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Autore: Clix_Clix    19/10/2008    2 recensioni
Doveva per forza aver sentito male.
Era stanca.
Aveva trascorso una giornata a dir poco intensa.
Ed era tardi, molto tardi.
Veronica Mars per quanto ci provasse non riusciva in nessun modo a prendere sonno e, nella penombra di quella tiepida notte di fine marzo, se ne stava stesa nel letto, supina, con i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino di lino bianco in una trama di ciocche ondulate.
[Una nuova casa, un nuovo mistero... un epico amore. Per riprendere da dove eravamo rimasti...]
Genere: Romantico, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quasi non ci credo io per prima, ma sono riuscita a riprendere a scrivere, anche se è davvero vergognoso il tempo che è passato. Il tempo sembra sempre di meno, ma mi dispiace lasciare la storia in sospeso, anche perché sono rimasta piacevolmente colpita delle recensioni che mi avete lasciato nonostante la storia fosse ferma. Spero quindi di non deludervi con questo nuovo capitolo e che riuscirete a riprendere le fila della storia (io stessa le ho un po’ perse!). Non posso promettere grande rapidità di aggiornamento, ma l’importante è che ho ripreso a scrivere… un po’ di fiducia!





CAPITOLO NOVE







Erano già cinque minuti che le accarezzava dolcemente una guancia.
Le sfiorava il naso e le labbra serrate.
Le solleticava la mano.
Eppure Veronica Mars continuava a non dare nessun segno di vita e Logan, steso su un fianco accanto a lei, non poteva far altro che guardarla continuare a dormire come un sasso, insensibile ad ogni suo tentativo di riportarla alla coscienza. Ascoltando il suo respiro ancora lento e profondo, il ragazzo capì che se voleva svegliarla doveva rinunciare alle leggere carezze e passare alle maniere forti.
“Insomma dai, ti vuoi svegliare?” Le scostò i capelli dal volto e le cinse il ventre con il braccio. Questa volta il suo tocco era più deciso e, unito al tono di voce elevato con cui la chiamava, finalmente Logan riuscì a vedere l’azzurro che si nascondeva sotto le palpebre chiuse di Veronica.
Veronica socchiuse gli occhi a fatica soffrendo il bruciore della flebile luce del mattino che filtrava dalle tende della finestra e subito sorrise alla vista di Logan che la stava abbracciando per darle il benvenuto in quel nuovo giorno.
“Buongiorno…” gli disse dolcemente con la voce impastata, senza riuscire ancora a muovere un muscolo a causa del torpore che non accennava ad abbandonarla.
“Buongiorno a te piccola! Ormai ho la certezza che nella vita non potrò mai riuscire a svegliarti con il tocco delicato di un fiore… forse con un secchio d’acqua…”
Con la vista e la mente ancora annebbiata Veronica spostò lo sguardo sull’orologio sul suo comodino e più per incredulità che per stanchezza ci impiegò qualche secondo per realizzare che erano le 6:25 del mattino.
“Buonanotte!” Sentenziò decisa voltandosi sul fianco opposto e rannicchiandosi sotto il lenzuolo.
“No dai, dai, sveglia! Il mattino ha l’oro in bocca Mars!”
“Non è mattino, è notte!” Le parole di Veronica provenivano soffocate dalla sua bocca affondata nel cuscino. Avrebbe potuto riaddormentarsi nel giro di un secondo se Logan quella mattina non si fosse messo in testa di essere fastidioso a tutti i costi. Ma non ricordava che erano andati a dormire tardissimo? Sordo alle disperate proteste della intorpidita ragazza, lui iniziò infatti a stuzzicarla affettuosamente, punzecchiandole la pancia e baciandole l’unica parte del corpo che spuntava dal lenzuolo, la bionda cima della testa. In preda a quell’attacco senza scampo alla fine Veronica riemerse dalle coperte e lo guardò con aria traumatizzata.
“Dì un po’, perché mi odi?”
“Non sai quanto sei lontana dalla verità.”
“Allora perché mi fai questo?” Piagnucolò Veronica per tutta risposta.
Logan si avvicinò e la consolò con un bacio e un sorriso intenerito. “Giuro solennemente che saprò farmi perdonare, ma non riuscivo a dormire… ho fretta di fare quella telefonata veramente… e, insomma scusami, ma l’orario è ideale se ho calcolato bene il fuso…  ”
Con la schiena appoggiata alla spalliera del letto e gli occhi arrossiti e lacrimanti, Veronica restò a guardarlo un istante senza ribattere e le sembrò di notare nel suo atteggiamento qualcosa di strano, qualcosa che stentava a decifrare. Una punta di disagio forse. Logan sembrava impacciato nel mostrarle quel lato di sé fragile al punto da impedirgli di dormire per il desiderio di mettersi alla ricerca delle tracce di sua madre. Temeva forse di mostrarsi debole? Temeva che lei lo avrebbe rimproverato per la sua ragionevole e sacrosanta impellenza solo perché l’aveva svegliata all’alba? Davvero il dubbio che lei potesse non comprenderlo poteva aver attraversato la sua mente anche solo per un secondo? Veronica poteva vedere chiaramente di fronte a sé il ragazzo che aveva sempre dovuto lottare con i pugni e con i denti per meritarsi un affetto che forse nella vita troppe poche volte gli era stato concesso. Sotto la meravigliosa persona che comunque Logan era riuscito a diventare, sotto quella scorza dura e sicura con cui lui si mostrava a molti, Veronica poteva vedere una sicurezza costruita solo su sé stesso, una fiducia negli altri vacillante, che a tratti veniva meno a tradimento. Possibile che vacillasse anche su di lei nonostante quello che avevano? Un pensiero doloroso a cui credere, certo. Troppo difficile però addentrarsi nelle trame dei reconditi fantasmi del passato che nei modi più imperscrutabili finiscono per far sentire i loro echi anche nei sentimenti più autentici, quindi inutile tormentarsi, meglio lasciare ad ognuno i propri segreti momenti di paura, abbandonare l’inconfessato desiderio di sentirsi concessa una fiducia scontata ed erigerla giorno per giorno, fino a renderla salda e inespugnabile. Di quel fermo intento Veronica caricò il sorriso col quale trasmesse a Logan tutta la sua comprensione, sollevando la schiena e sporgendosi a prendergli la mano.
“Tavolo del soggiorno: telefono. Mia borsa: agenda con numero di telefono. Intanto che vai a prenderli io cerco di tornare in vita.”
Dopo essersi infilato i jeans Logan uscì dalla camera da letto di Veronica per ritornarne dopo trenta secondi con il cordless in mano, frugò nella borsa abbandonata su una sedia e ne tirò fuori la folta e spessa agenda della ragazza, traboccante di post-it e foglietti a cui solo un tirato elastico impediva di spargersi ovunque.
“A lei l’onore detective…”
Veronica era ormai sveglia e mentre sfogliava l’agenda alla ricerca del numero che aveva appuntato, il suo occhio vigile comunicava che era pronta a calarsi abilmente nella parte. Logan era curioso di scoprire cosa mai lei avrebbe potuto inventarsi per convincere il cugino dei Connor a dare informazioni a una perfetta sconosciuta.
“Eccolo, Bill Connor. Allora che dici: amica di tua madre o collega del marito?”
“Sei tu il capo, hai carta bianca!”
Veronica rifletteva in silenzio mentre componeva il lungo numero che l’avrebbe messa in contatto col lontano ed esotico continente australiano. Guardava Logan aspettando che qualcuno dall’altra parte prendesse la comunicazione. Stava per riagganciare quando all’ultimo squillo si fece finalmente sentire una voce talmente nervosa da farle già presagire un cattivo esito della conversazione.
“Buongiorno, parlo con il signor Bill Connor?”
“Dipende da chi lo cerca, guardi se è un sondaggio o vuole vendermi qualcosa la prego di non farmi perdere tempo perché sto per mettermi a tavola.”
Veronica fece un paio di calcoli mentali fino a capire che a Canberra doveva essere più o meno l’ora di pranzo. Sotto richiesta di Logan, che a parole le stava mimando di far sentire anche a lui la telefonata, spinse un pulsante del telefono e inserì il viva voce, facendo però segno al ragazzo impaziente di restare in silenzio.
“No signore, niente di tutto ciò mi creda. Lei non mi conosce, sono una vicina di casa della famiglia Connor, so che lei è il cugino di Aiden…”
“E allora?” La interruppe la voce sempre più irritata dell’uomo.
“… il fatto è che io sono una cara amica di Lucienne, abito proprio a un paio di isolati da lei… abitavo almeno, ora sono quasi dieci giorni che non ho più sue notizie, non sono riuscita a mettermi in contatto con lei in nessun modo e sono molto in pensiero…” Logan ascoltava tacitamente il modo in cui Veronica riuscisse ad apparire sincera e realmente preoccupata, mentre dall’altra parte del telefono non proveniva altro che silenzio e a tratti dei profondi sospiri. “… l’unico parente di cui Lucienne mi aveva mai parlato è lei, io ho esitato per giorni a chiamarla, ma, deve scusarmi, alla fine la preoccupazione è diventata insostenibile e mi ha spinto a cercarla.”
“Ma chi è lei? Come ha avuto il mio numero?”
Come se si aspettasse in anticipo quelle domande, appena finito di parlare Veronica aveva cominciato a sfogliare velocemente l’agenda, finché non trovò il nome che stava cercando, probabilmente quello della vicina con cui aveva parlato il giorno prima, e che l’avrebbe aiutata ad avvalorare la sua versione.
“Mi chiamo Muriel Spitz, gliel’ho detto, ero una vicina di Lucienne. La prego signor Connor, vorrei solo riuscire a mettermi in contatto con lei o almeno a sapere dov’è e se sta bene, deve capire che da un giorno all’altro è scomparsa senza lasciar detto dove andasse e non vorrei che sia accaduto qualcosa.”
“Mi ascolti bene signora.” La voce dell’uomo si attenuò del precedente tono di infastidito nervosismo, ma diventò sommessa e frettolosa. “Si tranquillizzi, ma la prego, deve assolutamente smettere di cercarla, è davvero molto importante.”
“Ma perché?”
“Perché è così! Mi dia retta! Posso assicurarle che la sua amica sta bene, stanno tutti bene, ma lei non deve per nessuna ragione continuare a cercare, mi ha capito bene?”
Veronica cominciò a capire che da quell’uomo così risoluto nella sua misteriosa negazione non sarebbe riuscita a cavare un ragno dal buco proseguendo su quella strada e intuì che le restava una sola carta da giocare. Guardò Logan negli occhi e con la mano gli fece segno di non stupirsi per ciò che stava per dire e di lasciarla fare.
“Quindi lei sa dov’è Lynn??” Chiese Veronica sotto gli occhi sgranati di Logan che pensava che solo un attacco di folle incoscienza poteva portarla ad usare il vecchio nome di sua madre con quell’uomo. Tuttavia non reagì, sapeva che lei doveva avere in mente qualcosa. Veronica Mars aveva sempre in mente qualcosa.
“Cosa ha detto?”
“Quindi lei sa dov’è Lucienne?” Veronica con tono calmo corresse quella che in realtà non era stata affatto una svista e che sapeva essere stata intesa perfettamente dal suo interlocutore. Attese qualche secondo di silenzio.
“Senta io non so lei chi diavolo sia, ma senz’altro sta cercando qualcun altro, non mi interessa, non chiami mai più, mi ha capito bene? Non chiami più!” Bill Connor vomitò tutto senza lasciare a Veronica neanche il tempo di pronunciare un’altra sillaba e riagganciò il telefono violentemente. Certo, da quella telefonata Veronica non era riuscita ad ottenere le informazioni che cercava, ma aveva suscitato nell’uomo esattamente la reazione che sperava. Non poteva però aspettarsi che anche Logan intendesse al volo la strategia che l’aveva spinta a pronunciare intenzionalmente il nome Lynn, quindi si preparò a rispondere allo sguardo deluso e interrogativo con cui lui la stava guardando senza parlare.
“Che ti è saltato in mente?” Le chiese Logan prima che lei potesse iniziare a spiegarsi.
“Non ci avrebbe detto niente.”
“Ma adesso ce lo siamo giocato! Non potremo più ricontattarlo!”
“Logan, lui non ci avrebbe detto dove si trova tua madre, l’unica cosa che potevo cercare di capire da questa telefonata era se quell’uomo è al corrente della situazione della famiglia Connor, e dalla sua reazione è evidente che sa tutto di tua madre, della sua vera identità.”
“Ma perché ti interessa sapere questo? Come ci aiuta a trovarli? Pensi che ci sia un nesso? Che qualcuno stia cercando mia madre, cioè la vera Lynn Echolls?”
“Non ne ho idea! Questo però ci dice almeno che tra i Connor e il cugino c’è un rapporto stretto, di fiducia e quindi è certo che lui sa dove sono e sta cercando di coprirli.”
“E noi come faremo a sapere dove sono?”
“Lo chiederemo di nuovo a Bill Connor.”
“Veronica pensi davvero che lui parlerà di nuovo con te?”
“No.”
Logan alzò le spalle come a dire: “E allora?”
“Parlerà con te.”
“E come? Sarò un altro vicino che guarda caso li sta cercando anche lui?”
“No, sarai Logan Echolls che sta cercando sua madre.”
Logan non trovò nulla da replicare. Non capiva, ma ci era abituato. Se c’era una cosa che però aveva imparato a capire di Veronica Mars era che il più del volte lei sapeva quello che faceva e che era più conveniente fidarsi di lei piuttosto che non farlo. In ogni caso la sua fiducia, lei l’avrebbe avuta comunque.
“E ora dove vai?” Le chiese improvvisamente vedendo che Veronica si stava alzando energeticamente dal letto quando invece si sarebbe immaginato che rimanesse in compagnia del materasso per almeno un altro paio d’ore.
“Hai presente il film -Un amico da salvare-?”
“A quest’ora?”
“Perché no? Sono sveglia.”
“Io invece credo che mi farò attendere dal mondo esterno per un bel po’…”
“Se non dovessi trovarti sveglio al mio ritorno dalla doccia… ti chiamo in mattinata.” Veronica si chinò a baciarlo e lo lasciò mentre già stava chiudendo gli occhi, più sollevato, le sembrò.

____________


Keith Mars poggiò sul tavolino accanto a sé la rivista di arredamento d’interni che stava distrattamente sfogliando da circa quarantacinque minuti e sbuffò visibilmente per far notare il suo disappunto per quell’attesa interminabile alla segretaria noncurante che si limava le unghie al bancone davanti a lui.
“Ci vorrà ancora molto?” Disse a bassa voce sicuro che lei lo sentisse ugualmente anche se fingeva di ignorarlo. Riuscì a far alzare lo sguardo seccato della donna.
“Il procuratore è molto occupato.” Replicò laconicamente riabbassando gli occhi sul lavoro di manicure lasciato incompiuto sul suo dito indice.
“Il mio appuntamento era quasi un’ora fa!”
“C’è molto lavoro.”
Keith era incerto se arrabbiarsi o scoppiarle a ridere in faccia dopo quell’affermazione che non poteva non sembrare una palese presa in giro, ma lo squillo del suo cellulare salvò la donna dalla possibile reazione di esasperazione dell’agguerrito detective.
“Ciao tesoro.”
“Ciao papà, si può sapere dove sei alle otto e mezza del mattino? Ti ho chiamato a casa pensando di svegliarti!”
“Sono a San Diego da ieri sera.”
“A San Diego? Perché non mi hai detto niente? E che sei andato a fare a San Diego?”
“Oh, è solo per un caso…”
“Che caso scusa? Non ne so niente!”
In quel momento si compì il miracolo. Una lucina rossa iniziò a lampeggiare sull’interfono della segretaria, segno del via libera per il prossimo appuntamento. La donna si limitò a indicare con un cenno del capo la porta in cui Keith sarebbe dovuto entrare. In ogni caso quel gesto bastò a salvarlo dall’imbarazzo di dover rispondere alle domande inquisitorie di Veronica. Keith comprendeva la legittimità del suo interrogatorio, oltre ad essere suo padre lavoravano anche insieme, quindi non poteva stupirsi se lei si interessava nel dettaglio a tutti i suoi movimenti, ma per adesso preferiva ancora non esporsi circa le indagini che stava seguendo. Lui stesso non era sicuro di quello che stesse cercando.
“Scusa tesoro ma ora devo andare.”
“No papà aspetta, ho bisogno del tuo aiuto! Dimmi solo…”
Keith aveva già riagganciato e Veronica si ritrovò lì, ferma in mezzo alla strada, piena di domande su cosa mai potesse farci suo padre a San Diego e soprattutto senza sapere come muoversi, non potendo ricorrere al fondamentale aiuto dell’esperto detective. Era lì sotto il sole e fissava da dietro i suoi scuri occhiali la banca aperta e già in piena attività davanti a sé. Soprattutto fissava la telecamera che eretta in alto come un faro nella notte inquadrava provvidenzialmente tutta la strada, compreso il particolare che interessava proprio a Veronica: l’entrata del vicolo che portava all’entrata del cinema in cui lavorava Wallace. Lo stesso vicolo nel quale lei doveva dimostrare che il suo amico si trovasse alle dieci di sera e non alle dieci e mezza come sosteneva quell’impostore del custode notturno. Era tutto lì. Nelle immagini scattate dalla lente di quel piccolo marchingegno di metallo agganciato al muro. Le sarebbe bastata solo una tv. Bastava quell’unico fotogramma con Wallace che entrava nel vicolo e la piccola scritta bianca con l’orario stampato come sempre in fondo all’immagine a testimoniare la veridicità della versione di Wallace. Era così facile! Con quelle riprese nel giro di venti minuti Wallace avrebbe potuto liberarsi di ogni preoccupazione, trasferendole per contro al legittimo proprietario colpevole del furto. Peccato che lei non aveva modo di accedere a quelle preziose immagini senza l’aiuto di suo padre! O meglio di quell’amico di suo padre che rappresentava un vero e proprio asso nella manica ogni qual volta occorresse accedere alle immagini delle telecamere di sicurezza delle banche o dei bancomat. Lo stesso asso di cui Veronica si era servita quando l’anno precedente aveva indagato sullo stupro di Claire* e che le aveva consentito di vincere la partita dimostrando come la ragazza avesse messo su una scena costruita ad hoc.
Veronica provò a ricomporre nuovamente il numero di suo padre. Segreteria.
“Papàààààààà!!! Mi servi!!!!”
“Papà ti prego mi puoi richiamare immediatamente appena senti questo messaggio? Wallace è nei guai e per tirarlo fuori ho bisogno del tuo aiuto! Richiamami!”
Non potendo fare nulla in quel momento se non attendere che suo padre la richiamasse dopo aver ascoltato il messaggio in segreteria, Veronica decise di fare un salto alla centrale di polizia per vedere se c’erano novità sul caso. Non che ci sperasse, anzi, era quasi convinta che non avessero mosso un dito. Da quando suo padre si era dimesso non era ancora stato nominato ufficialmente un nuovo sceriffo e il dipartimento era ancora più pigro e caotico di quando lo dirigeva lo sventurato sceriffo Lamb. Tuttavia in quel disattento e indifferente lassismo magari qualche agente inesperto avrebbe potuto lasciarsi sfuggire con lei più di quanto le spettasse sapere a titolo di semplice cittadina curiosa… chissà, magari poteva anche riuscire a manipolare qualche sprovveduto per arrivare a mettere lei stessa le mani sulle cassette di quella telecamera di sorveglianza. Magari si sarebbe anche divertita.

Purtroppo per lei quella speranza si rivelò illusoria. Quando circa due ore dopo uscì dal dipartimento di polizia non solo non si era divertita, ma a dir poco esasperata. Neanche i suoi più languidi sorrisi e la sua più abile oratoria erano riusciti a evitarle le due ore di attesa su quella sedia bianca dura come il marmo. Dopo mezz’ora e altre tre vane telefonate a suo padre stava quasi per andarsene, ma ormai l’aveva presa per una questione d’onore. L’odioso agente che l’aveva accolta all’arrivo era sembrato orrendamente troppo soddisfatto nel dirle che se avesse voluto sapere qualcosa avrebbe dovuto togliersi quel sorriso che non sarebbe servito a niente e rassegnarsi ad aspettare finché lui non si fosse liberato del lavoro urgente, rimarcandole come non poteva aspettarsi immediata attenzione solo per i suoi grandi occhi azzurri. No, avrebbe aspettato anche quattro ore per trovarsi a quattr’occhi con quell’idiota ed esercitare il suo diritto di tartassarlo con tante di quelle domane da fargli rimpiangere di aver scelto di servire i cittadini come professione. Almeno quello sfizio era riuscita a toglierselo, ma come immaginava se ne stava andando a mani vuote. Ok, doveva accettare la delusione di non aver trovato nessun nuovo membro del personale di polizia abbastanza sprovveduto da farsi abbindolare da lei, ma ne sarebbe stata felice se questo avesse significato che fossero tutti agenti competenti seriamente dediti a svolgere il loro lavoro. Invece, figurarsi, con quest’altra previsione ci aveva preso. Nessuno aveva ancora mosso un dito per il caso di Wallace e lei non era riuscita ad ottenere altro che la poco credibile promessa che avrebbero controllato le registrazioni di quella telecamera appena ne avessero avuto il tempo. Ecco dunque che quella mattinata che poteva rivelarsi così produttiva tanto era iniziata a un orario generoso, si era invece lentamente e noiosamente esaurita in un nulla di fatto. Veronica era esattamente allo stesso punto di prima: poteva solo aspettare che suo padre la richiamasse. Per accorciare i tempi gli lasciò un altro messaggio in segreteria per pregarlo di chiamare direttamente il suo amico per farsi dare quello che le serviva, così quando finalmente sarebbe riuscita a mettersi in contatto con suo padre non avrebbe dovuto far altro che andare a prendere le cassette.
“Guarda caso, a volte mi ricordo che ho anche una vita… e va bene, Veronica Mars, per ora dì pure addio all’allettante idea di sprofondare in una vasca calda o in un caldo piumone…”
Veronica cominciava già ad accusare una certa mancanza di sonno, nonostante avesse ancora mezza giornata davanti, ma in effetti pensò che non valesse la pena perdere una lezione, visto che per adesso non poteva fare nessun progresso con la faccenda della banca, quindi di malavoglia tornò alla sua auto e guidò tra uno sbadiglio e l’altro finché non raggiunse l’affollato parcheggio dell’università.

____________


Keith era seduto nella sala d’attesa dell’aeroporto in attesa di sentire chiamare il suo volo e fermamente convinto a non volersi più accostare ad altre sale d’attesa per almeno un mese. Aveva ascoltato la dozzina di messaggi che Veronica gli aveva lasciato in segreteria senza poter trattenere di sorridere della disperazione esasperata mostrata dalla figlia. Gli sembrava quasi di immaginarla davanti a quella banca arrabbiata e frustrata, come poteva dedurre dal tono della voce nei messaggi. Nonostante il pensiero della figlia fosse sempre capace di trasmettergli serenità e allegria, questa volta il sorriso sparì velocemente dalle labbra dell’uomo. Era turbato e non riusciva a nasconderlo neanche a sé stesso. Il colloquio con il procuratore lo aveva lasciato a dir poco confuso e con un milione di domande che però, a quanto pareva, dovevano attendere ancora del tempo per ricevere risposta. Non faceva che ripensare all’incontro con il procuratore, quell’uomo così disponibile e aperto, tutto l’opposto delle qualità che Keith si sarebbe aspettato di vedere incarnate nella persona che lo aveva fatto penare per più di un’ora in una sala d’attesa vuota.
“Lei capirà, detective Mars, che la questione è della massima delicatezza.”
Ripensava.
“Certo, capisco…” aveva risposto Keith leggermente stordito.
“Quindi non c’è bisogno che le ricordi l’importanza di mantenere il più stretto riserbo. Assoluto oserei dire”.
Keith non aveva risposto, non ce n’era bisogno. Era un professionista esperto e anche il procuratore sembrava esserne convinto. Il suo sguardo deciso persuase l’uomo a continuare.
“Le farò avere presto tutti i dettagli del suo viaggio, ma la avverto sin da ora di tenersi pronto per una partenza che potrebbe anche essere imminente.”
“Bene.”
“Ci sarà tempo e modo di chiarire meglio la faccenda quando sarà arrivato a destinazione. Mi piacerebbe poterle spiegare tutto adesso di persona, ma come le ho detto, preferisco non pubblicizzare troppo il nostro incontro, mi capisce, nell’interesse di tutti, mio, suo e soprattutto della persona che rappresento, e purtroppo tra pochi minuti mi aspetta un appuntamento con un maledetto giornalista per mi ha tartassato per giorni perché gli concedessi un colloquio circa un altro caso che sto seguendo. L’ultima cosa che voglio è far trapelare qualcosa di questa storia alla stampa. C’è troppo in gioco.”
“Capisco perfettamente.” Keith si rendeva conto che le parole che aveva pronunciato fino a quel momento in quella stanza si potevano contare sul palmo delle dita, ma quella laconicità era la sola reazione che gli venisse naturale in quel momento.
“Mi creda, detective, la sua collaborazione verrà ricompensata a tempo debito.”
“Questo non mi preoccupa sinceramente. Solo…”
“Mi dica pure.”
“Non riesco a capire come siete potuti arrivare a pensare a me per questo lavoro. Insomma, sono un semplice detective privato di una città secondaria… e qui stiamo parlando… insomma… di alte sfere, diciamo così.”
“Capisco che possa sembrarle oltremodo strano… ma è il cliente stesso che ha chiesto esplicitamente di lei.”
Quelle erano le parole su cui Keith si arrovellava maggiormente su quella piccola poltroncina di plastica all’entrata del Gate del suo volo. Proprio non riusciva a trovare un senso per il suo coinvolgimento in quella difficile faccenda, che si portava dietro tante di quelle implicazioni che, in tutta sincerità, non era certo di saper gestire. Cosa avrebbe detto a Veronica? Che cosa avrebbe potuto inventarsi per giustificare il lungo tempo lontano da casa che questo lavoro avrebbe richiesto? Considerò la possibilità di metterla al corrente di tutto, ma scacciò subito questa idea. Quella ragazza era troppo testarda, avrebbe insistito per essere coinvolta e non ci sarebbe stato modo per evitare che, come in qualsiasi altro caso che avevano seguito insieme, iniziasse a fare di testa sua e cercasse di prendere in mano una situazione che invece non sarebbe stata grado di padroneggiare. Troppe complicazioni, troppe persone implicate direttamente o indirettamente, probabilmente anche troppi pericoli. Anche lui, sinceramente, non era del tutto sicuro di avere sotto controllo la situazione e di sapere come muoversi, l’ultima cosa che voleva era doversi preoccuparsi di sua figlia, della sua incolumità, della sua vita, alla quale avrebbe dovuto sottrarre troppo tempo, soprattutto ai suoi studi. Non avrebbe potuto lavorare lucidamente su questo caso accanto a sua figlia. No, non poteva parlarle della faccenda. Odiava mentire a sua figlia, non c’era nulla che detestasse di più e gli avrebbe causato sofferenza finché non si fosse risolto tutto, ma doveva per forza proteggerla. Se le avesse raccontato tutto non sarebbe mai riuscito a convincerla a restare da parte, non ci sarebbe stato niente al mondo che avesse potuto tenere lontano Veronica da quella storia, se solo ne fosse venuta al corrente. La riguardava troppo da vicino. E riguardava troppo intimamente le persone a cui lei più teneva. Si sarebbe buttata a capofitto nella cosa, la conosceva troppo bene. No, per quanto l’idea lo disgustasse doveva continuare a mentire circa i suoi spostamenti, fingere una normale routine di lavoro, anche se sapeva che la figlia avrebbe sofferto quando avrebbe scoperto tutte le bugie che sarebbe stato costretto a raccontarle nei prossimi mesi. Sapeva che stava seriamente rischiando di perdere la fiducia di sua figlia, ma era necessario, Veronica non poteva essere coinvolta.
Con un peso sul petto, Keith cercò di mettere temporaneamente da parte tutte quelle preoccupazioni che lo assillavano e che probabilmente si sarebbe dovuto tenere addosso ancora per qualche mese. Prese il cellulare e per un minuto fece finta di essere il solito padre che era sempre stato, affidabile, disponibile e soprattutto sincero. Chiamò rapidamente il suo amico della banca e cercò di sembrare più disinvolto e spensierato possibile mentre gli chiedeva di aiutarlo con il favore per Veronica. Ci riuscì. Dopo pochi minuti Keith poteva lasciare buone notizie nella segreteria di sua figlia: avrebbe potuto recuperare le cassette delle telecamere di sorveglianza della banca in serata, al massimo la mattina successiva.

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Il cielo sopra la città sembrava confondersi con la luce di quel primo pomeriggio assolato, mentre dall’alto del terrazzo del Neptune Grand Logan lo osservava pensieroso rigirandosi nervosamente il telefono tra le mani. Ripensava a quanto gli aveva detto Veronica quella mattina, che sarebbe stato lui stesso a dover chiamare di nuovo quell’uomo in Australia, mettendo le carte in tavola e rivelando apertamente la sua identità, giocandosi questa ultima ed estrema chance di rintracciare sua madre.
“Sarai Logan Echolls che cerca sua madre” continuava a risentire nella sua testa, come quegli slogan pubblicitari che una volta che ti attanagliano la mente non c’è sforzo che serva a cacciarli via.
Gli sembrava di prepararsi ad un gioco d’azzardo al 50 e 50: se fosse andata bene, se quell’uomo si fosse lasciato persuadere dalla sua franchezza e decisione, avrebbe davvero potuto recuperare notizie su dove sua madre fosse finita, altrimenti, non solo si sarebbe giocato quell’unica fonte di informazioni che rappresentava il suo ultimo cavo di collegamento con quel continente così lontano, ma avrebbe anche rischiato di far saltare la nuova identità di sua madre, magari mettendola in guai ancora più seri di quelli in cui pensava che già si trovasse. Eppure Veronica era convinta che quell’uomo fosse al corrente di tutto e che necessitasse di una spinta… e lui le credeva, in fondo fino a quel momento il suo fiuto aveva più volte dimostrato di non sbagliare. Era davvero un dono, ne era convinto. A volte forse la perspicacia di Veronica si era dimostrata per lui una sfida non indifferente e in genere aveva sempre finito per perdere lui la partita. Non era mai riuscito a nasconderle niente, anche quelle cose che avrebbe di gran lunga preferito non far mai venire fuori perché sapeva che l’avrebbero ferita. E lo avevano fatto. Quante cose avrebbe voluto cambiare, guardando indietro, ma ormai le sentiva lontane e a poco a poco sempre meno importanti, perché sapeva che non si sarebbero ripetute, avrebbe fatto di tutto per evitare di cadere di nuovo nei vecchi errori. E con tutta certezza, Logan aveva la sensazione che questa volta ci sarebbe riuscito. C’era qualcosa di diverso questa volta, sia nella loro storia, sia in lui, una riscoperta stabilità, una normalità che mai prima d’ora aveva avuto il piacere di assaporare. Non sapeva decifrare con esattezza di cosa si trattasse, ma non gli importava, perché per lui era sufficiente sentirlo. Certo, da una parte lo seccava la consapevolezza che non sarebbe mai riuscito a tenersi il più piccolo e innocente segreto con quella ragazza, ma in fondo quella testardaggine e quell’intuito martellante rappresentavano gran parte del fascino di Veronica, che l’avevano stuzzicato sin dai primi anni del liceo, anche quando tra loro non c’era niente se non una costante guerra di scherno e disdegno tra fronti opposti. Ormai riusciva a sorrideva al pensiero di quello che si erano combinati reciprocamente, mentre fino a poco tempo prima soffriva ricordando la sua odiosità nei confronti di quella che sarebbe diventata la ragazza al centro del suo mondo. Già, qualcosa era decisamente cambiato, quasi come se non si sentisse più costantemente obbligato a dover correggere gli errori del passato, quegli errori avevano smesso di tormentarlo e di tormentare la sua storia con Veronica e non sapeva né come era successo, né chi doveva ringraziare. I loro sbagli erano certo parte di quella storia, ma forse avevano contribuito a renderla… non sapeva esattamente come… così. Si sentiva sereno, a parte le preoccupazioni riguardo a sua madre, ma quella sensazione di costante vacillamento, di camminare su bicchieri di cristallo, di dover ad ogni passo prestare attenzione al non commettere qualche idiozia che avrebbe rovinato tutto, lentamente stava sfumando in una rilassante stabilità, che certo avrebbe difeso ad ogni costo, ma sentiva di non doversi sforzare troppo questa volta. Veniva da sé, con una naturalezza fino ad ora a lui sconosciuta. Senza questa sicurezza forse non avrebbe trovato la forza di affrontare il fantasma di sua madre, che quell’estate aveva deciso di piombare brutalmente nella sua vita. Se non fosse stato così certo del suo legame con Veronica, forse non avrebbe avuto il coraggio di imbarcarsi in ciò che aveva deciso di fare, sempre che tutto fosse andato come doveva: partire per l’Australia e dare a sua madre quell’aiuto che tempo prima le aveva negato, riparare all’impulsivo errore di averle voltato le spalle con glaciale distacco, quel gesto per cui adesso non riusciva a darsi pace. Lo doveva fare. Doveva farlo per poi tornare e riprendere la sua vita da dove l’aveva lasciata. E tra lui e quel momento c’era solo una telefonata.
Digitò il numero e dopo un paio di secondi di silenzio restò ad ascoltare il ritmico suono del telefono in attesa di stabilire la linea. Uno squillo, due squilli, tre… in quello stato di calma quasi ipnotica a Logan sembrava che tra uno squillo e l’altro trascorresse un’eternità e che ognuno si facesse più lento del precedente, fino a che una voce grave lo raggiunse dall’altro capo del telefono e del mondo.

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“Allora posso iniziare a tranquillizzarmi?”
“Te l’ho detto, ci sto lavorando.”
“Quando prenderai quelle cassette?”
“Appena l’amico di mio padre riesce a farmele avere. Te l’ho detto Wallace, se non sarà per stasera, al massimo domani mattina riusciremo a vedere la tua testolina riccia entrare in quel vicolo all’orario che conferma la tua versione”
“Bene…” Wallace tirò un sospiro di sollievo mentre rilassava la testa sul cuscino, visibilmente allentata dalla tensione.
I medici avevano deciso di tenerlo in osservazione per un paio di giorno a causa della botta in testa che aveva ricevuto. Non volevano correre rischi, ma in quella stanza di ospedale il ragazzo si sentiva quasi come in una cella. Ogni ora un poliziotto veniva a controllare che non se la fosse filata e anche le infermiere aveva l’impressione che lo tenessero d’occhio, come se le avessero messe in guardia. Era ancora il principale sospettato per il furto al cinema e nonostante confidasse che alla fine Veronica lo avrebbe tirato fuori da quella storia ridicola, il sentirsi trattato alla strega di un delinquente gli risultava insopportabile. Si sentiva ancora stordito per la commozione celebrale, in effetti, ma non vedeva l’ora di tornare a casa, di buttarsi tutto alle spalle e di riprendere la sua vita di normale studente, atleta e bravo ragazzo quale era. Si sentiva soffocare in quella stanza asettica, da solo, perché nonostante la camera avesse un altro letto libero, nessun paziente sarebbe stato ricoverato accanto a un sospettato della polizia. Avevano forse paura che lo soffocasse con un cuscino? Ridicolo. Non faceva che ripeterselo. Se sua madre e le sue migliori amiche non si fossero impegnate a non lasciarlo mai solo probabilmente avrebbe avuto una crisi di nervi.
Veronica era arriva da mezz’ora, subito dopo aver terminato le lezioni del pomeriggio alla Hearst si era precipitata in ospedale dal suo amico appena in tempo per prendere il posto di Mac che doveva scappare per ultimare il lavoro su un computer che avrebbe dovuto riconsegnare quella sera. Si sentivano tutti e tre cresciuti da quando aveva deciso di prendersi una casa in autonomia. Il lavoro non poteva più essere qualcosa da rimandare a domani, perché anche le più piccole spese quotidiane alla fine della settimana finivano per accumularsi e i tre ragazzi stavano iniziando per la prima volta a fare i conti con problemi di questo tipo. Ma se la cavavano bene, erano una grande squadra e fino a quel momento non erano mai arrivati a sfiorare situazioni drammatiche, come il non avere il casa in caffè per la colazione. Tutto filava liscio, come se avessero vissuto insieme da anni e fossero ormai collaudati per ogni evenienza. Non c’era stato bisogno di grandi sforzi per arrivare a una collaborazione perfetta e in pochi mesi la loro casa stava iniziando ad avere un aspetto a dir poco confortevole. Spaziosa, funzionale e di gusto. Veronica era davvero soddisfatta per come stavano andando le cose e in buona parte era dovuto al piacere di tornare ogni sera in un luogo che sentiva suo, che contribuiva a mantenere, senza contare la libertà spensierata che il vivere in autonomia portava con sé.
“Sono quasi le sette… tra poco il mio carceriere passerà a controllare il detenuto…” disse Wallace con un sospiro scoraggiato. “Hai presente quell’infermiera che fa la ronda nei corridoi? Quella più larga che alta?”
“Beh, per fare la guardia a un duro come te dovevano per forza mettere in campo qualcuno ben piazzato!”
“Fa quasi paura! Ha uno sguardo che mi fa pensare che voglia mangiarmi!”
“Ma come?? Anche se il cibo in quest’ospedale è così buono?” Cercò di scherzare Veronica per sdrammatizzare la frustrazione dell’amico.
“Si si, tu ridi, tanto sono io che deve dormire con un occhio aperto!”
Veronica rise nel sentire che nonostante la situazione Wallace non avesse perso la voglia di scherzare e riuscì a stento a trattenersi dallo scoppiare in una risata fragorosa quando pochi secondi dopo l’infermiera si affacciò alla porta. Era proprio come Wallace l’aveva descritta e cominciava a capire perché lo inquietasse. La donna gettò uno sguardo torvo nella stanza e si preparò ad andarsene dopo che Wallace le ebbe detto in tono sarcastico:
“Non sono ancora scappato!”
Mentre l’infermiera stava richiudendo la porta fu costretta a farsi da parte per permettere al nuovo visitatore di entrare nella stanza. Quando Logan fu oltre la porta, la donna la richiuse alle sue spalle.
“Non ti aspettavo!” Veronica lo accolse con un sorriso sorpreso. Pensava di passare da lui al Grand proprio subito dopo aver lasciato l’ospedale, e quando se lo vide arrivare si accorse che era impaziente di vederlo.
“Invece io ero sicuro che ti avrei trovata qui. Come te la passi amico?” Logan si rivolse a Wallace mentre prendeva da un angolo una sedia per sedersi.
“Non c’è male, ma sono stato meglio.”
Non fecero neanche in tempo a salutarsi che l’infermiera secondino aprì di nuovo la porta, questa volta facendo irruzione nella stanza.
“L’orario delle visite è finito. Possono restare solo i parenti.”
Di fronte all’annuncio minaccioso Veronica e Logan si alzarono lanciando a Wallace uno sguardo rassegnato.
“Tranquillo Fennell, vedrai che domani la tua Veronica sistemerà tutto.” Veronica lo salutò strizzandogli l’occhio in modo rassicurante.
“Ho perso il conto di quante volte l’ho già detto, ma sono nelle tue mani Mars. Ciao ragazzi, a domani.”


Le strade erano trafficate di tutti i lavoratori che dopo un giorno di attività tornavano nervosi e affamati nelle proprie case, ma Logan non ne era infastidito mentre guidava per tornare al Neptune Grand. Il traffico gli stava dando tutto il tempo per raccontare a Veronica della telefonata di quel pomeriggio. Lei non si era stupita nel sentire che Logan avesse richiamato senza di lei, anzi, se lo aspettava, aveva capito quanto fosse impaziente e sapeva che se la sarebbe cavata benissimo.
“All’inizio ha cercato di far finta di niente… ma poco a poco sono riuscito a farmi ascoltare. Avevi ragione. Ho fatto bene a mettere le carte in tavola.”
Veronica lo ascoltava con la particolare attenzione che dedicava ad ogni cosa che si fosse prefissata di affrontare.
“Come è finita?”
“Per ora non è finita. Sono riuscito a strappargli solo un: ci penserò. Ha tutti i miei recapiti e mi ha promesso che si sarebbe fatto vivo lui. Spero solo che non fosse un modo per liberarsi di me e che non sparisca.”
“Se anche fosse così, lo rintracceremmo di nuovo.”
“Già.” Logan sembrava pensieroso, forse non ne era del tutto convinto.
Quando entrarono nello scintillante lusso dell’hotel, Logan non si sarebbe mai aspettato di trovare quello che lo stavo aspettando.
Mentre si avviavano all’ascensore, Logan notò l’addetta alla reception che gli faceva cenno di avvicinarsi al banco.
“Brenda.” Logan si limitò a chiamare per nome la ragazza per comunicarle che aveva la sua attenzione, appoggiandosi svogliatamente al bancone, in attesa di ricevere come al solito la ricevuta di qualche conto da saldare.
“Ma le conosce proprio una per una le ragazze che lavoro qua dentro??” Pensava intanto Veronica con un sorriso sottile sulle labbra.
“Un messaggio per lei signore.”
Logan prese il foglietto con l’appunto senza neanche guardarlo e con tranquillità si avviò a raggiungere Veronica che lo aspettava vicino all’ascensore già aperto. Mentre camminava abbassò lo sguardo a leggere il pezzo di carta che aveva in mano.
Rimase fermo per qualche secondo. Veronica non aveva ancora ben capito cosa stesse succedendo, finché Logan non rialzò gli occhi a guardarla con uno sguardo che faceva difficoltà a decifrare.
“Che cos’è?” Gli chiese impaziente.
“Un indirizzo.”






  
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