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Autore: Aledileo    20/10/2014    1 recensioni
Stufo del lusso e dell’oziosità dell’Olimpo, Ercole discende nuovamente sulla Terra, per camminare e vivere tra gli uomini, di cui si sente membro e protettore. Per questo rifonda la città di Tirinto, attirandovi giovani da tutto il Mediterraneo, per dare loro uno scopo per cui lottare e garantire un abbraccio di futuro. Per questo crea le legioni degli Heroes, aventi il compito di portare ovunque il suo messaggio di onestà e fratellanza.
Ma Era non ci sta ! La vendicativa Regina dell’Olimpo, che non ha ancora accettato la nascita del bastardo figlio di Zeus, trama per distruggere tutto ciò che Ercole ha costruito, ponendo fine al suo momento di felicità.
Primo capitolo della Trilogia degli Heroes, «Il tramonto degli eroi » è ambientato nel Diciottesimo Secolo, poco dopo la fine della Guerra Sacra tra Atena e Ade. Tutte le illustrazioni e i disegni del bravissimo Nirti sono disponibili sul sito di Shiryu, nelle sezioni fanart (Galleria di Marzio) e fanfic : www.icavalieridellozodiaco.net
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO VENTISEIESIMO: LOTTANDO INSIEME.

 

         A Tirinto l’assedio era in pieno svolgimento. Approfittando del cedimento della barriera di Ercole, il cui cosmo era stato risucchiato da Zefiro, Vento dell’Ovest, gli Shadow Heroes, Eolo, Iris e i quattro Kouroi avevano ripreso ad attaccare con maggior vigore, facendo crollare il Ponte e puntando sul Portone Principale, verso il quale stavano convergendo tutta la loro potenza d’attacco, contrastati, dalla corte interna della città, dagli Heroes riunitisi assieme, guidati da Marcantonio dello Specchio.

         Al suo fianco vi erano gli Heroes della Seconda Legione, da lui comandata: Polifemo del Ciclope, Neottolemo del Vascello, Aiace del Gladiatore, Crisore di Procuste, Tersite della Mongolfiera, Odysseus di Ecatonchirus e Temistocle del Pentagono, sostenuti anche da Teseo del Camaleonte e dai tre Heroes della Quinta Legione che Neottolemo aveva salvato dalla devastazione di Tebe: Circe della Mandragola, Morfeus del Papavero e Paride della Rosa. E fu proprio Paride, intento ad unire il cosmo a quello dei compagni, ad accorgersi che Xenodicea della Ciliegia, la donna che avevano condotto a Tirinto, affinché fosse processata per il tradimento perpetuato ai danni dei compagni, stava riprendendo i sensi.

         La donna scosse la testa, guardandosi attorno con sorpresa, per capire dove si trovasse. Sentì rumori assordanti provenire da poco distante, mentre cosmi di enorme vastità si scontravano l’un l’altro nel cielo sopra di lei. Sollevò lo sguardo e riconobbe il vessillo di Ercole sventolare sul pennone della torre più alta, ove Tiresia dell’Altare aveva affrontato Zefiro poco prima, comprendendo di essere a Tirinto. Immediatamente si sollevò, ancora incerta sul da farsi, ma prima che riuscisse a ideare un piano venne raggiunta da Paride della Rosa, che le si rivolse con aria altezzosa.

         “Avevo detto a Morfeus che il suo Papavero non avrebbe avuto effetto prolungato!” –Esclamò il giovane dai lunghi capelli scuri, fissando la donna con sdegno e disprezzo.

         “Evitami quello sguardo, Paride!” –Fu la risposta di Xenodicea, rimessasi completamente in piedi.

         “E in quale altro modo dovrei guardarti? Non credi di meritare lo sdegno di Ercole e dei suoi Heroes per l’atto di tradimento di cui ti sei macchiata, ribellandoti a lui e collaborando con Partenope per massacrare i tuoi stessi compagni, gli Heroes miei fratelli, amanti e cultori della bellezza della natura e dello splendore dei fiori?!” –Replicò Paride, mentre una rosa blu compariva nella sua mano destra.

         “Tu mi odi soltanto perché ho distrutto le tue serre e le tue specie pregiate! Non ti importa niente dei tuoi compagni! Sei soltanto un narcisista, fiero e tronfio della sua bellezza, che prova lo stesso disprezzo per la battaglia che io ho mostrato per i tuoi compagni!”

         “Forse!” –Rispose Paride, scagliandole contro la rosa blu, che Xenodicea colpì con un pugno, sfaldandola in mille petali, prima di ritirare istintivamente la mano.

         “Rilassati! In quella rosa non c’è veleno!” –Commentò Paride, prima di bruciare il suo cosmo. –“Di ben altri poteri il custode della Rosa Reale di Tirinto è dotato! Inginocchiati e chiedi il perdono di Ercole, supplica la sua misericordia, o ti massacrerò io stesso, qua, adesso! Ti infliggerò una pena così umiliante che preferiresti morire piuttosto che sopportare tale vergogna!”

         “Sei un bastardo!” –Gridò Xenodicea, lanciandosi all’assalto, mentre Paride, per evitare i suoi affondi si spostava indietro, portandosi al centro della corte e chiedendo a Circe e agli altri Heroes di non interferire. Avrebbe regolato lui i conti con colei che aveva osato tanto, distruggendo la sua piantagione di rose, le specie pregiate che aveva importato dall’Oriente. –“Ciliegie oscure! Colpite!” –Gridò Xenodicea, scagliando contro Paride un mucchio di piccole bombe di energia a forma di ciliegia.

         “Proprio non riesci a fare di meglio, eh?!” –La derise Paride, balzando di lato e atterrando con le mani, prima di scagliarsi di nuovo in alto, danzando all’interno della pioggia di ciliegie esplosive che Xenodicea gli stava scagliando contro. –“In tal caso, giocherò anch’io!” –Esclamò, lanciando nuovamente una rosa blu contro Xenodicea, che la distrusse con le sue ciliegie di energia, senza accorgersi però che in quello stesso momento il suolo sotto di lei aveva iniziato a tremare, anticipando l’uscita di un mucchio di rovi dalle spine aguzze e selvagge, che si chiuse su di lei bloccandole i movimenti. –“Rovi di Spine!” –Gridò Paride, atterrando proprio di fronte alla donna e osservandola contorcersi all’interno del groviglio di rovi, mentre le spine acuminate le ferivano il corpo, tagliandole le vesti e stridendo sulla sua corazza.

         “Non sei molto coperta, vero?!” –Ironizzò Paride, alludendo alla scarsa protezione offerta dall’Armatura della Ciliegia. –“Molto meglio! I Rovi di Spine dovranno faticare meno per finirti!” –Commentò sadicamente, rimanendo ad osservare le ferite che si aprivano continue sul corpo di Xenodicea, le cui veste lacere e macchiate di sangue non erano più in grado di nascondere la morbida pelle del suo corpo.

         “Perché mi stai torturando?!” –Gridò Xenodicea, mentre i rovi cingevano il suo volto, quasi a ricreare una corona di spine, strappandole i lunghi capelli. –“Godi così tanto nel vedermi soffrire e perdere sangue?!”

         “E tu non hai provato piacere quando hai estirpato il mio giardino? Quando hai distrutto la pregiata coltivazione delle mie rose, che con tanto amore avevo accudito in questi anni?!” –Ringhiò Paride, il cui volto, per la prima volta, mutò i tratti, caricandosi di acceso odio. –“Mi hai offeso, burlandoti di me, e questo non posso accettarlo! Perciò, prima di ucciderti per il tuo tradimento, ti umilierò, realizzando la mia vendetta!” –Affermò, stringendo la morsa di rovi contro il volto di Xenodicea.

         La maschera che le copriva il viso andò in frantumi, mentre le spine acuminate affondavano nella sua pelle, nutrendosi del suo sangue, che colava sull’arido suolo della corte, di fronte al soddisfatto, quasi divertito, sguardo di Paride, che poté finalmente guardarla negli occhi. Xenodicea, imbarazzata, lo maledisse per la sua crudeltà, incendiando il cosmo oscuro che covava nel cuore, umiliata nel peggior modo in cui una donna che sceglieva di diventare Cavaliere avrebbe potuto essere.

         “Avrei preferito che tu mi avessi posseduto su un letto di spine!” –Commentò Xenodicea, fissando Paride con disprezzo, mentre il suo cosmo violaceo si raccoglieva attorno a sé. –“Ma non credere che la mia sconfitta ti renderà soddisfatto! Perché così non sarà! La malvagità che hai dimostrato, che rasenta il sadismo puro della vendetta, non si addice agli Eroi di Ercole, ed un uomo come te, che nient’altro ha a cuore se non se stesso e la sua bellezza apparente, che a nessun’altro pensa, neppure ai compagni caduti, ma solo al soddisfacimento del proprio ego, incontrerà presto la collera celeste! La maledizione degli Dei tutti cada su di te e deturpi il tuo viso!” –Gridò Xenodicea, prima di lasciar esplodere il suo cosmo, incapace di sopportare l’umiliazione subita, incapace di continuare a reggere lo sguardo di un uomo che l’aveva vista nuda nell’anima.

         Circe della Mandragola accorse immediatamente, dopo aver udito l’esplosione, sincerandosi delle condizioni del suo compagno. Ma Paride sembrò non accorgersi di lui, rimasto assorto nei suoi pensieri. La maledizione di Xenodicea sembrava aver raggiunto il suo cuore ed egli, che aveva posto la bellezza del suo corpo al primo posto tra gli obiettivi della sua vita, sentì per un momento l’affanno della vecchiaia, la rovinosa discesa verso la fine. Si tastò il viso, immaginando di sentirlo rugoso, ma lo trovò soltanto ruvido, come il suo cuore era sempre apparso agli altri.

         Circe incitò Paride a recuperare il controllo su di sé e a correre al cancello per aiutare Marcantonio, quando una nuova esplosione distolse l’attenzione dei due ragazzi, che si voltarono verso la fortezza di Tirinto.

         Nella piccola corte sul retro due cosmi si stavano fronteggiando violentemente e Circe, nonostante non li conoscesse approfonditamente, li riconobbe subito. Erano Euristeo del Reticulum e Leonida della Spada.

         “Rinuncia, Euristeo! Non hai visto la fine che hanno fatto i tuoi compagni? Perché oltraggiare in questo modo l’uomo che ti ha accolto alla sua mensa come un padre? Questa impertinenza è fuori luogo!”

         “Smettila di parlare di sentimenti che non mi riguardano, Leonida! Io sono un brigante, lo sono sempre stato, la vita mi ha reso così! Ed entrare a Tirinto ha soltanto placato il mio istinto mercenario per un momento, finché i tesori e gli onori promessi da Era non lo hanno risvegliato!” –Spiegò Euristeo, in piedi di fronte all’Hero della Spada.

         “Tu credi di valere davvero così poco?” –Domandò con voce seria e flemmatica Leonida. –“Hai così poca considerazione di te? E così poca fiducia nel Dio che ti ha scelto come suo difensore, come suo rappresentante presso gli uomini?!”

         “Ercole mi ha insegnato molte cose e grazie a lui la mia abilità in battaglia è aumentata! Adesso sarò io ad insegnare qualcosa a lui e a te! Non fidarti mai di nessuno, poiché più lo farai più resterai scottato!” –Esclamò Euristeo, espandendo il cosmo e sollevando il braccio destro.

         “Soltanto un uomo che ha perso ogni fiducia nella vita, a causa di una profonda delusione subita, può permettersi un simile pessimismo, un simile atteggiamento di fatalistica rassegnazione!” –Commentò Leonida, bruciando a sua volta il cosmo. –“Vorrei guarirti, Euristeo! Mi piacerebbe davvero! Ma non mi lasci altra alternativa che condannarti a morte!”

         “Questo è da vedersi!!!” –Gridò Euristeo, abbassando il braccio e creando un fitto reticolato di energia, che si abbatté su Leonida, cadendo come fitta pioggia da ogni direzione. Ma l’Hero della Spada non si scompose minimamente, lasciando partire un violento raggio di luce dalla punta dell’indice destro, che trinciò a metà la gabbia di energia che si stava chiudendo su di lui, raggiungendo Euristeo alla spalla sinistra, facendolo accasciare dal dolore. –“Come.. come hai fatto? Hai evitato il mio assalto, rimanendo immobile? E con un solo colpo sei riuscito a colpirmi?!”

         “Non ho evitato il tuo attacco, per quanto avrei potuto farlo poiché viaggiava ad una velocità inferiore a quella con cui sono solito spostarmi! Ma l’ho annientato, colpendolo nel suo fulcro, nel suo punto vitale!” –Spiegò Leonida, avvicinandosi a Euristeo, ancora accasciato a terra, con il sangue che sgorgava copioso dalle sue ferite. –“Tu credi che la direzione dei raggi energetici del tuo reticolo sia casuale! Ma non è esatto! Esiste una maggioranza di raggi, i più pericolosi, che occupano lo spazio centrale che ti separa dal tuo avversario, i raggi che hanno la maggiore possibilità di raggiungerlo e ferirlo! Tali fasci di energia possiedono un baricentro comune, attorno al quale sfrecciano, che è la distanza ideale che separa te e il tuo nemico in linea retta! Perciò, è bastato generare un raggio di energia dall’intensità sufficientemente potente per distruggere tutti i fasci che gli roteavano attorno, lasciando che gli altri, più esterni, si infrangessero sulla mia corazza, causandomi danni marginali!”

         “Sei intelligente!” –Notò Euristeo, prima di rialzarsi con foga e scagliare un violento attacco da vicino. –“Ma non ti servirà per vincere!”

         Ma Leonida lo anticipò, spostandosi di lato e colpendolo, questa volta al cuore, con l’indice della sua mano destra, prima di sprigionare un violento raggio di energia, sottile ma potente, in grado di distruggere l’Armatura del Reticolo e di trapassare il suo corpo, forandogli il cuore. Euristeo barcollò per qualche passo, toccandosi il petto sanguinante, prima di accasciarsi al suolo e cadere giù lungo disteso, privo di vita.

         “Onore a te, Cavaliere! Hai combattuto fino in fondo, incurante delle tue ferite!” –Commentò Leonida, rilassando finalmente la sua posa e rivelando tutti i tagli che il suo corpo e la sua Armatura avevano subito in quello scontro, le ferite che aveva nascosto tramite il cosmo. Ma adesso, stanco per lo scontro, dovette rivelare la corazza danneggiata in più punti e la pelle ferita, a tratti ustionata, sotto di essa. –“Gli altri esterni mi hanno causato danni marginali!” –Mormorò tra sé, ridacchiando, prima di crollare sulle ginocchia. L’ultima cosa che vive, prima di perdere i sensi, fu la sagoma robusta di Dione del Toro, l’Hero che aveva tentato di tradire Ercole ma alla fine non ne aveva avuto il coraggio, torreggiare sopra di lui.

 

         In quel momento gli Shadow Heroes diressero un violento assalto contro il Portone Principale, sostenuti dai cosmi di Eolo e Iris e dal Cosmo Divino di Era che impregnava e faceva ardere i cuori dei Giganti di Pietra. All’interno della fortezza di Tirinto, gli Heroes strinsero i denti, mettendo tutta la loro energia cosmica nel contrastare l’assalto nemico. Ma quando tutto sembrò perduto, un nuovo sole parve sorgere nel cielo, nonostante la giornata stesse volgendo al termine e già le prime ombre si allungassero dal mare lontano. Un’improvvisa e ritrovata potenza sorse nel cuore di Tirinto, generando un’immensa onda di luce che rinfrancò il cuore dei suoi guerrieri e paralizzò, impaurendo, gli animi dei nemici annidati all’esterno.

         Un fulmine si schiantò sulla terrazza panoramica della reggia e quando tutti sollevarono lo sguardo osservarono la maestosa sagoma del Sommo Ercole in piedi sopra di loro. Splendido, ricoperto dalla sua scintillante Glory, il Vindice dell’Onestà appariva circondato dal suo cosmo dorato, avvolto in un cielo di fulmini e di potenza che destava impressione nel cuore di chi lo osservava. La clava rifinita d’oro lucente nella mano destra, lo sguardo fisso su Tirinto e sul male radunatosi all’esterno, l’ammirazione per i propri Heroes, che avevano lottato, dannandosi nel fango, per tutta quella lunga giornata che sembrava non volgere mai a termine, la delusione per il tradimento di uomini che lui stesso aveva contribuito a far crescere e a forgiare nel carattere, il rancore per Era e per i suoi sicari. Ercole ruggì improvvisamente, con la possanza di un leone, liberando il cosmo, ardente come le fiamme di una cometa.

         Senza proferir parola, il Dio dell’Onestà saltò in alto, balzando nel cielo sopra Tirinto ed Eolo e Iris immediatamente sfrecciarono verso di lui, con i corpi avvolti dalle loro aure cosmiche, ma bastò un semplice movimento della Clava del Dio per respingere entrambi, travolgendoli con un’onda d’urto che li scaraventò lontano. Con un balzo, Ercole atterrò sulle mura robuste della città, mentre tutto il cosmo finora tenuto dentro, con il quale si era torturato in lunghe meditazioni, invadeva la fortezza, traboccando dalle mura e paralizzando i muscoli degli Heroes traditori, che mai avevano avvertito una tale vitalità nel cosmo del loro Signore.

         Con un veloce movimento della mano, Ercole mosse la Clava, generando un’onda d’urto che distrusse Efestione di Erakles e Lamia dell’Amazzone, annientando i loro corpi all’istante, quasi fossero fatti di carta. Dinaste di Antinous, a tale visione, cercò di scappare ma venne fermato dai poteri mentali del Dio, che lo trafissero sotto forma di fulmini dorati, dilaniando il suo corpo e riducendolo a cenere. Quindi il Dio posò lo sguardo su Ificle della Clava, che ruggiva furibondo e impaurito, ai piedi delle mura di Tirinto, tremante di fronte a quello scontro che tanto aveva cercato e che adesso avrebbe voluto evitare.

         “Volevi confrontare la tua clava con la mia, Ificle?! Ebbene, questo è il momento!” –Esclamò il Dio, balzando in alto e gettandosi contro l’Hero traditore. Con un colpo secco di clava lo spinse indietro, distruggendo l’arma del suo avversario, prima di rincarare la dose sfondando un fianco dell’Hero della Clava, che si gettò a terra gemendo come un disperato, supplicando Ercole di risparmiarlo.

         “Un demone!!! Un demone si è impossessato del mio cuore!” –Pianse vigliaccamente Ificle. Ma le lacrime non intenerirono il cuore di Ercole, che quel giorno troppo aveva sofferto, anche a causa degli errori e dei tradimenti che avevano avuto luogo all’interno delle sue Legioni e che egli, pur non essendone in precedenza a conoscenza, aveva percepito grazie al suo cosmo. Non aggiunse altro, scaraventando indietro Ificle, con un secco colpo di Clava, che distrusse la sua corazza e spezzò il suo corpo, lasciandolo a terra vinto, nella polvere e nel sangue di un traditore.

         In quella, i Kouroi si gettarono su Ercole, mentre Eolo ed Iris, per quanto indolenziti dall’assalto ricevuto, si libravano in volo, per assistere allo spettacolo, quasi avessero di fronte un gladiatore in un arena. Ma l’avanzare dei Giganti di Pietra venne interrotto infine da un rumore acuto, uno squillare di trombe, proveniente dall’interno di Tirinto. Il Portone del Cancello Principale si aprì improvvisamente, mentre le Legioni di Heroes di Ercole marciavano all’esterno, guidate dal nobile Marcantonio dello Specchio. Dietro di lui Penelope del Serpente, Teseo del Camaleonte, Polifemo del Ciclope e tutti gli altri Heroes della Seconda Legione, pronti a combattere e a morire a fianco del loro Signore.

         La Nave di Argo si sollevò nell’aere sopra Tirinto, mentre Neottolemo del Vascello reggeva il timone con maestria, e i tre ragazzi che aveva salvato a Tebe, Paride della Rosa, Circe della Mandragola e Morfeus del Papavero, si ergevano decisi sul ponte di comando, pronti a riscattare il valore della Quinta Legione.

         A tale vista, il Dio Eolo si librò in aria, spalancando le immense ali della sua Veste Divina, mentre il cosmo celeste che lo circondava dava vita a possenti correnti di aria che il Dio diresse contro il Vascello Alato, colpendolo con la stessa intensità sia da destra che da sinistra, al fine di spezzarlo in due. Ma Neottolemo, espandendo il proprio cosmo, riuscì a resistere, aiutato anche dai tre Heroes della Quinta Legione, che si sentivano legati a lui da un vincolo di riconoscenza, per averli salvati, soprattutto Circe e Morfeus. Fu proprio l’Hero della Mandragola a sporgersi a prua, concentrando il cosmo sulle dita delle mani e volgendole verso il Dio, intento a generare quella violenta bufera.

         Pianto della Mandragola!” –Gridò Circe, mentre gocce di energia si distaccavano dalle sue mani, cadendo proprio nelle correnti di aria, senza risentire eccessivamente della loro pressione, e scivolando all’interno di esse, dirette verso Eolo. –“Assaggia, Dio del Vento, le proprietà venefiche della Mandragola, che gli alchimisti del Medioevo tanto hanno esaltato e tanto hanno temuto!” –Esclamò Circe, in piedi sulla prua della Nave di Argo, con le mani incrociate, rivolte avanti a sé.

         Eolo cercò di scansare quella gocce di energia, ma si accorse di non essere in grado di farlo, poiché quelle lacrime sembravano seguire il flusso delle sue correnti d’aria, percorrendole all’indietro, fino a schiantarsi contro il suo corpo e contro la sua Veste Divina, generando delle piccole esplosioni. Per quanto una singola goccia avesse una portata d’attacco limitata, la pioggia continua a cui Eolo era sottoposto iniziava ad infastidire considerevolmente il Dio del Vento, che dovette espandere ulteriormente il suo cosmo, per generare una corrente d’aria fredda capace di congelare le gocce di cosmo e frantumarle.

         “Chi praticava le arti oscure faceva una brutta fine, non ricordi, ragazzo?!” –Tuonò il Dio, aumentando l’impeto delle sue correnti d’aria, fino a scuotere il Vascello Volante, sbalzando Circe al di fuori di esso. Con abilità e fortuna, l’Hero della Mandragola riuscì ad afferrare una fune sporgente, rimanendo sospeso nel cielo percorso da violente tempeste d’aria. Morfeus del Papavero si sporse per aiutarlo, mentre Neottolemo cercava di raddrizzare la Nave, mantenendo una salda presa sul timone.

         A tale vista, Eolo puntò l’indice contro l’Hero del Papavero, generando un vortice d’aria che si abbatté sulla sua schiena, sbattendolo con forza contro il parapetto e mozzandogli il respiro.

         “Lascialo cadere!” –Esclamò il Dio, avvicinandosi al Vascello Volante. –“O ti perderai nell’abisso insieme a lui!”

         “Mai!” –Esclamò Morfeus, continuando a sopportare il mulinello d’aria che Eolo gli stava dirigendo contro, al punto da crivellargli la schiena, distruggendo la sua corazza e facendo schizzar via sangue a fiotti. –“Non lascerei mai un compagno! Soprattutto se è un amico!” –Confessò Morfeus, mentre lacrime rigavano il suo volto, venendo disperse nell’aria dalla violenta tempesta. –“Già una volta ho dovuto abbandonare il mio Comandante, e forse anche altri compagni che hanno continuato a lottare anche per noi! Ma adesso non lo farò! No! Puoi uccidermi se vuoi, sollevarmi in aria con le tue correnti e sbattermi a terra! Ma continuerò a rialzarmi finché avrò anche solo una goccia di forza, che mi sia sufficiente per tendere una mano verso un amico!”

         Quale nobiltà d’animo! Rifletté Eolo, continuando ad osservare gli sforzi di Morfeus, schiacciato dal suo mulinello d’aria, boccheggiante, sanguinante, ma ancora con la mano tesa verso il basso, cercando di afferrare quella di Circe, sballottato contro lo scafo. Le stesse riflessioni accesero il cuore di Paride della Rosa, rimasto in disparte, sul ponte di comando, ad osservare Morfeus e Circe che venivano abbattuti da Eolo, senza muovere un dito in loro soccorso. Era sempre stato un solitario, interessato più a se stesso che agli altri, al punto da venir etichettato come narcisista, vanaglorioso ed egoista. Ed in effetti Paride era come lo dipingevano, un amante della bellezza, un cultore del corpo perfetto, come le statue di Fidia nell’età classica. Amava tutto ciò che in natura era bello, e detestava ogni elemento che potesse rovinare l’armoniosa primavera di una composizione, ricercando sempre, all’interno di uno scontro, l’effetto scenico, che potesse rendere grazie alla sua bellezza. Che considerava unica, come ognuna delle rose che amava coltivare. Come le rose che Xenodicea della Ciliegia e Pericle dell’Abete avevano distrutto a Tebe.

         Ma adesso è così che mi sento! Come una rosa appassita! Come un fiore bello e regale ma che, senza la giusta terra, e la giusta acqua, senza il giusto nutrimento, diventa soltanto un emblema ideale, simbolo di una bellezza pura ed intangibile, ma incapace di trasmettere qualcosa agli altri! Esclamò Paride, avvertendo un moto insolito nel suo cuore, un sentimento difforme dal narcisismo che aveva provato fino ad allora. Un sentimento diretto non verso se stesso, ma per la prima volta verso qualcun altro. Sorrise per un momento, come un bambino che si affaccia al mondo, realizzando che forse, nella vita, valeva davvero la pena di perdersi in gesti caritatevoli nei confronti di qualcun altro. E, mentre lo pensava, allungò la mano, per afferrare una gamba di Morfeus, che stava precipitando nel vuoto, sospinto dalle violente correnti d’aria di Eolo.

         “Paride!!!” –Esclamò Morfeus, quasi sorpreso dall’avvertire il tocco della mano del compagno, che mai aveva percepito, dato che, fino ad allora, Paride aveva rifiutato qualsiasi contatto fisico, oltre che umano.

         “Resisti, Morfeus!!!” –Gridò il ragazzo, evocando lunghi rovi di spine che sorsero dal ponte della Nave di Argo e si snodarono nell’aere, seguendo le correnti di Eolo, fino ad arrotolarsi attorno al corpo di Morfeus, che, stanco per la pressione a cui era stato sottoposto, stava per lasciarsi cadere. I rovi lo afferrarono per una gamba, annodandosi attorno al polpaccio, avendo cura di non ferirlo con le loro spine acuminate, e lo tirarono su, issandolo a bordo della Nave, assieme al compagno Morfeus.

         “Gra… grazie!” –Balbettò Circe, cercando di rimettersi in piedi, preso un po’ alla sprovvista poiché, per quanto fossero compagni di Legione, i suoi rapporti con Paride erano fino ad allora rimasti piuttosto limitati e formali, ritenendo che il ragazzo fosse un solitario, innamorato soltanto di se stesso e delle sue rose e poco amante della compagnia. Forse, si disse, non sono andato troppo lontano dalla verità! Ironizzò Circe, allungando una mano verso Paride, il quale, seppur per un momento titubante e imbarazzato, ricambiò il gesto, stringendole insieme.

         “Hai visto, Eolo? Hai assistito, Dio del Vento, alla nobiltà che muove questi ragazzi? Hai percepito, tramite il tuo cosmo possente e capace di sentire sensazioni profonde, oltre che suoni lontani, l’affetto e la riconoscenza che lega compagni della stessa legione, disposti a sacrificarsi e a rischiare anche la vita per la salvezza di un amico?!” –Esclamò Neottolemo, con voce possente, rivolgendosi al titubante Signore dei Venti che ancora sostava nel cielo di fronte alla Nave di Argo, incapace di scagliare contro i suoi avversari il colpo definitivo. –“Sono dunque questi i mostri che Ercole ha covato in seno? È dunque questo il pericolo da cui il mondo deve difendersi e che Era vorrebbe estirpare sul nascere? Generosità, affetto, amicizia, spirito di sacrificio, purezza d’animo! È davvero così sbagliato e così distante dagli Dei il mondo degli uomini?!”

         Eolo non seppe cosa rispondere, voltando il capo con amarezza, quasi sdegnato da parole a cui non sapeva opporsi, o forse sdegnato dal suo comportamento succube alla Regina degli Dei, che lo obbligava in prima persona in una guerra che non sentiva come propria. Neottolemo del Vascello, approfittando di quel momento di disorientamento del Dio, sollevò il braccio destro al cielo, puntando con l’indice la volta stellata, mentre tutto attorno a sé si radunavano cumuli di nubi, sospinte da un vento impetuoso e carico di energia cosmica.

         Ali del Mito!!!” –Tuonò, dirigendo il suo attacco verso Eolo, a cui parve di vedere la maestosa sagoma di un rapace imperiale piombare su di lui e travolgerlo, mentre il turbinoso sbattimento d’ali lo scaraventava indietro, incrinando le ali della sua Veste Divina, fino a schiantarlo a terra in malo modo. Rialzatosi a fatica, e spuntando il sangue dal labbro spaccato, Eolo poté assistere all’ultimo assalto congiunto delle Legioni di Ercole contro i Kouroi di Era. Sospirò un momento, di fronte a tanto eroismo, di fronte a tanta generosa abnegazione, prima di spalancare le ali della sua corazza e di volgere le spalle a Tirinto, a Ercole, a Era, a tutta quella devastazione che non gli apparteneva. Spiccò in aria e volò via, diretto verso la sua isola nel Mar Tirreno.

         Ercole se ne accorse con la coda dell’occhio, mentre evitava di essere schiacciato da un piede enorme di un Kouroi, colpendolo con un secco colpo della sua Clava carica di energia incandescente. La violenza dell’attacco spinse il Gigante di Pietra indietro, facendolo gridare di rabbia, ma non fu sufficiente per distruggerlo, ancora protetto dal Cosmo Divino di Era. Iris, la Dea dell’Arcobaleno, danzava nel cielo sopra i Kouroi, scendendo spesso in picchiata per lanciare i suoi colorati raggi di energia contro gli Heroes, trafiggendoli e gettandoli a terra doloranti.

         “Quella strega mi ha stufato!” –Brontolò Polifemo del Ciclope, alla vista dei suoi compagni cadere a terra, sotto i colpi di Iris, e concentrò il cosmo su entrambi i pugni chiusi, aprendo il petto come per inspirare, prima di dirigerli contro la Messaggera degli Dei, ancora in volo sopra di loro. –“Tuono di Eracle!!!”

         Iris riuscì ad evitare di essere travolta, per quanto l’onda d’urto generata la spinse un po’ indietro, ma, convinta di essere in salvo, venne invece afferrata per una gamba da una frusta, saldamente impugnata da Teseo del Camaleonte, che le sorrise maliziosamente, prima di liberare una violenta scarica di energia dal color argenteo. Iris accusò il colpo, sentendo il suo giovane corpo femminile fremere, prima di liberarsi dalla presa con un violento strattone, con il quale riuscì a togliere la frusta dalle mani di Teseo e a sbatterlo a terra, prima di scendere su di lui.

         “Ti riconosco, uomo! Avevi già osato oltraggiarmi di fronte alle mura di Micene!” –Gridò la Dea, con rabbia. –“E anche adesso, sfuggito per codardia alla morsa del mio arcobaleno, hai la presunzione di volgermi i tuoi colpi contro! Tanta presunzione merita la morte!” –Ed espanse il cosmo, mentre uno scintillante arcobaleno scivolava addosso al suo sinuoso corpo, prima di impennarsi e puntare verso Teseo del Camaleonte.

         Ma l’assalto della Dea venne interrotto dalle grida disperate di uno dei Giganti di Pietra, che iniziò a battersi il petto con violenza, come fosse in preda ad un impeto di follia. Voltandosi verso la creatura, ad Iris parve di vedere un normale ammasso di roccia che emetteva suoni gutturali, privo ormai di qualsivoglia protezione divina. Intimorita, Iris fece un passo indietro, mentre il corpo del Gigante di Pietra esplodeva in mille frammenti ed un giovane moretto, con una spada in pugno, balzava a terra, sorridendo ad Ercole, felice per il compimento della sua impresa.

         Nesso del Pesce Soldato venne accolto con grida entusiaste da tutti i compagni superstiti, mentre la Lama degli Spiriti, che il giovane stringeva in mano, risplendeva di una luce accesa, essendo appena stata intinta nel Divino Cosmo di Era. Soltanto Penelope del Serpente, unica tra tutti gli Heroes, sembrò notare un’ombra oscurare l’animo di Nesso, facendo sbiancare la Sacerdotessa a tale visione. Dietro di lui, in volo, arrivò la Prima Legione, guidata dall’affascinante Adone dell’Uccello del Paradiso, seguito da Deianira del Lofoforo, da Antioco del Quetzal, che aiutava l’amico Eumene della Mosca a volare, da Laomene della Farfalla e da Ascalafo della Civetta. Iris strinse i pugni con rabbia, prima di voltarsi verso il sole che stava ormai tramontando. L’assedio di Tirinto poteva dirsi concluso ma la Regina dell’Olimpo non aveva affatto vinto.

 

Illustrazione capitolo 26, by Nirti.

 

Xenodicea della Ciliegia, by Nirti.

 

Paride della Rosa, by Nirti.

 

Euristeo del Reticolo, by Nirti.

 

Ercole, Vindice dell’Onestà, by Nirti.

 

   
 
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