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Autore: Angelo_Stella    25/10/2014    1 recensioni
1941, Berlino.
Duncan, un ventiduenne tedesco particolarmente fedele al Fuhrer, è un nazista perfetto. "Deutschland, uber alles!" è la frase che ripete al mattino, quando si alza per mirarsi allo specchio e crede fermamente nel suo significato. Ma le convinzioni che gli sono state trasmesse con tanta foga andranno a infrangersi.
È Trent che, tra un soffio di voce e una nota di una chitarra malandata, gli insegna la bellezza dell’amore.
Tratto dal testo
“Cosa ci sarebbe di sbagliato? Che ne sappiamo noi di che cosa sia o cosa debba essere l'amore? Solo perché il matrimonio è tra uomo e donna diamo per scontato sia così sempre? O è perché ci hanno abituato? Perché siamo ancora giovani per capire o perché semplicemente il pensiero … ci fa schifo?"
“Io … Insomma … E' così che va avanti il mondo, o no? Con l'amore di un uomo e una donna."
-
Siamo nel 1941 e Hitler trova in Ernst Röhm una minaccia.
Siamo nel 1941 e: “ [...] Tutto ciò richiede l'adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali. “
Siamo nel 1941 e: "Dobbiamo sterminare la radice e i rami di questa gente... gli omosessuali devono essere eliminati!".
....................................
Baci, Angelo e Stella
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Duncan, Sorpresa, Trent
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale
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Our love is a mistakes

CAPITOLO 6

Collaborazione con Angelo_Nero

 

-Andrà tutto bene-

-Bugiardo. Sei un fottuto bugiardo-

 

Duncan non l’avrebbe mai voluto.

Essere scoperto fu così tremendo… sulla sua pelle sentì un’umiliazione cocente sotto forma di schiaffi, pugni e legnate. Gli era scappata una carezza sul fianco di Trent, che lo fissò preoccupato. Poi fu tutto confuso, sapeva solo che voleva urlare per il dolore.

Dietro la sua schiena pallida andarono ad aggiungersi lividi su lividi. Sta volta non erano i marchi del suo amante, oh, no. Sta volta era odio, disprezzo, cattiveria, schifo… un misto di emozioni nate proprio per far male a lui e a tutta la sua razza deviata. Sentì una mano scorrere dalla nuca in su, aggrapparsi ai capelli corvini e sbattergli la testa contro la terra. Tante volte. Tante quante ne dovette subire il chitarrista.

La tempia prese a sanguinargli e un rivolo di sangue scivolò lungo la guancia spigolosa e tinse il labbro di rosso. Schiuse gli occhi azzurri, che oramai di quel colore non erano più.

C’era una tempesta, momentaneamente: il grigio delle nuvole, il liquido trasparente delle gocce di pioggia e l’azzurro di un cielo poco limpido.

Le urla e le implorazioni del diciottenne gli arrivavano alle orecchie ovattate. Sentiva sul suo corpo seminudo la saliva dei tedeschi che lo stavano attaccando. Era troppo per lui… Ruschtmann… Duncan Ruschtmann. Uno dei più grandi uomini affermatisi in tutta la Germania, fidato seguace di Hitler e del suo regime. Ora non lo era più: sarebbe diventato un numero e un triangolo rosa.

Altri calci: sui fianchi, allo stomaco, al petto, alle costole, al viso… non c’avrebbe fatto assuefazione tanto presto. Pensava intanto: agli spasmi allucinanti che stava sopportando e inoltre a che cosa sarebbe successo se avesse ammazzato di botte Trent, quel giorno. In questo momento non sarebbe stato un uomo felice, di sicuro.

Ma il giovane nazista (anche se non meritava più quel nome) sapeva tutto ciò che avrebbe atteso i loro corpi martoriati e le loro anime svuotate. Non sapeva se il chitarrista ci fosse arrivato, attento com’era, sentendo parlare gli altri germanici tra loro. Era sempre tutto poco chiaro e di sicuro non sarebbero finiti in luoghi ricreativi come avevano spiegato una volta ad altri suoi compagni. Duncan era potente e sapeva tutto, anche se avrebbe preferito restarne all’oscuro.

Tuttavia, un po’sentiva di meritarsele quelle botte: lui amava un uomo! Era qualcosa di disgustoso e sì, ci aveva riflettuto su così tante volte. Però quell’amore, appunto, batteva tutto. I suoi pregiudizi e le sue credenze stupide, infondate. Trent gli aveva aperto gli occhi: quella cieca fedeltà per cosa, poi? Essere limitati, impacciati nei loro rapporti?

Perché tanto il più piccolo lo sapeva davvero bene: non gli sarebbe mai stato lontano. E la cosa gli faceva piacere a differenza degli altri uomini che aveva avuto. Lo bramava e la cosa era reciproca. Duncan era così attratto da lui. Dal suo corpo, dai suoi atteggiamenti… tutto! Avrebbero fatto l’amore altre milioni di volte se non fosse stato per quell’imprevisto. Una volta sarebbe stato lui a comandare, un’altra quel tedesco dalle idee confuse. Quindi basta, l’avevano fatto.

In amore tutto è concesso. Peccato che lo sia anche in guerra. Forse erano davvero troppo giovani per capire, o era vero che tutto quello non aveva senso. Perché soffrire le pene dell’inferno se solo si ama qualcuno?

Ecco che Trent, sotto i colpi di una frusta tirata fuori da chissà dove, se lo domandava. Non era tanto forte come ragazzo, era sensibile, fin troppo facile da spezzare e stava già avendo un crollo. Piangeva con isteria, rannicchiandosi e pregando, ma quelli lo rialzavano, colpendolo più e più volte. Ormai gli altri uomini non ebbero più disgusto e il loro amore per le giuste regole stava riemergendo dopo quel lieve secondo di debolezza.

La violenza era troppa e insopportabile per quel corpo ancora adolescente di Trent e Duncan, facendo appello alla sua più totale pazzia e approfittando di quell’attimo d pace fisica che gli era stata concessa, si trascinò davanti al suo amante, proteggendolo e subendo per lui gli altri colpi di frusta.

***

Trent non aveva mai avuto paura del buio, neppure quando, da bambino di strada che era, si riparava sotto i cartoni trovati a fortuna. L’aveva sempre amata l’oscurità, gli dava la pace mentale, ma quella era tutt’atra cosa.

Sentiva troppo dolore, era allucinante e voleva solo smettere di soffrire, in un modo o nell’altro. Le braccia di Duncan sembravano avergli donato un’alternativa più allettante: si sentiva meglio quando stava stretto a lui, quando lo cingeva con le braccia e si lasciava abbracciare in uno scambio d’affetto poco virile. Adesso voleva solo sentire il suo profumo, anche se mischiato al mal odore che vigeva in quel vagone di treno. Paglia sporca per farli appoggiare, appartenente a degli animali. Erano al chiuso, ma non solo loro due. Schiacciati da corpi mezzi morti o svenuti, terrorizzati, che si ammassavano come sardine tra di loro. Duncan e Trent erano all’angolo e alzando la testa potevano vedere le rotaie che scorrevano sotto i binari opposti, sforzandosi perché da quelle sbarre rosse ma consumate dal tempo si faceva davvero fatica a scorgere qualcosa. Il più giovane aveva appoggiato la testa sulla spalla dell’ex nazista che, senza preoccuparsi delle sue condizioni, continuava ad accarezzargli la schiena, come per donargli una sicurezza che in quel momento non esisteva più –Ci uccideranno?-

Lo chiese così, indolore, senza pensare neppure alle sue parole. Era una domanda lecita da fare a un germanico, macchina di sterminio, anche se Duncan oramai non funzionava poi così tanto bene. Abbassò gli occhi azzurri sui capelli sporchi di terra dell’altro, arricciandone le punte attorno alle dita. Non rispose e quindi si abbandonò totalmente, rannicchiandosi di più –per quanto gli fosse possibile- e affondando la testa nel petto del compagno –Però promettimela una cosa- disse in un soffio, accennando un sorriso sofferto quando si sentì più stretto –Amami. Amami ora come non mai, perché non potremo più farlo. Amami sempre, dovunque andremo a finire. Amami e giurami che tutto ciò che ti faranno non ti ridurranno a un vegetale, incapace di pensare e ricordare. Perché non dovrai mai dimenticarti di me, sei la cosa più bella che mi sia mai accaduta- lui era un poeta ma Duncan non parlava più, voleva solamente dimenticarsi della sua voce, di tutto ciò che era stato. Ma sarebbe stato impossibile, quindi –Prometto- acconsentì solo alla fine, con una voce leggermente distaccata, punta da un pizzico di veleno. Trent si sollevò, urtando qualche corpo, andandosi a mettere sulle gambe dell’altro e unendosi con il suo petto, quasi a volergli entrare nella cassa toracica. Fece scorrere le braccia dietro la sua schiena e poi lo attirò a se, abbracciandolo –Grazie di esistere- mormorò baciandolo e accoccolandosi di più, cercando di isolarsi da quelle cento persone. Chissà come, s’addormento e Duncan, una volta sicuro che le sue parole non potessero giungergli alle orecchie gli rispose

-Grazie a te, amore-

E per una seconda volta era stato ancora troppo superficiale. Trent sentiva tutto. Sempre.

***

Aveva baciato il collo di Trent, mormorandogli di svegliarsi perché non aveva voglia di vederlo bastonato nuovamente da quei mostri con i quali aveva tanto in comune. Cominciava a odiare il sangue che gli scorreva nelle vene. Pura razza ariana, prese a detestarsi. Quello si era stropicciato gli occhi e per un attimo credette che fosse stato solo un incubo. Fu tremendamente brutto riprendere conoscenza e sentire le fitte di dolore propagarsi istantaneamente per tutto il suo corpo –Ce la fai?- chiese premuroso, alzandosi e venendo quasi spazzato via dal flusso delle persone che sciamavano lentamente dal vagone –Mi fa… male… tutto…- sbuffò infastidito. Poteva anche collaborare e smetterla di fare il bambino, no? Gli prese il polso e tentò d’alzarlo, ma si bloccò a un suo gemito di dolore. Si abbassò e lo prese direttamente in braccio, facendo si che si bloccasse con le braccia dietro la sua nuca, poi lo mise in piedi –Grazie- disse, baciandolo su una tempia –Smettila- lo scansò più in là, guardandolo freddo –Smettila. Oramai è tutto finito-

-No. Non è così- l’ex nazista alzò un sopracciglio e fece un verso incomprensibile –Me l’hai giurato il nostro amore. Al diavolo tutto- sorrise cristallinamente

-Tu non sai…- e si morse le labbra, scuotendo la testa e scendendo definitivamente dal vagone. Eppure Trent capiva, sapeva, non ci voleva un genio. Non ci volle neppure quando i suoi occhi, appena sceso dal treno, incontrarono tutta la disperazione che s’allargava a macchia d’olio. Restò intontito per un po’, mentre guardava nazisti crudeli separare famiglie e famiglie, senza distinzioni. Con una freddezza tale che caratterizzava ancora Duncan, perché infondo quella era la sua razza. Non gliene faceva una colpa. Era cresciuto così.

Trent con quegli occhi sarebbe stato capace di far innamorare il più rude uomo tedesco, persino quello più convinto della sua eterosessualità. Trent aveva capacità che Duncan aveva testato sulla sua pelle.

Il tedesco sobbalzò quando i suoi occhi incontrarono la scena di un bambino, strappato via dalle mani di una donna urlante, piangente e disperata, che pregando venne bastonata alla schiena e trascinata in un gruppo formato da sole donne.

Le ragazze da una parte, gli uomini dall’altra, i bambini in un gruppo. Certi provavano a ribellarsi, volevano spiegazioni, altri che avevano già compreso, come lui, si lasciavano piegare come canne di bambù.

Trent non poteva sopportare quella visione e abbassò gli occhi. Era ingiusto, tutto troppo ingiusto. Le persone, trattate come oggetti, senza sentimenti. Strattonate di qua e di là, imbottite d’insulti e botte. Recriminati, perché ebrei, perché gay… perché troppo diversi e sbagliati. Imperfetti.

E Trent era sempre stato imperfetto, da quando era un bambino. Era sempre stato attratto dalle bambole delle bambine ricche che vedeva passare difronte al suo “scatolo occasionale” che usava come letto. Sognava d averne una, dai capelli mori e gli occhi azzurri e l’aveva avuta, quando una ragazzina prese a fare i capricci perché quel suo giocattolo era troppo vecchio e brutto, gettandolo all’aria, in una pozzanghera e scappando, mentre la madre la rincorreva preoccupata, promettendole tutte le bambole che avrebbe desiderato. Mentre lui, strisciando quasi, la raggiunse, prendendola tra le mani e contemplandola. In quel momento non gli importava più della fame che era costretto a subire, della sete che gli inaridiva la gola e della poca forza nelle mani. Al gioco mancava un occhio, arrangiato con un bottone. I capelli erano tagliati e il sorriso cucito con ago e filo. Era sporco di fango e aveva numerose toppe. Ma a lui piaceva, forse anche più di tutti quegli inutili soldatini che era riuscito a racimolare nel tempo. Con quelle sue dita magre e sottili accarezzò una guancia della bambina di stoffa, sorridendo e accucciandosi al suo solito angolo di strada, che aveva ambiato così tante volte nel giro di una vita.

Si lasciò scappare un singhiozzo quando un uomo in divisa lo afferrò per un braccio, strattonandolo e rimproverandolo, dicendo che quello non era il suo gruppo, che aveva sbagliato. Parlavano in un tedesco molto stretto e lui faticava a comprendere, per questo quando fu vicino a Duncan, abbassò la testa sul suo petto, chiedendo di farsi stringere di nuovo e di spiegargli cosa stessero dicendo, ma occhi azzurri non reagiva più di tanto. Accarezzò una spalla di Trent, socchiudendo gli occhi e osservando tutto il caos che vigeva, angosciandoli ulteriormente. Sibilò qualcosa di incomprensibile, poi abbassò lo sguardo e sospirò. Infine diede un’ultima occhiata al suo amante, terrorizzato a morte.

Lo amava e in quel preciso istante giurò che sarebbero stati insieme per sempre. Qualunque cosa fosse successa.

 ***

Quando furono scortati in quei campi, Duncan si sentì morire. Le aveva viste certe foto, ma quello era ancora più straziante.

Lì si concentrava la follia del genere umano. Un sadismo ingiustificato. La crudeltà, l’incredibile cinismo verso la sofferenza dei propri simili. Perché infondo, tra Ebrei e Tedeschi non c’era questo abisso di differenze. Un Dio, forse? Un modo di pensare?

L’aria era pregna di urla mai emesse, di parole stroncate, di fatica e soprattutto di domande. Troppe domande, quesiti irrisolvibili.

I prigionieri camminavano quasi in punta di piedi, impauriti da quel gelo e dai passi ben cadenzati dei soldati che ogni volta incutevano più timore. Duncan però gli occhi non li abbassava. Era l’unico ad avere quelle iridi glaciali e l’unico a conservare ancora le sue credenze, seppur più fioche e lente: era pur sempre un germanico, questo voleva dire che l’avrebbero potuto umiliare fino all’estremo, ma restava superiore.

Sentiva freddo, invece, Trent. Scosse e brividi gli trapassavano il corpo e voleva solo andare via, scappare, ovunque si trovasse in quel momento.

Aushwitz. Era lì che era stato segregato.

Poi li rinchiusero in un edificio e lo stupore fu generale: c’era chi urlava, chi invece guardava tutti con gli occhi sbarrati. Erano uomini ai quali, da lì a poco, avrebbero strappato la dignità. Duncan lo sapeva e se ne rammaricava. Sarebbe voluto salire su una di quelle panche di legno che si trovavano nello stanzone in cui lo avevano chiuso, per poi rizzarsi e urlare con tutti il fiato che aveva in gola, fino a quando le corde vocali non gli si fossero consumate: “qui si muore”. Non fece a tempo. Aveva Trent vicino e pensava solo a dedicargli delle carezze dietro la schiena livida e quello lo ringraziava con gli occhi. Aveva capito che il suo angelo avrebbe avuto un po’più di bisogno di lui. Non avrebbe retto psicologicamente e lo comprese quando, all’aprirsi di una porta di ferro, sobbalzò, nascondendosi tra la sua camicia sporca.

Da essa uscirono parecchi uomini in divisa, tutti ghignanti e felici di potersi imporre nuovamente con la loro forza. Duncan li riconobbe quasi tutti, da bravo nazista li conosceva, sia i loro nomi che i loro cognomi. Erano persone con le quali aveva discusso, trovandole deliziose, all’epoca, ma mettendole sempre in soggezione con il suo tono impetuoso. Invece adesso sembravano contenti perché si sarebbero fatti valere anche su di lui, su Ruschtmann.  Su quell’uomo tanto temuto.

Fu incredibile vedere lui, in prima fila. Fu come un pugno in pieno viso.

Giurò che, se mai ne avesse avuto opportunità, l’avrebbe ucciso a quel bastardo.

A quel suo fratello, quello al quale raccontava la sua vita, i suoi dubbi. Quello con il quale passava le sere dei loro compleanni, augurandosi vita lunga e felice. Lo stesso ragazzo con cui scherzava e giocava.

Scott.

Quello Scott che quando aveva un dubbio, gli scompigliava i capelli e lo invitava a sfogarsi.

Quello che gli aveva giurato fedeltà eterna, persino più amore che aveva per il regime nazista.

Eppure era lì, in prima linea, a guardarlo con schifo.

Possibile che essere omosessuale fosse una così grande malattia? Possibile che provocasse così tanto sdegno? Cosa c’era di sbagliato nell’amare? Perché quella folle guerra era più importante di qualunque cosa? Cosa permetteva ad un uomo di giudicare un altro uomo?

Aveva voglia di gridargli contro che era tutto svanito. I loro anni d’amicizia, non erano mai esistiti.

Perché era lì, con quel mezzo sorrisetto, quei capelli rossi sempre ribelli e la sua divisa, leggermente sbottonata. Le lentiggini che facevano risaltare la sua aria sbarazzina, forse ancora un po’bambinesca e in contrasto i denti bianchi che brillavano in un ghigno. Duncan era indeciso se separarsi dal gruppo e pestarlo a sangue, o se seguire la logica e restare vicino a Trent, aspettando del dolore che sarebbe arrivato immediatamente.

Un po’fu per paura, un po’per logica, un po’per l’angelo che aveva tra le braccia… ma non si mosse. Restò bloccato a rimpiangere il passato e a immaginarlo come sarebbe stato se dentro di esso ci fosse stato il suo amante.

E fu ciò che successe. Non badarono più a nulla, ogni tedesco, si scelse la sua cavia personale, quella che avrebbe ridotto al nulla, sia fisicamente che psicologicamente.

Mentre Scott prendeva Trent per un braccio, spingendolo contro una parete e calciandogli lo stomaco, Duncan poté giurare di averlo visto abbassare gli occhi ceruli. Magari gli era andato qualcosa dentro, o era solo la vergogna e la consapevolezza che stava sbagliando tutto. Comunque l’ex nazista non lo scorse più. Fu afferrato dalle spalle da una stretta più insicura, che quasi lo fece sorridere: cos’era? Un soldatino nuovo? Quando si voltò per un secondo notò difronte a sé due occhi azzurri, forse meno particolari dei suoi, un po’sciolti in quelle che erano le titubanze dei soldati alle prime armi. Ogni suo muscolo era teso e vedere quel ragazzo che conosceva bene per fama, lo fece traballare. Goeff, così si chiamava il biondo ariano, che si era ritrovato a scagliare un pugno sul naso di Duncan, continuando poi con colpi sempre più assestati, scaraventandolo a terra e facendolo gemere di dolore. Aspettava una qualche reazione, però il giovane tedesco era troppo intelligente per ribellarsi. Chiuse semplicemente gli occhi, patendo in silenzio tutto quello.

Nelle sue orecchie le sentiva le persone. Perché quelli erano: esseri viventi e non sbagli della natura da eliminare con sadismo. Aveva le orecchie sporche del suo stesso sangue, che era colato da una tempia, assordandolo per un po’. Fu meglio così, comunque; non voleva sentire le urla straziate degli altri. La violenza era arrivata al culmine. Cominciarono a sbattere i loro corpi contro i muri e il pavimento, si accanivano in più persone su un solo corpo e provavano vero piacere. Aveva visto persino uomini ai quali erano state strappate le unghie, per far arrivare al massimo i loro livelli di sofferenza. Ma cosa c’è di più brutto che essere considerati un errore umano?

Trent, invece, sotto i colpi di Scott era inerme. Il ragazzo lo guardava con soddisfazione crudele, imprimendo sulla sua pelle fragile segni di riconoscimento.  Amari, più aspri di quelli di Duncan, l’amore della sua vita. Alle volte riapriva gli occhi, ma solo per guardare il suo carnefice, perché lo trovava estremamente bello. Rude, ma bello. Aveva due occhi azzurri, ma molto molto più scuri di quelli di Duncan, come se fossero stati due pezzi di cielo coperti da grandi nuvoloni. Era così amico del suo amante. Come poteva fargli del male?

Magari l’ex nazista non la sentì, il cantautore lo fece invece. Tese l’orecchio dopo che i colpi di frusta che gli erano stati inflitti cessarono, ascoltò il rumore di una zip che si abbassava e di altre che in tempi diversi seguivano lo stesso suono.

C’era paura, terrore, voglia di mantenere la propria dignità.

Ma svanirono quando Scott, quel diavolo infernale, sbatté il suo corpo magro di qua e di là, premendolo poi contro un asse di legno e facendo nascere nuovi lividi sulla sua schiena con tremende gomitate.

Non sentì l’urlo di Duncan in tutta quella gente che piangeva e pregava disperata. Difatti l’ex nazista non gridò mai, neppure quando quel ragazzo più giovane di lui gli abbassò con titubanza i pantaloni, violandolo. Non avrebbe mai pianto per darla vinta a quella iena che era il suo migliore amico, un tempo, la quale aveva denudato Trent, facendolo piangere quasi con isteria. Il diciottenne si era aggrappato all’asse di legno, conficcando le unghia in esso e costringendolo ad abbassare la testa: lo stava violentando.  Essere trattato così lo ridusse al nulla. Come se tutto in quel momento non esistesse più; c’erano solo loro due: Scott con la sua violenza e Trent con la sua ingenuità. Gli intimò d’alzarsi una volta finito, ma il più piccolo crollò ai suoi piedi, che si alzarono, riempiendogli il volto di calci.

Duncan invece eseguì l’ordine, avvertendo lungo la spina dorsale il dolore della violazione ricevuta. Fissò il ragazzo in faccia e quello abbassò lo sguardo, pentito. Pentito di tutto. Perché lui non credeva in ciò che un buon nazista doveva amare.

Quando i tedeschi sparirono nuovamente, Trent cercò d’alzarsi, ma non ce la fece. Fortuna volle che Duncan riuscì a scansare tutti e a raggiungerlo per asciugargli le lacrime, seppur freddamente.

Un’altra cosa fece Ruschtmann, che inquietò l’amante: alzò gli occhi di ghiaccio, di mare e di cielo e li rivolse alla nebbia del migliore amico, trasmettendogli tutto il disprezzo.

E la iena aveva recepito, ma non voleva neppure pensarci. Oramai, Duncan e il suo amichetto erano spacciati. Di certo non avrebbe potuto fare nulla se non rendere la loro vita un vero inferno.

Trent si fece più piccolo tra le braccia forti dell’altro, stringendolo e piangendo più forte, chiedendosi in tutta la sua ingenuità mischiata a una profonda consapevolezza, se Duncan avrebbe davvero continuato ad amarlo.

Writen_By_Stella

Angolino me!

Devo essere breve perché ho un colpo d'ispirazione e DEVO apporfittarne. Sinceramente il capitolo non mi piace un granchè... cioè, non so neppure se è possibile il fatto di Scott (ma anche se l'avessi saputo ce l'avrei messo lo stesso, Scott è il mio amore segreto). Inoltre so che i soldati tedeschi hanno stuprato parecchie volte i prigionieri, cioè, ho letto la testimonianza di un uomo, ecco. Ma seriamente, non mi convince, ho canellato la parte della violenza e sarebbe venuto un po'più.... realistico, ecco tutto. Non lo so, ragazzi, non lo so... -.-" Baci

   
 
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