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Autore: vegeta4e    20/10/2014    3 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 14

 

«Non sono un Assassino, Reginald. Lo sai!» Mi bastava vedere Connor, le sue stupide illusioni e i suoi scarsi risultati. Forse un po' lo ero, non avevo smania di potere, non volevo conquistare il mondo, nemmeno m'interessava. Avere dei princìpi, quindi, significava essere un nemico?, uno di loro?

No. Ero un Templare e sempre lo sarei stato. Forse un po' diverso, ma pur sempre un membro dell'Ordine.

«Non te ne rendi conto nemmeno tu, o forse fingi, non lo so. Forse avrei dovuto uccidere Edward tempo prima» serrò l'altra mano sul mio collo e udii Jenny singhiozzare. Dannata idiota, avrebbe anche potuto aiutarmi, invece no, preferiva starsene raggomitolata per terra a frignare aspettando di essere salvata.

Istintivamente portai la mano sinistra sul polso di Reginald per allentargli la presa, aprii la bocca cercando aria. Non potevo morire così, non in quel luogo, non in quel modo, non per mano sua. Feci scattare la lama del braccio sinistro trapassandogli l'avambraccio da parte a parte e, lo ammetto, quando mi mollò urlando e tentando di fermare il sangue, mi sentii rinato. Barcollò all'indietro di qualche passo macchiando il pavimento con gocce rosse e calde, quindi colsi l'occasione per sguainare la spada.

«Ti pentirai di avermi fatto tornare qui. Avresti potuto approfittarne e vivere tranquillamente la tua squallida esistenza fino alla fine, continuare le tue inutili e sciocche ricerche su Coloro Che Vennero Prima, invece morirai davvero» rise, nonostante la ferita.

«Vedi?» Raddrizzò la schiena e tolse la mano dal buco che aveva poco sopra il polso, osservandosi il palmo scarlatto con orrore e rabbia «Proprio come Altaïr, quell'Assassino. Uccise il proprio Mentore» sibilò continuando ad osservarsi la mano.

Gli puntai contro la spada.

«Oh, no, Reginald. No. Non ho scopi più nobili, non ti ucciderò per salvare il mondo o stronzate simili. La mia è pura vendetta personale, nulla di più» e stavolta risi anch'io. Era ferito, io incazzato: l'avrei ammazzato in pochi secondi. Scattai in avanti serrando la presa sull'elsa, puntai il piede destro sul pavimento e mi sbilanciai in avanti, tentando di colpirlo al petto. Un attimo prima che gli infilzassi il torace, riuscì a deviarmi la spada con un pugnale che aveva ancora in mano.

Non persi tempo e l'attaccai di nuovo, ferendolo all'avambraccio sinistro. Lo guardai indietreggiare ed appoggiarsi allo stipite della porta ormai annerito, le mani erano imbrattate di sangue, così come le maniche della redingote.

«Non rallegrarti, Haytham. Non sono solo» non mi stupii, era una mossa prevedibile da parte sua. Impugnai meglio la spada e feci scattare la lama del braccio sinistro, regolai il respiro.

«Sai, ammetto che un po' mi dispiace. Il mondo sta per perdere un ottimo spadaccino» sogghignai.

«O un vecchio fallito infatuato di antenati. Saranno le spade a dirlo» non avevo paura, semplicemente non vedevo l'ora di vederlo a terra agonizzante in un lago di sangue e stare lì, davanti a lui, a godermi la scena della sua dipartita. Mi scagliai contro il mio maestro ancora una volta, la mia spada e il suo pugnale cozzarono tre, quattro volte, poi mi spinse via urlando come un ossesso un nome che non capii. Nel giro di due secondi una figura completamente oscurata, alta quasi due metri, comparve alle spalle di Reginald per poi fiondarsi con furia su di me. Lo evitai spostandomi di lato; era un armadio, forse il doppio di me come massa muscolare, ma era un totale idiota. Buon Dio: Connor? Sogghignai a questo paragone.

L'energumeno frenò la corsa poco prima di sbattere contro la libreria, poi si voltò verso di me, tentando in vano di colpirmi con la spada e con un pugno. Indietreggiai istintivamente e mi sentii intrappolato tra il colosso e il vecchio tavolo da biliardo. Merda. Tastai a mano aperta il ripiano alla ricerca di qualsiasi cosa, quando con le dita sfiorai la stecca. L'afferrai e, con uno scatto, colpii il tirapiedi di Birch in piena testa.

«Aahn..» crollò a terra a peso morto e guardai l'asta spezzata ancora stretta nella mia mano; scrollai le spalle e la lasciai cadere.

«Un po' scarsi, i tuoi nuovi allievi. Mi hai sottovalutato o è il meglio che sei riuscito a trovare?»

«Dah, chiudi il becco» decisi di accontentarlo e con poche falcate gli fui di nuovo a meno di un metro di distanza. Nonostante avesse entrambi gli avambracci feriti, riusciva a parare o evitare i miei fendenti, raramente tentava di contrattaccare. Mentre cercavo di disarmare definitivamente Birch, sentii un lamento di Jenny che, istericamente, stava tentando di liberare i polsi ancora legati. Non l'aiutai, che diamine, avevo solo due mani. La vidi gattonare fino a nascondersi dietro al tavolo da biliardo, poi tornai a guardare Reginald. Dovevo uscire da quella situazione il prima possibile; pensa, Haytham, pensa! Come se mi avesse letto nel pensiero, il mio ex mentore estrasse dalla redingote una pistola e, con il suo classico sorriso calmo, di chi sa di avere la situazione in pugno, me la puntò contro. Fu un attimo, mi abbassai fulmineo rotolando a destra, affiancando Jenny dietro al tavolo da biliardo.

«Cazzo!» Imprecai a bassa voce. Mio padre doveva avermi salvato la pelle dall'altro mondo, nel caso fosse esistito.

«Dobbiamo andarcene da qui. Per favore, fa' qualcosa» Dio, che nervi.

«Fammi un piacere: taci e lasciami pensare» non rispose e seppur riuscissi a vedere Reginald solo dal ginocchio in giù, capii che stava ricaricando la pistola. Deglutii ed estrassi la mia, mirando e sparando -da sotto il tavolo- alla gamba sinistra di Birch. Lo vidi cadere per terra e tenersi l'ennesimo arto ferito, quindi mi alzai tirando Jenny.

Dovevamo andarcene al più presto, l'avrei ucciso in un altro momento, magari senza quella piattola di una Scott tra i piedi. E sì, lo ammetto, volevo ucciderlo in un modo migliore, umiliandolo, in modo che se fosse esistito l'aldilà, quel momento l'avrebbe tormentato in eterno. Scostai quell'infame dalla porta dandogli un calcio, feci per superarlo, ma mi fermai un attimo per osservarlo sdraiato a terra, dolorante.

Aveva il fiato corto e il viso contratto in una smorfia di dolore, gioivo nel vederlo così. Nella mano destra stringeva ancora il coltellino con cui mi aveva ferito. Mi lasciai sfuggire un sorriso e appoggiai il piede sul suo polso, pestando sempre con più forza.

Si lamentava, il bastardo, cercando di mantenere un contegno nonostante il dolore; non sollevai il piede finché non sentii un inconfondibile stock, segno che gli avevo rotto il polso. Diedi un calcio al coltello, allontanandolo abbastanza in modo che non potesse più prenderlo, poi mi abbassai e lo afferrai con forza per il bavero della giacca, sollevandolo e sbattendolo violentemente contro lo stipite della porta. Mostrò i denti, dolorante, e gli assestai una ginocchiata nelle palle. Al diavolo l’umiliazione, mi bastava vederlo crepare.

«Ultime parole, Reginald?» Sibilai a pochi centimetri dal suo viso. Lui deglutì a fatica, col viso pallido -non per la paura, bensì per le ferite- e imbrattato di sudore.

«Credi che questo ti porterà onore? Dalla mia morte non trarrai nessun vantaggio, Haytham» era senza fiato, ma nonostante ciò continuava a dire stronzate. Strinsi di più la presa.

«Vedo che non ci capiamo. Te l'ho già detto, questa è vendetta personale, non mi aspetto vantaggi di nessun tipo. Voglio vederti morto» rise, soffriva come un cane, ma continuava a prendersi gioco di me.

«Non ti credevo tanto sentimenta-» non gli lasciai terminare la frase, lo infilzai con la lama celata in pieno petto, evitando appositamente organi vitali.

«Mai mettersi contro un Kenway, Reginald. Mai» scoprì i denti imbrattati di sangue in quello che sembrava essere l’ennesimo ghigno. E anche l’ultimo.

Estrassi la lama dal petto e gliela conficcai con violenza nello stomaco. Strabuzzò gli occhi, come se non credesse a ciò che stava accadendo. Deglutì serrando la mascella, forse per bloccare un conato di vomito misto a sangue.

Estrassi la lama con forza, lasciando che la carne venisse scossa dal metallo che si ritraeva e permettendo alle interiora di fuoriuscire, ma non mi bastava. Gli affondai la lama nelle palle con tutta la forza che avevo in corpo, togliendogli l’unica caratteristica virile che madre natura gli avesse donato.

«Non era questa la morte che avevo pensate per te, è fin troppo onorevole, ma mi basta il tuo cadavere» infine, come colpo di grazia, lo colpii al collo, facendogli un buco in corrispondenza della giugulare. Il sangue mi schizzò sulla manica, qualche goccia raggiunse il viso, ma non me ne curai. Osservai gli occhi di Birch rivoltarsi all'indietro, dandogli un'aria da folle mentre moriva come un cane per mano mia. Mollai la presa sul colletto della redingote, lasciando che il cadavere scivolasse a terra a peso morto, poi mi voltai verso Jenny dopo aver pulito la lama sulla veste di Reginald.

 

Trovai una goletta che, almeno stavolta, ci avrebbe portati direttamente a New York.

Pagai per entrambi, fortunatamente avevo ancora abbastanza denaro con me. Ne sborsai fin troppo, dato lo schifo di cabina in cui avremmo alloggiato; ma cosa potevo pretendere? Era una bagnarola che a malapena galleggiava, l'unica che andasse a New York senza fare altre tappe o scali.

Una volta sottocoperta impiegammo una decina di minuti per trovare l'angolino appartato dove avremmo dormito. Passai in mezzo a botti, cumuli di sacchettini pieni di polveri da sparo, bottiglie -probabilmente con del rum dentro o chissà che altro-, cannoni e un paio di mozzi sbronzi accasciati su delle cime arrotolate ordinatamente.

Alla fine del ponte svoltai a sinistra, trovando due amache solo per noi. Dopo un attimo di stupore mi tolsi il cappello e lo appoggiai su una botte lì vicino, dopodiché mi sdraiai su uno dei due teli a mezz'aria, i quali erano sorretti da due nodi a dei grossi ganci fissati alle pareti.

Chiusi gli occhi sperando di cadere in un sonno profondo e risvegliarmi a Fort George, cosa impossibile, purtroppo.

«A cosa è dovuta tutta questa fretta di tornare a New York?» Aprii un occhio e la guardai mentre si sedeva con cautela sul lenzuolo teso.

«Affari importanti»

«Una donna?» Oh, cielo, se sperava di spettegolare con me, beh, si sbagliava di grosso.

«Ho detto affari, non svaghi» scosse la testa, schioccando più volte la lingua sul palato in segno di diniego.

«Quanto sei rozzo! Le donne non sono uno svago, ma l'impegno più difficile per un uomo» non per Hickey, pensai con un ghigno. Thomas, iniziavano a mancarmi i suoi battibecchi con Charles.

«Sì, sì, come vuoi. Resta il fatto che le donne non c'entrano. Siamo in guerra con l'Inghilterra, il comandante in capo dell'esercito Continentale è più inesperto di te, militarmente parlando, e Re Giorgio sta inviando altre truppe» Dio, avevo il mal di testa solo al pensiero dei casini che poteva aver combinato Washington in questi mesi. Non avevo avuto più nessuna notizia.

«A te cosa importa di questa guerra? E poi sei inglese, stai aiutando la fazione sbagliata» sbuffai. Jenny ne capiva di guerra quanto io di ricamo.

«Inglese o no, sono un Templare. Ho il dovere di diffondere l'Ordine nel Nuovo Mondo, ma se Re Giorgio conquista la terra, attuerà i suoi piani di espansione, intralciando i miei»

«Da quando sei diventato così diplomatico?» Sbuffai.

«Non lo sono, infatti. È solo che le sue azioni mi sono scomode, tutto qui» si limitò ad annuire, capendo che non avevo voglia di tirare avanti il discorso.

 

Non saprei dire con precisione quante ore passammo lì, sdraiati su quelle brande -che, per quanto fossero scomode e lerce, non avrei offerto neanche ad un vagabondo in fin di vita-, una dozzina, forse. Sapevo solo che i pasti erano a malapena commestibili ed ero alquanto stupito di essere sopravvissuto a ben due razioni.

Dopo cena mi alzai dalla branda e salii sul ponte, avevo le gambe indolenzite e bisogno di aria fresca. Non avevo mai apprezzato il mare e tanto meno avevo cercato di comprendere l'amore per il largo, per le navi e cose varie, ma finita la rampa di scale dovetti ricredermi. Non avevo mai visto un tramonto del genere, con quei rossi tendenti al viola e al blu scuro, così in contrasto con l'azzurro chiaro dell'acqua, che rifletteva il sole ormai basso.

Rimasi fermo per qualche istante a fissare quella miscela di colori, avanzando di qualche passo come un automa fino ad appoggiare le mani al parapetto.

«Bello, non è vero?» Non mi voltai nemmeno, consapevole di avere Jenny alle spalle. Rimasi in silenzio a fissare l'orizzonte, chiedendomi quante volte mio padre si fosse fermato ad ammirare un tale spettacolo.

«Non mi hai raccontato nulla di te, Haytham» me la ritrovai a sinistra, appoggiata anche lei al parapetto.

«Non c'è nulla da dire» beh, forse qualcosa sì «A parte il fatto che ho un figlio»

«Un figlio? Tu?!» Che diavolo, avevo avuto anche io le mie avventure, perché si stupiva tanto?

«Già, un figlio. Spero di non doverti spiegare come si faccia» mi diede un colpo sul braccio, offesa.

«Quindi sei sposato?» Cercò con gli occhi la fede alla mano sinistra, senza trovarla, ovviamente.

«No»

«Beh, avrai una compagna, almeno»

«È morta. E non era la mia compagna» dissi continuando a fissare altrove. Non potevo definire Tiio in quel modo e ne ero dispiaciuto, in fondo. Convivere per qualche settimana in una tenda nel bel mezzo del bosco non era esattamente una relazione, diciamolo.

Era stata un'amica, un'alleata, la madre di mio figlio. Ma non compagna.

«Oh, mi dispiace» scostò lo sguardo sentendosi a disagio, portandolo sull'orizzonte. «Ti sei sempre occupato tu del bambino, allora?» Dio, raccontarle la storia della vita melodrammatica di Connor non era una delle mie priorità.

«No, me ne andai in Europa per salvare qualcuno» la guardai con la coda dell'occhio «sua madre morì quando lui aveva quattro anni, venne accudito dalla gente del suo villaggio» notai solo pochi secondi dopo la sua espressione stupita. «Già, sua madre faceva parte della tribù dei Kanien'kehá:ka» nel dirlo trovai le mie mani estremamente interessanti, decisamente più dello sguardo certamente sconcertato di Jenny, da sempre abituata alla vita aristocratica e ciò che essa comportava. Dopotutto non ero uguale a lei? Non avevo vissuto anch'io nel lusso della mia casa a Londra? Vero, ma per un periodo più breve, e non avevo avuto il tempo di comprendere i pregiudizi che quelli come noi avevano nei confronti dei meno abbienti. Insomma, passai i primi dieci anni della mia vita tra le mura di casa, senza un amico o uno schifo di persona con cui parlare, protetto come se la vita oltre il nostro giardino avesse potuto infettarmi. Avrei socializzato persino con un mendicante se ne avessi avuto l'opportunità, come avrei potuto disprezzare gli altri basandomi solo sulla disponibilità economica?

«Oh, una donna indiana» ero pronto a qualsiasi commento. Su, cara sorella, non risparmiarti sul più bello.

«Già»

«Era bella?» Trovai il coraggio di guardarla e, con mia enorme sorpresa, stava fissando l'oceano, sorridendo. Cosa avrei dovuto rispondere?

«» ovvio che lo era, almeno per me. Diavolo, era una situazione a dir poco imbarazzante, quindi cambiai argomento, tornando a parlare di Connor e della sua triste vita tormentata «Crebbe poco fuori la periferia di Boston finché non decise di..» deglutii con aria disgustata, tentando di trattenere un conato «.. unirsi agli Assassini» si voltò nuovamente verso di me con una rapidità inaudita, nemmeno le avessi annunciato la mia conversione alla Confraternita.

«Davvero? Dio, come nostro padre! E cos-»

«No!» La interruppi malamente, alzando la voce, forse, un po' troppo. «Nostro padre era consapevole delle sue scelte, decise di sua iniziativa di unirsi agli Assassini e, soprattutto, non era un idiota» presi fiato sbattendo una mano sul legno consumato «Connor si è unito a quegli imbecilli andando per esclusione, ha in testa idee completamente sbagliate ed è convinto che l'unico modo che abbia per raggiungere i suoi scopi sia aiutare la fazione nemica alla mia. È convinto che sua madre sia morta per colpa dell'Ordine, per questo sta con la Confraternita, non per reale convinzione, non per gli ideali. È puro opportunismo, il suo!» Mi sfogai, dicendo tutto quello che pensavo e che non avevo mai potuto tirar fuori. A chi avrei dovuto dirlo, poi? A Charles? Direttamente a Connor? No, per carità di Dio. E nemmeno Jenny era la più adatta, a dirla tutta, visto che non sapeva nulla. Doveva avermi preso per folle.

Sospirai. Dovevo smetterla con questi discorsi. Consapevole o no, Connor voleva la libertà, far scorrazzare chiunque qua e là senza criterio, cosa che l'Ordine non avrebbe mai permesso; quindi, a prescindere dai motivi personali, io e lui ci saremmo sempre combattuti. Al diavolo le alleanze tattiche, alla fine, faccia a faccia, armati fino ai denti, ci saremo noi due.

«Non andate molto d'accordo, eh?» astuta, la Scott.

«Non si può con persone infantili come lui. Ho provato a farlo ragionare, ad aprirgli gli occhi, a spiegargli com'erano andati realmente i fatti. Niente, non ho ottenuto un bel cazzo di niente» quanto potevo essere frustrato? Avrei avuto sempre torto per Connor, qualsiasi cosa avessi fatto.

«Non devi convincerlo a passare dalla tua parte, Haytham. Anche se ha preso una strada diversa, devi lasciarlo fare. Nostro padre non ti avrebbe impedito nulla» risi amaramente. Cosa ne voleva sapere? Per quanto mio padre fosse aperto al dialogo, aveva già scelto per me, sicuro che sarei diventato un Assassino coi fiocchi. Senza lasciarmi possibilità di ribattere aveva iniziato ad allenarmi, non che la cosa mi dispiacesse, sia chiaro, ma non ero consapevole di nulla.

«Nostro padre aveva programmato sin dall'inizio di farmi entrare nella Confraternita. Come pensi avrebbe reagito se gli avessi annunciato di voler entrare nell'Ordine?» Chi lo sa. Forse, se le cose fossero andate diversamente e Reginald non l'avesse ucciso, avrei seguito le sue orme. O forse, conoscendo meglio Birch, che avrebbe sposato Jenny e sarebbe rimasto comunque in famiglia, sarei entrato lo stesso nell'Ordine. E in quel caso avrebbe accettato?

Ma poi perché mi ostinavo a parlare con Jennifer, che nella vita non aveva fatto altro che ricamare -e solo Dio sa cosa nel palazzo del sultano-? Se avessi continuato a tenermi tutto dentro sarei impazzito, poco ma sicuro. Mi passai una mano sugli occhi, esasperato. Era strano averla con me, mi sembrava di mischiare due vite diverse, avulse l'una dall'altra. Dopo la morte di Jim Holden cambiò tutto. Tutto ciò che mi ricordava la mia vita a Londra era sparito: Jenny, Jim, Reginald -o almeno così credevo-, avevo iniziato un altro capitolo nel Nuovo Mondo, caratterizzato specialmente dalla presenza di Connor.

«Che hai intenzione di fare una volta arrivati a New York?» La guardai. Si appoggiò al parapetto con entrambi i gomiti e sorrise, tenendo lo sguardo fisso sull'orizzonte.

«Ad essere sincera non lo so. Voglio ricominciare, troverò qualcosa» alzai le sopracciglia, incredulo.

«Intendi un lavoro?» Risi «Per l'amor del cielo, Jenny, non hai mai alzato un dito in vita tua, non dureresti un giorno» mi fulminò.

«Con che coraggio osi dirmi questo? Ho lavorato come una schiava per anni, sono abituata alla fatica» rispose con l'acidità degna della zitella che era.

«Era questione di vita o di morte, è diverso» schioccai la lingua contro il palato. «Ti dico io come andrà: ti troverai un uomo benestante e ti accaserai. Anche se...» la squadrai da capo a piedi «dubito che qualcuno ti si prenda»

 

Salve salvino! No, non sono posseduta da Ned Flanders, lol. Per caso oggi posto in anticipo –contenti?-. Allora, quanto mi diverte prendere Connor per i fondelli? Tanto, troppo. Ma in fondo se lo merita, eccome.
Non mi dilungo, dai. Grazie a chi segue, legge, recensisce e boh, non so che altro aggiungere. A presto.

   
 
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