Our love is a mistakes
CAPITOLO
6
Collaborazione
con Angelo_Nero
-Andrà
tutto bene-
-Bugiardo.
Sei un fottuto bugiardo-
Duncan
non l’avrebbe mai voluto.
Essere
scoperto fu così tremendo… sulla
sua pelle sentì un’umiliazione cocente sotto forma
di schiaffi, pugni e
legnate. Gli era scappata una carezza sul fianco di Trent, che lo
fissò
preoccupato. Poi fu tutto confuso, sapeva solo che voleva urlare per il
dolore.
Dietro
la sua schiena pallida andarono
ad aggiungersi lividi su lividi. Sta volta non erano i marchi del suo amante, oh, no. Sta volta era odio,
disprezzo, cattiveria, schifo… un misto di emozioni nate
proprio per far male a
lui e a tutta la sua razza deviata. Sentì
una mano scorrere dalla nuca in su, aggrapparsi ai capelli corvini e
sbattergli
la testa contro la terra. Tante volte. Tante quante ne dovette subire
il
chitarrista.
La
tempia prese a sanguinargli e un
rivolo di sangue scivolò lungo la guancia spigolosa e tinse
il labbro di rosso.
Schiuse gli occhi azzurri, che oramai di quel colore non erano
più.
C’era
una tempesta, momentaneamente: il
grigio delle nuvole, il liquido trasparente delle gocce di pioggia e
l’azzurro
di un cielo poco limpido.
Le
urla e le implorazioni del
diciottenne gli arrivavano alle orecchie ovattate. Sentiva sul suo
corpo
seminudo la saliva dei tedeschi che lo stavano attaccando. Era troppo
per lui…
Ruschtmann… Duncan Ruschtmann. Uno dei più grandi
uomini affermatisi in tutta
la Germania, fidato seguace di Hitler e del suo regime. Ora non lo era
più:
sarebbe diventato un numero e un triangolo rosa.
Altri
calci: sui fianchi, allo stomaco,
al petto, alle costole, al viso… non c’avrebbe
fatto assuefazione tanto presto.
Pensava intanto: agli spasmi allucinanti che stava sopportando e
inoltre a che
cosa sarebbe successo se avesse ammazzato di botte Trent, quel giorno.
In
questo momento non sarebbe stato un uomo felice, di sicuro.
Ma
il giovane nazista (anche se non meritava più
quel nome) sapeva tutto ciò
che avrebbe atteso i loro corpi martoriati e le loro anime svuotate.
Non sapeva
se il chitarrista ci fosse arrivato, attento com’era,
sentendo parlare gli
altri germanici tra loro. Era sempre tutto poco chiaro e di sicuro non
sarebbero
finiti in luoghi ricreativi come avevano spiegato una volta ad altri
suoi
compagni. Duncan era potente e sapeva tutto, anche se avrebbe preferito
restarne all’oscuro.
Tuttavia,
un po’sentiva di meritarsele
quelle botte: lui amava un uomo! Era qualcosa di disgustoso e
sì, ci aveva
riflettuto su così tante volte. Però
quell’amore, appunto, batteva tutto. I
suoi pregiudizi e le sue credenze stupide, infondate. Trent gli aveva
aperto
gli occhi: quella cieca fedeltà per cosa, poi? Essere
limitati, impacciati nei
loro rapporti?
Perché
tanto il più piccolo lo sapeva davvero
bene: non gli sarebbe mai stato
lontano. E la cosa gli faceva piacere a differenza degli altri uomini
che aveva
avuto. Lo bramava e la cosa era reciproca. Duncan era così
attratto da lui. Dal
suo corpo, dai suoi atteggiamenti… tutto! Avrebbero fatto
l’amore altre milioni
di volte se non fosse stato per quell’imprevisto.
Una volta sarebbe stato lui a comandare, un’altra quel
tedesco dalle idee
confuse. Quindi basta, l’avevano fatto.
In
amore tutto è concesso. Peccato che
lo sia anche in guerra. Forse erano davvero troppo giovani per capire,
o era
vero che tutto quello non aveva senso. Perché soffrire le
pene dell’inferno se
solo si ama qualcuno?
Ecco
che Trent, sotto i colpi di una
frusta tirata fuori da chissà dove, se lo domandava. Non era
tanto forte come
ragazzo, era sensibile, fin troppo facile da spezzare e stava
già avendo un
crollo. Piangeva con isteria, rannicchiandosi e pregando, ma quelli lo
rialzavano, colpendolo più e più volte. Ormai gli
altri uomini non ebbero più
disgusto e il loro amore per le giuste regole stava riemergendo dopo
quel lieve
secondo di debolezza.
La
violenza era troppa e insopportabile
per quel corpo ancora adolescente di Trent e Duncan, facendo appello
alla sua
più totale pazzia e approfittando di quell’attimo
d pace fisica che gli era
stata concessa, si trascinò davanti al suo amante,
proteggendolo e subendo per
lui gli altri colpi di frusta.
***
Trent
non aveva mai avuto paura del
buio, neppure quando, da bambino di strada che era, si riparava sotto i
cartoni
trovati a fortuna. L’aveva sempre amata
l’oscurità, gli dava la pace mentale,
ma quella era tutt’atra cosa.
Sentiva
troppo dolore, era allucinante
e voleva solo smettere di soffrire, in un modo o nell’altro.
Le braccia di
Duncan sembravano avergli donato un’alternativa
più allettante: si sentiva
meglio quando stava stretto a lui, quando lo cingeva con le braccia e
si
lasciava abbracciare in uno scambio d’affetto poco virile.
Adesso voleva solo
sentire il suo profumo, anche se mischiato al mal odore che vigeva in
quel
vagone di treno. Paglia sporca per farli appoggiare, appartenente a
degli
animali. Erano al chiuso, ma non solo loro due. Schiacciati da corpi
mezzi
morti o svenuti, terrorizzati, che si ammassavano come sardine tra di
loro. Duncan
e Trent erano all’angolo e alzando la testa potevano vedere
le rotaie che
scorrevano sotto i binari opposti, sforzandosi perché da
quelle sbarre rosse ma
consumate dal tempo si faceva davvero fatica a scorgere qualcosa. Il
più
giovane aveva appoggiato la testa sulla spalla dell’ex
nazista che, senza
preoccuparsi delle sue condizioni, continuava ad accarezzargli la
schiena, come
per donargli una sicurezza che in quel momento non esisteva
più –Ci
uccideranno?-
Lo
chiese così, indolore, senza pensare
neppure alle sue parole. Era una domanda lecita da fare a un germanico,
macchina di sterminio, anche se Duncan oramai non funzionava poi
così tanto
bene. Abbassò gli occhi azzurri sui capelli sporchi di terra
dell’altro,
arricciandone le punte attorno alle dita. Non rispose e quindi si
abbandonò
totalmente, rannicchiandosi di più –per quanto gli
fosse possibile- e
affondando la testa nel petto del compagno –Però
promettimela una cosa- disse
in un soffio, accennando un sorriso sofferto quando si sentì
più stretto
–Amami. Amami ora come non mai, perché non potremo
più farlo. Amami sempre,
dovunque andremo a finire. Amami e giurami che tutto ciò che
ti faranno non ti
ridurranno a un vegetale, incapace di pensare e ricordare.
Perché non dovrai
mai dimenticarti di me, sei la cosa più bella che mi sia mai
accaduta- lui era
un poeta ma Duncan non parlava più, voleva solamente
dimenticarsi della sua
voce, di tutto ciò che era stato. Ma sarebbe stato
impossibile, quindi –Prometto-
acconsentì solo alla fine, con una voce leggermente
distaccata, punta da un
pizzico di veleno. Trent si sollevò, urtando qualche corpo,
andandosi a mettere
sulle gambe dell’altro e unendosi con il suo petto, quasi a
volergli entrare
nella cassa toracica. Fece scorrere le braccia dietro la sua schiena e
poi lo
attirò a se, abbracciandolo –Grazie di esistere-
mormorò baciandolo e
accoccolandosi di più, cercando di isolarsi da quelle cento
persone. Chissà
come, s’addormento e Duncan, una volta sicuro che le sue
parole non potessero
giungergli alle orecchie gli rispose
-Grazie
a te, amore-
E
per una seconda volta era stato
ancora troppo superficiale. Trent sentiva tutto. Sempre.
***
Aveva
baciato il collo di Trent,
mormorandogli di svegliarsi perché non aveva voglia di
vederlo bastonato
nuovamente da quei mostri con i
quali
aveva tanto in comune. Cominciava a odiare il sangue che gli scorreva
nelle
vene. Pura razza ariana, prese a detestarsi. Quello si era stropicciato
gli
occhi e per un attimo credette che fosse stato solo un incubo. Fu
tremendamente
brutto riprendere conoscenza e sentire le fitte di dolore propagarsi
istantaneamente
per tutto il suo corpo –Ce la fai?- chiese premuroso,
alzandosi e venendo quasi
spazzato via dal flusso delle persone che sciamavano lentamente dal
vagone –Mi
fa… male… tutto…- sbuffò
infastidito. Poteva anche collaborare e smetterla di
fare il bambino, no? Gli prese il polso e tentò
d’alzarlo, ma si bloccò a un
suo gemito di dolore. Si abbassò e lo prese direttamente in
braccio, facendo si
che si bloccasse con le braccia dietro la sua nuca, poi lo mise in
piedi
–Grazie- disse, baciandolo su una tempia –Smettila-
lo scansò più in là,
guardandolo freddo –Smettila. Oramai è tutto
finito-
-No.
Non è così- l’ex nazista
alzò un
sopracciglio e fece un verso incomprensibile –Me
l’hai giurato il nostro amore.
Al diavolo tutto- sorrise cristallinamente
-Tu
non sai…- e si morse le labbra,
scuotendo la testa e scendendo definitivamente dal vagone. Eppure Trent
capiva,
sapeva, non ci voleva un genio. Non ci volle neppure quando i suoi
occhi,
appena sceso dal treno, incontrarono tutta la disperazione che
s’allargava a
macchia d’olio. Restò intontito per un
po’, mentre guardava nazisti crudeli
separare famiglie e famiglie, senza distinzioni. Con una freddezza tale
che
caratterizzava ancora Duncan, perché infondo quella era la
sua razza. Non
gliene faceva una colpa. Era cresciuto così.
Trent
con quegli occhi sarebbe stato
capace di far innamorare il più rude uomo tedesco, persino
quello più convinto
della sua eterosessualità. Trent aveva capacità
che Duncan aveva testato sulla
sua pelle.
Il
tedesco sobbalzò quando i suoi occhi
incontrarono la scena di un bambino, strappato via dalle mani di una
donna
urlante, piangente e disperata, che pregando venne bastonata alla
schiena e
trascinata in un gruppo formato da sole donne.
Le
ragazze da una parte, gli uomini
dall’altra, i bambini in un gruppo. Certi provavano a
ribellarsi, volevano
spiegazioni, altri che avevano già compreso, come lui, si
lasciavano piegare
come canne di bambù.
Trent
non poteva sopportare quella
visione e abbassò gli occhi. Era ingiusto, tutto troppo
ingiusto. Le persone,
trattate come oggetti, senza sentimenti. Strattonate di qua e di
là, imbottite
d’insulti e botte. Recriminati, perché ebrei,
perché gay… perché troppo diversi
e sbagliati. Imperfetti.
E
Trent era sempre stato imperfetto, da
quando era un bambino. Era sempre stato attratto dalle bambole delle
bambine
ricche che vedeva passare difronte al suo “scatolo
occasionale” che usava come
letto. Sognava d averne una, dai capelli mori e gli occhi azzurri e
l’aveva
avuta, quando una ragazzina prese a fare i capricci perché
quel suo giocattolo
era troppo vecchio e brutto, gettandolo all’aria, in una
pozzanghera e
scappando, mentre la madre la rincorreva preoccupata, promettendole
tutte le
bambole che avrebbe desiderato. Mentre lui, strisciando quasi, la
raggiunse,
prendendola tra le mani e contemplandola. In quel momento non gli
importava più
della fame che era costretto a subire, della sete che gli inaridiva la
gola e
della poca forza nelle mani. Al gioco mancava un occhio, arrangiato con
un
bottone. I capelli erano tagliati e il sorriso cucito con ago e filo.
Era
sporco di fango e aveva numerose toppe. Ma a lui piaceva, forse anche
più di
tutti quegli inutili soldatini che era riuscito a racimolare nel tempo.
Con
quelle sue dita magre e sottili accarezzò una guancia della
bambina di stoffa,
sorridendo e accucciandosi al suo solito angolo di strada, che aveva
ambiato
così tante volte nel giro di una vita.
Si
lasciò scappare un singhiozzo quando
un uomo in divisa lo afferrò per un braccio, strattonandolo
e rimproverandolo,
dicendo che quello non era il suo gruppo, che aveva sbagliato.
Parlavano in un
tedesco molto stretto e lui faticava a comprendere, per questo quando
fu vicino
a Duncan, abbassò la testa sul suo petto, chiedendo di farsi
stringere di nuovo
e di spiegargli cosa stessero dicendo, ma occhi azzurri non reagiva
più di
tanto. Accarezzò una spalla di Trent, socchiudendo gli occhi
e osservando tutto
il caos che vigeva, angosciandoli ulteriormente. Sibilò
qualcosa di incomprensibile,
poi abbassò lo sguardo e sospirò. Infine diede
un’ultima occhiata al suo
amante, terrorizzato a morte.
Lo
amava e in quel preciso istante
giurò che sarebbero stati insieme per sempre. Qualunque cosa
fosse successa.
***
Quando
furono scortati in quei campi,
Duncan si sentì morire. Le aveva viste certe foto, ma quello
era ancora più
straziante.
Lì
si concentrava la follia del genere
umano. Un sadismo ingiustificato. La crudeltà,
l’incredibile cinismo verso la
sofferenza dei propri simili. Perché infondo, tra Ebrei e
Tedeschi non c’era
questo abisso di differenze. Un Dio, forse? Un modo di pensare?
L’aria
era pregna di urla mai emesse,
di parole stroncate, di fatica e soprattutto di domande. Troppe
domande,
quesiti irrisolvibili.
I
prigionieri camminavano quasi in
punta di piedi, impauriti da quel gelo e dai passi ben cadenzati dei
soldati
che ogni volta incutevano più timore. Duncan però
gli occhi non li abbassava.
Era l’unico ad avere quelle iridi glaciali e
l’unico a conservare ancora le sue
credenze, seppur più fioche e lente: era pur sempre un
germanico, questo voleva
dire che l’avrebbero potuto umiliare fino
all’estremo, ma restava superiore.
Sentiva
freddo, invece, Trent. Scosse e
brividi gli trapassavano il corpo e voleva solo andare via, scappare,
ovunque
si trovasse in quel momento.
Aushwitz.
Era lì che era stato
segregato.
Poi
li rinchiusero in un edificio e lo
stupore fu generale: c’era chi urlava, chi invece guardava
tutti con gli occhi
sbarrati. Erano uomini ai quali, da lì a poco, avrebbero
strappato la dignità.
Duncan lo sapeva e se ne rammaricava. Sarebbe voluto salire su una di
quelle
panche di legno che si trovavano nello stanzone in cui lo avevano
chiuso, per
poi rizzarsi e urlare con tutti il fiato che aveva in gola, fino a
quando le
corde vocali non gli si fossero consumate: “qui si
muore”. Non fece a tempo.
Aveva Trent vicino e pensava solo a dedicargli delle carezze dietro la
schiena
livida e quello lo ringraziava con gli occhi. Aveva capito che il suo
angelo avrebbe
avuto un po’più di bisogno di lui. Non avrebbe
retto psicologicamente e lo
comprese quando, all’aprirsi di una porta di ferro,
sobbalzò, nascondendosi tra
la sua camicia sporca.
Da
essa uscirono parecchi uomini in
divisa, tutti ghignanti e felici di potersi imporre nuovamente con la
loro
forza. Duncan li riconobbe quasi tutti, da bravo nazista li conosceva,
sia i
loro nomi che i loro cognomi. Erano persone con le quali aveva
discusso,
trovandole deliziose, all’epoca, ma mettendole sempre in
soggezione con il suo
tono impetuoso. Invece adesso sembravano contenti perché si
sarebbero fatti
valere anche su di lui, su
Ruschtmann. Su
quell’uomo tanto temuto.
Fu
incredibile vedere lui, in prima
fila. Fu come un pugno in pieno viso.
Giurò
che, se mai ne avesse avuto opportunità, l’avrebbe
ucciso a quel bastardo.
A
quel suo fratello, quello al quale raccontava la sua vita,
i suoi dubbi. Quello con il quale passava le sere dei loro compleanni,
augurandosi vita lunga e felice. Lo stesso ragazzo con cui scherzava e
giocava.
Scott.
Quello
Scott che quando aveva un dubbio, gli scompigliava i
capelli e lo invitava a sfogarsi.
Quello
che gli aveva giurato fedeltà eterna, persino più
amore che aveva per il regime nazista.
Eppure
era lì, in prima linea, a guardarlo con schifo.
Possibile
che essere omosessuale fosse una così grande
malattia? Possibile che provocasse così tanto sdegno? Cosa
c’era di sbagliato
nell’amare? Perché quella folle guerra era
più importante di qualunque cosa?
Cosa permetteva ad un uomo di giudicare un altro uomo?
Aveva
voglia di gridargli contro che
era tutto svanito. I loro anni d’amicizia, non erano mai
esistiti.
Perché
era lì, con quel mezzo
sorrisetto, quei capelli rossi sempre ribelli e la sua divisa,
leggermente
sbottonata. Le lentiggini che facevano risaltare la sua aria
sbarazzina, forse
ancora un po’bambinesca e in contrasto i denti bianchi che
brillavano in un
ghigno. Duncan era indeciso se separarsi dal gruppo e pestarlo a
sangue, o se
seguire la logica e restare vicino a Trent, aspettando del dolore che
sarebbe
arrivato immediatamente.
Un
po’fu per paura, un po’per logica,
un po’per l’angelo che aveva tra le
braccia… ma non si mosse. Restò bloccato a
rimpiangere il passato e a immaginarlo come sarebbe stato se dentro di
esso ci
fosse stato il suo amante.
E
fu ciò che successe. Non badarono più
a nulla, ogni tedesco, si scelse la sua cavia personale, quella che
avrebbe
ridotto al nulla, sia fisicamente che psicologicamente.
Mentre
Scott prendeva Trent per un
braccio, spingendolo contro una parete e calciandogli lo stomaco,
Duncan poté
giurare di averlo visto abbassare gli occhi ceruli. Magari gli era
andato
qualcosa dentro, o era solo la vergogna e la consapevolezza che stava
sbagliando tutto. Comunque l’ex nazista non lo scorse
più. Fu afferrato dalle
spalle da una stretta più insicura, che quasi lo fece
sorridere: cos’era? Un soldatino
nuovo? Quando si voltò per un secondo notò
difronte a sé due occhi azzurri,
forse meno particolari dei suoi, un po’sciolti in quelle che
erano le titubanze
dei soldati alle prime armi. Ogni suo muscolo era teso e vedere quel
ragazzo
che conosceva bene per fama, lo fece traballare. Goeff, così
si chiamava il
biondo ariano, che si era ritrovato a scagliare un pugno sul naso di
Duncan,
continuando poi con colpi sempre più assestati,
scaraventandolo a terra e
facendolo gemere di dolore. Aspettava una qualche reazione,
però il giovane
tedesco era troppo intelligente per ribellarsi. Chiuse semplicemente
gli occhi,
patendo in silenzio tutto quello.
Nelle
sue orecchie le sentiva le
persone. Perché quelli erano: esseri viventi e non sbagli
della natura da
eliminare con sadismo. Aveva le orecchie sporche del suo stesso sangue,
che era
colato da una tempia, assordandolo per un po’. Fu meglio
così, comunque; non
voleva sentire le urla straziate degli altri. La violenza era arrivata
al
culmine. Cominciarono a sbattere i loro corpi contro i muri e il
pavimento, si
accanivano in più persone su un solo corpo e provavano vero
piacere. Aveva
visto persino uomini ai quali erano state strappate le unghie, per far
arrivare
al massimo i loro livelli di sofferenza. Ma cosa
c’è di più brutto che essere
considerati un errore umano?
Trent,
invece, sotto i colpi di Scott
era inerme. Il ragazzo lo guardava con soddisfazione crudele,
imprimendo sulla
sua pelle fragile segni di riconoscimento.
Amari, più aspri di quelli di Duncan,
l’amore della sua vita. Alle volte
riapriva gli occhi, ma solo per guardare il suo carnefice,
perché lo trovava
estremamente bello. Rude, ma bello. Aveva due occhi azzurri, ma molto
molto più
scuri di quelli di Duncan, come se fossero stati due pezzi di cielo
coperti da
grandi nuvoloni. Era così amico del suo amante. Come poteva
fargli del male?
Magari
l’ex nazista non la sentì, il
cantautore lo fece invece. Tese l’orecchio dopo che i colpi
di frusta che gli
erano stati inflitti cessarono, ascoltò il rumore di una zip
che si abbassava e
di altre che in tempi diversi seguivano lo stesso suono.
C’era
paura, terrore, voglia di
mantenere la propria dignità.
Ma
svanirono quando Scott, quel diavolo
infernale, sbatté il suo corpo magro di qua e di
là, premendolo poi contro un
asse di legno e facendo nascere nuovi lividi sulla sua schiena con
tremende
gomitate.
Non
sentì l’urlo di Duncan in tutta
quella gente che piangeva e pregava disperata. Difatti l’ex
nazista non gridò
mai, neppure quando quel ragazzo più giovane di lui gli
abbassò con titubanza i
pantaloni, violandolo. Non avrebbe mai pianto per darla vinta a quella
iena che
era il suo migliore amico, un tempo, la quale aveva denudato Trent,
facendolo
piangere quasi con isteria. Il diciottenne si era aggrappato
all’asse di legno,
conficcando le unghia in esso e costringendolo ad abbassare la testa:
lo stava violentando. Essere
trattato così lo ridusse al nulla. Come se tutto in quel
momento non esistesse
più; c’erano solo loro due: Scott con la sua
violenza e Trent con la sua
ingenuità. Gli intimò d’alzarsi una
volta
finito, ma il più piccolo crollò ai suoi piedi,
che si alzarono, riempiendogli
il volto di calci.
Duncan
invece eseguì l’ordine,
avvertendo lungo la spina dorsale il dolore della violazione ricevuta.
Fissò il
ragazzo in faccia e quello abbassò lo sguardo, pentito.
Pentito di tutto.
Perché lui non credeva in ciò che un buon nazista
doveva amare.
Quando
i tedeschi sparirono nuovamente,
Trent cercò d’alzarsi, ma non ce la fece. Fortuna
volle che Duncan riuscì a
scansare tutti e a raggiungerlo per asciugargli le lacrime, seppur
freddamente.
Un’altra
cosa fece Ruschtmann,
che inquietò l’amante: alzò
gli occhi di ghiaccio, di mare e di cielo e li rivolse alla nebbia del
migliore
amico, trasmettendogli tutto il disprezzo.
E
la iena aveva
recepito, ma non voleva neppure pensarci. Oramai, Duncan e il suo
amichetto
erano spacciati. Di certo non avrebbe potuto fare nulla se non rendere
la loro
vita un vero inferno.
Trent si fece più piccolo tra le braccia forti dell’altro, stringendolo e piangendo più forte, chiedendosi in tutta la sua ingenuità mischiata a una profonda consapevolezza, se Duncan avrebbe davvero continuato ad amarlo.
Writen_By_Stella
Angolino me!
Devo essere breve perché ho un colpo d'ispirazione e DEVO apporfittarne. Sinceramente il capitolo non mi piace un granchè... cioè, non so neppure se è possibile il fatto di Scott (ma anche se l'avessi saputo ce l'avrei messo lo stesso, Scott è il mio amore segreto). Inoltre so che i soldati tedeschi hanno stuprato parecchie volte i prigionieri, cioè, ho letto la testimonianza di un uomo, ecco. Ma seriamente, non mi convince, ho canellato la parte della violenza e sarebbe venuto un po'più.... realistico, ecco tutto. Non lo so, ragazzi, non lo so... -.-" Baci