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Autore: Emera96    17/10/2014    2 recensioni
Lui ama lei.
Lei ama lui.
Tutti lo sanno.
Tranne loro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un bacio a te sulla bocca, dopo tutti gli sguardi.





Lui.
Un giorno mi noterà.
Un giorno, nella cornice di una delle tante serate passate a guardarla, mentre legge sul cornicione della finestra, quel giorno, lei distoglierà lo sguardo da quelle pagine e mi vedrà.
Non un semplice sguardo, di sfuggita.
Quegli occhi castani, che alla luce del sole acquistano quegli sprazzi ambrati che la rendono ancora più bella, si fisserebbero su di me e noterebbero qualcosa di diverso, capace di catturarli.
Forse sembrerò patetico, o vigliacco. Ma mai, mai potrei sembrare innamorato di lei.
O forse se ne sono accorti tutti tranne lei. Forse.
Agli occhi di chi si sofferma a guardarla, lei non sarebbe bella.
Non vedrebbero gambe snelle, o un corpo affusolato.
Vedrebbero una ragazza che spesso passa inosservata e che preferisce stare sullo sfondo.
Per chiunque, lei è solo lei.
Ma per me, “solo lei” è già un motivo valido per aspettare.
Aspetto che il suo considerarmi un amico, il migliore, diventi il motivo che la fa sorridere.
E solo io so quanto sia bello quel sorriso, così illogicamente perfetto.
Quello che trasforma anni interi in minuti, che trasforma il tempo in qualcosa su cui ridere.
E che sarà mai? Aspetterò, solo un altro po’.
Vedo la luce della sua camera accendersi e, mentalmente, ringrazio l’idea di sua madre di non mettere tende alla finestra. Come ogni giorno, da anni ormai, sceglie con cura il libro da leggere, come se da quella scelta dipendesse la sua stessa vita.
E, conoscendola, so che è realmente così. Perché, mentre il resto del mondo i libri si limita a leggerli, lei cerca ogni volta di viverli. Solo io so che quando sfoglia quelle pagine una parte di lei rimane impressa sulla pagina, rendendola più vissuta.
Solo io, osservandola, mi sono accorto di quanto spesso possa arrivare a rileggere la stessa frase, quasi a volerla memorizzare; oppure, quante volte si trattiene dal piangere, per paura di rovinare la perfezione di quei mondi cartacei.
O quando, nei giorni allegri, le bastino una coperta e una cioccolata calda per stare bene.
Forse è anche per tutti questi motivi che sono sicuro di poter aspettare ancora un po’.
Forse.
 
Lei.
 
Un giorno riuscirà a dirmelo.
Smetterà di guardarmi, credendosi inosservato, e finalmente troverà il coraggio di dirmelo.
È in momenti come questo che vorrei davvero che tutto fosse come in uno dei libri che leggo.
Quando li leggo, quando entro in quelle realtà così lontane, il mondo reale e le sue complicazioni passano in secondo piano, e tutto diventa improvvisamente semplice.
Un biglietto, una lettera trovata per caso, una frase sussurrata all’orecchio con lentezza.
Nei libri il coraggio diventa la cosa più naturale del mondo, come se tenersi tutto dentro non fosse ammesso. Non per anni interi. Non così.
Ma come potrei dire che non amo i suoi sguardi?
Come posso non arrossire quando la mattina presto la luce inonda la camera svegliandomi, sapendo bene che se solo mi decidessi a mettere delle tende alla finestra avrei più ore di sonno?
Mi scopro a sorridere quando sento il suo sguardo che ispeziona ogni centimetro di pelle, ogni dettaglio perfettamente riconoscibile ai suoi occhi color del mare.
Quante volte, avrei voluto voltarmi e sorridergli, solo per sorprenderlo? Quante?
L’istinto mi bloccava, troppo affezionata a quello strano gioco per rinunciarci su due piedi.
Troppo abituata a darlo per scontato, sapendo che mi aspetterà.
Anche a costo di rimanere deluso, o solo. Come me.
Eppure potrebbe avere chiunque.
Dovrei essere cieca per non accorgermi delle occhiate che le ragazze gli riservano, maliziose, incapaci di aspettare. Ragazze che pagherebbero oro per uno solo dei suoi sguardi.
In questa attesa condivisa, in cui tutti sanno ma nessuno ha il coraggio di parlare, ogni giorno perdo un briciolo di speranza in più. Perdo un momento con lui, un ricordo, un gesto.
Ma più di tutto, perdo la forza di aspettarlo. E il coraggio per spezzare questo circolo vizioso.
La nostra è come una storia di cui tutti conoscono il finale, che tutti sembrano aver già letto, tranne io e lui, protagonisti e scrittori allo stesso tempo.
Perché se da una parte lasciamo che sia qualcuno a decidere per noi, dall’altra scriviamo questa triste storia che non sa concludersi, a cui nessuno osa mettere un punto, per la troppa paura.
Paura di perdere la sensazione dei suoi occhi che mi guardano, e mi rendono bella.
Che rendono il mio viso più adulto, le mie iridi spente più vitali, le mie gambe più magre.
Paura di non avere più con me quella storia tanto strana priva di un finale.
 
Lui.
 
Le luci si sono abbassate, riesco a distinguerla a malapena grazie al chiarore della sua abatjour.
Il telefono vibra, e sorrido, con naturalezza, vedendo il suo nome comparire sul display.
«Ti va di vederci alla finestra?» sento dire alla sua voce, vicina e lontana insieme.
«Dammi 5 minuti e arrivo.» replico io, già impaziente.
 
Questo è solo il secondo dei nostri innumerevoli giochetti, nato quasi per caso.
Una giornata piovosa, un pomeriggio da passare insieme programmato troppo tempo prima per poterci rinunciare. Complice il cattivo tempo e il fatto di essere vicini di casa, ci ritrovammo a sui rispettivi balconi, a parlare usando dei fogli sui quali scrivevamo cosa volevamo dirci.
Accendo rapido la luce esterna della terrazza, e, nello stesso istante, vedo la luce del balcone opposto illuminarsi di scatto, irrompendo nel buio, proiettando la sua figura.
 
Lei.
 
Prima che possa iniziare la conversazione con una delle sue battute patetiche, che, però, mi fanno tanto ridere,  alzo subito il primo foglio, preparato in precedenza.
 
“Non ti stanchi mai di guardarmi mentre leggo?”
 
Stefano è colto di sorpresa dalla mia prontezza. Vedo la sua espressione cambiare, farsi perplessa, e mi sento avvampare, al pensiero di come potrebbe evolversi la situazione.
Noto che scrive nervosamente, su un fogliaccio trovato per terra, senza rileggere.
“Forse dovresti guardarti più spesso. Non ti accorgi nemmeno di quello che sei. Dove tu vedi bruttezza io vedo bellezza. Ti vedi solo con gli occhi degli altri. E credimi, non dovresti. Scusa se ho cambiato discorso, ma ti perdi davvero una splendida ragazza. “
 
Vedo Stefano alzare deciso un nuovo foglio, scritto sul momento, che mi commuove.
 
“Non smetto di guardarti perché è bello farlo.”
 
Senza pensare alle conseguenze, prendo un foglio bianco, e scrivo con precisione “Ti amo”.
Sento l’aria mancarmi un momento prima di mostrarlo agli occhi di Stefano e, voltando il foglio sull’altro lato, scrivo un “Grazie” poco convinto, che mi fa salire le lacrime agli occhi.
Perché è facile imporre a qualcuno di essere coraggioso.
Ma non è mai facile esserlo in prima persona.
 
Lui
 
Non sarà più lo stesso, me lo sento.
E come potrebbe? Ho gettato via la maschera, mi sono esposto troppo.
Anni e anni di silenzi, di nascondigli così sicuri da essere ovvi, e poi? Sono esploso.
Non per la lunga storia, non per il silenzio che non finiva mai.
È stata lei ad accendere una scintilla che era sul punto di spegnersi.
Lei, che non capisce nemmeno perché faccio quel che faccio.
«Stefano, ma ci sei?» sento trillare la sua voce all’altro capo del telefono, dimenticandomi della chiamata che avevamo iniziato poco fa. Sento la sua voce, leggera, e mi ci perdo.
«Scusami, era caduta la linea.» cerco di difendermi.
«Potresti venire a casa mia? Non sto molto…» le sento dire, prima che un minuscolo singhiozzo le sfugga. Così impercettibile che nessuno lo avrebbe mai sentito. Tranne me.
«Sto arrivando.» rispondo repentino io, già pronto a correre per raggiungerla.
Non l’avevo mai sentita piangere. E non posso sopportarlo.
Scendo le scale a due a due, seguendo i miei piedi veloci senza esserne pienamente al comando.
So che mi porteranno da lei, e questo è abbastanza.
Una volta davanti alla porta di casa sua, mi accorgo che è aperta, le chiavi ancora inserite nella serratura. Come se qualcosa di estremamente urgente avesse fermato il tempo, e fosse riuscito a prevalere sulla mania del controllo della madre di Chiara.
«Ma che è successo?»
Mi basta una rapida occhiata al corpo scosso dai singhiozzi di Chiara per capire che, questa volta, i cocci non saranno facile da rimettere insieme. Oggi, qualcosa è stato rotto per sempre.
«Chiara, che è successo?» ripeto, mostrando una sicurezza che potrebbe aiutare entrambi.
Prima che possa rispondermi, prima ancora che possa accorgermene, sento le sue braccia stringersi al mio collo, con la dolcezza di una persona in caduta libera, accecata da un dolore troppo forte per avere un controllo. Sento il suo respiro farsi affrettato, i singhiozzi aumentare.
Sento la sua vita nelle mie mani.
Vorrei spezzare l’incontro dei nostri corpi, vicinissimi, per poterla guardare negli occhi, per capire tutto senza dover parlare davvero. Ma so che non posso. Che io adesso non conto.
«Non andare via, ti prego.» le sento dire.
«Resterò qui finché lo vorrai.» le rispondo pianissimo, per paura di mandarla in mille pezzi.
Il tempo scorre senza che noi facciamo niente per fermarlo. I secondi diventano minuti e, nel frattempo, il suo respiro si calma, stabilizzandosi, così come i battiti lievi del suo cuore.
Districo i suoi capelli con delicatezza, affondando le mie mani in quel groviglio di capelli castani, formando e sciogliendo minuscoli nodi, mentre, con l’altra mano, le asciugo le lacrime.
Ci ritroviamo seduti sul divano, il suo volto paffuto che preme contro il mio petto, troppo impaurita per restarmi lontana.
«Non devi dirmi per forza cosa è successo, se non te la senti.»
«Ne ho bisogno, rischio di scoppiare se non lo faccio.»
La sua mano cerca la mia, sento il calore delle sue dita nelle mie.
«Stefano, è morto mio padre.»
 
Lei
 
«Stefano, è morto mio padre.
Dirlo mi fa capire che è successo davvero, che non si tratta solo di un incubo.
Vedo Stefano guardarmi, aspettando invano di trovare le parole giuste da dirmi, consapevole che nemmeno il discorso meglio organizzato e sentito potrebbe cambiare le cose.
«Non saranno le belle frasi ad aiutarmi.» chiarisco subito, per aiutarlo.
«Non so cosa dire.» mi risponde, ostentando sicurezza.
«Non devi essere forte per me. Ho solo bisogno di sapere che tu ci sei.»
Stefano aspetta, mi guarda, senza forzarmi, ma incitandomi tacitamente a parlare.
«È successo tutto nel giro di qualche minuto. Né io né mia madre eravamo presenti, quando è successo.» inizio io, sentendo gli occhi offuscati da una tristezza che non so vincere.
«Com’è successo? Insomma, come…?» cerca di chiedermi Stefano, in punta di piedi.
«Infarto. Stava tornando a casa, si era fermato a prendere dei fiori per mia mamma, perché oggi è il loro anniversario. Voleva  solo farle una sorpresa. Ci tiene…ci teneva tanto a queste cose.»
«Mi dispiace così tanto. Vorrei solo poterti aiutare.» ammette Stefano, lo sguardo basso.
«In effetti, c’è qualcosa che potresti fare.»
«E cosa?» replica lui, incuriosito dalla mia proposta.
Senza rispondergli, faccio cenno a Stefano di alzarsi dal divano e, prendendolo per mano, lo accompagno nella mia camera.
Non mi importa se rischio tutto.
Non mi importa se potrei perderlo del tutto.
Apro la porta con lentezza, e raccolgo da terra un foglio bianco, scritto da ambo i lati, accartocciato. In risposta allo sguardo interrogativo di Stefano, apro con gentilezza quel foglio che, solo ieri, mostravo fiera alla finestra.
«Che c’è scritto?» chiedo.
«C’è scritto grazie. Non è il foglio di ieri sera?»
«Forse dovresti girarlo.» rispondo impaurita.
«Che c’è scritto?» chiedo, consapevole della risposta.
«Ti amo.» ribatte, gli occhi che sorridono di malinconia.
In tutta risposta, prima che possa pensarci, mi avvicino con un passo a lui.
Mi alzo sulla punta dei piedi, per raggiungerlo, e lo bacio, come avrei dovuto fare molti anni prima.
 
 
Lui
 
Rabbia.
Sollievo.
Amore? Sì, amore.
Quando dischiudo le mie labbra, staccandomi dal suo sorriso luminoso giusto il tempo di riprendere aria, mi avvicino con dolcezza al suo orecchio.
Col cuore leggero, finalmente, le sussurro:
«Non sai da quanto tempo avrei voluto dirtelo.»
«La cosa è reciproca. Dillo, dillo ancora.»
«Ti amo, Chiara. Da sempre.»
«Ti amo anch’io, da sempre.»
Penso di non aver mai sentito niente di più bello.
 
Lei
 
(Sei anni dopo)
 
Il sole splende e una delle sue scie di luce entra da uno spiraglio della finestra, svegliandomi con calore nonostante l’orario. «Ma perché non ti decidi a mettere delle tende?»
Mi sembra quasi di sentire la voce di mio padre.
Se solo avesse saputo perché avevo deciso di toglierle, probabilmente sorriderebbe.
A volte la sua mancanza è più forte del solito: come se una mano gelida, in quei momenti, si facesse spazio nel mio petto, fino ad arrivare al mio cuore che, tra i battiti, verrebbe stretto da quelle forza insensibile.
Mi manca. In ogni momento, mi manca.
Mi manca, e vorrei che vedesse quanto Stefano mi rende felice.
Vorrei che mi vedesse quando mi faccio bella per lui, anche se a lui piaccio anche in pigiama.
Vorrei solo che sapesse che è anche merito suo, se ho avuto il coraggio di amarlo senza nascondermi.
 
Lui
 
E se stessi commettendo un errore enorme?
Se lei non lo volesse davvero? Forse ho esagerato.
«Tanto ormai l’anello lo hai comprato, coglione.» mi ripeto.
Ormai non si torna indietro. Ormai è tutto fatto.
Digito in fretta un messaggio prima di avere il tempo di riflettere.
«Ti va di vederci alla finestra?»
 
Lei
 
«Esci in terrazza, è urgente.»
Il secondo messaggio di Stefano mi incuriosisce.
Dubbiosa, spalanco la finestra, sentendo la brezza primaverile investirmi il viso con dolcezza.
Prima che possa scrivere uno dei miei fogli, chiedendo spiegazioni, Stefano ne alza uno, deciso.
«Hai impegni?»
Mi guarda malizioso, lo sguardo di chi ha un asso ancora da giocare.
«Per quando? Non ti capisco.» scrivo su un cartoncino trovato per caso, mostrandolo bene.
«Per il resto della tua vita, tesoro.»
 
Succede tutto in una manciata di attimi.
I pochi metri che ci separano si annullano quando Stefano, nonostante il tremore evidente delle gambe, si inginocchia con lentezza nel suo balcone, guardandomi alla finestra.
Gli occhi verdi sorridono, ricolmi d’amore.
Le lacrime mi offuscano la vista, ma non abbastanza da non notare un minuscolo bagliore luminoso farsi spazio tra le mani di Stefano, proveniente da quello che so essere il mio anello.
Scrivo in pochi secondi quel che penso, inzuppando alcune lettere, ora illeggibili.
«Ti prego, scrivilo.»
Pochi secondi e sento il cielo così vicino da poterlo toccare con un dito.
«Amore, vuoi sposarmi?»
   
 
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