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Autore: JeanGenie    17/10/2008    1 recensioni
C'è chi pensa che l'unico posto adatto al Joker sia una cella imbottita in fondo all'Arkham Asylum. La dottoressa Harleen Quinzel non è della stessa opinione.
Rigorosamente ispirata al Nolan-verse. Prima pubblicazione: 15 Agosto 2008.
(ON LINE L'ULTIMO CAPITOLO E L'EPILOGO)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier, Quasi tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Terapia n°2
"Bastoni fra le ruote"

A candy-colored clown they call the Sandman
Tiptoes to my room every night
Just to sprinkle stardust and to whisper
Go to sleep, everything is all right.

I close my eyes, then I drift away
Into the magic night, I softly say
A silent prayer, like dreamers do.
Then I fall asleep to dream my dreams of you.

In dreams I walk with you, in dreams I talk to you.
In dreams you're mine, all of the time we're together
In dreams, in dreams.

(Roy Orbison, In dreams)


Harleen Quinzel detesta quel profumo, denso, carnale, insidioso, che la fa respirare a fatica. Comincia a sentirlo appena esce dall'ascensore e, davanti alla porta di Pamela Isley, diventa insostenibile. Mentre suona il campanello pensa che questa volta le dirà chiaramente che sta esagerando. Quello è un appartamento e non l'orto botanico, e non è educato nei confronti di eventuali ospiti costringerli a dividere la poltrona con tralci d'edera rampicante e grappoli di glicine in piena fioritura.
La faccia di Pam quando apre la porta le toglie ogni velleità combattiva. Sembra che sia appena scesa dal letto.
"Harley…?"
"È… mercoledì, dolcezza" le fa notare agitando una bottiglia di vino appena presa.
Il viso di Pamela è una chiazza di pallore malato sotto la capigliatura rossa.
"Ma che hai?" le chiede Harleen anche se lo sa benissimo.
L'altra la lascia entrare sussurrando un "… dimenticato…". E quel "dimenticato" vuol dire niente cena. L'idea la mette di cattivo umore, più dello stato di Pam. L'euforia con cui è uscita di casa e che l'ha spinta a superare i limiti di velocità e ad ignorare almeno tre semafori rossi, cose che la fanno sentire sempre incredibilmente carica, sta svanendo.
"Ok, non sento odore di cibo. E tu non mi sembri nelle condizioni adatte per rimediare e andare a sbocconcellare qualcosa di extra lusso all'Iceberg Lounge" osserva scrutando il colorito giallognolo della padrona di casa e sente a stento le sue scuse. Non che se ne faccia molto. Le ha guastato la serata, la cara Pamela. Perché continua a comportarsi da idiota senza cervello. Sposta un vaso di ortiche e si accomoda sul divano lanciandole un'occhiata di rimprovero.
"Possiamo ordinare al cinese" propone Pam con evidente senso di colpa.
"Lascia perdere. Per te ci vorrebbe un brodino caldo, come quelli che mi faceva mia nonna quando avevo l'influenza."
Ancora trenta secondi e poi glielo dirà. Ha preparato l'annuncio con troppa cura per sprecarlo. Uno, due, tre…
"Daresti un'occhiata a questo?" dice sfilando un foglio dalla borsa e porgendoglielo. "È la mia richiesta perché mi venga affidato il Joker come paziente."
La scintilla dell'interesse si riaccende negli occhi verdi di Pam segnati dalla stanchezza. "Joker?" dice prendendo il documento con le dita che le tremano. "Il Joker ad Arkham? E tu l'hai visto?"
È terrore o entusiasmo? Harleen non saprebbe dirlo. Forse una somma di tutti e due. In quella città per depressi la gente sta stampando magliette con la faccia bianca del criminale dell'anno. Se ne vedono in giro in numero superiore rispetto a quelle che commemorano il povero Harvey Dent. Quelle con lo stemma di Batman sono sparite dal mercato dopo che i sostenitori di un tempo hanno bruciato pubblicamente quelle già acquistate.
"Sì. E voglio potermene occupare. Puoi dirmi se quella lettera è abbastanza convincente?"
Gli occhi nelle orbite di Pamela quasi si rovesciano. È decisamente fuori fase, ma non è il caso di farle l'ennesima predica. Non servirebbe a niente. Se avesse il via libera, se non ci fossero regole da rispettare, se potesse mettere da parte ogni scrupolo nei confronti di chi la sta riducendo in quel modo… Ma non è così. Per come vanno le cose in quel mondo strampalato, può solo restare a guardare mentre la sua migliore amica si lascia distruggere.
Sei una stupida, Pamela. Basterebbe un no.
"E ci hai parlato? Com'è? È vero che ha il viso talmente deturpato che non si riesce a guardarlo? Deve essere orribile." Pamela continua ad essere in bilico tra la catalessi e l'euforia. Altri due minuti di quell'andazzo e la trascinerà in ospedale volente o nolente. Lei non può aiutarla. Non quanto le occorre.
"Pam, faresti meglio a infilarti sotto un getto d'acqua fredda."
Pamela si sporge verso di lei con aria arrabbiata. "La sua faccia è or-ri-bi-le?" scandisce.
Orribile.
Harleen si alza e si avvicina alla finestra. Avrebbe bisogno di aria. Dello smog familiare di Gotham. Quel profumo da pompe funebri le fa venire il mal di testa.
Orribile.
È così che si alimenta una leggenda macabra. Rendendo una persona malata un mostro.
"Affatto" le risponde sorprendendosi di suonare più seccata di quanto non vorrebbe. Cicatrici che non vanno più via. E che probabilmente ne hanno marchiato a fuoco la personalità. Se solo riuscisse a farsi dire come si è fatto quelle cicatrici… "È piuttosto bello, direi. Quel poveretto ha già abbastanza problemi senza che la gente infierisca sul suo aspetto solo per un paio di insignificanti graffietti."
Pamela la fissa ad occhi sbarrati.
Cos'hai da guardarmi in quel modo?
"Harley, ti senti bene?"
Glielo sta chiedendo sul serio? Lei che non sa nemmeno cosa le stia circolando nelle vene?
"Sto benissimo, cosa che non si può dire di te." Pam non può permettersi di apparire scettica. Non lei. Forse è stata troppo aggressiva. Ma se davvero vuole fare un buon lavoro deve partire dal presupposto che stia semplicemente avendo a che fare con una persona la cui psiche deve essere curata, e non con un orco, un demone, qualcosa che trascende l'umano. "Ha detto che sono il suo Arlecchino…" sussurra.
Chissà se c'è stato un momento in cui si mescolava a tutti gli altri, simile al resto del mondo, e la sua mente seguiva ancora percorsi lineari. O se invece la sua pazzia è radicata nel suo DNA.
"Il suo…" inizia Pam prima di riversare sui propri pantaloni, sul pavimento e sulla lettera destinata al dottor Arkham, un fiotto di vomito acquoso e verdastro. Rovescia all'indietro la testa emettendo un rantolo sordo e poi perde i sensi afflosciandosi sulla poltrona.

Pamela Isley da bambina voleva semplicemente fare la fioraia. Le ha confessato più volte di avere un'idea piuttosto sorpassata e romantica della cosa. Si immaginava con una gonna vaporosa, un grembiule e una cuffia di pizzo, girare con il suo carretto carico di tulipani, rose e peonie per le strade di Seattle. La realtà è stata diversa, più prosaica ma non meno affascinante.
Quando Harleen Quinzel l'ha conosciuta, due anni prima, si era appena trasferita a Gotham dalla Gardner University ed era già l'assistente del professore di botanica Jason Woodrue. E di lui diceva meraviglie. Ancora adesso continua a ribadire la sua assoluta genialità. La cosa fa provare ad Harleen una rabbia tremenda.
Dopo essersi assicurata che il suo respiro fosse regolare, Harleen le ha tolto di dosso i vestiti sudici e ha ripulito il pavimento. Adesso la osserva, seduta in poltrona, sgranocchiando dei cracker che ha trovato in dispensa.
È quello che una ragazza si aspetta da una serata tra donne, no?
Le ha buttato addosso una coperta: se non riprende i sensi al più presto dovrà passare la notte lì ed alzarsi all'alba per tornare casa, cambiarsi e andare al lavoro.
Quando hanno cominciato a frequentarsi, Pamela le ha detto che le sembrava di avere trovato una sorella minore. Ma adesso è lei ad avere bisogno di qualcuno che abbia la saggezza per guidarla. Quando le ha sfilato la maglia ha sentito sotto le dita le piccole ferite che segnano come un messaggio in codice Morse i punti lungo la sua spina dorsale che Jason Woodrue ha seguito per iniettarle i suoi intrugli.
"Un genio, Harley. Lui mi ha insegnato tutto quello che so. Grazie ai suoi studi il sistema immunitario umano diventerà uno scudo invalicabile contro qualunque genere di male. Io lo aiuto come posso. E lui non farebbe mai nulla se pensasse di potermi nuocere, credimi."
Complimenti, professore. Non capisce Pamela. Non ci riesce. Non riesce a concepire che una persona possa ridursi in quello stato per amore.
L'amore è qualcosa che dovrebbe farci stare meglio, non…
"Come ti senti?" chiede accorgendosi che Pamela ha aperto gli occhi.
"Meglio" biascica lei senza risultare convincente.
Harleen prende a morsi l'ultimo cracker. "Senti, lo so che mi hai detto che non sono affari miei. Ma lo sai che quello che sta facendo il tuo scienziato pazzo probabilmente è illegale?"
Pamela si tira su emettendo una specie di ringhio che si trasforma in un colpo di tosse. "No che non lo è. Ho firmato un regolare documento. Sono una volontaria. E l'università sa benissimo cosa… un documento… dove è finito il tuo foglio?"
Harleen solleva le spalle. Fortunatamente ne ha una copia nell'hard disk. Sarebbe stato un guaio se tutte le sue frasi studiatissime fossero finite per sempre nella pattumiera di Pamela, ricoperte dal suo vomito. "Abbiamo una faccenda più urgente da chiarire. Il mio nuovo paziente può aspettare. Il tuo amichetto finirà per ucciderti se lo lasci fare, te ne rendi conto?"
Pamela si passa entrambe le mani sulla faccia. "Quanto sei melodrammatica…"
La voglia di darle un paio di sberle si sta facendo più forte dopo ogni secondo. "No, io sono un medico, idiota. E capisco al volo quando una persona sta rischiando grosso."
Come risposta ottiene un borbottio indistinto e non può fare altro che chiedere a Pamela di ripetere.
"Ho detto che non capisci, Harleen" l'altra sibila tra i denti. Appare furiosa e Harleen sa di aver sprecato il proprio fiato per l'ennesima volta. "Io non posso deluderlo. Non posso tirarmi indietro. Sarebbe come tradirlo. E io non voglio tradirlo. E non ripetermi che questo non può essere amore. Perché le cose non vanno come nei film, Harley. Altrimenti tu avresti trovato un magnifico principe azzurro invece di risvegliare la libido di un maniaco omicida. Arlecchino. Il suo Arlecchino. Come l'hai definito? 'Piuttosto bello'. 'Quel poveretto.' E vieni a fare la predica a me?"
"Le mie erano pure e semplici constatazioni." E tu sei svenuta un minuto troppo tardi.
Stranamente scopre di non essere arrabbiata. Quella faccenda la diverte parecchio. Si ritrova a ridere come una stupida. My girl's a pretty thin'… Quella canzone era davvero buffa. Nessuno le ha mai fatto una serenata simile. È un episodio che dovrà assolutamente raccontare nel suo libro. Risvegliare la libido di un maniaco omicida. Non è certo la prima volta che le capita, ad Arkham. Ma stavolta non ha provato alcun senso di ripugnanza. Perché il suddetto maniaco omicida si è comportato con estremo garbo. Lo stesso garbo che avrebbe usato se non ci fosse stato il plexiglass, anche se avrebbe accompagnato le parole con qualche colpo di rasoio ben assestato.
"Non è il sogno di ogni ragazza?" chiede senza smettere di ridere.
"Tu sei matta. Ad Arkham ci finirai come paziente, prima o poi" conclude Pamela sdraiandosi di nuovo e voltandole le spalle.

Harleen Quinzel odia le giornate grigie. La fanno sentire giù di corda e l'umidità nell'aria le rovina i capelli impedendole di farli stare come dovrebbero. E di solito quel tempo atmosferico quasi sempre le dice che le si prospetta una giornata più che storta. Dopo una nottata passata a fare da infermiera a Pamela è dovuta correre a casa e stampare al volo una copia della lettera per Arkham. Quindi, per cause di forza maggiore, si è trovata di nuovo ad essere in ritardo. Adesso ha bisogno di cioccolata per ricaricarsi e non uscirà dal suo ufficio prima di aver spazzolato una delle tavolette che nasconde nel terzo cassetto della scrivania.
Ma la rosa rossa e il biglietto sono proprio al centro del ripiano. Harleen pensa immediatamente che qualcuno abbia chiesto alla donna delle pulizie di metterceli e trova la cosa davvero romantica. Il fiore è un bocciolo di un rosso talmente scuro da virare al viola. Ne accarezza la superficie vellutata e poi legge il messaggio per scoprire l'identità di quel poetico spasimante. La calligrafia è ordinata ma spigolosa.
"Torna a trovarmi qualche volta. J."
Harleen stringe le labbra mentre una rabbia montante le infiamma il viso e i pensieri. Non sa quale dei suoi colleghi si sia scomodato a farle quel ridicolo scherzo, ma questo vuol dire solo che la considerano in vantaggio. E per quale scopo? Prenderla semplicemente in giro per quanto è successo il giorno prima? O spaventarla? Assurdo. L'unico risultato ottenuto è quello di renderla più agguerrita. Accartoccia il biglietto e sta per gettare il fiore nel cestino della carta straccia quando, senza un vero motivo, cambia idea. Soffia via la polvere dal volume più pesante della sua libreria e ripone la rosa fra le sue pagine.
È troppo bella per finire gettata. Chiunque l'abbia mandata.

La cosa buona dell'Arkham Asylum è che è distante dal caos cittadino. La cosa cattiva è che l'idea di passare il ponte e andare a pranzare fino a Gotham è improponibile e la mensa non è di certo un ristorante a cinque stelle. Harleen Quinzel non ha avuto il tempo di portarsi da mangiare da casa. Non che sia un vero problema. Il suo stomaco è chiuso e non per colpa dello stufato in umido, ma per la faccia soddisfatta di Joan Leland.
Non è certo ciò che Harleen si aspettava. Le ha appena annunciato che ci sono buone probabilità che il dottor Arkham scelga proprio lei per il caso Joker. Anche se dove prenda questo ottimismo lei non sa dirlo.
"Purtroppo, Harley, credo che tu ti sia bruciata tutte la tue carte dopo la scenetta di ieri."
Che bello. Rovesciarle il vassoio in faccia, ritrovarsela coperta di purè e carne in umido e poi chiudere con un colpo da maestra spiaccicandole il tortino di ciliege sulla fronte le procurerebbe una profonda soddisfazione.
Scenetta.
"Credevo che avessi paura di lui. Che non ti interessasse" commenta.
Subdolo serpentello. Ti mangerebbe in due bocconi e io sarei lì, pronta ad offrigli un digestivo.
"Curriculum, Harley. Sai cosa vuol dire poter mettere tra le credenziali il fatto di avere avuto in cura il Joker?"
"Solo se esce di qui perfettamente guarito" tenta di smorzare il suo entusiasmo.
Scenetta. Scenetta!
Imbecille che non è altro. Il Joker ha scelto lei. È a lei che ha rivolto la parola. È con lei che ha stabilito un feeling. E solo da lei accetterà di essere curato. Arkham lo sa benissimo. Di certo prima di sera la chiamerà nel suo ufficio e le dirà che il Joker è tutto suo. Ha già pianificato il periodo di terapia che precederà il processo, seduta dopo seduta. Dopo tre giorni lui comincerà a parlarle di sé. Deve solo consolidare la fiducia che lui ha accennato a dimostrarle.
"Di sicuro ha più possibilità di riacquistare la sanità mentale con me che con te, se i tuoi metodi si riducono ad un frenetico sbattimento di ciglia. Non funziona con gli psicopatici, non te l'hanno detto all'università? Però, in fondo, eravate carini, ieri. Due anime gemelle. Tali e quali."
Il vassoio prende il volo. Manca la tortina sulla fronte, ma per il resto il quadretto è esattamente come l'ha immaginato. "Tanto carini da meritare una rosa?"
Resterà con la fame dal momento che il suo pranzo è finito addosso a Joan. Ma sa di poter reggere. Poi porterà a cena Pamela per festeggiare il suo certo, certissimo incarico.
Esce dalla sala mensa e si dirige quasi senza pensarci verso la cella d'isolamento. Morales ha appena avuto il cambio dall'energumeno del quale non ricorda mai il nome. Stanno facendo gli straordinari, ma, a quanto sembra, sono gli unici due a poter tenere testa fisicamente al Joker. Quel ragazzetto dall'aria dinoccolata e poco resistente…
"Dottoressa Quinzel… buongiorno…" L'uomo richiude la porta blindata e sembra a disagio nel vederla lì.
"Buongiorno, Paulo. Un'informazione. Il Joker ha ricevuto visite o parlato con qualcuno a parte te?"
L'uomo continua a non guardarla. "Due dei suoi avvocati, ieri sera. Gli abbiamo concesso dieci minuti. Non so se dovrei dirglielo. Il dottor Arkham ha detto di non fare parola di questa faccenda, se non con il terapista di quel tizio."
Harleen gli sorride, ma non gli dice che allora sarà solo questione di ore. I suoi avvocati. Dunque una piccola possibilità che quella rosa provenga davvero da lui c'è. Piccola, minuscola, insensata, e io non devo crederci…
Ma se fosse così, se davvero conoscesse il trucco magico per far arrivare la sua voce fino a lei, allora questo vorrebbe dire che il Joker la sta aspettando dietro quella porta.
"Torna a trovarmi."
Lentamente, strato dopo strato, raggiungerà il suo nucleo. Ha le armi giuste per poterlo fare. Poco importa quali siano le opinioni di Joan Leland in proposito. "Eravate carini…" Che idea buffa. La fa sorridere. Pensare al clown la fa sorridere sempre.

La pioggia battente si è trasformata in una vera bufera, con tuoni e fulmini che danno all'Arkham Asylum un aspetto da castello infestato, quando, alle sei in punto, Harleen Quinzel smette di sorridere. Il suo umore si fa nero, mentre quello di Stephen Connor è reso manifesto dalla sua faccia allegra e dal fatto che inviti tutti a bere con lui, quella sera.
Harleen immagina. Ancora una volta sarebbe una cosa da niente se potesse semplicemente investirlo e toglierselo dai piedi.
Ma. Ci sono i ma. Ma non si può fare perché è un atto criminoso, è sleale, è una cattiveria, e le brave persone non fanno certe cose. Gli ostacoli vanno superati in modo corretto. Lealmente. Questo le hanno insegnato fin dal suo primo giorno di asilo.
Ma. C'è un altro ma che quello che sarebbe potuto diventare il suo paziente, nonché la sua gallina dalle uova d'oro, troverebbe più importante. Investire Connor sarebbe poco divertente. Barbarie nuda e cruda. Senza la minima traccia di classe. Oh, che magnifiche chiacchierate avrebbero potuto fare. Interi blocchi di appunti da riempire andati letteralmente in fumo. La leggerezza che di solito caratterizza il suo modo di affrontare i problemi sembra essere sparita. Sa che tutti ridono di lei per averla vista perdere su un terreno che considerava in discesa. Ma la risata che conta è sempre l'ultima. Non sa in che modo, ma metterà le cose a posto. Non può finire così.
È mio, imbecille di un Arkham. Come hai potuto darlo a Connor?
A passo di carica si dirige verso l'ufficio del capo piantando in asso i colleghi. Che si concedano pure il divertimento di sparlare di lei. Per ora deve convincere il vecchio a tornare sulle proprie decisioni. Respira profondamente, imposta una faccia tranquilla e poi bussa. Arkham si sta infilando il cappotto.
"Quinzel… temo di avere dimenticato il mio ombrello."
Molto, molto interessante. "Spiacente. Non posso prestarle il mio." Figlio. Di. Puttana.
Il vecchio la degna un'occhiata distratta. "Aveva bisogno di qualcosa? Sarei di fretta. Stasera è il compleanno di mia nipote."
Un altro splendido momento in cui rimpiangere di non potersi liberare dai freni inibitori. Acchiappare Arkham e prenderlo a pugni… "Una sola domanda, dottore. Posso chiederle cosa l'ha spinta a scegliere Connor per il caso Joker e non me?"
Il vecchio scuote la testa sottile con aria comprensiva, e la cosa la fa arrabbiare ulteriormente. "Lei non è mai stata in corsa, Harleen. Non dopo ciò che è successo ieri. È piuttosto evidente che il Joker la consideri l'elemento debole del quale poter avere facilmente ragione. Per questo ha tentato di abbordarla."
Vecchio rimbambito. Elemento debole? Non ha capito nulla. Cosa potrebbe ottenere uno come Connor? Perfino il Joker lo sa e per questo l'ha scelta. La sua mente straordinaria ha capito che l'unica in grado di comprenderlo a fondo, lì dentro, è lei. E Arkham parla di tentativi di abbordaggio? No, nessuno può capire. La linea di reciproco contatto che si è stabilita in quei pochi secondi di interazione è qualcosa che riguarda solo loro due. Lei è il medico del Joker, qualunque cosa possano dire gli altri.
"Trovo le sue parole piuttosto offensive, dottor Arkham. Crede che non saprei gestire la situazione? Se non sbaglio lei era scettico anche prima di affidarmi Jonathan Crane, eppure l'evidenza dei fatti mi ha dato ragione. Ricorda quanto ci ho messo a rimetterlo in piedi? Glielo dico io: tre mesi scarsi. Vorrei che la smettesse di considerarmi l'ultima arrivata, la novellina senza esperienza, quella che i pazienti credono una smidollata da soverchiare. Non è così. Forse lui mi ha rivolto la parola perché ha provato una sorta di empatia. E quindi con me i risultati sarebbero migliori."
"Interessante arringa. La risposta è no. Non avrà il Joker, dottoressa Quinzel."
Piantargli il tagliacarte nella gola. E dopo attaccargli un biglietto sulla fronte. "Io ho torto. Harleen ha ragione." Sì, questo sarebbe abbastanza divertente.
"Capisco" conclude semplicemente.
E lui? Come la prenderà lui? "Torna a trovarmi."
Spiacente, J. La sorte congiura contro di noi.
Guida verso casa tenendo l'autoradio a tutto volume. Se non piovesse in quel modo si spingerebbe fino in centro, e solo per comprare una spilla con la scritta Free the Joker. Tanto per fare un dispetto ad Arkham. Invece arriva a casa, si getta sotto la doccia e poi infila una videocassetta nel lettore. Il falso Batman trema senza alcuna dignità, mentre la sua voce lo interroga. "Sei il vero Batman?... No?... E allora perché ti vesti come lui?..."
Il volto stravolto dell'ostaggio. La voce spezzata che ripete che Batman gli ha insegnato a non avere paura della feccia come lui… "Oh, sì che devi averne, Brian… devi averne molta …" Poi la sua faccia. È davvero la stessa persona rinchiusa ad Arkham? La telecamera e il trucco gli deformano i lineamenti. Solo lo sguardo è lo stesso, anche se soffocato dai segni color carbone.
Guarda Connor in quel modo, J, e vedremo cosa resterà di lui.
Intanto lei, anche se si sforza, non riesce a trovare un valido motivo per tentare di ridere di nuovo.


But just before the dawn, I awake and find you gone.
I can't help it, I can't help it, if I cry.
I remember that you said goodbye.

It's too bad that all these things, can only happen in my dreams
Only in dreams, in beautiful dreams.

(Roy Orbison, In dreams)

Note

1) L’Iceberg Lounge è il night club del Pinguino. ^_^
2) Jason Woodrue. Alias Floronic Man. La cosa buffa è che, nel film ‘Batman e Robin’, era interpretato da John Glover, il Lionel Luthor di Smallville. Eh, sì, alla DC s’è tutti una grande famiglia.
3) Jonathan Crane. Quel dannato. Ho messo le mani sugli episodi di Gotham Tonight e mi ha spezzato le gambe con una latitanza infinita. Le meningi si muovono per rendere plausibile nel Nolan-verse la sua (presunta) guarigione.


   
 
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