbe raggiunto la foresta per un’altra strada, e forse il vento che soffiava al di sopra di Konoha gli avrebbe schiarito le idee.
Perché non riusciva a chiudere il capitolo che riguardava Chiharu? Non doveva essere tanto difficile. Aveva avuto altre ragazze, prima: ci si era divertito, le aveva portate dietro ai cespugli del parco e le aveva baciate, le aveva accarezzate, le aveva fatte ridere. Era bravissimo a farle ridere. Ma non aveva mai fatto l’amore con nessuna di loro, perché nessuna di loro era quella giusta.
Solo che probabilmente quella giusta non sarebbe mai stata giusta per lui.
Chiharu non sarebbe mai stata giusta per lui.
Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli furiosamente, e si accorse di essere arrivato alle ultime case di Konoha. Balzò a terra senza rallentare, accogliendo con gioia il bruciore dell’ossigeno nei polmoni. Tirato un profondo sospiro di sollievo si addentrò tra le ombre degli alberi, in quel piccolo tratto di foresta compreso ancora tra le mura.
Azzerò ogni rumore. Niente più respiro affannoso, niente fruscii di foglie sotto i sandali, niente giunture che scricchiolano o stoffa che sfrega. Invisibile, tra le ombre, avanzava cauto con i muscoli tesi e i movimenti innaturalmente lenti. Gli avevano insegnato che quello era il miglior modo per distendere la mente: concentrarsi sulle fibre del corpo, sentire ogni tendine, ogni millimetro di pelle, ogni goccia di sangue, e controllarli. Immergersi dentro la propria corporeità al punto da escludere qualunque pensiero. Gli piaceva quell’esercizio, gli piaceva ancora di più tra le ombre della foresta, dove le foglie lo circondavano e ridevano dei suoi tentativi di non sfiorarle. Ne usciva stanco nel corpo ma disteso nella mente, e quando tornava a casa riusciva ad essere di buonumore per almeno due giorni, se non incontrava nessun membro del gruppo sette o Jin Hatake.
Oggi era stato più difficile del solito. Aveva faticato a trovare la giusta concentrazione; aveva dovuto provare quasi mezzora prima di raggiungere lo stato mentale corretto, ma quando ci era riuscito aveva sentito gli addominali distendersi e assecondare l’andamento del diaframma. Camminava nel sottobosco senza seguire sentieri, schivava radici, foglie secche e rami con movimenti armoniosi. Si piegava al di sotto delle fronde più basse, costeggiava i cespugli senza sfiorarli, passava accanto a file di formiche al lavoro e quelle nemmeno sembravano vederlo.
Un mormorio diverso dalla brezza.
Si immobilizzò all’improvviso, i sensi all’erta.
Fruscio.
Sussurro.
Il cuore accelerò leggermente nel suo petto. Akeru lo costrinse a rallentare prima di riprendere il cammino. L’esercizio era finito. I suoi occhi guizzavano da un lato all’altro della foresta densa di ombre.
Sussurro.
Abbassò il ritmo del respiro mentre si acquattava dietro i cespugli. Aveva sentito una voce, ne era sicuro: poco più di un fievole mormorio, il rantolo di un moribondo con i polmoni vuoti d’aria, ma c’era. All’interno di Konoha. Quella consapevolezza improvvisa gli strinse lo stomaco. Gli abitanti del villaggio non sussurravano come cospiratori nel loro territorio. Chi aveva penetrato le mura? Chi era riuscito a passare, chi li minacciava? E se l’intruso lo avesse ucciso? Se lo avesse scoperto e lo avesse ammazzato, lì, in quel momento, per impedirgli di avvisare qualcuno?
Allora l’ultimo ricordo di Chiharu su di loro sarebbe stato quello della sua patetica confessione.
Bel lavoro Akeru. Il tuo esercizio per il rilassamento ha funzionato come una ruota quadrata.
L’attimo di distrazione gli impedì di accorgersi della foglia che scricchiolò impercettibilmente sotto il suo piede. Andò avanti comunque, aguzzando l’udito alla ricerca del fruscio che lo aveva attirato. Doveva essere lì, doveva esserci ancora, anche se si era zittito, anche se...
Scattò dietro un tronco e premette la schiena contro la corteccia. Il cuore gli fece un balzo nel petto quando vide una sagoma umana tra due alberi. La spiò da sopra la spalla, trattenendo il fiato, ma gli bastò meno di un’occhiata per riconoscere quei capelli: lisci, ordinati, lunghi quel tanto che bastava per non coprire il collo, di un biondo così chiaro da ferire la vista.
Perché Yoshi era lì? E con chi parlava?
Senza fare rumore Akeru sfilò dalla tasca lo specchietto di ordinanza. Si rintanò meglio dietro l’albero e lo sollevò, orientandolo in modo da mettere bene a fuoco Yoshi. Lo mosse a destra e a sinistra, persino in alto, ma non vide nessun altro con lui. Sentì la sua voce che borbottava qualcosa, ma nessuna risposta. Un altro mormorio, uno schiocco di lingua, e poi una fiammata si sollevò verso l’alto rischiando di appiccare il fuoco alle prime foglie.
«No, no, no!» gridò Yoshi, saltellando per spegnere le braci sulle punte dei rami.
Una foglia secca si carbonizzò in una vampata, dando fuoco al rametto sovrastante.
«Acqua! Acqua!» sibilò Yoshi, correndo con le mani alla borraccia, ma si incastrò con il tappo e le fiamme si allargarono ai primi rami dell’albero più vicino.
Akeru avvertì una contrazione allo stomaco. Non ci credo. Sta per dare fuoco alla foresta?
Ora, perché le cose fossero ben chiare: lui detestava Yoshi anche più di Hitoshi e Kotaro. Lo aveva odiato dal primo istante in cui aveva posato gli occhi sui suoi stupidi capelli da pulcino e aveva chiuso il suo fascicolo quando lo aveva visto in giro per Konoha con Chiharu. Non che credesse a una loro improbabile storia, naturalmente. Chiharu era troppo... troppo, per uno che se ne andava in giro con la testa come un limone. Ma lo indispettiva saperli tanto vicini, e soprattutto sapere che Chiharu riservava a lui il tempo e le gentilezze che Akeru avrebbe voluto per sé. Per queste ragioni e per mille altre, radicate nella sua natura antipatica e nel lato infantile che non avrebbe mai debellato, avrebbe volentieri girato le spalle alla foresta in fiamme e puntato il dito contro Yoshi al momento giusto. Sfortunatamente il gene dell’eroe-a-tutti-i-costi si attivò in quel preciso istante, vagheggiando di riconoscimenti e ringraziamenti improbabili, e, contro la sua stessa volontà, lo spinse a mostrarsi nella maniera più spettacolare.
Un piccolo drago d’acqua si abbatté sulle querce che iniziavano a crepitare, infrangendosi sul sottobosco e addosso a Yoshi. Il ragazzo lanciò un’imprecazione, voltandosi di scatto, e quando vide Akeru che lo fissava sbuffò, tirando indietro i capelli appiccicati alla fronte.
«Grazie» mormorò tra l’amareggiato e il riconoscente.
«Cosa stavi cercando di fare?» indagò Akeru, scandagliando l’area circostante alla ricerca di intrusi nascosti.
«Provavo una tecnica» Yoshi si strinse nelle spalle con leggero imbarazzo. «Lo so che è patetico da dire a un Anbu, ma è così. Non ho ancora un diploma, io.»
«Sei solo?» lo zittì Akeru piantando gli occhi chiarissimi nei suoi.
«Come?»
«Ti ho chiesto se sei solo.»
Yoshi gli scoccò un’occhiata confusa. «Veramente pensavo di organizzare uno spettacolo e far pagare il biglietto a chiunque volesse ammirare i miei insuccessi. Mi devi quindici ryo.»
Akeru non spostò lo sguardo. Yoshi distolse il suo massaggiandosi un braccio.
«Senti, ehm» mormorò a disagio. «Grazie, va bene. Ma se continuerai a fissarmi in quel modo finirò per pensare che tu abbia... Insomma, non vorrai un ringraziamento più... Girano certe voci sugli Anbu...»
Akeru arrossì. «Le voci che girano sugli Anbu sono stronzate» puntualizzò. «E tu trova un altro posto in cui allenarti: la foresta non è il massimo per provare le tecniche di fuoco.»
«Sì, chiedo scusa» annuì Yoshi nascondendo la propria espressione in un inchino.
Akeru gli voltò le spalle stizzito. «Torna al villaggio, sei bagnato come un pulcino» gli ordinò, calcando leggermente l’ultima parola. Balzò via prima ancora che Yoshi potesse cogliere l’ironia.
Se aveva parlato poco era solo perché in realtà stava pensando tanto: forse Yoshi aveva davvero fatto un pasticcio ed era soltanto un deficiente. Ma forse non era così deficiente da dar fuoco alla foresta. E, in questo caso non c’era alcun forse, lui di voci che sussurravano ne aveva sentite due.


*


Le stanze di Gaara erano straordinariamente sobrie, nonostante fossero abitate da tanti anni. Se la personalità dell’ultimo Kazekage si era insinuata in qualche modo tra quelle mura lo aveva fatto come sabbia ed era andata a infilarsi in angoli invisibili. Mobili e soprammobili erano neutri, di classe ma evidentemente datati. Probabilmente Gaara non aveva mai pensato a sciocchezze come l’arredamento, e, più tardi, aveva lasciato tutto in mano ai suoi assistenti, Loria inclusa. Forse era a causa della spia che da sei anni fingeva di occuparsi della casa che il salotto aveva un che di affettato.
Era stata Temari a preparare il tè. Loria si era offerta di servirlo a tutti quanti, ma lei le aveva lanciato un’occhiata di intensità tale da incrinare per un attimo la sua maschera.
«So dove sono le tazze» aveva sibilato irritata, e la segretaria aveva fatto marcia indietro in tutta fretta sotto le occhiate ironicamente compassionevoli di Chiharu e quella inafferrabile di Gaara. Non appena Loria era uscita Temari aveva guardato il fratello e gli aveva sorriso con aria di intesa. Lui non aveva risposto solo perché da sei anni era abituato a nascondere ogni reazione spontanea, ma anche Chiharu aveva capito che l’atmosfera si era notevolmente distesa.
In quel momento erano seduti attorno a un piattino di dolci del luogo e si godevano un istante di silenzio mentre Temari versava il tè.
«Ho saputo che non sei ancora Jonin» iniziò Gaara guardando Chiharu.
Lei fece una smorfia. «La prossima mossa è chiedermi come sta il cuore?» si lamentò tuffando un biscotto nella tazza.
«Sono constatazioni» le fece notare Temari. «Ciò che tu ti ostini a non considerare.»
«Hai ragione. Che sciocca. Come ho potuto non accorgermi del tunnel bianco davanti ai miei occhi? Oh, vedo una luce. Dovrò seguirla?»
«Ehi» Temari la fulminò con lo sguardo. «Cinque anni fa hai fatto l’arrogante e per poco non mi sei morta in braccio. Fammi il favore di ricordartene, prima di scherzare.»
Chiharu sbuffò e nascose il rossore nel vapore del tè che saliva. Aveva la terribile impressione che quell’incontro si sarebbe trasformato in una tortura.
«Kankuro?» chiese Temari.
«Credo stia arrivando» rispose Gaara con una tranquillità un po’ forzata. «Ha una donna... una cosa seria, a suo dire. Forse sta perd...»
«Scusate il ritardo!»
La porta si aprì sulle sue parole e Kankuro entrò con il fiatone e un sorriso radioso. «Sono imperdonabile, lo so, ma imploro la vostra clemenza!» esclamò gioviale. Con una risatina andò ad accomodarsi sull’ultima sedia, davanti alla quarta tazza ancora vuota. «I dolcetti al cocco! Li adoro.»
«Un’entrata di un’eleganza spaventosa» commentò Temari.
«Quello cool è lui» ribatté Kankuro additando Gaara.
I fratelli si scambiarono uno sguardo lungo meno di un frammento di secondo.
«Sei un idiota» mormorò Gaara in tono disteso. Occhiata interrogativa.
«Sono il tuo esempio» rispose Kankuro allegro. Rapida conferma con il capo.
Temari sbuffò, tradendo un guizzo nervoso, e versò il tè nella tazza del nuovo arrivato. «Kankuro, dicci di questa donna e falla finita. Muori dalla voglia di parlarne, no?»
Chiharu trattenne segretamente il fiato, la tazza premuta contro le labbra. Aveva colto lo scambio di sguardi, aveva capito che anche Kankuro era a conoscenza del piano, e ora sapeva che la spia li stava tenendo d’occhio, da qualche parte. Il che significava che di lavoro avrebbero parlato altrove.
Vedeva già i minuscoli granelli della sabbia di Gaara che scivolavano inosservati attraverso gli interstizi della porta, diretti in un’altra ala del palazzo, e sperò che la donna di Kankuro fosse un argomento abbastanza ampio da tenerli impegnati per due giorni.
«Ah, la mia storia è non è poi così...» si schermì lo zio in quel preciso istante, con un’occhiata furba e falsamente modesta, quindi la fissò. «Perché invece non ci parli un po’ di te, nipotina cara?»
Chiharu soffocò un gemito.

La sabbia passata sotto le loro porte formò un messaggio breve e conciso sul pavimento della stanza. Hitoshi e Kotaro lessero e memorizzarono prima che perdesse forma e si dissipasse negli angoli; Rock Lee e Gai Maito, altrove, raccolsero i vestiti e si prepararono a uscire.
Dieci minuti dopo si trovarono tutti e quattro in un vicolo sul retro del palazzo. A loro una copia di Gaara spiegò il piano nei dettagli.


*


Akeru incontrò Naruto sulla via del ritorno, lontano dal palazzo dell’Hokage. Con una risata gli raccontò che Yoshi aveva quasi dato fuoco alla foresta, mentre Naruto lo scrutava stranito in attesa della sfuriata su Chiharu. Ma lui non fece alcuna scenata. Naruto per qualche secondo pensò di introdurre personalmente il discorso sulla missione a Suna, visto che non erano nell’ufficio sorvegliato, ma Akeru non gliene lasciò il tempo. Gli batté un’amichevole pacca sulla spalla, depositò un segno pressoché invisibile sulla sua tuta e si allontanò con espressione allegra.
Una volta a casa, Naruto staccò dalla stoffa la minuscola goccia di resina nera lasciatagli da Stupido. Era uno degli ultimi ritrovati di Konoha, estratta dallo stesso albero con cui creavano i fogli per riconoscere il chakra. Si trattava di una resina speciale che reagiva a seconda della stimolazione; di solito era utilizzata per custodire segreti, veniva modellata come inchiostro e poi sigillata con il chakra: non avrebbe svelato il suo mistero senza la chiave giusta, e la chiave era la stessa che l’aveva resa impenetrabile.
Akeru era l’unico della sua generazione ad aver sviluppato un chakra di tipo vento, anche se poi si era specializzato nell’arte medica. Quando Naruto lo aveva scoperto le sue speranze di allevare uno shinobi della sua specialità si erano miseramente infrante: tutti ma non lui. Già aveva poca pazienza con il gruppo sette, figurarsi con quella bomba a mano di Stupido. Si era sentito quasi sollevato quando il ragazzo aveva parlato di vocazione medica.
Eppure, per ironia della sorte, Baka era l’unico al villaggio con cui Naruto potesse scambiare messaggi con il metodo della resina, dopo Asuma: se un altro shinobi avesse cercato di sciogliere il sigillo la goccia avrebbe reagito come reagiva la carta ottenuta dalla cellulosa dell’albero, tagliandosi di netto, e avrebbe perso per sempre il suo messaggio. Ma quando Naruto la chiuse tra le mani e liberò un po’ di chakra, per lui la resina si modellò dolcemente sul palmo fino a formare una breve scritta. E quando lesse dei sospetti di Akeru, collegarli a quelli di Neji fu questione di un istante.









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E questa parte su Yoshi sembrerebbe rimasta...
Ma come si evolverà?

Devo dire che ha un che di divertente presentare una storia già nota.
Certe cose sembrano invariate e invece cambiano del tutto,
altre sono diversissime ma portano alle medesime conclusioni.

E' un altro modo per stupirvi, in fondo.
Spero di riuscirci fino alla fine!

  
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