Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Evillinnie    19/10/2008    3 recensioni
Eppure, per loro, erano le stesse fotografie ad essere fantasmi - piccoli mostri invisibili, contenitori d'invidia, che volevano tempo, che volevano autografi. Mostri di cui loro erano Padroni-Non-Padroni.
~ [ Argus Gazza ] [ Gilderoy Allock ] [ Prima classificata a "Photographs", indetto dal C.o.S. ] ~
Scommessa vinta.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lancette di carta

 

(I fantasmi non hanno consistenza, eppure loro sapevano di carta)

 

 

 

 

Il Grande Orologio n.1 vantava di trovarsi più in alto rispetto a tutti gli altri: nemmeno il Grande Orologio n. 5, che si trovava sopra l’unica credenza di quella stanza, avrebbe potuto sperare di superarlo.

Non che si trovasse in una posizione comoda – il Grande Orologio n.3, sdraiato sopra i libri della libreria ammuffita di Gazza, si rilassava senz’altro di più -, però faceva una grande quantità di smorfie altezzose e superiori.

Gazza aveva deciso di eleggerlo il n.1 proprio per quel motivo, e, prima di dedicare attenzioni a sé stesso davanti allo specchio, cercava di raddrizzare quella foto lungo la cornice scrostata, nonostante la piega curva che non sarebbe più tornata piatta.

Poi, soddisfatto in una maniera un po’ bizzarra – il Grande Orologio n.1 lo notava dal sorriso ingiallito e l’accenno di rughe più o meno profondo che andava incurvandosi con il tratto del viso -, si guardava allo specchio e riponeva su una sedia una decina di creme, rigorosamente per ordine di altezza.

Dopo quell’operazione si dedicava al vestiario, e che mai si dicesse che non cambiava l’abito!, abbinando sfumature di nero con altri neri la cui differenza era ben poco visibile.

Seguiva la pettinatura, la scelta delle scarpe e, infine, un periodo che variava da un’ora e mezza alle tre ore che dedicava all’ammirazione del proprio riflesso nello specchio.

Dopodiché veniva il turno del Grande Orologio n.2, sicuramente un po’ stufo e geloso, ma certamente contento per la fine di quella patetica scena rituale.

Gazza immaginava che fra i Grandi Orologi ci fossero contrasti di egemonia sul tempo loro dedicato, ed era contento di essere il Padrone-Non-Padrone. Solo fra i Grandi Orologi n. 3 e 4 c’era un rapporto sufficientemente stretto da obbligare Gazza a spostare fruste e chiodi affianco alla libreria.

Era tutto un capolavoro, infine: ogni piccola cosa, ogni minuscolo dettaglio.

Quella stanza era la camera da letto di Argus Gazza all’età di ventisette anni.

 

 

***

 

«Oh, per Merlino, sono in ritardo!» Gazza lanciò uno sguardo desolato a quello che sembrava un quaderno sgualcito, di colore blu, che aveva sulla copertina una pomposa scritta argentata che indicava con una scrittura obliqua il nome “Album”.

Lo afferrò con grande cura, infilandosi un cappotto nero di stoffa da mercato.

Londra sembrava ben contenta della pioggia, quel giorno. Gazza no, ovviamente.

Quando pioveva il Grande Orologio n.2 s’intristiva e sembrava chiudersi a riccio in sé stesso, con ginocchia che non esistevano strette al petto, con braccia invisibili a circondarle miseramente.

Gazza lo proteggeva dalla pioggia sotto il suo cappotto scuro e sudicio.

Entrò in un piccolo negozio dotato di una piccola vetrina, con piccoli orologi antichi all’interno di essa, e una piccola insegna spenta ad indicare la sua esistenza – sempre troppo piccola, per essere notata.

Gettò uno sguardo sul banco prepotentemente spazioso che occupava buona parte della stanza; aprì la bocca e ne uscì un suono buffo e gracchiante.

«…ne avrà fatte ancora, signora! Ne sono certo, signora, le dico che ne sono cert-»

Guaì disperatamente, con un ché di assurdo negl’occhi piccoli, anche loro.

Una donnina vestita di rosso scosse il capo, senza capire il perché di tanto scalpore: - «Sono finite, signore, le ha prese tutte lei, d’altronde…»

Gazza strinse il braccio destro contro il fianco, sentendo la superficie dura e squadrata dell’album, pieno di foto ancora non appese. Centinaia di Grandi Orologi in attesa di entrare nella vita di Argus e spodestare i loro nemici; Gazza sapeva che il Grande Orologio n.2, che capeggiava tutti loro, soffriva più degl’altri per lo stesso motivo, così spesso passeggiava con lui, parlandogli con bisbigli sottili e privi di alcuna pausa.

«Ora potrebbe comprare qualche orolog-»

Offeso, alzò il capo rosso e abbracciò il suo album tanto caro, uscendo dal negozio senza degnare la padrona di alcun saluto.

Marciò sotto la pioggia come un soldato tornato da una guerra persa, dispiacendosi solo per quello strato di creme che sotto l’acqua andava sciogliendosi.

Il Grande Orologio n.1 non sarebbe stato felice di questo.

«Devo tornare a casa, ma non permetterò loro di prenderti in giro, n.2, lo prometto, eh, non lo faranno o…» Due tozze dita ruvide accarezzarono morbosamente la copertina dell’album; tre, quattro, dieci carezze. Gazza immaginò tutte le foto tendersi come gattini coccolati, e non si trattenne dal ridere con un certo studiato compiacimento.

Entrò frettolosamente nella sua abitazione sporca e poco illuminata; appese il cappotto gocciolante nell’esatta posizione in cui l’aveva trovato all’inizio e corse verso l’unica camera da letto quanto più velocemente le sue gambe potessero permettergli.

«Grandi Orologi!»

Alzò Album – assumeva un’importanza particolare, in quel momento, e poteva essere chiamato dunque per nome – sopra la sua testa, percorrendo con un’occhiata avida tutte quelle foto tranquille, sedute nella loro postazione preferita.

«Non avete paura, eh?» - sibilò ancora, gonfiando il petto con un respiro raschiato e triste.

Alzò ancora Album, quasi fosse un trofeo camuffato, con le braccia tese sopra il soffitto basso; poi diede inizio alla strage.

Raggruppò tutte le foto in ordine di numero – il Grande Orologio n.2 fu tolto da Album e infilato fra n.1 e n.3, perdendo ogni libertà acquisita in quegl’anni -, tolse tutte le foto senza nome e le affiancò ai Grandi Orologi.

Immaginò una lotta di insulti che le orecchie umane non erano in grado di percepire, una sottile gelosia che andava scivolando come un serpente sulla carta lucida che dipingeva sempre lo stesso identico orologio; cambiavano solo le lancette nere, oltre il vetro e la foto stessa, dove lui non era mai riuscito ad arrivare.

Infilò i Grandi Orologi in Album, godendo nel rimproverarli quando essi si lamentavano e cercavano pietosamente di scusarsi. Nelle bustine vuote rimanenti infilò le foto senza nome, finché tutto l’album fu completo, come un libro fitto e vissuto.

Argus Gazza uscì di nuovo, indossando il cappotto ancora bagnato, e si portò via il Ricordo, che non era altro che un insieme di piccoli ricordi simili a biglie colorate.

Le sue, però, erano tutte nere.

 

***

 

Era giovedì, un nebbioso giovedì mattina da gara di trottole.

La pista scavata nel terreno era diventata molle e inagibile, perdendo anche quella forma tonda che i bambini dei Giochi le avevano faticosamente dato.

Quel nebbioso giovedì mattina non c'era nessuno a gareggiare; c'era però uno spettatore teso che non aveva ancora staccato gli occhi dalla pista dal primo momento in cui era entrato nel campetto.

Era un bambino dei Giochi: tutti l'avrebbero potuto facilmente riconoscere dalle unghie sporche di terra e da una piccola trottola bianca e blu attaccata con una cordicella ai suoi pantaloni.

Sembrava in attesa di entrare in azione - le dita intrappolavano le ginocchia e forse sarebbe stato difficile valutare chi fosse diventato più bianco -, convinto che davanti ai suoi occhi febbricitanti centinaia di avversari si stessero battendo per poi sfidarsi con lui, campione in carica.

Il pubblico rumoreggiava sempre più forte ad ogni trottola che cadeva fuori dalla pista o giaceva morta all'interno di essa, acclamando il vincitore e paragonandolo a lui; ben inciso, per Gilderoy, che non c'era nulla da mettere al confronto, che ciò era totalmente superfluo, per quanto i complimenti fossero ben voluti.

Il vincitore delle tante sfide, infine, vinse anche l'ultima del torneo, alzando le mani che tenevano la sua trottola di plastica come un ambito premio. Allock sorrise.

Si alzò finalmente da quella panchina arrugginita e fredda - una postazione d'onore, dove lui e solo lui poteva accomodarsi e godere di una vista assolutamente invidiabile -, camminando come un eroe e lasciando volutamente che la sua trottola ondeggiasse avanti e indietro come un pendolo vanitoso.

«Piacere di conoscerti, Vincitore.»

Le bambine dei Giochi starnazzarono nella sua direzione, tifandolo con le loro vocine stridule e le loro braccia alzate nella sua direzione.

«Piacere mio, Campione.»

Quando finalmente furono pronti per lanciare le loro trottole, un silenzio eccitato percorse tutto il pubblico fino al fischio dell'Arbitro; il piccolo Allock incitò la sua trottola ad attaccare l'avversaria e, quando affondò nel fango e smise di ruotare, finse che ciò non fosse successo e iniziò a sognare uno scontro leggendario, con scintille e attacchi da entrambe le fazioni.

Ovviamente vinse.

Non fece però in tempo ad essere travolto dal pubblico in delirio e dalle esaltate bambine dei Giochi, perché qualcuno si era impadronito della sua panchina e stava gettando a terra pezzi di carta colorata, sporcando il suo territorio.

«Ehi! Cosa sta facendo, signore?»

Sparì tutto il gioco, sfumando via come gesso cancellato.

«Sto salutando i miei Grandi Orologi, non lo vedi?»

Ne aveva in mano un mazzo piuttosto spesso: Gilderoy si alzò in punta di piedi e vide immagini tutte uguali, vide tanti Grandi Orologi che potevano essere distinti solo per le lancette, quelle frecce precise che non sapeva ancora leggere.

L'uomo strappava la carta in tanti piccoli pezzettini, poi li lasciava cadere a terra come i petali dei fiori delle Bambine dei Giochi, o come la terra della pista, o come le ceneri dei morti.

Quelli erano, difatti, tanti cadaveri carbonizzati, tante foto che un tempo erano state vive e vivevano, tanti orologi che battevano un tempo non vissuto.

«Perché li ha uccisi?» - si azzardò a chiedere il piccoletto, sedendosi con un salto accanto ad Argus.

Quest'ultimo brontolò qualcosa - ogni volta un rumore strano usciva dai suoi bronchi, come il lamento di un mostro -, poi guardò i due ultimi Grandi Orologi rimasti nelle sue mani: il n.1 e il n.3, che mai erano stati amici e mai nemmeno si erano dichiarati guerra.

«Per lo stesso motivo per cui tu stai lasciando affogare quel coso dentro il fango, ragazzino.»

Gilderoy non rispose, guardando saldamente i lacci marroni dei suoi scarponcini sporchi. Avevano l'estremità consunta e bagnata, sfilacciata in più punti.

Gazza si rimise in piedi stancamente, guardando quella strage di vite senza riuscire a vederla davvero. Si tenne n.3 per sé, intascandola senza farsi vedere da nessuno, in modo tale da non scatenare vendette: da qualche parte, era certo, i morti lo osservavano, osservavano il Grande Orologio n.3 e ne sarebbero stati gelosi per l'ultima volta.

«Tieni, bambino.»

Pose il Grande Orologio n.1 al piccolo Gilderoy Allock, i cui occhi grandi da Campione-Non-Campione si allargarono come se avesse ricevuto il suo primo Trofeo-Non-Trofeo.

Poco dopo tornò la pioggia, e le ceneri dei morti vennero nascosti nel fango assieme alla sua vecchia trottola.

Quando il giorno successivo il campetto fu di nuovo pieno di bambini dei Giochi, nessuno chiese perché Gilderoy mancasse, nessuno fece caso alla trottola sepolta e nessuno, ancora, si era chiesto cosa fossero quei pezzettini di carta che emergevano nel terreno asciutto.

 

Nessuno voleva la nebbia di quel giovedì mattina.

 

 

***

 

«E' solo un Gratta e Netta, suvvia, ragazzo! Spiegam-»

Ancora.

Spalancò la bocca in un gesto che gli era usuale per esprimere il proprio contrappunto, poi gemette e afferrò una vecchia e tozza bacchetta.

La impugnò come se fosse una spada leggendaria, o la bacchetta di un eroe, o un righello babbano, tenendo conto della distanza fra le dita con meticolosa precisione.

«Gratta e Netta! Gratta e Netta! Gratta e Netta! Gratt-»

«Riuscirà a fare ben poco, se non tiene conto della postura del suo corpo, signor Gazza.»

Argus sentì il proprio viso piegarsi nella stessa precedente smorfia, prima di gemere e degnare dell'inopportuno ospite di uno sguardo.

Era un insegnante, un professore.

Un novellino che insegnava per di più Difesa contro le Arti Oscure.

«E il sorriso, signor Gazza; l'espressione facciale, la contrazione dei muscoli e la bellezza corporea sono fondamentali per la riuscita di un buon incantesimo!» Parlava rapidamente, ruotando attorno al vecchio come un felino. «Su, riprovi! O vuole che le faccia vedere...?»

Sbatté un attimo le ciglia, capendo. Subito dopo si piegò in un elegante inchino, sorridendo con quei suoi denti bianchissimi e privi di imperfezioni.

«Cosa stava pulendo, prima?»

Gazza indicò il pavimento, immobile ed imbarazzato per quella situazione così propizia. Per rimediare, porse l'unica cosa che portava sempre con sé e che, in aggiunta, non era nemmeno pulita.

«Oh, un album di foto!»

Non c'era più nessuna scritta sulla copertina ormai grigiastra; Gazza sembrava essersi dimenticato il suo nome e ciò che era stato il suo contenuto.

«Bene, mi stia a guardare, allora...»

Gilderoy puntò la flessibile bacchetta in un punto particolarmente sporco di quel grigio già sporco di suo, poi, con un sorriso ancora largo nei canoni della larghezza, scandì: - «Gratta e Netta!»

Ci fu un rapido suono – il rumore di uno strappo – e, quando l’insegnante porse l’album al proprietario, quest’ultimo notò il segno di una riga che spaccava la copertina in due parti, proprio dove tanti anni prima troneggiava il nome Album.

In compenso, quei due lembi erano perfettamente puliti.

«Posso prenderlo, signor Gazza?»

Le dita callose di Argus accarezzavano il cartone consunto nascosto dal grigio che era tornato blu; cercava qualcosa, un incisione, un graffio, una piega del tessuto.

Non trovò nulla.

«M'insegni ancora, m'insegni la magia!»

Il professor Allock distese il suo volto in un'espressione soddisfatta ed orgogliosa, come se il maganò che si ritrovava davanti avesse chiesto il tatuaggio del suo nome sulla sua fronte sudaticcia.

«Solo se mi regala questo album, signor Gazza.» - propose, tendendo un palmo aperto dalla pelle morbida tipica degli studenti. «E poi magari... magari le lascio il mio autografo, che ne dice?»

Gazza sembrò contemplare la risposta, perché ci fu una pausa di silenzio più o meno lunga che interruppe ogni suono. In realtà stava semplicemente cercando di ricordare cosa mancasse in quello strano strappo.

«Lei m'insegni la magia, mi faccia diventare un mago. Io le darò questo, certo.» Chiuse gli occhi e tenne con la punta delle dita l'angolo più piccolo dell'album, come un oggetto schifato. Il professore se ne appropriò, sollevato.

«Ci daremo appuntamento in questo stesso posto, allora, signor Gazza. Le insegnerò la bellezza della magia, senz'altro.» Parlò frettolosamente, abbracciando Album - di nuovo, di nuovo assumeva quel ruolo protagonista, che gli era stato negato per tanti anni - e dirigendosi a grandi passi verso la sua camera.

Il vecchio Argus lasciò che le dita scivolassero sul dorso della bacchetta, chiedendosi se quello fosse stato uno scambio equo.

 

 

***

 

 

Il Grande Orologio n.1 vantava di essere il più colorato di tutti, e il più amato, e il più osservato; tutto sommato, forse, era semplicemente il più autografato.

C'erano, sulla sua superficie ancora lucida, i segni dei colori a pastello utilizzati dai bambini: per l'esattezza, tre righe rosse e gialle in alto a destra e uno scarabocchio verde in fondo alla fotografia.

Le firme di Gilderoy Allock, in ogni caso, erano in quantità smisurata, e ricoprivano il retro come un'enorme chiazza nera. Lasciavano libero solo lo spazio delle lancette, che indicavano imperterrite le sei e trentasei.

Tuttavia, poiché di Grandi Orologi ne era rimasto solo uno - fantasmi invidiosi a parte -, Gilderoy dedicava tutte le ventiquattro ore alla cura del proprio corpo, allo specchiarsi e al sorridere con il miglior sorriso fra tutti i sorrisi.

Allock, sedutosi sul suo letto, prese fra le gambe Album e riscrisse il suo nome sulla copertina, esattamente laddove i lembi andavano staccandosi. Non lo autografò, lasciò solo quella scritta pomposa e nuova sulla superficie ormai vecchia del quaderno.

Il Grande Orologio n.1 fu infilato nella prima bustina, a capeggiare fantasmi invisibili che spesso, la gente, ritrovava nelle fotografie. Eppure, per loro, erano le stesse fotografie ad essere fantasmi - piccoli mostri invisibili, contenitori d'invidia, che volevano tempo, che volevano autografi. Mostri di cui loro erano Padroni-Non-Padroni.

 

Più tardi, Gilderoy riuscì a riempire nuovamente Album, per poi stracciare le foto e regalare un altro Grande Orologio al bambino Campione che sarebbe venuto.

Si era tenuto per sé il n.1, ovviamente - orologio tondo, con il quadrante bianco e i numeri romani, le lancette ferme che si muovevano freneticamente a battere un tempo senza suono, orologio tondo appeso in un posto che non esisteva, attaccato al nero dei ghirigori che ricordavano quelle decorazioni antiche nelle case borghesi.

Orologio tondo che aveva scandito tutta la sua vita in un tempo che tempo non era.

 

Più tardi, Argus si trovava sempre negl'angoli più impensati di Hogwarts a chiedere agli studenti di insegnar lui qualche incantesimo per principianti. Era sempre lì a spiare le lezioni con le orecchie tese al muro, le mani frementi di mettere in pratica quanto sentito. Era sempre lì a stringere, nella tasca nascosta del suo logoro cappotto, il Grande Orologio n.3, che tanti anni prima aveva iniziato a scandire la sua vita secondo i ritmi del Mondo Magico, in un tempo che non era altro che un'eterna veglia sulla magia altrui.

Chissà come sarebbe stato se, invece di essersi tenuto per sé il n.3, avesse conservato il n.4...

 

Fine (?)

 

 

 

N/A

 

Un paio di precisazioni, ecco.

Il n.4 è, ovviamente, l’orologio “della frusta e dei chiodi”, tipico comportamento del Gazza della Rowling.

Il mio What if è, dunque, “E se Gazza non fosse stato tipo da frusta e chiodi?” xD

La differenza d’età fra Gazza e Allock l’ho inventata io (31 anni, per la precisione), anche perché di materiale su quei due non ne ho trovato.

I vari “Padrone-Non-Padrone”, “Campione-Non-Campione” ecc. non credo sia propriamente inventato da me, anche perché capita di sentirlo (no?), ma sempre meglio specificare.

Che dire, senza angst e auto-vietandomi la commedia è uscito questo, che non so esattamente come definire. 

Oh, ho vinto la scommessa con Macrì, per questo: ho scritto una Gazza/Allock introspettiva, leggermente triste che snobba la commedia. xD

Qui i risultati del contest; inoltre vi consiglio di visitare lo stesso forum: interessante sotto molti punti di vista e senz'altro di alto calibro.

 


Love ya,
L-

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Evillinnie