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Autore: nevermore997    02/11/2014    4 recensioni
Vittoria Baudelaire è una Calfornia Girl a tutti gli effetti: snob, piuttosto antipatica ed abituata a vivere tra tutti gli agi e tutte le comodità. Per lei la decisione dei suoi genitori di trasferirsi da San Francisco a Foggy Hollow, desolante e gelida cittadina dello sperduto Wyoming, è una vera e propria doccia fredda. Senza volerlo si ritroverà catapultata in una vita completamente diversa da quella a cui è abituata, circondata da nuovi bizzarri amici, troppa neve per i suoi gusti, pianisti misteriosi e le mura di una casa inquietante che cela un terribile mistero.
La storia di una sedicenne in un mare di guai che si ritrova costretta ad adattarsi, a dimostrarsi coraggiosa, ad agire e anche a cambiare. Se in meglio o in peggio, lo scoprirete solo leggendo.
Questa storia è un esperimento, uno sporadico tentativo di fondere assieme due generi che nulla hanno a che vedere tra di loro: l’horror e il comico. Nella speranza che questo strano miscuglio vi incuriosisca, vi auguro buona lettura.
Genere: Comico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9
Le carte in tavola
 
Mi alzai da terra, barcollando e stringendo in mano il foglio. Sembrava essere tornato tutto normale. Sebastian Avary aveva lasciato la sua casa per sempre. Mi guardai le mani e mi stupii nel vederle pulite, senza traccia di sangue. Anche il pavimento era immacolato e mi accorsi che la ferita sul corpo esanime di Owen era scomparsa. Caracollai fino a lui, con le gambe che a malapena mi reggevano in piedi. Non dava segno di essere ferito, come se il fantasma, andandosene, si fosse portato via anche tutto il dolore che aveva procurato. Eppure era immobile, gli occhi chiusi, la bocca semiaperta dalla sorpresa della morte, il torace immobile animato da nessun respiro. Lo avevo perso. Era tutta colpa mia. Lo avevo trascinato in quella situazione impossibile e lui, pur di proteggermi, era rimasto ucciso, senza che io potessi fare niente per cambiare le carte in tavola.
O forse no?
Cercai di riflettere. Riflettei su Sebastian, su come aveva punito con la morte tutti coloro che avevano suonato la sua canzone senza saperla concludere. Teoricamente, io avevo finito Clair de Lune, eppure non l’avevo mai suonata. Non avevo mai creduto né nelle magie né nei miracoli, ma era anche vero che di solito ero piuttosto scettica anche nei confronti dei fantasmi, ed invece avevo appena ricevuto la prova tangibile del fatto che il sovrannaturale esisteva.  A quel punto non mi restava che tentare il tutto e per tutto. Mi stropicciai gli occhi impiastricciandomi tutte le dita di trucco colato, mi alzai ed andai al pianoforte, munita dell’incompiuta melodia di Sebastian Avary. Deglutii nel vedere la complessità di quelle note, tuttavia, decisa, posai le dita sulla tastiera ed iniziai, per la prima volta da quando vivevo a Foggy Hollow, da quando conoscevo Owen, da quando ero diventata una nuova Vittoria, a suonare.
Clair de Lune si diffuse nella stanza e solo in quel momento, suonata dalle mie mani, fui davvero in grado di estrapolarne il significato completo, o almeno, ciò che significava per me. La speranza: Sebastian che conosceva Luna, io che conoscevo Owen. L’angoscia: la paura della malattia contro la presa di consapevolezza di vivere in una casa infestata. La tristezza straziante che rappresentava per lui l’aggravarsi delle condizioni di Luna, per me la disperazione nel vedere Owen giacere in una pozza del suo sangue. Infine, il senso di colpa e la rabbia che ci accomunavano e poi l’interruzione, la morte, incompiuta. Sperai di tutto cuore che la vita di Owen non fosse destinata a rimanere anch’essa così tristemente incompiuta.
Mi alzai dal pianoforte e mi precipitai sul suo corpo, in attesa che qualcosa, qualunque cosa, succedesse, che qualche avvenimento eclatante ribaltasse la situazione.
Non accadde nulla e capii che mi ero illusa, che non aveva funzionato. Non c’era nulla che potesse portarlo indietro dal regno dei morti, ed io dovevo farmene una ragione.
Scoppiai a piangere di nuovo ed affondai il viso sul suo petto, ancora caldo sotto la maglietta, aggrappandomi forte ai suoi vestiti, come per non lasciarlo andare. Restai in quella posizione per ore, o forse fu solo un minuto. Fatto sta che, ad un certo punto, mi parve di sentire un mugolio.
«Owen?», chiesi, speranzosa.
Nessuna risposta, il suo corpo restava immobile. Credetti di essermelo immaginato, quando sentii un altro rantolo, questa volta molto più udibile e decisamente reale.
«Owen?!», gridai, a voce più alta.
«V… Vittoria?», biascicò lui, issandosi sui gomiti e socchiudendo gli occhi azzurri.
Non resistetti un secondo di più. Mi lanciai gettai letteralmente addosso a lui, buttandogli e braccia al collo ed incastrando il viso nell’incavo della sua spalla. Rotolammo entrambi sul tappeto in un disordinato abbraccio.
«Sei sempre la solita irruenta, Vittoria. Capisco di essere irresistibile, ma tu dovresti decisamente cercare di darti un contegno», scherzò lui, al suo solito, stringendomi a sua volta tra le sue braccia forti e protettive. Questa volta, per la prima volta, non mi venne né da stizzirmi, né da spingerlo via. Mi limitai a ridere con le lacrime agli occhi.
«Sei stata bravissima, Vittoria. Hai risolto tutto da sola, ci hai salvati entrambi», mormorò, e dalla sua voce si capiva che era emozionato almeno quanto me.
Ce l’avevamo fatta. Avevamo sconfitto il fantasma di Avary Manor.
 
Il giorno dopo volli andare al cimitero. Speravo di trovare la tomba di Sebastian, dove avevo deciso di lasciargli lo spartito di Clair de Lune. Inizialmente avevo pensato di tenerlo, ma poi mi ero resa conto che non sarebbe stato giusto. Era meglio così, meglio non correre il rischio che finisse nelle mani sbagliate. Era destinato all’eterno riposo assieme al suo proprietario.
Owen accettò di accompagnarmi e così, durante quella pallida mattinata di fine dicembre, ci recammo assieme tra le cripte di Foggy Hollow.
Mi erano sempre piaciuti i cimiteri. Le lapidi coperte di fiori, le fotografie sorridenti che si vedevano sugli epitaffi, le statue di angeli ad ali spiegate che sembravano davvero lì lì per spiccare il volo, erano tutti elementi che non riuscivano a farmeli associare a tetri posti di morte. Li vedevo più come luoghi di riposo, di tranquillità, di ricordo sereno di come persone avevano vissuto vite intense e gioiose per poi, un giorno, chiudere gli occhi e andarsene in pace.
Ci districammo tra le stradine di ghiaia in silenzio, accompagnati soltanto dallo scricchiolio dei nostri passi. Se volevamo trovare Sebastian, dovevamo raggiungere l’ala più antica del cimitero. Lì le tombe più sfarzose venivano gradualmente sostituite da sepolcri piccoli e semplici, le immense croci in pietra da strutture più modeste in legno intagliato. Il loculo di Sebastian era in un angolo, ornato da un mazzo di pratoline un po’ appassite. Sorridendomi, Owen andò a posare sulla pietra la composizione di gigli che avevamo portato. Io stringevo in mano lo spartito. Mi soffermai per qualche istante ad osservare la fotografia in bianco e nero affissa sotto il nome inciso nel granito. Raffigurava un ragazzo bello, giovane, innamorato, dagli occhi scuri accesi di gioia e vivacità.
Owen si allontanò di qualche passo per lasciarmi sola a cospetto di quel che restava del grande pianista. Mi inginocchiai, piegai la sua canzone in quattro e feci scivolare il foglio nella fessura tra la lapide e la lastra di marmo che copriva la bara. Ora quel capolavoro era riunito al suo proprietario. Sentii di aver fatto la cosa giusta. Una folata di vento particolarmente tiepido per quella stagione mi carezzò una guancia. Immaginai che fosse il modo di Sebastian di ringraziarmi.
«Grazie a te, Sebastian.»
 
 
 
Buongiorno!
Per l’ennesima volta perdonatemi l’atroce ritardo. Suvvia, cercate di capire, prima c’è stato Halloween, poi il sacrosanto sabato sera, sono stata troppo impegnata a rovinare il mio fegato e la mia reputazione per aggiornare. Non che ci sia da stare allegri. Ma comunque.
Come avrete intuito, la storia volge al termine ed io sono veramente triste, perché mi sono parecchio affezionata a Vittoria, ad Owen, a Sebastian e soprattutto a tutti voi lettori. Ma così è la vita. Storie che finiscono e storie che cominciano.
Volevo usare questo trafiletto per dirvi una cosa a cui tengo molto in proposito di questa storia. Probabilmente avrete notato che non compare nessuna descrizione fisica di Vittoria. Volevo che sapeste che non è una distrazione, ma semplicemente un modo per far si che il lettore si immedesimi in lei il più possibile e si senta un po’ il protagonista della storia. Per voi ha funzionato? Vi siete sentite un po’ Vittoria?
Il mio affetto più sincero,
Nevermore
  
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