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Autore: Nykyo    30/10/2014    3 recensioni
Talia e il piccolo Derek si godono il fresco sotto l’ombra di un ancora foltissimo Nemeton, in un placido pomeriggio primaverile, quando uno Stiles adulto, zuppo come un pulcino e parecchio spaesato, sbuca all’improvviso dal nulla. Derek gli gattona incontro, evitandogli di finire immediatamente sbranato, ma Talia, una volta rinfoderati zanne e artigli, ha comunque da porgli parecchie domande. La prima delle quali è senz’altro: perché Stiles odora come se un Derek ormai adulto passasse il tempo a rotolarglisi addosso?
Genere: Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Talia Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'odore della luna.'
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Help me close my eyes
I don't wanna see what this day was like
Help me close my eyes
I want to sleep without dreaming
Cause I need them to be true
(Help me close my eyes – Those Dancying Days)
 
Il mal di testa stava tornando. Non era forte come all’inizio della serata e il piacere aveva contribuito a farlo sparire per un po’, ma ora che la sensazione di appagamento andava scemando il dolore stava prendendo il suo posto. Stiles lo sentiva battere di nuovo tra le tempie e contro la fronte.
Finché era lieve era possibile che Derek non se ne accorgesse e Stiles non voleva che lo notasse. Con un po’ di fortuna Derek si sarebbe addormentato prima di lui e Stiles non avrebbe dovuto fingere che andasse tutto bene. Era stato già abbastanza difficile mentire per l’ennesima volta a suo padre, solo perché, tanto per cambiare, tutti erano stati d’accordo con lui nel pensare che fosse meglio così. Non gli andava di dover indossare una maschera anche con Derek. Non più. Ma era disposto a farlo, se poteva servire a evitare ulteriore ansia e apprensione almeno a uno dei due.
Stiles non ci teneva affatto a vedere Derek ancora più preoccupato per quello che avevano in mente di fare l’indomani. Invece non aveva potuto fare a meno di avvertire una fortissima tensione  anche poco prima, mentre facevano l’amore.
Derek non era facile al sorriso, ma di norma almeno in certi frangenti non aveva uno sguardo così serio e concentrato da incutere perfino un po’ di timore. Se non altro al principio a Stiles era parso che Derek si stesse sforzando così tanto di mostrarsi tranquillo e, nello stesso tempo, di far rilassare lui, che il risultato finale era stato tutto il contrario. Stiles si era ribellato quasi subito, un po’ perché, che lo ammettesse o meno perfino con sé stesso,  aveva già abbastanza paura per conto suo e un po’ perché non sopportava di leggere quel tipo di espressione sul viso di Derek.
Ovviamente il suo tentativo di spingere Derek sul materasso a furia di mera forza bruta non era stato coronato da alcun successo, ma nemmeno l’affanno per lo sforzo inutile gli aveva impedito di sbottare: «Se devi scoparmi come se fosse l’ultima volta in vita tua fammi il favore di metterti giù e lasciare che faccia io, perché francamente non ho proprio nessuna intenzione di farmi piangere per morto mentre sono ancora vivo, e se per non vedere più quella faccia devo…»
Derek l’aveva interrotto con un bacio rabbioso e, da quel momento in poi, se l’erano cavata senza ferirsi troppo a vicenda. Quindi Stiles non ci teneva proprio a lasciar trasparire il suo attuale malessere. E anche solo per quel motivo avrebbe dovuto immaginarsi di non avere alcuna speranza di riuscirci.
«Stai male di nuovo.» Non era una domanda, era una mera constatazione espressa in modo un po’ collerico, perché Derek era un povero cretino danneggiato dalla vita. Stiles lo sapeva, dal momento che nessuno era capace di riconoscere un certo tipo di incrinature dell’anima tanto quanto lui che a volte si sentiva sul punto di sbriciolarsi. Quindi il tono astioso non lo sorprese e non gli procurò alcun dispiacere. Derek era fatto così, ormai Stiles l’aveva accettato.
Quanto più Derek era in pensiero per qualcuno perché lo amava, tanto più era capace di diventare aggressivo. Faceva così con tutti, con la sola eccezione di sua sorella Cora.
Quando c’era di mezzo Stiles – e lui sapeva anche questo – quella tendenza addirittura peggiorava.
Non c’era proprio nulla di strano o di realmente crudele nel fatto che Derek gli chiedesse del suo mal di testa con un tono e un’espressione che sembravano di rimprovero nei suoi confronti, proprio come se pensasse che fosse tutta colpa di Stiles che si ostinava a voler stare male. Il che non significava che Derek lo credesse davvero colpevole di chissà quale complotto ai danni di entrambi.
«Senti un po’, Miguel, vedi di darti una calmata, è solo un po’ di mal di testa. Non è nemmeno così forte» lo rimproverò Stiles sbuffando e fissando il soffitto del loft per non dover vedere di nuovo quella luce ansiosa nei suoi occhi.
L’idea che l’indomani notte sarebbe stato spedito indietro nel tempo, e per di più utilizzando un metodo che gli avrebbe richiamato alla mente pessimi ricordi, non gli sorrideva per niente. Stiles sarebbe stato disposto a partire anche solo perché Deaton gli aveva assicurato che i malesseri che stava sperimentando sempre più di frequente sarebbero svaniti non appena tutta la faccenda del Nemeton fosse stata risolta. E lui non ne poteva più di sentirsi come se il suo cervello stesse per esplodere e i suoi polmoni fossero trafitti da un migliaio di spilli. Anche solo l’idea di stare meglio sarebbe bastata a spingerlo ad andare fino in fondo, ma la sorte non era mai tanto generosa da limitarsi a un mal di testa. Stiles non ci voleva pensare, certo, però restava il fatto che un fallimento nei loro piani sarebbe equivalso a una condanna a morte.
Derek non ne aveva idea, lui invece sì, ma era un bugiardo così esperto che al momento gli riusciva perfino di fregare se stesso e di non ricordarsene o, quanto meno, di non esserne eccessivamente cosciente. Non poteva permettersi di pensarci, se no se la sarebbe fatta addosso dalla paura. Sarebbe arrivato il panico e Stiles non aveva bisogno di altri timori. E comunque la necessità di guarire e quella di salvarsi erano, senza dubbio, un incentivo enorme a tentare perfino un viaggio nel tempo, però non erano il solo motivo della sua determinazione e, al momento, nemmeno il più importante.
Certo, Stiles aveva il terrore di non farcela ed era stufo  marcio di stare male. Non ne poteva più, odiava i suoi malesseri, ma detestava altrettanto il fatto di far preoccupare a morte le persone che lo amavano, Derek su tutti.
Avrebbe voluto rassicurarlo, perfino in quel preciso istante. Prima che potesse aggiungere qualcosa, però, fu bloccato da una manata – o forse sarebbe stato più appropriato chiamarla una zampata – su un braccio. Voltò il capo e cercò di liberare il polso dalla presa ferrea di Derek che l’aveva imprigionato.
«Lascia stare, lo sai che non funziona mai fino in fondo» tentò di protestare. Avrebbe voluto riuscire a dirlo con rabbia, perché voleva solamente concedersi una nottata che non sembrasse per forza l’ultima della sua esistenza.
Ma la verità era che Derek stava soltanto cercando di aiutare e che Stiles era grato di averlo accanto e di non dover affrontare anche questa nuova spaventosa complicazione riguardo al Nemeton senza un certo tipo di appoggio.
Non che i suoi amici l’avessero mai lasciato solo, anzi. Scott negli ultimi giorni non aveva fatto che offrirsi di partire al suo posto. A Stiles non mancavano né l’affetto né il sostegno del suo migliore amico, però lui aveva sempre avuto bisogno anche di qualcos’altro. E Derek, per quanto a volte potesse sembrare del tutto surreale, era diventato esattamente quel qualcos’altro.
Stiles si voltò per osservarlo e vide che era concentratissimo. A giudicare alle mascelle serrate e dal modo in cui stava respirando a fatica, in quel preciso istante anche Derek provava dolore. Stiles d’altro canto iniziava ad avvertire un vago sollievo. Purtroppo sulla sua malattia il potere lenitivo dei licantropi funzionava in maniera ridotta: non bastava a far sparire il mal di testa e produceva un effetto troppo lieve per giustificare l’ammontare di sofferenza che provare a curarlo stava causando a Derek.
«Smettila!» strillò Stiles, tirando via la mano come se quella di Derek fosse stata rovente, e si odiò un po’ per il modo in cui la sua voce era suonata stridula e infantile. Derek lo fissò come se si stesse chiedendo dove aveva sbagliato e si fosse appena  convinto di averlo deluso.
Stiles scosse il capo e si agitò tra le lenzuola. Il sudore aveva iniziato a imperlargli la fronte e stava comparendo anche il solito senso di oppressione al centro del petto. Ciononostante Stiles chiuse le dita sul ciondolo che portava legato intorno al collo e riuscì quasi a tranquillizzarsi, dicendosi che per il momento andava tutto bene. Le sue dita non stavano nemmeno tremando. Non ancora.
Magari non sarebbe stato così male anche l’indomani, chissà. L’indomani avrebbe potuto essere l’ultimo giorno in cui sperimentava quelle sensazioni orribili prima di guarire.  O forse no, forse lui non era destinato a trovare pace e nemmeno a uscirne vivo, ma strinse i denti e si disse che non importava, che andava bene comunque. Stiles non aveva nessuna intenzione di cedere al pessimismo e al dolore e di passare il resto della notte raggomitolato a pensare al peggio.
Doveva crederci. Non era solo, non era senza speranze e, dolore o non dolore, in quell’istante possedeva tutto ciò che aveva sempre sognato di possedere.
Andava tutto bene. Ce l’avrebbe fatta. Aveva amici che lo amavano e lo capivano e non pensavano mai che fosse pazzo, nemmeno quando lui qualche dubbio se lo faceva venire. Aveva Derek e un’ottima possibilità di guarire da quegli stupidi disturbi che, malgrado tutto, erano un niente, sì, una perfetta inezia, rispetto a ciò da cui, in passato, era riuscito venir fuori tutto intero.
Non perché non rischiasse di morire, ma perché almeno era ancora se stesso, non stava facendo nulla di mostruoso e di imperdonabile, non avrebbe ferito nessuno. E perfino se le cose si fossero volte al peggio Scott e Derek avrebbero potuto appoggiarsi l’uno all’altro. Stiles sapeva che non li avrebbe lasciati soli. E non avrebbe lasciato solo neppure suo padre. Non del tutto, se non altro, perché avrebbe fatto in modo che Scott se ne occupasse, gliel’avrebbe fatto giurare. Nel caso in cui… No, no, no, Stiles non ci voleva pensare.


Si coprì gli occhi con un braccio, respirò con lentezza e pensò che aveva Derek accanto. Non lo vedeva ma sentiva il suo sguardo sempre più preoccupato su di sé, e anche solo per quel motivo doveva riuscire a rilassarsi. Per un attimo gli parve comunque di dibattersi in un pantano vischioso fatto di dubbi e di paure sempre più densi, pronti a risucchiarlo e tirarlo a fondo. Poi sentì la mano di Derek che cercava la sua, questa volta senza tentare di ricorrere al potere dei licantropi per lenire la sofferenza. Stiles la strinse e, malgrado tutto, si ritrovò a sorridere.
No, non poteva sapere cosa sarebbe successo l’indomani, ma in quel momento era al sicuro e sarebbe rimasto al sicuro per tutta la notte, che gli riuscisse di dormire o meno.
«Sul serio» disse, sentendosi subito un po’ più calmo, «non è nulla di che, è molto meno forte del solito. Anche il petto… non è nulla di che.»
«Lo so» ammise Derek, ancora vistosamente turbato. «Posso sentirlo dal tuo odore. Anche quando è iniziato l’ho capito dall’odore. Ormai lo avverto sempre, fin da quando inizia. So che non stai mentendo e so che fa meno male, ma…»
Stiles colse il lampo di furia che gli aveva appena acceso lo sguardo. Per un momento si aspettò quasi che Derek avrebbe preso a pugni il materasso o che l’avrebbe squarciato con gli artigli, se la rabbia fosse cresciuta abbastanza da farglieli sfoderare.
Invece non successe proprio nulla. Lui e Stiles rimasero sdraiati a fissarsi. Derek immobile e Stiles con le gambe che non stavano ferme un attimo e che si agitavano senza sosta sotto le lenzuola. Entrambi erano silenziosi e di nuovo tesissimi. E poi, all’improvviso, Derek ruppe il silenzio.
«Il tuo odore. Una volta me l’hai chiesto e io non ti ho risposto, ma la risposta è l’odore. La prima cosa che ho pensato che tu… noi… umph! Volevi sapere come ho capito che preferivo baciarti anzi che prenderti a pugni, hai detto così, giusto?»
Stiles annuì, anche se si sentiva un po’ stranito all’idea che quello specifico discorso spuntasse fuori dal nulla proprio quella notte, dopo così tanto tempo.
«Sì, o anzi che uccidermi» puntualizzò in automatico, senza nemmeno accorgersi di cosa stava dicendo, «o mutilarmi… beh, non davvero, ok, ma minacciare di farlo, perché a pugni mi ci hai preso sul serio, però in effetti non hai mai provato a… non so… sbranarmi. Non che io abbia notato, se non altro, anche se ogni tanto hai questo vizio di incombere alle mie spalle come… come se fossi in agguato, chino su una preda… beh, immagino che non sia per farmi a pezzettini, sono ancora vivo. Però ricordo almeno un paio di occasioni in cui mi sono chiesto… no, ok, lascia stare, dubito che tu voglia mangiarmi, non sono Cappuccetto Rosso e tu non sei quel tipo di lupo, per fortuna. Ma mi hai preso a pugni diverse volte negli anni, sia prima che dopo il nostro primo bacio, quindi anche mentre stavamo già insieme, e hai dei pugni davvero robusti anche quando sei del tutto umano, sai? Grossi pugni molto spigolosi. Grossi soprattutto, ma…»
L’espressione di Derek lo convinse che era il caso di smetterla e Stiles si zittì di botto.
«Il tuo odore. È il tuo odore.»
Stiles si voltò a guardarlo, stupefatto. «Sul serio? Vuoi dire che odoro di buono o, non so… che annusarmi fa qualcosa ai tuoi ormoni o… o è una cosa da lupi mannari? Vuol dire che sentivi che il mio odore era quello giusto per accoppiarti con me? Ma allora perché con Kate Argent e con quella squilibrata della professoressa…»
L’occhiata folgorante che Derek gli aveva appena scoccato gli gelò le parole in gola.
«Ah…» disse Stiles, dopo un secondo e con le guance che andavano a fuoco. «Ah, certo… io… tu… immagino che sia meglio se sto zitto, giusto?»
Derek alzò gli occhi al cielo e scosse il capo, ma alla fine di quella plateale ostentazione di insofferenza, anzi che tirarsi indietro, intrecciò le dita a quelle di Stiles in una presa ancora più stretta e inestricabile.
«Cretino!» sentenziò e poi rimase in silenzio per un tempo che a Stiles parve interminabile. «No» disse alla fine, tornando a fissare Stiles dritto negli occhi. «Non è questione di odore giusto, non è una cosa da licantropi, non vuol dire che l’universo ci ha predestinati e…» La voce di Derek si abbassò di diversi toni e diventò praticamente un sussurro, basso e vibrante. «Il tuo odore è la prima cosa di te che mi è piaciuta. Punto.»
«Punto?» Stiles era abituato al fatto che Derek era a dir poco laconico, ma non poté fare a meno di sentirsi un po’ deluso. Forse fu anche per quello che avvertì una nuova fitta al petto.
Le narici di Derek si allargarono, la linea della sua mandibola si tese e lo smalto dei suoi denti scricchiolò per un istante. Poi Stiles lo vide inspirare una lunga boccata d’aria e battere la nuca contro il cuscino. Anche lui stava tentando di controllare le proprie reazioni, era evidente. Stiles avrebbe voluto dirgli di lasciar perdere, ma non fece in tempo.
«No, non punto» lo prevenne Derek, con un tono che ora oltre a essere basso era perfino un po’ roco. «Non punto. No. Solo…»
Solo che Derek non sapeva come dirlo, certo. Stiles non se ne meravigliò, perché lo conosceva, però si ritrovò a sperare che riuscisse a spiegargli quello che, con tanta evidenza, aveva bisogno di esprimere. Nello stesso tempo, Stiles si scoprì anche felice, in una maniera stupida e un po’ infantile, nel vedere che Derek ci teneva tanto a parlare dei sentimenti che provava per lui.
Non era da Derek, la diceva lunga su quanto era in pensiero e quindi avrebbe dovuto far sentire Stiles in collera perché, sul serio, non voleva essere trattato come un condannato a morte. Però Derek si stava sforzando così tanto ed era così visibilmente frustrato che lui fu automaticamente portato a intenerirsi.
«Non punto» ripeté Derek, che pareva più che deciso a riprovarci. «Il tuo odore all’inizio mi ha fatto ammattire. Odoravi di branco. Anche adesso, ma ora è normale. Odoravi di casa. Della mia famiglia, di un sacco di cose che non avevo più. Di cose di cui non dovevi odorare. Mi faceva incazzare a morte. Non era giusto. Odoravi…»
Stiles avrebbe voluto chiedere di cosa, perché la frase era rimasta in sospeso in un modo che lo faceva impazzire. Che dannata maniera era di concludere una dichiarazione come quella? Che senso aveva che Derek avesse lasciato trasparire tutta la fatica con cui aveva sputato fuori ogni singola parola, e ognuno dei rimpianti e dei rimorsi sottostanti, ma anche tutta la determinazione nell’andare avanti, solo per poi strozzarsi su quell’ultima sillaba e ammutolire un’altra volta?
A volte a Stiles veniva voglia di urlare. Ma non era Lydia, e invece di strillare si girò su un fianco, stando ben attento a non lasciare andare la mano di Derek, e poi gli appoggiò la fronte su una spalla. In silenzio, a occhi chiusi, con i pensieri che turbinavano come un mulinello così veloce che Stiles non riusciva ad afferrarne davvero nemmeno uno. Correvano così svelti che nemmeno le pulsazioni ritmiche del suo mal di testa riuscivano a tenergli dietro.
Stiles non voleva cadere in quel vortice, ma non era certo che la sensazione della pelle calda di Derek contro la sua bastasse ad ancorarlo al presente e all’assenza di dubbi e di rovelli. Non era sicuro che bastasse nemmeno la forza delle sue dita per trattenerlo dal perdersi in un marasma di nuove ansie, timori e pessimi ricordi.
Stiles non aveva mai avuto la minima tentazione di diventare un licantropo, ma a volte, quando Derek lo fissava senza parole, avrebbe voluto avere almeno il dono di poter sondare ciò che Derek sentiva. Specie nei momenti difficili, gli capitava di desiderare il potere di comprendere anche ciò che non veniva detto. Il più delle volte quella frustrazione durava poco e poi svaniva, non appena Stiles ricordava a se stesso che non aveva il minimo bisogno di possedere i sensi di un lupo mannaro per appoggiare il capo sul petto di Derek e ascoltare il battito del suo cuore. Non che potesse decifrarne il ritmo con precisione, come avrebbe fatto Derek con quello del suo, ma poteva ugualmente sentire se era troppo svelto e agitato, poteva accorgersi se accelerava per l’angoscia o per l’eccitazione. Era in grado di capire Derek comunque. E di leggergli certe emozioni negli occhi.
Se solo non fosse stato tanto nervoso ci sarebbe riuscito anche in quel momento.
«Hai sempre avuto l’odore di qualcuno che potevo amare senza ferirlo e senza rimanere ferito. È come se il tuo odore dicesse che posso lasciarmi andare e nessuno si farà male. È come se tu odorassi di tutte le cose che pensavo di non poter avere mai più e di tutte quelle che non sono convinto di meritarmi. Non solo hai l’odore di quello che ho perso o distrutto, ma anche di una vita che credevo impossibile. Perciò all’inizio non lo sopportavo, mi sembrava sbagliato, mi faceva incazzare così tanto e avevo voglia di spaccare qualcosa e di prenderti a pugni. Invece era giusto. Il tuo odore diceva la cosa giusta. La stessa che mi dice ora.»
Stiles sgranò gli occhi e il suo cuore si esibì in una sorta di capriola. Derek l’aveva colto impreparato, quando ormai lui non si aspettava più nessuna spiegazione e aveva le difese del tutto abbassate. Le sue parole l’avevano lasciato un po’ a corto di fiato e davvero frastornato. Sentirle pronunciare era stato strano – in un modo buono e struggente – e capacitarsene era difficilissimo.
«Io odoro di tutte queste cose? Sul serio?» Stiles non riusciva proprio a crederci. Il solo pensiero gli pareva un’enormità e gli provocava emozioni che non riusciva a definire, se non come caotiche. Un miscuglio di calore, dubbi e stupore. Un groviglio di domande e intuizioni.
«Tutte queste cose le senti nel mio odore? Ogni volta… cioè davvero anche la prima volta che mi hai incontrato il mio odore ti ha fatto questo effetto? Perché a me sembrava più che altro che mi trovassi un idiota e dopo perfino che volessi uccidermi. A essere precisi, hai detto che volevi uccidermi. Detto e ripetuto almeno un paio di volte e con dovizia di particolari sul come. E poi c’è stata la faccenda del volante. Non per sembrare uno che se le lega al dito, è passata una vita, ma me lo ricordo perché era stato abbastanza improvviso, ingiustificato e soprattutto doloroso e poco fa hai detto che il mio odore ti fa pensare che nessuno si farà male, ma ti assicuro che in realtà… oh, accidenti, fammi stare zitto, Derek! Non lo vedi che non so più nemmeno io cosa sto dicendo?»
Le dita di Derek gli sfiorarono il collo e si fermarono possessive sulla nuca. «Tu non sai mai cosa stai blaterando, Stiles. Mai.»
Stiles non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per sapere che Derek non lo pensava davvero. O almeno non fino in fondo. Arrossì comunque, ma quando Derek lo attirò più vicino si lasciò baciare senza protestare e, anzi, senza nemmeno accorgersi di ciò che stava facendo si aggrappò con forza al suo collo con entrambe le braccia. Lasciò che il bacio portasse via tutti i suoi dubbi e che gli rendesse in cambio un paio delle certezze che con il tempo era riuscito ad acquistare. Una delle quali era che, per quanto inquietante potesse sembrare nei suoi momenti peggiori, Derek non era un bugiardo. Non che non mentisse mai, ma lo faceva malissimo e da buon esperto di bugie Stiles era perfettamente in grado di smascherarlo. Il punto, però, non era quello, bensì il fatto che Derek con lui di solito era sincero. Lo era con sfumature che andavano dall’onestà riluttante alla schiettezza brutale. Se Derek diceva che il suo odore gli aveva sempre fatto quell’effetto doveva essere vero, tanto più quando quell’ammissione riguardava anche un certo tipo di rabbia.
Quel pensiero folgorò Stiles nel bel mezzo del bacio, come un’illuminazione imprevista: il volante, certo, e certe mezze frasi smozzicate, il tono sempre un po’ troppo irritato, seccato, minaccioso che Derek aveva avuto per un pezzo ogni volta che si era rivolto a lui, la faccenda dell’armadio e quella volta, no, tutte quelle volte in cui se l’era ritrovato alle spalle, troppo vicino. Un sacco di episodi del loro passato assumevano un senso un po’ differente, un po’ più assurdo, ma anche più chiaro e perfino più intimo.


Stiles avrebbe voluto chiedere conferme, però Derek aveva entrambe le mani sul suo viso, e lo stava baciando con così tanta lentezza e concentrazione da farlo quasi tremare. A ogni respiro Stiles lo sentiva riprendere fiato in modo sempre più faticoso e spezzato. I muscoli di Derek erano irrigiditi, come in attesa, quasi che fossero pronti a scattare al primo accenno di una lotta o di un pericolo inaspettato.
Stiles gli affondò le dita tra i capelli – corti ma non abbastanza da impedirgli di stringere e di tirare – e gli soffiò su uno zigomo: «Sta passando». Non disse nient’altro, non ce n’era bisogno. Il dolore alla testa in effetti era praticamente svanito e la stretta al petto che lui continuava ad avvertire si era trasformata. A causarla erano i baci, non la sofferenza in agguato.
Stiles aveva la sensazione che il suo cuore fosse stato infilato in una morsa. Un giro di troppo e sarebbe esploso. Ma non si sentiva così perché era malato. Provava quel tipo di emozione per la consapevolezza che, qualunque cazzata gli fosse mai uscita di bocca, Derek sarebbe stato lì per lui, in ogni caso. Quello stupido, testardo di Derek. Gliel’aveva detto di lasciar perdere, di non provarci nemmeno, e invece faceva sempre di testa sua.
Stiles sapeva che non era merito dei poteri da licantropo se il suo malessere si era attenuato fino a svanire del tutto, era l’affetto, la vicinanza. Si chiese se lo sapesse anche Derek e fu felice di sentirlo rilassarsi del tutto tra le sue braccia.
Lo baciò a sua volta, di slancio, mordendogli un po’ le labbra, solo per stuzzicarlo. Derek ricambiò con tanta foga che, per una manciata di secondi, fu Stiles a scordarsi come si faceva a respirare. Riemerse dal bacio a fatica, aprì gli occhi e regalò a Derek una delle sue migliori smorfie compiaciute. In cambio Derek scosse il capo in modo teatrale e gli fece scorrere le mani lungo la schiena, adagio e senza fretta, fino a fermarle sui suoi fianchi.
Sorrideva, ma Stiles era comunque in grado di scorgere il sottile velo che gli incupiva un po’ lo sguardo.  C’era sempre stato e Stiles fece quello che faceva sempre, ogni volta che lo notava: giurò a se stesso che prima o poi l’avrebbe fatto sparire definitivamente. A malapena tollerava di vederlo nei suoi stessi occhi quando si guardava allo specchio nelle giornate no, e ci aveva messo anni per attenuare la tristezza in certe occhiate o espressioni di suo padre, ma era pronto a tutto per vincere quella battaglia almeno per quanto riguardava Derek.
«Ho intenzione di tornare» annunciò, mantenendo la maschera di sfacciataggine che aveva scelto di dipingersi sul viso. «Ti toccherà riprendermi. Non hai nessuna speranza di liberarti di me, Miguel. Nessuna!»
Per tutta risposta Derek gli affondò il viso nell’incavo del collo e lo morse. Senza preavviso, ma anche senza stringere davvero e senza fargli alcun male. Stiles lo sentì spingere con i denti giusto il tanto sufficiente a fargli avvertire un minimo di pressione e poi Derek sfregò il naso sulla sua pelle e inspirò, una, due, tre volte. Il suo abbraccio divenne una presa spasmodica e Stiles si chiese se ci avrebbe rimesso una costola, ma alla fine la stretta si allentò e tornò a essere solo un gesto gentile e protettivo. Proprio come poco prima Derek parve essersi calmato almeno un po’.
«È di questo che odori» disse, con le labbra e con la fronte ancora vicinissime alla sua gola, «di serenità, di casa, di… di perdono. Non mi sembra più assurdo e sbagliato. È solo che hai l’odore di tutte le cose che ho perso, Stiles, e se ci penso stanotte divento matto.»
Stiles forse avrebbe dovuto stringerlo a sua volta fin quasi a fargli male, ma non riuscì a far altro che accarezzargli i capelli e sentirsi stupido e felice in un modo egoistico in cui non avrebbe proprio dovuto esserlo.
«Tu sei matto, Derek»  lo canzonò, con un tono troppo gentile per suonare davvero di scherno. «Vai in giro a minacciare la gente di strapparle la testa o di squarciarle la gola con i denti. Sei matto. Non dovrei lasciarti avvicinare così tanto al mio collo. Ma se ti viene voglia di leccarlo non farò opposizione. Che tu passi il tempo ad annusarlo è un po’ strano, è vero, ma nemmeno quello mi è mai dispiaciuto più di tanto. Hai una notte intera per annusarmi ovunque, se proprio ci tieni, e quando tornerò potrai portarmi dritto a casa con te e annusarmi di nuovo e anche…»
«Oh! Sta zitto» ringhiò Derek in tono esasperato. Poi però gli premette una scia di baci lungo la gola. Stiles rabbrividì e sorrise con molta più forza e convinzione di prima. Lasciò che Derek continuasse a baciarlo, che gli mordicchiasse una spalla, che a ogni passaggio respirasse sul serio il suo odore.
Per quanto piacevole fosse non c’era nulla di prettamente sessuale nel modo in cui Derek sfiorava la sua pelle con le labbra appena dischiuse. Era piuttosto come se Derek stesse cercando di imprimersi nella memoria non solo il suo odore ma anche il suo sapore e la forma del suo corpo. Andò avanti così per minuti interi e Stiles glielo concesse. Riuscì perfino a non dire niente che potesse rovinare quella strana atmosfera nostalgica o mandare a gambe all’aria la dedizione assoluta che Derek gli stava tributando.
Stare fermo fu più difficile e Stiles sfogò il suo usuale istinto ipercinetico tormentando le lenzuola o accarezzando e baciando Derek di rimando. Quando quella sorta di semi immobilità divenne impossibile da mantenere Stiles la ruppe afferrando Derek per le braccia e facendo leva per tirarsi su a sedere. Si sistemò a cavalcioni su di lui, senza un briciolo di pudore, e gli dedicò l’ennesimo sorriso sornione. Il mal di testa era davvero sparito del tutto e si era trascinato dietro il grosso delle sue paure.
«Tornerò, giuro, e sarò guarito» promise tanto a Derek quanto a se stesso.
Derek lo fissò torvo, con gli occhi ridotti a due fessure minacciose. «Non azzardati a fare qualche cazzata incosciente mentre sei lontano da me, ok?» gli intimò arrivando addirittura a sventolargli l’indice teso sotto il naso. «Non sto scherzando, Stiles, se quanto torni ti vedo addosso anche solo graffio poi è con me che te la dovrai vedere.»
Stiles rise di cuore, anche se non dubitava che Derek stesse parlando sul serio.
«Vedi?» lo prese in giro. «Cosa ti dicevo? Dovresti fare qualcosa per questa tua mania delle minacce, Miguel. Hai mai pensato di vedere uno specialista o di seguire uno di quei corsi? Controllo della rabbia, “Come imparare a gestire la collera e a non minacciare di morte il proprio ragazzo”, quelle cose così…»
Derek però rimase serissimo. «Non azzardarti a non tornare» ripeté, solo in tono più accorato che collerico. «Sei l’essere umano più assurdo, ridicolo e irritante che io abbia mai conosciuto, Stiles. Sei un bugiardo patologico, un rompipalle senza tatto e hai un sacco di altri difetti fastidiosi. Ci ho messo un mucchio di tempo per capire che non era soltanto colpa tua se mi davi così tanto sui nervi. Ce ne ho messo parecchio anche solo per fidarmi di te. Sei l’ultima persona al mondo che avrei mai pensato di amare, però ti amo e non è facile per me. Nemmeno un po’.»
Stiles sapeva che era vero. Per Derek doveva essere incredibilmente complicato anche solo parlarne. Lo era sempre stato. Le sue dichiarazioni non soltanto d’amore ma perfino di mero affetto erano rare e sempre un po’ tese. Stiles ormai lo conosceva abbastanza da capire il perché.
Non gli parve strano che Derek condisse le sue affermazioni romantiche di critiche sincere e spietate. Ciò che lo spiazzò davvero fu sentirlo ammettere, giusto un attimo dopo: «Quando ti ho conosciuto, anche se il tuo odore mi diceva che era giusto il contrario, non ti sopportavo. Ma ero diverso, Stiles, ero qualcuno che non mi è mai piaciuto. Se non avessi incontrato te e Scott, o se Scott mi avesse dato retta anziché appoggiarsi a te, sarei rimasto quello che ero. Senza di te ho…  ho paura di tornare a essere quel Derek, e non voglio. Tu mi piaci, Stiles, ma quello che ero prima di conoscerti non mi piace per niente. Se ti succedesse qualcosa impazzirei, sarebbe anche peggio, diventerei orribile. Non basterebbe Scott per impedirmelo, forse nemmeno Cora. Da solo non sono una bella persona, Stiles. Non mi lasciare da solo».
Stiles fu costretto a chiudere gli occhi per un istante e a mordersi un labbro per non dire una delle sue solite cazzate o qualcosa di così stucchevole che alla fine avrebbe fatto fuggire Derek a gambe levate. Anche se la verità era che non sapeva assolutamente cosa rispondergli, a parte urlargli che si sbagliava su se stesso e giurargli di nuovo che sarebbe tornato.
«Andrà tutto bene» ripeté e pensò: «non come l’altra volta». No, non come l’ultima volta che aveva compiuto un rituale per connettersi al Nemeton. Anzi, Deaton gli aveva dato specifiche rassicurazioni sugli effetti che quel secondo viaggio avrebbe avuto su di lui, se le cose fossero andate secondo i piani. «Andrà tutto bene, sul serio.» Stiles si accorse di averlo appena detto con maggior convinzione.
Derek annuì in silenzio e gli premette una mano sul petto, all’altezza del cuore, come se volesse sincerarsi perfino con il tatto del fatto che Stiles credeva alle sue stesse rassicurazioni.
«Ho fatto cose più pericolose di questa e poi, andiamo, viaggiare nel tempo è una figata. Chi non vorrebbe viaggiare nel tempo? Appena torno mi comprerò un piumino arancione senza maniche e forse su E-bay si trovano ancora un paio di quelle vecchie Nike…» Stiles riprese a parlare a macchinetta e in tono leggero, solo per distrarsi dalla sensazione che quel palmo aperto appoggiato sul torace fosse troppo caldo e che tremasse un po’. «Beh, immagino che il motivo per cui me ne andrò in giro vestito così non lo capirà nessuno, nessuna persona normale, insomma, ma sul serio, se ci pensi è una cosa così figa. Oh, un sacco! Potrò vantarmi di essere tornato indietro nel tempo. Beh, non proprio vantarmi, non a voce alta, non con… gente comune, sconosciuti, umani senza un branco, il resto del mondo, insomma. Però sarà figo. E tu lo saprai e anche Scott e Lydia e gli altri del nostro branco, quindi potrò vantarmene quando parlo con voi, oh, sì. E con papà, dopo che sarò tornato tutto intero e se avrò mai il coraggio di dirglielo. E… e… con chiunque sia in grado di non prendermi per matto se gli dico che me ne sono andato a zonzo nel passato, perché, insomma, dovrò pur parlarne con qualcuno, altrimenti sarebbe uno spreco. Voglio dire, lo farò davvero, senza nemmeno usare una macchina del tempo, ci pensi? Niente aggeggi strani, niente cabine del telefono inglesi, niente Delorean modificate, anche se secondo me il flusso canalizzatore sul retro della jeep e tutti quei cavi e i contatori…»
«Ho cambiato idea» sbuffò Derek, sollevando di nuovo gli occhi al cielo, ma senza interrompere il tocco. «Resta pure in un’altra epoca.» Poi, a voce più bassa, smozzicò un «Nerd» quasi impercettibile.
Stiles non si offese. Il suo cervello era appena stato attraversato dall’ennesimo lampo di consapevolezza. «Conoscerò tua madre… Oh. O-oh… conoscerò sul serio tua madre.»
Derek lo guardò come se stesse pensando: «Mia madre conoscerà te. Non sai quanto vorrei che si potesse evitare».
«Conoscerò. Tua. Madre.» Fin dal principio Stiles aveva preso l’intera faccenda soprattutto dal lato pratico, aveva pensato a Talia Hale solo come una risorsa per trovare la soluzione a un grosso problema. Non si era mai soffermato tanto sul concetto che, oltre a essere un capobranco e un lupo mannaro estremamente potente ed esperto, Talia era stata anche una mamma, nel senso comune del termine. «Conoscerò tua madre e sarà stranissimo. Potrei chiederle un sacco di cose su di te. Cose imbarazzanti e cose che tu non ti sogneresti mai di dirmi.»
«Ah, smettila» lo interruppe Derek, scuotendolo per le spalle. Aveva un’aria imbarazzata e le gote un po’ troppo rosse, ma lo sguardo era torvo come al solito. «Non chiederai nulla a mia madre. Per quel che ne sappiamo potresti arrivare in un periodo della sua vita in cui non sono nemmeno nato, quindi che vuoi che ti racconti? E comunque, in ogni caso, non vedo perché dovrebbe risponderti e spifferare i fatti miei a un perfetto sconosciuto.»
«Perché tutti i tuoi parenti lo fanno di continuo?» ridacchiò Stiles, giocherellando con le dita sulla rientranza del suo ombelico come se quella fosse una qualunque chiacchierata da letto.
«Mio zio non è tutti.»
Stiles rise più forte, un po’ perché Derek poteva essere bellissimo quando era indignato e c’erano ancora momenti in cui a lui tutta quell’avvenenza dava le vertigini, e un po’ perché era costretto a smentirlo. «Cora non ti ha mai raccontato cosa ci diciamo quando ti chiama e prima di chiudere ti chiede di passarmi il telefono?»
Derek grugnì e sbuffò e per qualche motivo Stiles si sentì più sereno e al sicuro.
«Conoscerò tua madre» ripeté trasognato. «Non ci posso credere. Ci sono davvero un milione di cose imbarazzantissime che potrei chiederle e almeno altrettante che potrei raccontarle, tipo quella volta con il cane di Lydia…»
«Stiles!» Derek l’aveva appena afferrato per un polso e, tutto d’un tratto, si era fatto serissimo. Troppo serio perfino per i suoi standard, troppo per essere solo offeso da una bonaria presa in giro. «Non devi dire nulla a mia madre. Promettimelo.»
Stiles era sbalordito. «Vuoi, cioè… sul serio vuoi che ti prometta che non racconterò a tua madre dei tuoi scambi di opinioni con il cane di Lydia? Ok, la faccenda con Prada è imbarazzante, ma è tua madre e conoscendoti scommetto che ha visto di peggio.»
Derek chiuse le dita con più forza, anche sull’altro polso. Stiles non sentì dolore ma avvertì la tensione che si faceva palpabile come la corda di un arco pronta a spezzarsi. «Nulla, Stiles. Promettimelo.»
Derek aveva un’espressione tale che lui annuì con vigore anche se, francamente, non capiva.
«Nulla?» chiese un po’ sulla difensiva. «Nulla come “non voglio che tu ti azzardi a prenderti confidenze con mia madre, non sei poi così tanto importante per me”? Perché in quel caso devo dire che per tutta la sera e non solo mi hai inviato segnali un po’ contrastanti con questa visione dei fatti… » Arrossì, anche se non voleva, e aggiunse tentando di tenere un tono leggero: «oppure nulla come “nulla di nulla, per imperscrutabili motivi che non ti spiegherò, perché farlo comporterebbe l’uso di troppe parole”?»
«Niente.» Derek sembrava sul serio allarmato. «Di me, di quello che le è successo, dell’incendio, di Laura e di Cora e di Peter e di Malia. Nulla. Nulla che mia madre non dovrebbe sapere perché non è ancora successo.»
«Oh.» Stiles spalancò la bocca in maniera esagerata e poi la richiuse lentamente e annuì facendo oscillare il capo. «Quel genere di nulla. Il “nulla che possa causare un paradosso spazio-temporale e far collassare l’intero universo”. Il “nulla” che tutti i personaggi di Doctor Who finiscono per spiattellare a chiunque più o meno ogni due puntate. Quel “nulla”. Capisco.»
Ed era vero. Lo capiva, solo non ci aveva ancora pensato. Non quella notte, per lo meno, anche se qualche giorno prima Deaton aveva accennato a tutta una serie di precauzioni che Stiles avrebbe dovuto prendere e che intendeva fargli ripassare il giorno della partenza.
Ma in quel momento, quando Deaton aveva menzionato l’argomento, a lui non era venuto in mente il potenziale esatto delle sue parole e delle possibili conseguenze del violare un simile divieto. Era stato troppo preso ad assorbile l’enormità dell’idea di dover essere spedito indietro nel tempo, non in un film, non su un set cinematografico come in una qualcuna delle pellicole di culto che erano tra le sue preferite, ma sul serio, nella realtà.
Ora che ci ripensava e che ponderava anche le richieste di Derek, Stiles si rese conto che, volendo, avrebbe davvero potuto farlo: avrebbe potuto mettere Talia Hale sull’avviso riguardo a Kate Argent. Avrebbe potuto dirle dell’incendio e forse Talia avrebbe fatto in modo che non accadesse. E poi cosa sarebbe successo?
Stiles sentì che gli tornavano le vertigini al solo pensiero.
Gli Hale si sarebbero potuti salvare? Al suo ritorno Derek avrebbe avuto una famiglia? Sarebbe andata così? Derek avrebbe riavuto il suo branco originario, quello in cui era nato e cresciuto? E cosa sarebbe capitato a Scott? Nessuno l’avrebbe morso, oppure…
Nel cervello di Stiles si stavano concatenando così tanti sé e ma da fargli ritornare il mal di testa. Non era nemmeno certo che se gli Hale si fossero salvati lui e Derek si sarebbero mai conosciuti. Per un attimo ebbe la nitida visione di sé stesso che sussurrava avvertimenti all’orecchio di un’enorme lupa nera e gli parve, come conseguenza, di essere sul punto di svanire da un momento all’altro. Come se potesse ritrovarsi cancellato del tutto, perché non aveva più alcun motivo di essere lì con Derek, proprio in quell’istante, proprio in quella stanza. Sapeva che era da egoisti ma provò una fitta acuta al centro del petto. Non arrivò a farsi venire una crisi di panico, ma sentì distintamente l’ansia che serpeggiava minacciando di sommergerlo e di inghiottirlo in un solo istante, se solo lui l’avesse lasciata avvicinare.
Al di là delle possibili conseguenze pericolose di qualunque tipo, gli parve di essere schiacciato da un dubbio crudele e senza soluzione, o dalla necessità di compiere una scelta impossibile.
Ci metteva sempre un sacco di tempo prima di concedersi di amare davvero, e ogni volta che lo faceva insieme all’amore arrivava ad annidarsi nel suo cuore anche il terrore di perdere l’oggetto dei suoi sentimenti. Quel tipo di paura Stiles non era mai riuscito a vincerla e sapeva che non l’avrebbe mai abbandonato. Ma proprio perché la provava aveva sempre la tendenza feroce a proteggere quelli che amava. A qualunque costo. Ciò che stava scoprendo solo in quel momento era che il suo istinto protettivo era addirittura retroattivo. Non riusciva a togliersi dalla mente l’idea che avrebbe potuto evitare a Derek così tanto dolore e, nello stesso tempo, era abbastanza umano ed egoista da sentirsi malissimo al pensiero che farlo avrebbe quasi certamente significato rinunciare a lui.
Furono le dita di Derek che gli sfioravano uno zigomo a richiamarlo dal pozzo buio e senza fondo di quei pensieri.
«Stiles.» Si sentì chiamare per nome e si riscosse. Aveva una manciata del cotone delle lenzuola stretta in maniera spasmodica tra le dita della mano destra e fece fatica a guardare Derek dritto negli occhi. «Qualunque cosa ti stia domandando per provare così tanto conflitto interiore, la risposta è no. Hai capito? Guardami. No, Stiles. La sola cosa giusta da fare è lasciare le cose come stanno. È passato. Non fa più male, non…»
Anche se non gli fossero morte le parole in gola Stiles avrebbe comunque capito che l’ultima affermazione era una bugia colossale. Avrebbe dovuto dirlo a Derek invece si chinò per baciarlo con troppa foga e con il fiato già corto ancora prima di cominciare. Derek ricambiò con altrettanta violenza e intanto lo imprigionò tra le sue braccia e rotolò sul materasso fino a schiacciarlo sotto di sé, senza alcuna possibilità di fuga.
«Dico sul serio.» Le sue mani circondavano il viso di Stiles, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. «Non sappiamo cosa potrebbe succedere cambiando il passato.»
Stiles sapeva che era verissimo. Aveva letto abbastanza libri e visto abbastanza film di fantascienza per avere in mente un sacco di potenziali esiti catastrofici di un tentativo di modificare cose già accadute, ed era anche troppo intelligente per non capire che almeno in quel campo i libri e i film non avevano tutti i torti. Però continuava a pensare agli Hale e in un angolino del suo cervello si dibatteva un pensiero tristissimo, riguardante sua madre e il fatto che non avrebbe potuto salvarla neanche tornando indietro nel tempo. Invece quello che era capitato a Talia e al suo branco si sarebbe potuto evitare così facilmente. Se solo gli Hale avessero saputo a cosa andavano incontro.
«Stiles, guardami. Giura. Nemmeno una parola. Neanche una sillaba. Non puoi dirlo a mia madre. Giura.» Lo sguardo di Derek era acceso ma dimostrava una rigidità inflessibile che non accettava compromessi o scappatoie.
«Ma…» avrebbe voluto obbiettare Stiles, non tanto perché riuscisse a dargli torto quanto perché sentiva di aver bisogno di pensarci ancora e di avere più tempo per decidere.
«Su tuo padre. Giura.»
Stiles sospirò e strinse i pugni sulle lenzuola sgualcite. «Derek…»
«Giura che non farai cazzate che potrebbero sconvolgere tutto e magari impedirti di tornare da me. Giura o non ti lascio andare da nessuna parte.»
Aveva la fronte così corrugata e gli occhi così lucidi che Stiles finì con il deglutire annuendo. «Te lo giuro.»
«Su tuo padre.» Fu quasi un ringhio.
«Su… oh, accidenti, Derek, te lo giuro su quello che vuoi, ok? Va bene? Giuro. Su… su papà. Ok?»
Derek lo fissò per qualche secondo, annuì a sua volta e poi spostò un poco il proprio peso, consentendogli di muoversi e di respirare.
Tutto d’un botto Stiles si sentì stanco, svuotato e incapace di arrovellarsi oltre. Aveva bisogno di riposare e di sapere che mentre lui dormiva Derek avrebbe fatto altrettanto.
Né lui né Derek potevano vantarsi di avere un sonno invidiabile. Soffrivano entrambi di una serie di disturbi assortiti che di solito si alternavano e che, per fortuna sempre più raramente, nei momenti di crisi avevano la tendenza a presentarsi tutti insieme. Ogni tanto qualcuno di quei disturbi spariva completamente, ma in ogni caso la tendenza all’insonnia non era tra quelli.
Stiles trovava che fare l’amore fino a sfinirsi fosse il modo più piacevole per venirne a capo, ma non era convinto che quello sarebbe stato il momento giusto per partire da un bis e iniziare una maratona del sesso.
In ogni caso gli sarebbe bastato anche solo sapere Derek addormentato per sentirsi tanto più predisposto a chiudere a sua volta gli occhi e lasciarsi andare. Dirgli di mettersi giù e di riposare, però, non sarebbe servito a nulla.
Stiles aveva comunque le sue risorse. C’era un piccolo trucco che aveva scoperto per caso, una delle prime volte in cui lui e Derek si erano ritrovati a condividere una solitudine colma di intimità anziché dell’urgenza di stanare questo o quel mostro. Bastava trovare il punto giusto – e naturalmente riuscire ad aggirare le difese ingrugnite di Derek – e il gioco era fatto. Funzionava sempre.
In quello specifico frangente Stiles non ebbe alcun bisogno di abbattere chissà quante barriere. Derek era stanco quanto lui ed era già così vicino e disarmato che a lui bastò sollevare una mano e iniziare ad accarezzargli la schiena con fare distratto per raggiungere l’attaccatura della prima vertebra del collo. Da lì risalì lento verso la nuca e poi scese di nuovo, premendo appena con la punta delle dita.
«Andrà tutto bene» ribadì in un sussurro e poi si lasciò baciare, senza mai smettere di massaggiare il collo di Derek nemmeno per un istante.
A ogni passaggio il suo tocco si fece un po’ più insistente, proprio all’altezza della vertebra da cui era partito. Stiles la sentiva sotto i polpastrelli, dura e un po’ sporgente, come un nodo che fosse stato stretto da mani d’acciaio appena sotto la pelle di Derek. Naturalmente il massaggio di Stiles non poteva rendere l’osso più cedevole e smussato, ma lui sentiva i muscoli che lo ricoprivano e che lo circondavano farsi sempre meno rigidi e tesi.
Derek lo baciò con più forza, mordendogli la bocca, ma all’ennesima carezza anche le sue labbra parvero rilassarsi. Il baciò si fece languido e, quando si interruppe, Stiles inclinò la testa da un lato, scoprendo la gola come in una tacita offerta. Proprio come si era aspettato, Derek non prese il suo gesto come un invito a baciarlo o a morderlo ancora e, invece, si limitò a nascondere di nuovo il viso nell’incavo della sua spalla. Con la fronte affondata nel cuscino sottostante e le labbra premute contro la pelle di Stiles lo si sarebbe detto tutto fuorché un pericoloso licantropo potenzialmente letale.
Stiles lo ascoltò inspirare più volte, con lentezza crescente, e dal canto suo continuò a tracciare piccole spirali invisibili sul suo collo, accarezzandolo senza sosta. Lui non era un lupo mannaro e non possedeva un super udito, ma non ebbe bisogno di poteri soprannaturali o di sensi amplificati per accorgersi che le sue premure stavano facendo effetto.
Derek si addormentò senza nemmeno cambiare posizione e Stiles stesso, una volta tanto, non si  mosse di un centimetro, se non per la punta delle dita che continuarono a sfiorare con calma la pelle di Derek ancora per diversi minuti.

   
 
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