CAPITOLO VENTISEIESIMO: LOTTANDO INSIEME.
A Tirinto l’assedio era in pieno svolgimento. Approfittando
del cedimento della barriera di Ercole, il cui cosmo era stato risucchiato da
Zefiro, Vento dell’Ovest, gli Shadow Heroes, Eolo, Iris e i quattro Kouroi
avevano ripreso ad attaccare con maggior vigore, facendo crollare il Ponte e
puntando sul Portone Principale, verso il quale stavano convergendo tutta la
loro potenza d’attacco, contrastati, dalla corte interna della città, dagli
Heroes riunitisi assieme, guidati da Marcantonio dello Specchio.
Al suo fianco vi erano gli Heroes della
Seconda Legione, da lui comandata: Polifemo del Ciclope, Neottolemo del
Vascello, Aiace del Gladiatore, Crisore di Procuste, Tersite della Mongolfiera,
Odysseus di Ecatonchirus e Temistocle del Pentagono, sostenuti anche da Teseo
del Camaleonte e dai tre Heroes della Quinta Legione che Neottolemo aveva
salvato dalla devastazione di Tebe: Circe della Mandragola, Morfeus del
Papavero e Paride della Rosa. E fu proprio Paride, intento ad unire il cosmo a
quello dei compagni, ad accorgersi che Xenodicea della Ciliegia, la
donna che avevano condotto a Tirinto, affinché fosse processata per il
tradimento perpetuato ai danni dei compagni, stava riprendendo i sensi.
La donna scosse la testa, guardandosi
attorno con sorpresa, per capire dove si trovasse. Sentì rumori assordanti
provenire da poco distante, mentre cosmi di enorme vastità si scontravano l’un
l’altro nel cielo sopra di lei. Sollevò lo sguardo e riconobbe il vessillo di
Ercole sventolare sul pennone della torre più alta, ove Tiresia dell’Altare
aveva affrontato Zefiro poco prima, comprendendo di essere a Tirinto.
Immediatamente si sollevò, ancora incerta sul da farsi, ma prima che riuscisse
a ideare un piano venne raggiunta da Paride della Rosa, che le si
rivolse con aria altezzosa.
“Avevo detto a Morfeus che il suo
Papavero non avrebbe avuto effetto prolungato!” –Esclamò il giovane dai lunghi
capelli scuri, fissando la donna con sdegno e disprezzo.
“Evitami quello sguardo, Paride!” –Fu
la risposta di Xenodicea, rimessasi completamente in piedi.
“E in quale altro modo dovrei
guardarti? Non credi di meritare lo sdegno di Ercole e dei suoi Heroes per
l’atto di tradimento di cui ti sei macchiata, ribellandoti a lui e collaborando
con Partenope per massacrare i tuoi stessi compagni, gli Heroes miei fratelli,
amanti e cultori della bellezza della natura e dello splendore dei fiori?!”
–Replicò Paride, mentre una rosa blu compariva nella sua mano destra.
“Tu mi odi soltanto perché ho distrutto
le tue serre e le tue specie pregiate! Non ti importa niente dei tuoi compagni!
Sei soltanto un narcisista, fiero e tronfio della sua bellezza, che prova lo
stesso disprezzo per la battaglia che io ho mostrato per i tuoi compagni!”
“Forse!” –Rispose Paride, scagliandole
contro la rosa blu, che Xenodicea colpì con un pugno, sfaldandola in mille
petali, prima di ritirare istintivamente la mano.
“Rilassati! In quella rosa non c’è
veleno!” –Commentò Paride, prima di bruciare il suo cosmo. –“Di ben altri
poteri il custode della Rosa Reale di Tirinto è dotato! Inginocchiati e chiedi
il perdono di Ercole, supplica la sua misericordia, o ti massacrerò io stesso,
qua, adesso! Ti infliggerò una pena così umiliante che preferiresti morire
piuttosto che sopportare tale vergogna!”
“Sei un bastardo!” –Gridò Xenodicea,
lanciandosi all’assalto, mentre Paride, per evitare i suoi affondi si spostava
indietro, portandosi al centro della corte e chiedendo a Circe e agli altri
Heroes di non interferire. Avrebbe regolato lui i conti con colei che aveva
osato tanto, distruggendo la sua piantagione di rose, le specie pregiate che
aveva importato dall’Oriente. –“Ciliegie oscure! Colpite!” –Gridò
Xenodicea, scagliando contro Paride un mucchio di piccole bombe di energia a
forma di ciliegia.
“Proprio non riesci a fare di meglio,
eh?!” –La derise Paride, balzando di lato e atterrando con le mani, prima di
scagliarsi di nuovo in alto, danzando all’interno della pioggia di ciliegie
esplosive che Xenodicea gli stava scagliando contro. –“In tal caso, giocherò
anch’io!” –Esclamò, lanciando nuovamente una rosa blu contro Xenodicea, che la
distrusse con le sue ciliegie di energia, senza accorgersi però che in quello
stesso momento il suolo sotto di lei aveva iniziato a tremare, anticipando
l’uscita di un mucchio di rovi dalle spine aguzze e selvagge, che si chiuse su
di lei bloccandole i movimenti. –“Rovi di Spine!” –Gridò Paride,
atterrando proprio di fronte alla donna e osservandola contorcersi all’interno
del groviglio di rovi, mentre le spine acuminate le ferivano il corpo,
tagliandole le vesti e stridendo sulla sua corazza.
“Non sei molto coperta, vero?!”
–Ironizzò Paride, alludendo alla scarsa protezione offerta dall’Armatura della
Ciliegia. –“Molto meglio! I Rovi di Spine dovranno faticare meno per
finirti!” –Commentò sadicamente, rimanendo ad osservare le ferite che si
aprivano continue sul corpo di Xenodicea, le cui veste lacere e macchiate di
sangue non erano più in grado di nascondere la morbida pelle del suo corpo.
“Perché mi stai torturando?!” –Gridò
Xenodicea, mentre i rovi cingevano il suo volto, quasi a ricreare una corona di
spine, strappandole i lunghi capelli. –“Godi così tanto nel vedermi soffrire e
perdere sangue?!”
“E tu non hai provato piacere quando
hai estirpato il mio giardino? Quando hai distrutto la pregiata coltivazione
delle mie rose, che con tanto amore avevo accudito in questi anni?!” –Ringhiò
Paride, il cui volto, per la prima volta, mutò i tratti, caricandosi di acceso
odio. –“Mi hai offeso, burlandoti di me, e questo non posso accettarlo! Perciò,
prima di ucciderti per il tuo tradimento, ti umilierò, realizzando la mia
vendetta!” –Affermò, stringendo la morsa di rovi contro il volto di Xenodicea.
La maschera che le copriva il viso andò
in frantumi, mentre le spine acuminate affondavano nella sua pelle, nutrendosi
del suo sangue, che colava sull’arido suolo della corte, di fronte al
soddisfatto, quasi divertito, sguardo di Paride, che poté finalmente guardarla
negli occhi. Xenodicea, imbarazzata, lo maledisse per la sua crudeltà,
incendiando il cosmo oscuro che covava nel cuore, umiliata nel peggior modo in
cui una donna che sceglieva di diventare Cavaliere avrebbe potuto essere.
“Avrei preferito che tu mi avessi
posseduto su un letto di spine!” –Commentò Xenodicea, fissando Paride con
disprezzo, mentre il suo cosmo violaceo si raccoglieva attorno a sé. –“Ma non
credere che la mia sconfitta ti renderà soddisfatto! Perché così non sarà! La
malvagità che hai dimostrato, che rasenta il sadismo puro della vendetta, non
si addice agli Eroi di Ercole, ed un uomo come te, che nient’altro ha a cuore
se non se stesso e la sua bellezza apparente, che a nessun’altro pensa, neppure
ai compagni caduti, ma solo al soddisfacimento del proprio ego, incontrerà presto
la collera celeste! La maledizione degli Dei tutti cada su di te e deturpi il
tuo viso!” –Gridò Xenodicea, prima di lasciar esplodere il suo cosmo, incapace
di sopportare l’umiliazione subita, incapace di continuare a reggere lo sguardo
di un uomo che l’aveva vista nuda nell’anima.
Circe della Mandragola accorse
immediatamente, dopo aver udito l’esplosione, sincerandosi delle condizioni del
suo compagno. Ma Paride sembrò non accorgersi di lui, rimasto assorto nei suoi
pensieri. La maledizione di Xenodicea sembrava aver raggiunto il suo cuore ed
egli, che aveva posto la bellezza del suo corpo al primo posto tra gli
obiettivi della sua vita, sentì per un momento l’affanno della vecchiaia, la
rovinosa discesa verso la fine. Si tastò il viso, immaginando di sentirlo
rugoso, ma lo trovò soltanto ruvido, come il suo cuore era sempre apparso agli
altri.
Circe incitò Paride a recuperare il
controllo su di sé e a correre al cancello per aiutare Marcantonio, quando una
nuova esplosione distolse l’attenzione dei due ragazzi, che si voltarono verso
la fortezza di Tirinto.
Nella piccola corte sul retro due cosmi
si stavano fronteggiando violentemente e Circe, nonostante non li conoscesse
approfonditamente, li riconobbe subito. Erano Euristeo del Reticulum e Leonida
della Spada.
“Rinuncia, Euristeo! Non hai visto la
fine che hanno fatto i tuoi compagni? Perché oltraggiare in questo modo l’uomo
che ti ha accolto alla sua mensa come un padre? Questa impertinenza è fuori
luogo!”
“Smettila di parlare di sentimenti che
non mi riguardano, Leonida! Io sono un brigante, lo sono sempre stato, la vita
mi ha reso così! Ed entrare a Tirinto ha soltanto placato il mio istinto
mercenario per un momento, finché i tesori e gli onori promessi da Era non lo
hanno risvegliato!” –Spiegò Euristeo, in piedi di fronte all’Hero della Spada.
“Tu credi di valere davvero così poco?”
–Domandò con voce seria e flemmatica Leonida. –“Hai così poca considerazione di
te? E così poca fiducia nel Dio che ti ha scelto come suo difensore, come suo
rappresentante presso gli uomini?!”
“Ercole mi ha insegnato molte cose e grazie a lui la mia
abilità in battaglia è aumentata! Adesso sarò io ad insegnare qualcosa a lui e
a te! Non fidarti mai di nessuno, poiché più lo farai più resterai scottato!”
–Esclamò Euristeo, espandendo il cosmo e sollevando il braccio destro.
“Soltanto un uomo che ha perso ogni
fiducia nella vita, a causa di una profonda delusione subita, può permettersi
un simile pessimismo, un simile atteggiamento di fatalistica rassegnazione!”
–Commentò Leonida, bruciando a sua volta il cosmo. –“Vorrei guarirti, Euristeo!
Mi piacerebbe davvero! Ma non mi lasci altra alternativa che condannarti a
morte!”
“Questo è da vedersi!!!” –Gridò
Euristeo, abbassando il braccio e creando un fitto reticolato di energia, che
si abbatté su Leonida, cadendo come fitta pioggia da ogni direzione. Ma l’Hero
della Spada non si scompose minimamente, lasciando partire un violento raggio
di luce dalla punta dell’indice destro, che trinciò a metà la gabbia di energia
che si stava chiudendo su di lui, raggiungendo Euristeo alla spalla sinistra,
facendolo accasciare dal dolore. –“Come.. come hai fatto? Hai evitato il mio
assalto, rimanendo immobile? E con un solo colpo sei riuscito a colpirmi?!”
“Non ho evitato il tuo attacco, per
quanto avrei potuto farlo poiché viaggiava ad una velocità inferiore a quella
con cui sono solito spostarmi! Ma l’ho annientato, colpendolo nel suo fulcro,
nel suo punto vitale!” –Spiegò Leonida, avvicinandosi a Euristeo, ancora
accasciato a terra, con il sangue che sgorgava copioso dalle sue ferite. –“Tu
credi che la direzione dei raggi energetici del tuo reticolo sia casuale! Ma
non è esatto! Esiste una maggioranza di raggi, i più pericolosi, che occupano
lo spazio centrale che ti separa dal tuo avversario, i raggi che hanno la
maggiore possibilità di raggiungerlo e ferirlo! Tali fasci di energia
possiedono un baricentro comune, attorno al quale sfrecciano, che è la distanza
ideale che separa te e il tuo nemico in linea retta! Perciò, è bastato generare
un raggio di energia dall’intensità sufficientemente potente per distruggere
tutti i fasci che gli roteavano attorno, lasciando che gli altri, più esterni,
si infrangessero sulla mia corazza, causandomi danni marginali!”
“Sei intelligente!” –Notò Euristeo,
prima di rialzarsi con foga e scagliare un violento attacco da vicino. –“Ma non
ti servirà per vincere!”
Ma Leonida lo anticipò, spostandosi di
lato e colpendolo, questa volta al cuore, con l’indice della sua mano destra,
prima di sprigionare un violento raggio di energia, sottile ma potente, in
grado di distruggere l’Armatura del Reticolo e di trapassare il suo corpo,
forandogli il cuore. Euristeo barcollò per qualche passo, toccandosi il petto
sanguinante, prima di accasciarsi al suolo e cadere giù lungo disteso, privo di
vita.
“Onore a te, Cavaliere! Hai combattuto
fino in fondo, incurante delle tue ferite!” –Commentò Leonida, rilassando
finalmente la sua posa e rivelando tutti i tagli che il suo corpo e la sua
Armatura avevano subito in quello scontro, le ferite che aveva nascosto tramite
il cosmo. Ma adesso, stanco per lo scontro, dovette rivelare la corazza
danneggiata in più punti e la pelle ferita, a tratti ustionata, sotto di essa.
–“Gli altri esterni mi hanno causato danni marginali!” –Mormorò tra sé,
ridacchiando, prima di crollare sulle ginocchia. L’ultima cosa che vive, prima
di perdere i sensi, fu la sagoma robusta di Dione del Toro, l’Hero che
aveva tentato di tradire Ercole ma alla fine non ne aveva avuto il coraggio,
torreggiare sopra di lui.
In quel momento gli Shadow Heroes
diressero un violento assalto contro il Portone Principale, sostenuti dai cosmi
di Eolo e Iris e dal Cosmo Divino di Era che impregnava e faceva ardere i cuori
dei Giganti di Pietra. All’interno della fortezza di Tirinto, gli Heroes
strinsero i denti, mettendo tutta la loro energia cosmica nel contrastare
l’assalto nemico. Ma quando tutto sembrò perduto, un nuovo sole parve sorgere
nel cielo, nonostante la giornata stesse volgendo al termine e già le prime
ombre si allungassero dal mare lontano. Un’improvvisa e ritrovata potenza sorse
nel cuore di Tirinto, generando un’immensa onda di luce che rinfrancò il cuore
dei suoi guerrieri e paralizzò, impaurendo, gli animi dei nemici annidati
all’esterno.
Un fulmine si schiantò sulla terrazza
panoramica della reggia e quando tutti sollevarono lo sguardo osservarono la
maestosa sagoma del Sommo Ercole in piedi sopra di loro. Splendido,
ricoperto dalla sua scintillante Glory, il Vindice dell’Onestà appariva
circondato dal suo cosmo dorato, avvolto in un cielo di fulmini e di potenza
che destava impressione nel cuore di chi lo osservava. La clava rifinita d’oro
lucente nella mano destra, lo sguardo fisso su Tirinto e sul male radunatosi
all’esterno, l’ammirazione per i propri Heroes, che avevano lottato, dannandosi
nel fango, per tutta quella lunga giornata che sembrava non volgere mai a
termine, la delusione per il tradimento di uomini che lui stesso aveva
contribuito a far crescere e a forgiare nel carattere, il rancore per Era e per
i suoi sicari. Ercole ruggì improvvisamente, con la possanza di un leone,
liberando il cosmo, ardente come le fiamme di una cometa.
Senza proferir parola, il Dio
dell’Onestà saltò in alto, balzando nel cielo sopra Tirinto ed Eolo e Iris
immediatamente sfrecciarono verso di lui, con i corpi avvolti dalle loro aure
cosmiche, ma bastò un semplice movimento della Clava del Dio per respingere
entrambi, travolgendoli con un’onda d’urto che li scaraventò lontano. Con un
balzo, Ercole atterrò sulle mura robuste della città, mentre tutto il cosmo
finora tenuto dentro, con il quale si era torturato in lunghe meditazioni,
invadeva la fortezza, traboccando dalle mura e paralizzando i muscoli degli
Heroes traditori, che mai avevano avvertito una tale vitalità nel cosmo del
loro Signore.
Con un veloce movimento della mano,
Ercole mosse la Clava, generando un’onda d’urto che distrusse Efestione di
Erakles e Lamia dell’Amazzone, annientando i loro corpi all’istante,
quasi fossero fatti di carta. Dinaste di Antinous, a tale visione, cercò
di scappare ma venne fermato dai poteri mentali del Dio, che lo trafissero
sotto forma di fulmini dorati, dilaniando il suo corpo e riducendolo a cenere.
Quindi il Dio posò lo sguardo su Ificle della Clava, che ruggiva furibondo e
impaurito, ai piedi delle mura di Tirinto, tremante di fronte a quello scontro
che tanto aveva cercato e che adesso avrebbe voluto evitare.
“Volevi confrontare la tua clava con la
mia, Ificle?! Ebbene, questo è il momento!” –Esclamò il Dio, balzando in alto e
gettandosi contro l’Hero traditore. Con un colpo secco di clava lo spinse
indietro, distruggendo l’arma del suo avversario, prima di rincarare la dose
sfondando un fianco dell’Hero della Clava, che si gettò a terra gemendo come un
disperato, supplicando Ercole di risparmiarlo.
“Un demone!!! Un demone si è impossessato del mio cuore!”
–Pianse vigliaccamente Ificle. Ma le lacrime non intenerirono il cuore di
Ercole, che quel giorno troppo aveva sofferto, anche a causa degli errori e dei
tradimenti che avevano avuto luogo all’interno delle sue Legioni e che egli,
pur non essendone in precedenza a conoscenza, aveva percepito grazie al suo
cosmo. Non aggiunse altro, scaraventando indietro Ificle, con un secco colpo di
Clava, che distrusse la sua corazza e spezzò il suo corpo, lasciandolo a terra
vinto, nella polvere e nel sangue di un traditore.
In quella, i Kouroi si gettarono su
Ercole, mentre Eolo ed Iris, per quanto indolenziti dall’assalto ricevuto, si
libravano in volo, per assistere allo spettacolo, quasi avessero di fronte un
gladiatore in un arena. Ma l’avanzare dei Giganti di Pietra venne interrotto
infine da un rumore acuto, uno squillare di trombe, proveniente dall’interno di
Tirinto. Il Portone del Cancello Principale si aprì improvvisamente, mentre le
Legioni di Heroes di Ercole marciavano all’esterno, guidate dal nobile Marcantonio
dello Specchio. Dietro di lui Penelope del Serpente, Teseo del Camaleonte,
Polifemo del Ciclope e tutti gli altri Heroes della Seconda Legione, pronti a
combattere e a morire a fianco del loro Signore.
La Nave di Argo si sollevò nell’aere
sopra Tirinto, mentre Neottolemo del Vascello reggeva il timone con
maestria, e i tre ragazzi che aveva salvato a Tebe, Paride della Rosa, Circe
della Mandragola e Morfeus del Papavero, si ergevano decisi sul ponte di
comando, pronti a riscattare il valore della Quinta Legione.
A tale vista, il Dio Eolo si
librò in aria, spalancando le immense ali della sua Veste Divina, mentre il
cosmo celeste che lo circondava dava vita a possenti correnti di aria che il
Dio diresse contro il Vascello Alato, colpendolo con la stessa intensità sia da
destra che da sinistra, al fine di spezzarlo in due. Ma Neottolemo, espandendo
il proprio cosmo, riuscì a resistere, aiutato anche dai tre Heroes della Quinta
Legione, che si sentivano legati a lui da un vincolo di riconoscenza, per
averli salvati, soprattutto Circe e Morfeus. Fu proprio l’Hero della Mandragola
a sporgersi a prua, concentrando il cosmo sulle dita delle mani e volgendole
verso il Dio, intento a generare quella violenta bufera.
“Pianto della Mandragola!”
–Gridò Circe, mentre gocce di energia si distaccavano dalle sue mani, cadendo
proprio nelle correnti di aria, senza risentire eccessivamente della loro
pressione, e scivolando all’interno di esse, dirette verso Eolo. –“Assaggia,
Dio del Vento, le proprietà venefiche della Mandragola, che gli alchimisti del
Medioevo tanto hanno esaltato e tanto hanno temuto!” –Esclamò Circe, in piedi
sulla prua della Nave di Argo, con le mani incrociate, rivolte avanti a sé.
Eolo cercò di scansare quella gocce di
energia, ma si accorse di non essere in grado di farlo, poiché quelle lacrime
sembravano seguire il flusso delle sue correnti d’aria, percorrendole
all’indietro, fino a schiantarsi contro il suo corpo e contro la sua Veste
Divina, generando delle piccole esplosioni. Per quanto una singola goccia
avesse una portata d’attacco limitata, la pioggia continua a cui Eolo era
sottoposto iniziava ad infastidire considerevolmente il Dio del Vento, che dovette
espandere ulteriormente il suo cosmo, per generare una corrente d’aria fredda
capace di congelare le gocce di cosmo e frantumarle.
“Chi praticava le arti oscure faceva
una brutta fine, non ricordi, ragazzo?!” –Tuonò il Dio, aumentando l’impeto
delle sue correnti d’aria, fino a scuotere il Vascello Volante, sbalzando Circe
al di fuori di esso. Con abilità e fortuna, l’Hero della Mandragola riuscì ad
afferrare una fune sporgente, rimanendo sospeso nel cielo percorso da violente
tempeste d’aria. Morfeus del Papavero si sporse per aiutarlo, mentre
Neottolemo cercava di raddrizzare la Nave, mantenendo una salda presa sul
timone.
A tale vista, Eolo puntò l’indice
contro l’Hero del Papavero, generando un vortice d’aria che si abbatté sulla
sua schiena, sbattendolo con forza contro il parapetto e mozzandogli il
respiro.
“Lascialo cadere!” –Esclamò il Dio,
avvicinandosi al Vascello Volante. –“O ti perderai nell’abisso insieme a lui!”
“Mai!” –Esclamò Morfeus, continuando a
sopportare il mulinello d’aria che Eolo gli stava dirigendo contro, al punto da
crivellargli la schiena, distruggendo la sua corazza e facendo schizzar via
sangue a fiotti. –“Non lascerei mai un compagno! Soprattutto se è un amico!”
–Confessò Morfeus, mentre lacrime rigavano il suo volto, venendo disperse
nell’aria dalla violenta tempesta. –“Già una volta ho dovuto abbandonare il mio
Comandante, e forse anche altri compagni che hanno continuato a lottare anche
per noi! Ma adesso non lo farò! No! Puoi uccidermi se vuoi, sollevarmi in aria
con le tue correnti e sbattermi a terra! Ma continuerò a rialzarmi finché avrò
anche solo una goccia di forza, che mi sia sufficiente per tendere una mano
verso un amico!”
Quale nobiltà d’animo! Rifletté
Eolo, continuando ad osservare gli sforzi di Morfeus, schiacciato dal suo
mulinello d’aria, boccheggiante, sanguinante, ma ancora con la mano tesa verso
il basso, cercando di afferrare quella di Circe, sballottato contro lo scafo.
Le stesse riflessioni accesero il cuore di Paride della Rosa, rimasto in disparte,
sul ponte di comando, ad osservare Morfeus e Circe che venivano abbattuti da
Eolo, senza muovere un dito in loro soccorso. Era sempre stato un solitario,
interessato più a se stesso che agli altri, al punto da venir etichettato come
narcisista, vanaglorioso ed egoista. Ed in effetti Paride era come lo
dipingevano, un amante della bellezza, un cultore del corpo perfetto, come le
statue di Fidia nell’età classica. Amava tutto ciò che in natura era bello, e
detestava ogni elemento che potesse rovinare l’armoniosa primavera di una
composizione, ricercando sempre, all’interno di uno scontro, l’effetto scenico,
che potesse rendere grazie alla sua bellezza. Che considerava unica, come
ognuna delle rose che amava coltivare. Come le rose che Xenodicea della Ciliegia
e Pericle dell’Abete avevano distrutto a Tebe.
Ma adesso è così che mi sento! Come
una rosa appassita! Come un fiore bello e regale ma che, senza la giusta terra,
e la giusta acqua, senza il giusto nutrimento, diventa soltanto un emblema
ideale, simbolo di una bellezza pura ed intangibile, ma incapace di trasmettere
qualcosa agli altri! Esclamò Paride, avvertendo un moto insolito nel suo
cuore, un sentimento difforme dal narcisismo che aveva provato fino ad allora.
Un sentimento diretto non verso se stesso, ma per la prima volta verso qualcun
altro. Sorrise per un momento, come un bambino che si affaccia al mondo,
realizzando che forse, nella vita, valeva davvero la pena di perdersi in gesti
caritatevoli nei confronti di qualcun altro. E, mentre lo pensava, allungò la
mano, per afferrare una gamba di Morfeus, che stava precipitando nel vuoto,
sospinto dalle violente correnti d’aria di Eolo.
“Paride!!!” –Esclamò Morfeus, quasi
sorpreso dall’avvertire il tocco della mano del compagno, che mai aveva percepito,
dato che, fino ad allora, Paride aveva rifiutato qualsiasi contatto fisico,
oltre che umano.
“Resisti, Morfeus!!!” –Gridò il
ragazzo, evocando lunghi rovi di spine che sorsero dal ponte della Nave di Argo
e si snodarono nell’aere, seguendo le correnti di Eolo, fino ad arrotolarsi
attorno al corpo di Morfeus, che, stanco per la pressione a cui era stato
sottoposto, stava per lasciarsi cadere. I rovi lo afferrarono per una gamba,
annodandosi attorno al polpaccio, avendo cura di non ferirlo con le loro spine
acuminate, e lo tirarono su, issandolo a bordo della Nave, assieme al compagno
Morfeus.
“Gra… grazie!” –Balbettò Circe,
cercando di rimettersi in piedi, preso un po’ alla sprovvista poiché, per
quanto fossero compagni di Legione, i suoi rapporti con Paride erano fino ad
allora rimasti piuttosto limitati e formali, ritenendo che il ragazzo fosse un
solitario, innamorato soltanto di se stesso e delle sue rose e poco amante
della compagnia. Forse, si disse, non sono andato troppo lontano
dalla verità! Ironizzò Circe, allungando una mano verso Paride, il quale,
seppur per un momento titubante e imbarazzato, ricambiò il gesto, stringendole
insieme.
“Hai visto, Eolo? Hai assistito, Dio del Vento, alla nobiltà
che muove questi ragazzi? Hai percepito, tramite il tuo cosmo possente e capace
di sentire sensazioni profonde, oltre che suoni lontani, l’affetto e la
riconoscenza che lega compagni della stessa legione, disposti a sacrificarsi e
a rischiare anche la vita per la salvezza di un amico?!” –Esclamò Neottolemo,
con voce possente, rivolgendosi al titubante Signore dei Venti che ancora
sostava nel cielo di fronte alla Nave di Argo, incapace di scagliare contro i
suoi avversari il colpo definitivo. –“Sono dunque questi i mostri che Ercole ha
covato in seno? È dunque questo il pericolo da cui il mondo deve difendersi e
che Era vorrebbe estirpare sul nascere? Generosità, affetto, amicizia, spirito
di sacrificio, purezza d’animo! È davvero così sbagliato e così distante dagli
Dei il mondo degli uomini?!”
Eolo non seppe cosa rispondere,
voltando il capo con amarezza, quasi sdegnato da parole a cui non sapeva
opporsi, o forse sdegnato dal suo comportamento succube alla Regina degli Dei,
che lo obbligava in prima persona in una guerra che non sentiva come propria. Neottolemo
del Vascello, approfittando di quel momento di disorientamento del Dio, sollevò
il braccio destro al cielo, puntando con l’indice la volta stellata, mentre
tutto attorno a sé si radunavano cumuli di nubi, sospinte da un vento impetuoso
e carico di energia cosmica.
“Ali del Mito!!!” –Tuonò,
dirigendo il suo attacco verso Eolo, a cui parve di vedere la maestosa sagoma
di un rapace imperiale piombare su di lui e travolgerlo, mentre il turbinoso
sbattimento d’ali lo scaraventava indietro, incrinando le ali della sua Veste
Divina, fino a schiantarlo a terra in malo modo. Rialzatosi a fatica, e
spuntando il sangue dal labbro spaccato, Eolo poté assistere all’ultimo assalto
congiunto delle Legioni di Ercole contro i Kouroi di Era. Sospirò un momento, di
fronte a tanto eroismo, di fronte a tanta generosa abnegazione, prima di
spalancare le ali della sua corazza e di volgere le spalle a Tirinto, a Ercole,
a Era, a tutta quella devastazione che non gli apparteneva. Spiccò in aria e
volò via, diretto verso la sua isola nel Mar Tirreno.
Ercole se ne accorse con la coda
dell’occhio, mentre evitava di essere schiacciato da un piede enorme di un
Kouroi, colpendolo con un secco colpo della sua Clava carica di energia
incandescente. La violenza dell’attacco spinse il Gigante di Pietra indietro,
facendolo gridare di rabbia, ma non fu sufficiente per distruggerlo, ancora
protetto dal Cosmo Divino di Era. Iris, la Dea dell’Arcobaleno, danzava
nel cielo sopra i Kouroi, scendendo spesso in picchiata per lanciare i suoi colorati
raggi di energia contro gli Heroes, trafiggendoli e gettandoli a terra
doloranti.
“Quella strega mi ha stufato!”
–Brontolò Polifemo del Ciclope, alla vista dei suoi compagni cadere a
terra, sotto i colpi di Iris, e concentrò il cosmo su entrambi i pugni chiusi,
aprendo il petto come per inspirare, prima di dirigerli contro la Messaggera
degli Dei, ancora in volo sopra di loro. –“Tuono di Eracle!!!”
Iris riuscì ad evitare di essere
travolta, per quanto l’onda d’urto generata la spinse un po’ indietro, ma,
convinta di essere in salvo, venne invece afferrata per una gamba da una
frusta, saldamente impugnata da Teseo del Camaleonte, che le sorrise
maliziosamente, prima di liberare una violenta scarica di energia dal color
argenteo. Iris accusò il colpo, sentendo il suo giovane corpo femminile
fremere, prima di liberarsi dalla presa con un violento strattone, con il quale
riuscì a togliere la frusta dalle mani di Teseo e a sbatterlo a terra, prima di
scendere su di lui.
“Ti riconosco, uomo! Avevi già osato
oltraggiarmi di fronte alle mura di Micene!” –Gridò la Dea, con rabbia. –“E
anche adesso, sfuggito per codardia alla morsa del mio arcobaleno, hai la
presunzione di volgermi i tuoi colpi contro! Tanta presunzione merita la
morte!” –Ed espanse il cosmo, mentre uno scintillante arcobaleno scivolava
addosso al suo sinuoso corpo, prima di impennarsi e puntare verso Teseo del
Camaleonte.
Ma l’assalto della Dea venne interrotto
dalle grida disperate di uno dei Giganti di Pietra, che iniziò a battersi il
petto con violenza, come fosse in preda ad un impeto di follia. Voltandosi
verso la creatura, ad Iris parve di vedere un normale ammasso di roccia che
emetteva suoni gutturali, privo ormai di qualsivoglia protezione divina.
Intimorita, Iris fece un passo indietro, mentre il corpo del Gigante di Pietra
esplodeva in mille frammenti ed un giovane moretto, con una spada in pugno,
balzava a terra, sorridendo ad Ercole, felice per il compimento della sua
impresa.
Nesso del Pesce Soldato venne accolto
con grida entusiaste da tutti i compagni superstiti, mentre la Lama degli
Spiriti, che il giovane stringeva in mano, risplendeva di una luce accesa,
essendo appena stata intinta nel Divino Cosmo di Era. Soltanto Penelope del
Serpente, unica tra tutti gli Heroes, sembrò notare un’ombra oscurare
l’animo di Nesso, facendo sbiancare la Sacerdotessa a tale visione. Dietro di
lui, in volo, arrivò la Prima Legione, guidata dall’affascinante Adone
dell’Uccello del Paradiso, seguito da Deianira del Lofoforo, da Antioco del
Quetzal, che aiutava l’amico Eumene della Mosca a volare, da Laomene della
Farfalla e da Ascalafo della Civetta. Iris strinse i pugni con rabbia, prima di
voltarsi verso il sole che stava ormai tramontando. L’assedio di Tirinto poteva
dirsi concluso ma la Regina dell’Olimpo non aveva affatto vinto.
Illustrazione
capitolo 26, by Nirti.
Xenodicea della
Ciliegia, by Nirti.
Paride della Rosa,
by Nirti.
Euristeo del
Reticolo, by Nirti.
Ercole, Vindice
dell’Onestà, by Nirti.