XIV.Say
my name
“Itachi”,
ti chiamava la mamma dolcemente la
mattina guardandoti col sorriso sulle labbra e
magari carezzandoti la testa, prima di
posarti una scodella di riso davanti ed invitarti a mangiare.
“Itachi”,
ripeteva
tuo padre scrutandoti con un’espressione indecifrabile da
dietro il giornale,
con una lieve intonazione nella voce che tradiva il suo orgoglio.
“Ah,
Itachi!”, esclamava
zia Uruchi smettendo di spazzare e regalandoti un piccolo sorriso, per
poi
tirare fuori i suoi cracker e augurarti una buona giornata.
“Itachi!”
gridava
forte e chiaro Shisui salutandoti con la mano da dov’era, per
poi venirti
incontro e cominciare a parlarti dell’ultima tecnica che
aveva imparato, della
corsa a rotta di collo che si era fatto per arrivare in tempo
all’Accademia e
delle grida furiose di sua madre che risuonavano ancora nella sua testa
minacciose.
“Itachi”,
bisbigliavano
le bambine guardandoti ammirate, sognando di poterti avvicinare per
chiederti
di mangiare insieme.
“Itachi”,
ti
nominavano con invidia i bambini, gettandoti occhiate diffidenti,
sguardi
sprezzanti.
“Itachi!”
scandiva bene il maestro, prima di congratularsi
soddisfatto con te ed
invitarti a risiederti in mezzo ai tuoi compagni.
“Itachi”
sussurravano gettando rapide occhiate i genitori che venivano a
prendere i loro
figli dall’Accademia, che di te sicuramente avevano sentito
parlare e che nutrivano
nei tuoi confronti una certa simpatia o una malcelata diffidenza a
seconda di ciò
che i figli raccontavano loro.
“Itachi”,
ti
salutavano i membri del Clan con rispetto o con una punta di invidia
sulla via
verso casa, voltati a guardare il genio degli Uchiha passare.
Eppure a
ciascuna
di quelle voci mancava qualcosa, una vibrazione,
un’intonazione, un suono
caratterizzante, confortante, infantile, ricco, ingenuo, una nota a
volte
entusiasta, a volte dispiaciuta, a volte irritata, a volte imbarazzata,
troppe
volte ammirata.
Era un piccolo
miracolo, quello che succedeva puntualmente quando arrivava sulla
soglia della
porta.
Anche se avevi
tante
sfaccettature, anche se la tua identità di Itachi era messa
in dubbio e perdeva
i suoi confini definiti e nell’arco della giornata era
faticoso non perderti in
te, quel semplice e chiaro
“Nii-san!”
bastava per farti ritrovare il vero Itachi,
la vera ragione per cui esistevi.
E tu gli
rispondevi felice: “Sono a casa.”
Note:
Mi sento
abbastanza… svuotata. Ho finito.
Ho finito anche
se
su questi due non si può mai finire di pensare,
poiché sono infiniti qua dentro
*punta il dito verso il suo cuore*
Vorrei
ringraziare
tutti coloro che mi hanno seguita fin qui, che hanno recensito
(soprattutto una certa persona) con
pazienza, che
hanno persino preferito, ma anche coloro che sono andati via.
Grazie per
avermi
dato la possibilità di esprimere le mie idee liberamente, di
dare sfogo alla
mia fantasia da accanita fan girl e di condividerle qui.
Un abbraccio
forte,
Dia
P.S.: Viva gli Uchiha Brothers!
(chissà se si capisce
ciò che intendo XD)