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Autore: KatherineSwan    07/11/2014    10 recensioni
Colin e Jennifer. Jennifer e Colin. Due anime unite dal proibito. Due colleghi che pian piano scoprono l'importanza che l'uno ha per l'altro, e iniziano a chiedersi: e se la mia vita fosse sbagliata? e se potessi avere di più?
Jennifer e Colin che fanno colazione insieme. Jennifer e Colin che fanno l'amore. Jennifer e Colin che si tengono per mano. Jennifer e Colin che si amano.
E se tutto questo potesse far parte della loro vita?
Succederà? Vi basta leggere per scoprirlo.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: colin o'donoghue, Jennifer Morrison
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci con il secondo capitolo, l'ho scritto ascoltando Stay degli Hurt (https://www.youtube.com/watch?v=1nP3XB7hrFo) comprendete quanto sia stato doloroso.
Eh niente, vi lascio alla lettura, eventuali errori di battitura verranno corretti entra sera.

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                                                                                                                                                                     So you change your mind
                                                                                                                                                                           And say you’re mine.
                                                                                                                                                                     Don’t leave tonight
                                                                                                                                                                                      Stay.'' 


La pioggia incalzante picchiettava sull’asfalto bagnato, regalando un leggero ticchettio regolare che andava di pari passo con il battito cardiaco di Colin.
Quella sera aveva parcheggiato l’auto a qualche isolato di distanza e continuava a camminare su e giù per la strada in cui c’era l’appartamento di lei, indeciso più che mai su cosa fare.
Ci pensò più e più volte, prima di armarsi di coraggio e suonare il citofono, senza rendersi nemmeno conto di essere bagnato dalla testa ai piedi e alquanto impresentabile.
Spinse quel tasto su cui c’era scritto il nome di lei più e più volte, con un insistenza quasi disperata.
« Andiamo Jen, apri. APRI DANNAZIONE. »
Jennifer si accorse solo dopo innumerevoli bip del campanello che qualcuno stava suonando e si affrettò a rispondere.
« Chi è? »
« Sono io, Jen, apri. Per favore, fa freddo qui fuori. »
Lei acconsentì e aprì il cancello all’ingresso e successivamente la porta di casa.
Se lo ritrovò davanti tutto bagnato, fradicio fino alle punte dei capelli e irrimediabilmente rise, non di lui, ma dell’idea che aveva di quel bell’irlandese sempre posato e mai con qualcosa fuori posto.
Poggiò la mano sullo stipite della porta e fece una smorfia, mentre lui cercava di riprendere sicurezza e non sembrare la versione più patetica e meno affascinante di sé.
« Che cosa ci fai qui? »
« Non lo so. Io ho camminato e camminato e.. volevo solo vederti. »
Lo fece accomodare in casa, silenziosa e titubante, visto che non poteva lasciarlo fuori al freddo in quelle condizioni.
Sospirò impercettibilmente e si richiuse la porta alle spalle, per poi alzare lo sguardo su di lui.
« Dovresti toglierti quei vestiti bagnati, sai? Ti beccherai un raffreddore. »
« No, sto-sto bene, davvero. »
« Smettila di fare così, Colin. Sul serio. »
Jennifer si avviò verso la sua stanza, mettendo le mani nell’ultimo cassetto del comodino.
Aveva conservato con cura una vecchia tuta che lui si era portato dietro una sera, tanto tempo prima, quando era rimasto a dormire da lei insieme a Ginny e Josh.
Non seppe spiegarsi per quale motivo l’aveva tenuta tutto quel tempo, forse voleva conservare un pezzo di lui per tutte quelle lunghe serate solitarie passate in quella casa ormai vuota e troppo grande per lei.
Gli porse la roba con dolcezza, con un sorriso velato ma sincero e lui si apprestò ad andare in bagno per asciugarsi e cambiarsi.
Non aveva intenzione di discutere con lei, sentiva soltanto il bisogno di vederla, di starle accanto senza che qualcuno potesse giudicarlo o guardarlo con occhi diversi.
Tutti si domandavano cos’avesse di strano in quell’ultimo periodo, persino sua moglie se lo domandava, ma ogni volta si ripeteva che era colpa dello stress, della lontananza, della stanchezza, perché pensare all’alternativa l’avrebbe fatta uscire fuori di testa.
Lei si fidava di lui, e Colin non aveva intenzione di infrangere il giuramento fatto il giorno delle nozze, ma era così difficile, era così difficile avere Jennifer al suo fianco e non pensare a quanto volesse baciarla.
Uscì dal bagno qualche minuto dopo, con indosso la tuta che lei gli aveva dato.
L’aveva conservata per tutti quei mesi, per tutto quel tempo aveva avuto un pezzo di lui nella sua casa, persino quando era fidanzata con Sebastian.
A Colin venne difficile trattenere un sorriso a quel pensiero, ma Jen subito ricadde in quello sguardo duro e triste, quello che aveva l’ultima volta che avevano parlato.
« Dimmi perché sei qui. La verità. »
« Ti ho già detto la verità, non richiedermelo ancora. »
« Dimmelo di nuovo. »
« Me la ricordo questa tuta. Era mia. »
« Non cambiare argomento. Questa volta non funziona, non ho voglia di giocare a questo gioco. »
Colin aggrottò la fronte, irritato dalle sue parole.
Lui non stava giocando, affatto. Non aveva nessuna intenzione di giocare, stava solo cercando di capire come affrontare la situazione senza voler ferire nessuno, come se fosse facile.
« Credi che sia un gioco? Tra me e te? »
« Non so cosa sia, ma se è un gioco non voglio giocare, Colin. »
« Ti sfido allora. Baciami adesso, qui, senza nessuna telecamera, senza nessuno che ci guarda, senza nessuno che possa giudicarci. Baciami qui e vedi se sto giocando, Jennifer. Fallo, perché io sono stato sincero fin dall’inizio con te, anche mentre tu ti sbattevi un altro. »
Lei sbottò, rifilandogli un ceffone dritto sulla guancia sinistra, per poi strofinarsi la mano dolorante contro l’altra per cercare sollievo.
Come poteva parlargli così? Come osava anche solo parlare della sua vita privata, senza averne rispetto?
Non riusciva a pensare, non riusciva a mettere insieme le parole, sentiva solo la rabbia dentro che cercava di uscire fuori perché era stanca di rimanere sopita e nascosta da quei sorrisi tristi.
« Non hai nessun diritto di parlarmi così. Con quale diritto ti permetti di dirmi determinate cose? Anche tu ti sbatti tua moglie, non credo di aver mai avuto problemi al riguardo. E mi sbatto chi voglio, non sei il mio fidanzato, non sei niente. Sei meno di niente nella mia sfera emotiva al momento.»
Colin voleva urlare, voleva sbatterla contro il muro e urlarle tutto quello che provava ma si limitò a baciarla, a divorarle le labbra rosee come se fossero l’ultima cena di un condannato a morte.
Incollò il corpo di lei tra il suo e la parete e la baciò, come mai avrebbe pensato di fare, come mai aveva fatto, senza freni e senza controllo.
La baciava come voleva baciarla da tempo, come sognava di fare ogni notte negli ultimi mesi, come si proibiva di baciarla sul set perché nemmeno Capitan Uncino avrebbe baciato così la sua Emma.
Si staccò da lei solo quando non avvertì più l’aria nei polmoni e si spinse indietro, come una calamita respingeva l’altra dello stesso verso.
La fissava, la fissava in quel modo, nel modo in cui lei gli aveva chiesto di non guardarla mai più.
Era così bella, così dannatamente sconvolta, così stordita, e per un momento era stata sua.
« Ogni volta in cui penserai che sto giocando, ti bacerò così e ti ricorderò che non è vero. »
« No invece! Non lo farai. Hai una moglie, una dannatissima moglie che ti ama e che tu ami, lo so che la ami, quindi non ti azzardare mai più. »
« E’ vero, la amo, ma provo qualcosa per te, e non lo negherò solo per essere in pace con la mia coscienza. O per far si che tu sia in pace con la tua. »
In quel momento Jennifer avrebbe voluto essere da sola, avrebbe voluto sfogare le sue lacrime senza che lui la vedesse in quello stato ma lui era lì, dietro di lei, e l’abbracciò senza dire nient’altro.
Le sue braccia l’avvolsero nel più meraviglioso dei modi, accarezzandole i capelli e cullandola dolcemente, come per rassicurarla che nessuno avrebbe osato farle del male, perché lui non l’avrebbe permesso mai.
Dopo qualche singhiozzo, lei smise di dimenarsi e si lasciò traportare, avvolgendo le sue braccia attorno alle grandi spalle di lui sentendosi, per la prima volta dopo tanto tempo, in pace con il mondo.
« Dovresti andare. »
« Credo che resterò. Non ho intenzione di lasciarti così. »
Jen non protestò, infondo le faceva piacere sapere che sarebbe rimasto con lei, nonostante tutto.
Le faceva piacere pensare di poter vivere in un universo parallelo, anche solo per un po’, dove lui era solo un ragazzo, e lei solo una ragazza, senza vincoli e legami.
Sorrise leggermente, mentre lui le asciugava le lacrime e la invitava a sedersi sul divano.
« Cos’avevi intenzione di mangiare? »
Irrimediabilmente le venne da ridere, perché pochi minuti prima che lui suonasse alla porta aveva appena deciso di riscaldare una pizza precotta che aveva nel congelatore.
Ormai viveva solo di cibi surgelati e barrette energetiche, non avendo né il tempo né la voglia di cucinare quando tornava dal lavoro.
« C’è la pizza. »
« Quella la chiami pizza? Sul serio? E’ per questo che sei dimagrita, mangi solo schifezze. »
Le sorrise piano, facendole capire che lui si accorgeva di tutto, anche di un minimo cambiamento nel suo corpo, lui l’aveva notato e a Colin piaceva farglielo sapere, perché lui la guardava in continuazione, anche quando lei non se ne rendeva conto, anche quando lei pensava fosse troppo impegnato per pensare a lei. Lui la guardava sempre.
Infilò la pizza nel microonde e attese qualche minuto fin quando non fu pronta.
La poggiò in un piatto e prese due bicchieri e la bottiglia di vino che lei aveva aperto prima del suo arrivo.
« Et voilà, la cena e servita. »
Asserì con un sorriso a trentadue denti, porgendole il piatto e sedendosi accanto a lei sul divano, posando infine il resto che aveva tra le mani sul tavolino davanti a loro.
Lasciò tutta la pizza a lei, assaggiandone solo un pezzo, perché voleva rimanere lì ad osservarla anche in quei piccoli momenti quotidiani che la rendevano più umana ai suoi occhi e non solo una dea bionda dagli occhi da cerbiatto che lo avevano incantato.
« Eri davvero affamata eh? »
« Scusami, non te ne ho lasciato neanche un pezzo. Posso prepararti qualcosa? »
« Non ho fame, non preoccuparti. »
Era vero, non aveva fame, almeno non quel tipo di fame a cui stava pensando lei.
Colin scosse la testa un attimo, accantonando quei pensieri poco casti che gli stavano ronzando nella testa, le baciò la fronte con delicatezza e tornò a guardarla.
Dio se era bella, talmente bella da dargli alla testa, come se si fosse ubriacato di lei e non conoscesse rimedio per quella sbronza, come se non volesse riprendersi affatto da quella meravigliosa sbronza.
Jennifer lo guardò per qualche secondo, forse era l’effetto del vino, forse era solo l’effetto che lui aveva su di lei ma adesso voleva baciarlo ancora, come se il ricordo del bacio precedente la tormentasse di continuo facendola impazzire ogni minuto che passava, sempre di più.
Raccolse le forze per allontanarsi da lui e non cedere alla tentazione e riportò i piatti nel lavandino, li avrebbe lavati il giorno seguente, o quello dopo ancora, forse mai, ma non le importò più di tanto perché quella sera di sicuro non lo avrebbe fatto.
Era agitata, non poteva negarlo, la presenza di Colin la rendeva ansiosa perché non riusciva a capire come doveva comportarsi con lui, se fingere o essere sincera su quello che provava.
Non glielo aveva mai detto apertamente mentre lui lo aveva accennato più volte, soprattutto durante quella serata e adesso lei si sentiva in dovere di dire qualcosa.
« Non è vero che non conti niente per me, comunque.. »
« Jen.. »
« Sul serio, adesso devi ascoltarmi. Io non riesco ad essere me stessa quando tu sei nei paraggi. Mi confondi, mi rendi impossibile tutto, non respiro se tu mi tocchi, non ragiono se tu mi guardi. Io ci ho provato a non pensarti, ci ho provato così duramente, ma non posso farcela. Non posso semplicemente smettere di provare qualcosa solo perché è sbagliato. Ed è terribilmente sbagliato, ma non posso fingere di non tenere a te. »
« Io non tengo a te, Jen.. »
Colin ammise aspramente, abbandonando il suo solito sorriso mentre vestiva le labbra con una smorfia di disappunto, perché lui non teneva a lei, non era questo che provava.
Lei pensò per un momento di aver sbagliato tutto, di aver commesso un errore ad ammettere a voce alta quello che provava e rimase con le mani strette sul mobile dietro di lei, respirando a fatica.
«Non sono un tuo amico, non tengo a te. Io ti desidero, come non ho mai desiderato nessuno, sto impazzendo per te ma decisamente non sono un tuo amico e non tengo a te in quel modo. »
Jennifer si sentì mancare l’aria nei polmoni nuovamente, ma cercò di non darlo a vedere.
Riprese a respirare lentamente, finchè il suo battito non si regolarizzò e le permise di muoversi e incamminarsi verso la sua camera da letto.
Si fermò sul ciglio della porta, con una mano poggiata sul legno freddo di quest’ultima.
« E’ meglio se torni a casa tua. »
« Vuoi davvero che me ne vada, Jennifer? »
Avrebbe voluto urlargli di si, avrebbe voluto dirglielo con freddezza e con orgoglio, ma una parte di sé continuava a ripetere che non era ciò che voleva realmente.
« E’ l’ultima cosa che voglio, ma è la cosa giusta da fare. »
« Ti ho detto che resto, ed è quello che intendo fare. »
Colin le si avvicinò silenzioso  e le mise le mani sulle spalle, sussurrando quelle parole all’orecchio di lei che trasalì, a causa dei brividi che le correvano lungo la schiena, e le prese la mano avanzando nella stanza.
« Dove dormi, a desta o a sinistra? »
« Chi ti dice che ti farò dormire nel mio letto?»
Sorrise, per la prima volta sinceramente, facendo una smorfia buffa con le labbra che fece ridere anche lui.
Alzò le coperte e si sistemò sul lato sinistro del materasso, non che avesse un posto fisso o preferito, ma di solito la mattina si svegliava sempre in quello stesso punto quindi forse era un’abitudine.
Si buttò addosso il piumone e lo guardò, fermo sul ciglio della porta e decisamente imbarazzato.
« Stavo scherzando. Puoi dormire qui, ma non starmi troppo appiccicato. »
« Come la signora desidera. »
Recitò alcuni versi di capitan Uncino, usando la stessa mimica facciale che aveva reso un po’ unico il suo personaggio e che Jennifer trovava estremamente sexy.
Si tolse la maglietta, abituato a dormire in quel modo, senza domandarsi se a lei potesse dare fastidio o meno poiché lo fece con un gesto che ripeteva tutte le sere.
Solo dopo si rese conto di non essere da solo in quel letto e la guardò in cerca di approvazione.
Jen arrossì leggermente, tuttavia cercò di non darlo a vedere, guardando da tutt’altra parte e provando a distrarsi il più possibile.
« Non sono abituata a dormire con un uomo che non è il mio uomo. »
« Neanche io sono abituato a dormire con una donna che non è mia moglie ma, eccomi qua. »
« Guarda che non sono io che ti ho imposto di restare. »
« Lo so, sono io che voglio farlo. Sono esattamente dove voglio essere in questo momento.»
Colin sfiorò il mento di Jennifer con due dita, avvicinando il viso di lei al suo e catturandole le labbra in un bacio leggero, durato un battito di cuore.
L’attirò a sé con dolcezza e le fece poggiare il viso sul suo petto, stringendola tra le braccia in una morsa ferrea ma allo stesso tempo delicata.
Quel momento era talmente perfetto che Colin pensò di stare semplicemente sognando e che tutto ciò era frutto della sua immaginazione, ma fu riportato alla realtà da lei che lo stringeva forte, accarezzandogli il petto con la punta delle dita mentre lo guardava.
 « Colin?»
Sussurrò il suo nome con una dolcezza infinita, un tipo di dolcezza che lui non aveva mai provato.
« Si? »
« Grazie.. »
Quello di Jennifer era un grazie per tutto.
Un grazie per essere lì con lei in quel momento, un grazie per essere entrato nella sua vita e avergliela sconvolta, un grazie per essere onesto, un grazie per ogni bacio ed ogni abbraccio che le aveva riservato.
Avrebbero potuto discutere l’indomani, avrebbero potuto litigare ancora, avrebbe potuto addirittura perderlo ma per quella notte, per quella notte soltanto lui era lì con lei, ed era suo.
Colin la osservò addormentarsi, e dolcemente le sfiorò la guancia con la punta delle dita.
« Quanto vorrei che tu fossi mia.. »
Mormorò impercettibilmente prima di cedere e addormentarsi anche lui, consapevole che la mattina successiva sarebbe tornato tutto alla normalità e questo lo spaventava da morire.
  
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